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Autore: IronicNarwhal    15/04/2013    2 recensioni
[Seguito di Finding John]
Forse Anima Gemella si riferisce, di fatto, alla persona che è la chiave della tua serratura. Di tutte le tue serrature. È la tua chiave di casa, della macchina, della cassetta di sicurezza, tutte in una volta. Forse è questo il motivo per cui, finché non la incontri, sei solo una parte di te stesso. Non puoi sbloccare le tue serrature. Non puoi spegnere la scintilla, fare un passo indietro e goderti il silenzio finché, finalmente, non incontri la persona che tiene, o è, la tua Chiave.
[SoulBond!AU]
[Sherlock/John]
[seconda storia della serie Inscriptions]
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Lestrade , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Inscriptions'
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Note:

Questa storia è una traduzione di cui potete trovare l’originale qui -> AO3 oppure qui -> fanfiction.net

Non scrivo/traduco a scopo di lucro ma solo per piacere mio e nella speranza che qualcun’altro possa divertirsi con questa storia.

I personaggi appartengono a Sir Arthur Conan Doyle, Mr Moffat, Mr Gatiss

 

Warning: leggere imprecazioni

 

 

Unlocking Sherlock di IronicNarwhal

Traduzione di Myreen

 

 

Capitolo 2: En-Suite

 

John detesta davvero alzarsi nel bel mezzo della notte. Non importa quanto buona sia la ragione, lo fa sempre incazzare aprire gli occhi e rendersi conto che è un’ora assurda, come le cinque del mattino, e che fuori è ancora buio. Lo odia soprattutto quando a svegliarlo sono le sue stesse urla. Ci vuole un secondo per rendersene conto, ma la stanza ha quell’aria di silenzio pesante, angoscioso, che denota una recente cacofonia. Spera di non aver svegliato Sherlock. Sono rientrati solamente alle due, quella mattina.

Non è sicuro di cosa stava sognando. Non era un incubo sull’Afghanistan -questi li ricorda sempre e le sue coperte non sono neanche lontanamente aggrovigliate abbastanza. Di solito, gli incubi sull’Afghanistan sono molto più violenti. Si concludono con lui intrappolato nelle lenzuola e fradicio di sudore. Sfortunatamente, quello non restringe granché il campo. Avrebbe potuto essere praticamente qualsiasi cosa. Era sempre stato incline agli incubi. Passava almeno una notte a settimana nel letto dei suoi genitori, quando aveva tra i sei e gli otto anni. A sua mamma piace ancora prenderlo in giro per questo, tuttavia non così vicina alla spietatezza come Harry era solita (ancora adesso, a volte) farsi beffe di lui, per aver bagnato il letto, per la stessa ragione.

Cerca di afferrare quello che può del sogno, si ricorda il rumore -così tanto chiassoso rumore. Alcune avrebbero potuto essere urla. Anche spari. Nonostante ciò, sapeva che non era un sogno sull’Afghanistan. Non c’era sabbia bollente e dolore accecante alla sua spalla e, più importante, nessuna delle urla era sua. Non fin proprio alla fine, quando le sue stesse grida senza senso l’avevano svegliato.

Ma non riesce a ricordare né cosa stava urlando, né l’argomento del sogno stesso.

Rotolando su un lato, sblocca il suo telefono. È più tardi di quanto pensasse, più vicino alle sei che alle cinque. Ancora oscenamente presto, ma abbastanza tardi da sapere che non riuscirà a dormire ulteriormente. Almeno non prima di mezzogiorno, quando il suo corpo rifiuterà qualsiasi altra attività finché non si sdraierà sul divano e farà un sonnellino di un’ora. Prevedendo di non avere un caso tra adesso e dopo. Cosa poco probabile, vedendo come anche Sherlock ha bisogno di riposo. È stato sveglio per tre giorni di fila sul caso di Dimmock; ‘Il Banchiere Cieco’ l’aveva chiamato John nel suo blog. A meno che qualcuno manchi di informare Lestrade, il DI non chiamerà per almeno due giorni.

Trascina sé stesso fuori dal letto. Scivola giù dalle scale, scende in bagno per liberarsi. Il bagno annesso alla camera di Sherlock è l’unico dell’appartamento, a meno di contare quello che una volta era un gabinetto comune al piano di sotto, di fronte alla porta del 221A. Va bene usarlo se è proprio necessario, come quando John ha bisogno di pisciare come un cavallo da corsa e Sherlock sta facendo qualcosa di assurdo con la doccia o il lavandino o, a volte, il water stesso. Di certo, difficilmente ha voglia di andare di sotto ora.

Si assicura di essere silenzioso, tuttavia, perché è connesso alla camera di Sherlock. Per qualche ragione, i suoni viaggiano più velocemente e dieci volte più chiassosi fra le tre e le sei del mattino, che in qualsiasi altra ora del giorno.

Nonostante la porta che da’ accesso al bagno dal salotto sia leggermente socchiusa, la porta che lo connette alla camera di Sherlock non lo è. John non è molto sicuro di cosa farne, poiché Sherlock non chiude le porte molto spesso. John ne è perfettamente conscio, perché è lui quello che deve corrergli dietro, chiudendo e serrando tutte le porte che l’altro lascia aperte sul suo cammino. In realtà, in qualche modo è rassicurante sapere che lo sfacciato disprezzo di Sherlock per gli spazi personali si estenda al detective stesso. Malgrado gli altri suoi difetti, Sherlock è una delle persone meno ipocrite che conosca.

La porta chiusa da’ fastidio a John per dei motivi che non può proprio spiegare. Dopotutto, è il bagno di Sherlock, quindi riguarda ancor meno le convenzioni sociali delle porte chiuse che il detective ignora. D’altra parte, forse aveva freddo o le tubature facevano rumore. O magari è un avvertimento per John di stare alla larga, per quale che sia la ragione. John non è all’oscuro dei vari motivi per cui gli uomini vogliono della privacy, di notte, nella propria camera. Anzi, l’Unico Grande Motivo, che chiunque conosce ma caparbiamente ignora. Il pensiero fa contrarre il suo pene mentre si riabbottona i pantaloni del pigiama. Più sorpreso che altro. Non è solito pensare a Sherlock sessualmente. Non che non sia dannatamente fantastico, perché chiunque abbia gli occhi può vederlo. Semplicemente non è ancora abituato a pensare a Sherlock del tutto. Non è ancora giunto al punto di essere a proprio agio avendolo nella propria vita. Sta ancora familiarizzando, ancora provando ad adeguare il buco a forma di Sherlock nella sua vita mentre viene riempito. Ha l’impressione che in qualsiasi momento si potrebbero render conto che c’è stato un errore, che lui non è lo Sherlock di John.

Forse è ciò che lo trattiene dal seguire la relazione che si suppone dovrebbero star costruendo; tenendoli entrambi alla larga da essa, in realtà. Per la sua vita, non è capace di ricevere segnali precisi da Sherlock. Non riesce ad immaginare se le avance romantiche saranno benvenute o spazzate via. A volte deve trattenersi fisicamente dal sollevare Sherlock (e sa di esserne in grado, Sherlock è alto, ma è leggero e John è più forte di molti uomini della sua statura) e sbatterlo sul tavolo della cucina per baciarlo con foga.

Quello non è davvero un pensiero da avere mentre si trova a pochi metri dal corpo privo di coscienza della sua Anima Gemella.

Si lava le mani, quindi rimane di fronte allo specchio per un momento, fissando la sua stessa faccia assonnata e chiedendosi se dovrebbe controllare Sherlock. Una sbirciatina non può far male; metterà solo la testa dentro, vedrà che sta bene, e filerà di nuovo fuori. Sherlock non ha il sonno troppo leggero, quindi la spedizione probabilmente non lo sveglierà. Soprattutto non quando è profondamente in uno dei suoi coma da-sedici-ore post-caso.

Lentamente, e tremando a tutti gli scricchiolii del pavimento (sono incredibilmente assordanti nel pesante silenzio prima dell’alba), si muove con cautela verso la porta della camera del detective. Spera che non sia chiusa a chiave, perché se Sherlock ha chiuso e girato la chiave della porta della sua stanza, crede che questo possa trasformare la sua pigra preoccupazione in un’ansia completamente sviluppata, e  non è sicuro di come potrebbe reagire a quello. Per fortuna, tuttavia, la porta non è chiusa a chiave, e si apre senza troppe proteste o rumore.

La apre solo quanto basta per poter infilare la sua testa. Sherlock è sdraiato su un lato, dando le spalle alla porta. Ha calciato via le coltri durante il sonno, lasciando solo un piede coperto, mentre il plaid cerca di fuggire sul pavimento. Da qui John può vedere il profilo della sua spina dorsale attraverso il tessuto aderente della sua maglietta  grigia del pigiama. È veramente troppo magro. John proverebbe a farlo ingrassare, ma è troppo guardingo, con Sherlock che deduce le sue intenzioni e lo critica per questo. Se c’è una cosa per cui un dottore non può sopportare di venir criticato, è la sua capacità di preoccuparsi.

Dio, ma si congela in questa stanza. Probabilmente perché l’enorme libreria che Sherlock tiene qui dentro sta bloccando la ventola. Sherlock si sveglierà ben presto per il freddo, se John non prova a coprirlo nuovamente. Si chiede se ne valga il rischio. Sherlock potrebbe solo addormentarsi di nuovo, o svegliarsi ai movimenti di John. Uno Sherlock post-caso che non ha avuto un appropriato riposo è sinonimo di demonio o Mostro di Frankenstein.

Un visibile brivido di Sherlock prende la decisione per lui. Fa davvero freddo in modo assurdo qui dentro; Sherlock non dovrebbe stare senza coperta.

La stanza è ricoperta da tappeti, smorzano i suoni del pavimento scricchiolante. Comunque, cammina, facendo attenzione, verso il letto di Sherlock. Si ferma appena prima che le sue ginocchia entrino in contatto con il letto e permette a sé stesso di fissare per un momento lo sguardo in basso, verso la sua Anima Gemella. Sherlock appare estremamente giovane quand’è addormentato. Tutte le rughe sul suo viso, per l’accigliarsi mentre pensa e per il cipiglio che assume con le persone che non gli piacciono, sono appianate. John l’ha visto addormentato, prima d’ora, ovviamente, ma mai nella sua stanza, di notte. È bellissimo in un modo astratto e non ortodosso. John ha la sensazione del guardare ma non toccare, la nostalgia delle gite al museo di quando era alle elementari. Si stupisce della probabilità che una simile creatura ultraterrena possa essere la sua Anima Gemella.

Trattenendo il respiro, John raggiunge le lenzuola dove sono cadute e le tira su, fuori da sotto il letto. Intende solo raccoglierle, metterle sulle spalle di Sherlock e creare il minimo disturbo, quindi sgattaiolare fuori dall’altra porta -la quale è anch’essa chiusa, non può far a meno di notare- ed entrare in salotto. Preparare un po’ di tè, forse, accendere la televisione, e cercare in internet qualche offerta di lavoro.

Quel piano fallisce quando Sherlock allunga una mano ed afferra il suo polso mentre sta cercando di sistemare la coperta sopra di lui.

John tarsale. Non se lo aspettava. In qualche modo riesce a trattenere il suono meno-che-virile che cerca di sfuggirgli. Dice invece “Cristo santo!”

Sotto il suo ciuffo, gli occhi di Sherlock sono assottigliati a fessura, sospettosi. Fa sentire John imbarazzato, anche se sa di non aver fatto nulla di inappropriato.

“Cosa stavi facendo?”

“Ti stavo coprendo”, dice John velocemente, lasciando cadere la coperta dall’altra mano e cercando, al contempo, di strattonare via il suo polso dalla presa di Sherlock. Il detective lo lascia e si mette a sedere, tirando le gambe al petto e appoggiandosi contro la testata del letto. Il movimento è particolarmente sulla difensiva, e John spera che le sue azioni non siano state interpretate nel modo sbagliato.

La testa di Sherlock si inclina da un lato. “Perché?”

“Sembravi aver freddo. Perché ci sono cinque gradi in meno qui dentro che nel resto della casa, comunque?” Si volta in direzione della libreria, cercando di capire se possa muoverla. Può sentire lo sguardo truce di Sherlock su di sé. È abbastanza sicuro sia perché non vuole che John ficcanasi in giro per la sua stanza.

“Mi piace in questo modo. Perché eri qui, in primo luogo?”

“Stavo usando il gabinetto e ho deciso di controllarti.” La libreria, dopo un’ispezione ravvicinata, è troppo pesante perché possa spostarla da solo, e Sherlock di sicuro non l’avrebbe aiutato. Torna a guardare Sherlock e chiede: “Vuoi che ti compri un calorifero elettrico? Fa dannatamente freddo qui dentro e non stai ottenendo abbastanza calore dalla ventola.” Pensa che potrebbe ancora avere il suo vecchio calorifero elettrico da qualche parte, nel deposito dove ha messo ogni cosa quando è partito per il suo primo viaggio in Afghanistan. Poi però, quello richiederebbe trovare la chiave del lucchetto, e nel corso degli anni John l’ha effettivamente persa. Non c’è davvero niente di molta importanza per lui in quel deposito serrato. Solo pochi mobili. La scrivania che aveva usato all’università, così come la struttura del letto.

“Non sarà necessario. Chi ha detto che potevi entrare nella mia camera? ”

Ovviamente, Sherlock è fissato e determinato a non lasciar perdere. La pazienza di John sta scivolando via, anche se Sherlock ha tutto il diritto di essere in qualche modo infastidito per l’invasione dei suoi spazi, da parte di John, nel mezzo della notte. Le sue sopracciglia si contraggono. “Nessuno. Ma ero preoccupato, così ho guardato dentro. Volevo assicurarmi che stessi bene.”

“Perché?”

John sospira, strofinandosi le tempie. È estenuante cercare di ragionare con Sherlock, e tutto ad un tratto si sente come se potesse tornare a letto e dormire per dodici ore. “Perché... la tua porta era chiusa, ed ero preoccupato. Mi dispiace. Non sapevo ti avrebbe dato fastidio; non lo farò di nuovo”.

“Perché dovrebbe preoccuparti se chiudo la mia porta?”

“Sherlock, lascia perdere, okay?” Trascina le dita sul suo viso, distendendole per un momento e chiude gli occhi strizzandoli come se pungessero per essere stati esposti a troppa aria. Quando li apre di nuovo, Sherlock è una confusione blu-e-grigia sul letto. Si gira per iniziare a dirigersi verso il salotto. Non vuole più discutere. Dietro di sé, sente il letto scricchiolare. Pensa che Sherlock sia caduto di peso su un lato, seppellendo sé stesso nelle coperte per mettere il broncio.

Poi, “Perché dovresti sentire il bisogno di controllare qualcuno che è solo un collega per te?”

“Sherlock, ti ho detto-” gira su sé stesso, le braccia stese lungo i fianchi. Sherlock si è mosso verso il bordo del letto, i suoi piedi sul pavimento freddo. John può vedere i suoi brividi delicati da qui. Gli ci vuole un momento per processare ciò che ha detto. Assorbe lo sguardo di accusa di Sherlock e ha l’impressione di aver fatto un grosso errore. Mormora, “Cosa? ”

“È quello che hai detto a Sebastian.”

Sebastian? Sebastian Wilkes? Quando Sebastian Wilkes era entrato nella conversazione? A John la compagnia dell’uomo non era piaciuta per niente. Poco prima, quella sera, era soddisfatto nella consapevolezza che quell’uomo non avrebbe più varcato la sua soglia o attraversato ancora i suoi pensieri. Neanche dodici ore dopo, è in qualche modo il motivo per cui la sua Anima Gemella sta tremando alle sei del mattino.

“Sebastian cosa?”

“Quando ha chiesto in che relazione sei con me. Ho detto amico, tu hai detto collega in maniera ovviamente correttiva. A quanto pare non volevi che Sebastian mi scambiasse per nulla più che un partner di lavoro per te. Sebastian non è qualcuno di importante per te e non è neppure qualcuno con cui entrerai nuovamente in contatto -specialmente non se io posso impedirlo- e comunque hai sentito il bisogno di lasciargli impresso che non sono altro che una tua conoscenza professionale. Non avevi motivo di mentire a Sebastian, perciò devi pensare a me solo come ad un collega. Quindi ripeto la mia domanda: perché dovresti essere preoccupato per qualcuno che è solamente un collega? ”

È fin troppo presto per tutte queste parole, e a John serve qualche momento per processarle tutte quante. Geme quando lo fa. “Sherlock. Stai scherzando, vero? Mi devi star prendendo in giro, perché non puoi sul serio pensare che niente di ciò che ho detto a quell’essere spregevole dal sorriso compiaciuto importi un cazzo, giusto?” Per di più, non pensa davvero che John creda quello, o sì?

Il viso di Sherlock assume uno sguardo confuso e già di nuovo ribelle. Per un momento, la sua somiglianza fraterna con Mycroft aumenta. “Certo. Non c’è motivo di mentire agli sconosciuti.”

Per qualche ragione, John non può far a meno di ridacchiare. In qualche modo è una reazione da sto-ridendo-per-non-piangere. È in certo modo sollevato che il motivo dell’auto-isolamento di Sherlock sia saltato fuori essere qualcosa di così semplice e sciocco. Sembrerebbe che perfino i geni possano giungere ad alcune conclusioni molto stupide. Allo stesso tempo, lo infastidisce che Sherlock possa anche solo considerare che John si senta in quel modo. Nessuno dovrebbe mai pensare che la propria Anima Gemella non tiene a te. Lo fa sentire grande quanto una formica(1).

Si siede sul letto, di fianco a Sherlock. Può sentire la sua Anima Gemella chinarsi, ma non si muove veramente. John lo prende come un buon segno, per quanto piccolo possa essere.

“Sherlock... a volte dimentichi che non tutti si comportano secondo modelli predeterminati. Non siamo colture di batteri, non siamo schemi ammaccati. Non puoi predire come si comporterà una persona, perché ognuno è diverso. Alcuni sconosciuti, sì; non vedo il motivo per mentire ad essi. Ma quel tizio, Sherlock... semplicemente mi ha preso per il verso sbagliato. Non potevo sopportare di guardarlo in faccia, figuriamoci ascoltare ogni sorta di commento ignorante che avrebbe fatto se avesse saputo che ero la tua Anima Gemella.”

“Immagino.” Sherlock si muove ora, di nuovo contro la testata del letto. Incrocia le sue braccia e mormora, “Non vorrai che qualcuno sappia che il mostro è la tua Anima Gemella, men che meno Sebastian.”

“Sherlock, no.” Geme, sfregando di nuovo il proprio viso. “Non è quello che intendevo. Esattamente l’opposto. Voglio dire...” Per lui è difficile dirlo ad alta voce, perché sta cercando di persuadere Sherlock delle stesse insicurezze. “Lui è... voi eravate insieme all’università. È molto più vicino al tuo calibro di quel che sono io. Io solo... non volevo dare a quel coglione nessun’altra ragione per criticarmi, di quante già non ne avesse.”

Con cautela raggiunge e afferra la caviglia di Sherlock. È incredibilmente sollevato quando non tira via il suo piede.

Sherlock lo fissa, come fosse un enigma. Azzarda “Non volevi che lui giudicasse te? ” e lo dice come se il pensiero non sia mai passato per la sua mente. Conoscendo Sherlock, è molto probabile non l’abbia fatto.

“Mi hai dato un’occhiata, ultimamente? Quel tizio potrebbe doppiarmi infinite volte nell’ambito delle classi sociali(2).” Non è per essere auto-denigratori. Sa bene che la sua scelta di vestiti è al meglio sciatta, e non è per niente vicino allo schianto che è Sherlock. Non è fonte di insicurezza per lui. Piuttosto, pensa lo faccia sembrare avvicinabile, il che ha funzionato a suo favore più di una volta. No, John Watson non è un uomo insicuro. Ma non devi essere insicuro per essere terrorizzato all’idea che un qualche opprimente idiota, con uno straripante complesso di superiorità, tiri fuori tutti i tuoi difetti di fronte alla tua appena-trovata Anima Gemella.

“Penso scoprirai che ti dedico un po’ toppa attenzione,” mormora Sherlock, e John può solo vedere appena i suoi occhi -sono spuma marina ora, del verde più chiaro- da sotto le sue folte ciglia. John vuole abbracciarlo.

“Questo va bene. Ci sono giorni in cui non posso smettere di fissarti.” Sembra uscirgli senza il suo permesso. Gli occhi di Sherlock si allargano.

Per camuffare l’imbarazzante scivolone, sale poco a poco sul letto, finché non è inginocchiato sulle caviglie di Sherlock. Il detective stende le sue gambe, così John è più in prossimità delle sue ginocchia. Sherlock odora di cotone pulito. “Dipende tutto dall’orgoglio, Sherlock. C’è un motivo, se è uno dei peccati capitali. Non potevo sopportare l’idea che cercasse di confrontarci, chiedendosi come fossi finito ad avere l’Anima Legata a te.” C’è un intero gruppo di persone che crede che le Anime Gemelle dovrebbero appartenere alla stessa classe, religione, o, in casi più estremi, razza. Credono che i ricchi dovrebbero stare con i ricchi, i cristiani con i cristiani, i bianchi con i bianchi. Gli estranei ai loro stessi gruppi sociali non sono ben rispettati.

Sebastian Wilkes era sembrato uno di essi.

“Sì... Sebastian aderisce a quel... dogma...(3)” Sherlock si acciglia e circonda con le sue mani entrambe le ginocchia di John. Questi si muove finché non è sul grembo di Sherlock. “John, a me non... importa delle classi, lo sai vero?”

“Certo.” Sherlock viene da una famiglia dell’alta società, questo è sicuro, ma qualcosa dev’essere successo da allora. È ovviamente stato tagliato fuori. John non è sicuro come sia successo, tuttavia può azzardare che abbia qualcosa a che fare con le periodiche retate anti-droga di Lestrade. Il punto è che Sherlock non è più esattamente nella stessa classe in cui è nato. In quel momento, è più vicino a John che a Sebastian Wilkes.

“Quindi perché hai voluto...?”

“Te l’ho detto. Non mi andava di venir preso per i fondelli da qualche spregevole banchiere snob. Fine.”

Rimangono in silenzio per quelli che devono essere almeno dieci minuti. Sherlock guarda fisso verso di lui, dentro di lui. John cerca di rimanere immobile sotto il suo esame. Alla fine, il detective dice, “Questo è complicato. Questa è la cosa più complicata che abbia mai fatto. Non so davvero come comportarmi quando si tratta di te. Non mi sono mai sentito in questo modo per nessuno.”

“Beh, spero proprio di no,” sbuffa John. Lo intendeva scherzando. Sherlock reagisce in modo completamente opposto. Allontana lo sguardo, come se fosse stato accusato di qualcosa, John non può far a meno di chiedersi quando smetterà di far uscire gaffe dalla sua bocca. “Cosa? Cosa c’è?”

“John... probabilmente dovresti sapere...” Sherlock sembra improvvisamente molto interessato alle sue dita.

“Sebastian... all’università abbiamo avuto un po’ più di storia tra di noi che solo amici.”

“Cosa vuoi dire?” sussurra John.

“Sebastian è il suo secondo nome. Il suo primo nome... il suo nome di battesimo è John.” John ricorda vagamente la targhetta placcata in oro di Sebastian, su cui ha letto J. Sebastian Wilkes, non ci aveva davvero pensato. Ora il suo stomaco precipita da qualche parte nella zona delle ginocchia. “Io... per un po’, al mio terzo anno all’università, siamo usciti. Pensavo fosse la mia Anima Gemella. Sono stato ingenuo, non conoscevo la procedura appropriata, e non ho mai visto la sua SBI finché...”

“Oh.” John non è nemmeno più sicuro di aver ancora uno stomaco, è caduto troppo lontano. Chiede, “Avete…?”, tuttavia non è certo di voler sapere la risposta.

“No. Quasi, ma no. Alla fine l’ho obbligato a mostrarmi la sua SBI prima che facessimo sesso e, ovviamente, non è mai successo. La sua SBI era Lisa.”

Una parte di John, una parte vergognosamente larga, è assurdamente felice che Sherlock abbia avuto il suo cuore spezzato dal quel repellente Sebastian Wilkes. Una parte più piccola rimpiange che Sherlock abbia avuto quell’esperienza del tutto. L’idea dell’uomo incontrato in precedenza, che anche solo tocca la sua Anima Gemella crea in John il forte desiderio di essere violentemente malvagio. “Sherlock…”

“È ok. L’ho superato. Non avevo neanche più pensato a lui per anni finché non mi ha scritto un’e-mail.” Sherlock respira profondamente ed esala. John sa che quella non è la verità. Cose come quella feriscono un uomo. “Io sono solo… dispiaciuto.”

“No. No, non essere dispiaciuto. Non avresti potuto saperlo. Lui te l’ha lasciato credere, è-non eri-non è colpa tua.” Lo dice con fermezza, per scacciare via ogni dubbio dalla mente di Sherlock.

Gli fa male vedere Sherlock così; confuso ed incerto su come procedere. È così sicuro di sé negli altri fattori della vita. Arrogante, perfino. Mentre la parte della vita che da’ fiducia alla maggior parte delle persone, la loro relazione con la propria Anima Gemella, lo confonde e disorienta.

John non è sicuro di come si senta al riguardo. Non è sicuro di come si senta ad essere egli stesso il motivo di insicurezza nella vita di Sherlock.

“Sherlock. Non sai quanto rimpiango di non aver cercato di trovarti dieci anni fa. Il tuo nome è così unico, sarebbe stato facile trovarti. Ma continuavo a rimandare, dicendo a me stesso che non volevo rimanere incastrato così presto, e…” sospira, e solleva lo sguardo per incontrare quello sul viso di Sherlock. Non ha idea del perché abbia pensato che prolungare la sua Ricerca fosse in qualche modo intelligente. Avrebbero potuto avere così tanto tempo, se solo avesse messo il suo culo in marcia. Dipendeva, davvero, tutto da lui. Avrebbe rasentato l’impossibile, per Sherlock, trovarlo, in un mare di uomini con il suo stesso nome, anche con l’uso dei molti aiuti multimediali disponibili per facilitare la Ricerca.

“Quando ero più o meno ventenne, ho passato un piccolo periodo cercando di trovarti. Ma non sono riuscito a trovare traccia del tuo nome.”

“Non avresti potuto. Avevo solo quindici anni. Non ero ancora registrato.”

“In un certo senso me ne ero reso conto. Per questo ho smesso di provare. Non avevo modo di sapere quanto giovane fossi e, onestamente, non volevo venir coinvolto con qualcuno così giovane, anche se era la mia Anima Gemella.” Cerca di dirlo per scusarsi, ma non c’è davvero un modo gentile per dire Non volevo venir incastrato da un bambino. “Negli anni ho cominciato a pensare… Beh, quando accadrà, accadrà.”

“Sono contento che sia accaduto quando l’ha fatto.”

John annuisce e tutto diventa silenzioso. Il suo cervello non sta facendo un gran bel lavoro processando tutte le informazioni che ha raccolto nell’ultima mezz’ora, sia sull’argomento di Sebastian Wilkes che sugli stessi processi di pensiero di Sherlock. Di certo, dovrà cominciare a rendere il suo affetto più visibile. Sta dando a Sherlock tutti i segnali sbagliati. Ha bisogno di correggere i suoi errori. Ha bisogno di cambiare direzione. Decide di iniziare da ora; toglie il suo anello e mostra a Sherlock la sua SBI. Il detective si piega in avanti distrattamente-assente e preme le sue labbra sulla carne in rilievo.

“Sherlock. Lo sai che io…” è sulla punta della lingua per dire ti amo, ma quello è troppo, quello è troppo presto. È qualcosa che non è ancora a suo agio a dire, perché non è completamente sicuro che quello che prova per la sua Anima Gemella si sia già evoluto in esso. “…tengo a te. Profondamente. Giusto? ”

“Mmm.”

“Non mi vergognerò mai di te.” Potrebbe farlo imbarazzare, certo; soprattutto quando è scortese e distaccato. Ma non si è mai vergognato di aver Sherlock al proprio fianco. Mai vergognato di avere il nome di Sherlock sul suo dito. Non pensa di esserne capace. “Non importa ciò che dico, non è perché mi vergogno di te. Capito?” Al cenno del capo leggermente riluttante di Sherlock, sorride e preme le sue labbra contro la mandibola dell’altro.

Sherlock sbadiglia.

“Sei stanco. Vai a dormire.” Non aveva avuto intenzione, prima quand’era entrato, di passare quaranta minuti discutendo la loro relazione. È esausto, giustamente, e si chiede se abbia la forza di tornare su, nella sua camera. È difficile credere che un’ora fa aveva deciso di alzarsi per la giornata.

Sherlock risolve questo problema per lui. “Rimani. Per favore.”

Siccome John vuole ancora abbracciarlo, cede senza proteste o commenti, e rotola al suo fianco per prendere Sherlock tra le proprie braccia. La testa trova la sua strada sotto il mento del detective, il suo braccio intorno alla vita dell’altro. Può sentire il suo respiro caldo tra i propri capelli. Può sentire il suo aroma di cotone pulito. C’è un piacevole fremito nella sua pancia. Pensa che Sherlock potrebbe essere semi eretto per via di John che è stato sul suo grembo per così tanto tempo. Decide di ignorarlo, per ovvie ragioni. Nessuno di loro è pronto per questo, e farvi cenno sarebbe solo imbarazzante.

“Stavi sognando, poco fa,” mormora Sherlock prima che si addormentino. “Che cosa? Stavi urlando. Mi ha svegliato.”

Così è per questo che Sherlock era sveglio abbastanza da afferrare il suo polso così saldamente. Ha pensato che fosse un po’ troppo forte per la presa di una persona mezza-addormentata, anche se questa persona capiti essere Sherlock Holmes. John fa schioccare la lingua. “L’ho fatto? Scusa, amore.”

“È okay. Cosa stavi sognando?”

“Non ne sono sicuro. Niente in particolare, immagino. È stato solo un incubo. Ne faccio molti, questo lo sai. Perché?”

“Stavi urlando il mio nome.”

John resta risolutamente fermo e cerca di non sentirsi imbarazzato. Non ci riesce davvero. In teoria, sa che non ha un reale controllo su ciò che sogna, ma non rende meno mortificante essere beccato mentre fai sogni sulla tua appena-trovata Anima Gemella. Le cose sono già abbastanza strane, per il primo mese, così come sono.

“Io... uh...”

“Va bene se non ti ricordi.”

“Già, davvero non ricordo.” Sospira e si chiede perché sembri una bugia. Per la sua stessa vita, non riesce a ricordare cosa stava sognando. È strano, perché di solito gli incubi gli si attaccano. Almeno abbastanza da poterli trascrivere, il che è ciò che Ella gli aveva detto di fare per un po’, finché non si è resa conto che i suoi incubi erano tutti uguali, ed era probabilmente controproducente fargli trascrivere gli stessi quattro paragrafi tutte le notti. Sto camminando su una strada quando all’improvviso sento degli spari. Sento le voci dei miei uomini, che urlano di star giù, e sento anche delle voci in Farsi. Non riesco a capirle.
Estraggo la mia arma...

“Watson! Presto, il suo revolver!”

Quello è strano.

Quello è molto strano.

Non lo hanno mai chiamato ‘Watson’ nell’esercito. Era ‘Doc’ o ‘Capitano’ per lo più.

Non portava un revolver. Era un fucile. Un fucile legato alla sua schiena che portava con sé ovunque andasse, perché in Afghanistan non si può mai essere troppo al sicuro o al sicuro del tutto, in realtà...

Le strade sulle quali si trova non sono quelle dell’Afghanistan, sabbiose e delineate da residenze che sono più baracche che case. Si trovano per le strade di Londra in un tempo diverso, nebbioso e fosco e pieno di mistero e pericolo. Una figura elegante corre davanti a lui, a fuoco e sfocata. Può sentire il sapore di sabbia ed adrenalina, l’odore di sudore e fango ed il Tamigi. Le immagini si confondono insieme, Afghanistan e Londra. Il viso del ragazzo sanguinante che stava cercando di salvare quando gli hanno sparato, le scioccanti iridi verdi di uno sconosciuto che non sembra uno sconosciuto. Anch’egli sta sanguinando.

“Watson,” dice. La voce così familiare. “Temo che questa possa essere la nostra ultima avventura, mio caro.”

Sovrapposto, il giovane soldato. Soffocando: “Dì a mia mamma che ci ho provato.”

John Watson si sveglia di colpo, non essendosi nemmeno reso conto che stava dormendo. C’è luce fuori, è almeno mezzogiorno. Sherlock sta lottando con le lenzuola, ovviamente svegliato dai movimenti frenetici di John. Il dottore si siede, avendo bisogno di sentire l’aria fresca sul suo viso, avendo bisogno di respirare. Sherlock sta chiedendo cosa cosa e John solleva una mano per quietarlo. Una mano atterra sulla sua schiena, sfregando un po’ troppo vigorosamente per essere confortante. Ciò nonostante, John apprezza l’intenzione.

“Stai bene?” chiede Sherlock.

“Sì, starò bene. Io solo...” raggiunge e prende fra le mani il viso di Sherlock. Ha bisogno di confermare a sé stesso che Sherlock è li. È arruffato dal sonno, i suoi occhi sono confusi, ma è li, è Sherlock Holmes. È il duemila-dieci, non il millenovecento-dieci.

Lo bacia. In parte per il sollievo. In parte per riaffermare l’esistenza di Sherlock, la sua sicurezza, perché a volte quei sogni possono sembrare troppo reali. Non era neppure Sherlock di cui stava sognando di...

“John,” borbotta Sherlock contro le sue labbra, “John, fermo.”

John si tira indietro con uno scatto, cominciando a tornare in sé. Le labbra di Sherlock sono gonfie. Quando forte era stato quel bacio? Non ne sembra infastidito, è più perplesso che altro. La sua lingua sfreccia fuori, per leccare le proprie labbra livide, e chiede, “Cosa stavi sognando?”

Apre la propria bocca per rispondere, ma non ottiene nessun risultato. Cerca di trovare le parole che stava per dire, ma l’hanno abbandonato. Non riesce a ricordarle per niente, ora. Nel momento in cui ha cercato di verbalizzare il resoconto, lo ha lasciato.

Mormora, “Non lo so.”


Eccoci qui, secondo capitolo, e sono riuscita a rimanere nelle due settimane e a non sforare verso le tre… Spero di fare altrettanto anche per i successivi, il terzo è già a buon punto, mi mancano le ultime pagine e la revisione finale, quindi –stranamente, salvo incidenti vari- dovrei essere puntuale anche per il prossimo… incrociamo le dita! :)

Anche questa volta spero di non aver fatto un gran macello come mio solito e che la traduzione sia comprensibile e non stravolta.
Ho tradotto e inviato tutte le vostre recensioni all’autrice (a proposito, grazie a tutti), ma per ora non mi ha risposto, probabilmente è impegnata, non appena lo farà vi aggiornerò, non temete!

Ora smetto di vaneggiare, vi lascio delle Note alla traduzione se vi interessano:

(1) […] about an inch big: letteralmente è ‘grande quanto un pollice’ (che è circa 2,54 cm) non essendo un nostro modo di dire, né una nostra unità di misura, ho optato per “italianizzarlo”. (A voler essere pignoli, la formica media è un po’ meno lunga di un pollice, ma c’è una specie che può raggiungere i 2,9 cm, quindi più o meno ci siamo. :p )

(2) That guy could do circles around me in the class department: non sono molto sicura di aver reso la traduzione in modo corretto. Ovviamente letteralmente non suona granchè bene in italiano, quindi ho cercato di adeguarla a come l’ho interpretata io; se qualcuno la ritiene errata e ha un’opzione migliore, me lo faccia sapere per favore, grassssie (ogni correzione o altro è sempre ben accetta!) ^-^

(3) […] subscribe to that… stigma…: allora, qui ho reso stigma con ‘dogma’, perché lasciare stigma (che in italiano ha lo stesso significato) o mettere ‘marchio/macchia’ che è sinonimo di stigma in entrambe le lingue, non mi quadrava. To subscribe in senso figurato vuol dire ‘aderire’ appunto, ad una teoria, quindi credo abbia più senso dogma che stigma; ovviamente dogma è da intendere sentito come tale solo dalle persone aderenti a questa cerchia di “fondamentalisti” (se così possiamo chiamarli) e non da tutti quanti, quindi non c’è nessun riferimento a dogmi politici o religiosi a noi noti, è un dogma a sé, che rispettano e in cui credono solo questi gruppi che sono selettivi nei confronti dell’appartenenza sociale delle Anime Gemelle. Bene, voi cosa ne pensate? Ho fatto male e mi sfugge qualcosa per cui ho dato un’interpretazione sbagliata? Ditemi, ditemi! :)


Bene, questo è tutto, se volete commentare/suggerire/criticare/dire-quello-che-vi-pare, you’re wellcome!

Alla prossima, baciotti :3

Myreen

  
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