Due ore
dopo troppi bicchieri di whiskey
erano
stati svuotati.
Una nuova
sigaretta appariva non appena quella vecchia era stata consumata,
avvolgendoci permanentemente
nella
nostra piccola nuvoletta.
Erano state
pronunciate parole. Così tante parole. Parole intime e
private. Parole che io
non avrei dovuto sentire.
Ma questo è
l’effetto dell’alcol su Pansy,
è come se
da ogni sorso venisse fuori un po’ di verità.
Innumerevoli “Dio quanto mi sei
mancata” e “Avevo dimenticato quanto fossi
bella” hanno lasciato le sue labbra,
e con ognuno di essi mi sento sempre più presa dalla
situazione. Presa da lei.
Così presa da sperare che il whiskey abbia lo stesso effetto
su di me, da farmi
venir voglia di essere onesta, da rendermi più semplice
l’inevitabile. Ma non
sono così fortunata. Neanche un po’.
L’aspro sapore della bevanda riesce solo a
spingere la verità sotto il mio letto.
E anche nel
mio stato di ebbrezza, anche attraverso la densa nuvola di fumo, riesco
chiaramente a vederlo.
Riesco
comunque a vedere l’imminente castigo, risultato di questa
serata. Risultato
della mia incapacità di essere onesta con la persona che
più lo merita.
“Beh, credo
che ci siamo.”
Sbatto le
palpebre uscendo dalla mia piccola trance e la guardo senza capire.
“Ora di
chiudere. Anzi, mi stupisce che non sia ancora venuto nessuno a
mandarci via.”
“Oh…
giusto.” Le mie difese immediatamente si alzano, coprendo con
sicurezza
qualsiasi vulnerabilità stessi esponendo. Delusa che la
serata sia già finita,
la mia insicurezza non può fare a meno di risalire,
portandomi a pensare che,
in fondo, sia lei a volere che la serata finisca.
Senza
pensarci due volte, afferro al volo la mia felpa, pronta ad una
rapida fuga. Cercando di infilare le mani nella manica giusta, e
fallendo
miserabilmente, mi rendo conto che la cosa non è
così semplice quando non si è
sobri.
La sento ridacchiare al mio tentativo di infilare la mano destra nella
manica rigirata.
Sospirando, mi alzo di scatto.
Questo
migliorerà sicuramente le
cose…
Non
appena in piedi il mio già scarso equilibrio viene meno.
…sbagliato
Il
rapido movimento compiuto dal mio corpo si scontra con lo stato
annebbiato della mia mente, e
barcollando all’indietro allargo le braccia pronta ad
aggrapparmi a qualsiasi
cosa.
Improvvisamente due mani mi afferrano i fianchi, tenendomi ferma.
Un sommesso “Ehi, piano” riempie lo spazio tra me e
Pansy. E in qualche
modo lo spazio sembra diminuire.
L’aria viene a mancare. Mi sorride, ed io non posso che
sorridere a mia volta,
guardando il suo viso qualche centimetro sopra il mio. Prima che me ne
renda
conto le mie mani trovano la loro strada verso la sua vita. Tenendola
lì, così
vicina a me. Mi rendo conto di aver bisogno del suo sostegno.
Non
è che volessi solo sentire
cosa si provava a farlo… no assolutamente.
Ridacchia
leggermente, spostandosi alle mie spalle. “Ecco.”
Mi dice
dolcemente, aiutandomi a trovare le odiose maniche con le quali stavo
combattendo un attimo prima.
Trovo il piccolo gesto incredibilmente gentile. Probabilmente più
di quanto dovrei, ma sono troppo ubriaca per realizzarlo. Troppo
colpita per curarmene.
Fa
un passo indietro e sembra che esiti.
“Emh... dovrei prendere delle cose dal set.” Con il
pollice mi indica la porta
del camerino, come se ci fosse un’altra uscita da quella
stanza.
Ora,
naturalmente qualsiasi persona sobria si sarebbe limitata a
rimanere lì ed avrebbe aspettato, sapendo che sarebbe
tornata subito. Ma io non
sono una qualunque persona sobria. Sono decisamente ubriaca e di
conseguenza
anche insicura.
“Oh,
okay. Mi sono divertita molto” Le parole escono come un fiume
dalla
mia bocca, mentre i miei piedi si muovono automaticamente verso
l’uscita. Sarei
già fuori dalla porta se la sua mano non mi avesse afferrato
e tirato indietro.
“No,
non devi andartene!” Le sue insicurezze sbucano
improvvisamente,
facendosi strada tra le sue parole,
“…cioè, puoi andare se vuoi, ma io
torno
subito. Pensavo che potevamo stare ancora un po’
insieme.” Un timido sorriso le
attraversa la faccia. “…potremmo parlare ancora un
po’?”
“Ah.”
Un sorriso sollevato si apre sul mio viso e sono abbastanza sicura
che lei l’abbia notato. “Certo, mi
piacerebbe!” Finisco piano, avvicinandomi di
nuovo alla porta. “Ti aspetto fuori.”
Mi
guarda un po’ preoccupata ed io mi affretto ad aggiungere
“Ho solo
bisogno di un po’ d’aria fresca.”
Sembra
capire ed annuisce lievemente, mentre ci facciamo strada fuori
dal camerino per trovarci nel corridoio.
Mi guarda indecisa, con le
sopracciglia aggrottate, un piede nella mia direzione e
l’altro nella direzione
opposta. Sembra stia contemplando se dirmi o meno qualcosa.
“Solo
non…” gli angoli delle bocca si piegano
leggermente verso l’alto
“…non fuggire da me.” E prima che io
possa ribattere si già voltata,
andandosene,lasciando una traccia ardente dietro di lei. Facendo
bruciare le
mie guance di un rosso cremisi mentre la guardo camminare lentamente
verso il
set. Non so se è per l’alcol, o tacchi, o se lei
lo faccia solo perché sa che
sto guardando. Ma proprio in questo momento mi sento eccitata. Fottutamente
eccitata.
Ho proprio bisogno di
aria fresca…
Incredibilmente,
nonostante l’alcol e la grandezza dell’edificio,
riesco a trovare l’uscita.
È proprio
come l’immersione nel mare gelato durante una calda giornata
estiva. In un
primo momento sei un po’ scombussolato, i tuoi sensi nuotano,
cercando di
trovare un terreno solido. Ma poi, all’improvviso, trovi la
stabilità, ti
adatti all’atmosfera, ed è perfetto. Proprio
quello di cui hai bisogno.
Mi trovo
praticamente a strisciare contro la parete, fino ad allontanarmi di
qualche
passo dall’ingresso.
Rilasciando
l’aria, sento uno strano miscuglio di felicità e
ansia mentre ripenso a quello
che è successo questa sera, a quello che è stato
detto. Anche ora, solo poche
ore dopo, ci sono delle parti mancanti.
Non riesco
a ricordare tutto. Non
riesco a distinguere tra
ciò che è realmente accaduto e ciò che
la mia mente vorrebbe che fosse vero. E
questo non è mai buon segno.
Mi
ha parlato del suo lavoro. Di come si è affezionata a Luna.
Penso di
aver sentito “Adoro quella pazza!”
all’incirca una trentina di volte durante il
discorso.
Si è sbottonata un po’ riguardo la sua vita
sentimentale.
Si è praticamente messa a nudo in quel camerino, dicendo
onestamente,
forse anche troppo onestamente, di non essere più uscita con
nessuno. Non
faceva per lei. Che non sapeva spiegare il motivo.
Rimasi in silenzio finché il whiskey
non mi diede una piccola spinta e ammisi
che effettivamente neanche io ero più uscita con qualcuno.
Sembrava
completamente sollevata, a tal punto da sospirare.
Ma alla
fine, gli eventi della serata sono tutti mescolati nella mia memoria.
Sono
tracciati nella sabbia, in attesa di una nuova onda che li cancelli.
È sorprendente
quanto una persona può farla franca in
una conversazione in cui è l'altro a fare la maggior parte
della conversazione.
Il suo camerino, con i nostri bicchieri apparentemente senza fondo, era
il perfetto nascondiglio per un partecipante silenzioso come me. Era il
posto
perfetto per essere coinvolti ed ignorati alla stesso tempo.
Prendo una nuova lunga boccata d’aria, gonfiando
i polmoni più che posso cercando di ricordare qualcosa.
Trattengo l’aria il più
possibile, mentre cerca di tornarmi alla mente qualcosa che ha detto
Pansy.
“Allora,
cosa ti è successo Herm?” Le parole risuonano nel
mio orecchio,
l’aria esce dai polmoni troppo velocemente, quasi
dolorosamente.
L’ha
chiesto veramente?
Guardo
velocemente verso l’entrata, mentre il ricordo sfocato di una
lacrima che scivola lungo la guancia mi riempie la mente.
Lei
mi ha guardata con tristezza.
I suoi occhi mi hanno
attraversato, e dalla maniera in cui mi guardava non sembrava
un’impresa
impossibile.
Mi guardava come se fossi un guscio vuoto.
Come se i vestiti che avevo indosso fossero solo la patetica armatura
di
una cassa vuota.
Non ero nulla, e lei lo sapeva.
Aveva sospirato quando un’altra lacrima era caduta a terra,
portando il
mio cuore con lei.
Mi ero limitata a guardarla con occhi tristi, rispondendo
così alla sua
domanda. Facendole capire che qualcosa in me non andava. Che ero persa,
triste
e rotta. Non ero più la ragazza che conosceva.
Allora mi aveva preso la mano nella sua, avvolgendola nel suo calore,
mentre il pollice dolcemente scivolava sulla mia pelle.
Ma
forse la mia memoria mi sta semplicemente giocando uno scherzo
crudele.
Oppure…
Oppure potrebbe essere accaduto.
Abbasso
lo sguardo sui miei piedi, rilasciando una risata un po’
amara
per l’ironia delle cose. Sto costruendo dei nuovi ricordi con
questa persona,
questa persona che ho cancellato dalla mia mente, eppure sono ancora
discutibili. Alla fine, continuo a fare cose che mi fanno dimenticare.
Tutti
questi nuovi ricordi potrebbero aggiungersi a quelli che ho
già perso, e ancora
una volta, sarebbe colpa mia.
“Cosa
c’è da ridere?”
I miei
occhi trovano subito la fonte della voce, appoggiata con la spalla al
destra
muro, un sorriso curioso sulle labbra mentre mi osserva.
Distolgo
lo sguardo per puntarlo sulla strada, precisamente su di una
lattina vuota che rotola, sospinta dal vento.
“Niente”
Si
stacca improvvisamente dal muro al muro per posizionarsi di fronte a
me, “Coraggio.” Mi dice porgendomi una mano
“casa mia è un quarto d’ora di
strada qui, meglio che ci sbrighiamo.”
I
miei occhi, pieni di confusione si spostano dalla sua mano al suo
viso, “ Non usiamo la magia?”
Non
appena vedo la sua espressione sorpresa capisco di aver detto
qualcosa che non dovevo. E ora? Mi avrebbe fatto una serie di domande?
Le avevo
confermato i suoi dubbi? Avrebbe urlato? Si sarebbe arrabbiata? Peggio
ancora,
l’avrei più rivista? Le domande sfrecciavano nella
mia mente una dietro
l’altra, quasi contemporaneamente.
Fortunatamente
è la sua voce ad interrompere il mio panico mentale, con
una semplice domanda, dal tono calmo, leggermente sorpreso, sicuramente
non
arrabbiato o sospettoso.
“Sei
sicura?”
Ormai
quel che è fatto è fatto.
“Emh…
certo, non vedo il problema” a
parte il fatto che probabilmente vomiterò sulle tue costose
scarpe non appena
arriviamo.
“
Se sei sicura…” inizia, guardandomi a
metà tra il sorpreso ed il
divertito, ed inizio a pensare che forse avrei fatto meglio a tenere
chiusa la
mia boccaccia.
Bacchetta
in mano mi afferra un braccio. Mentre sulla sua faccia si
estende un sorriso che credo debba risultare rassicurante, il mio
stomaco si
contorce in una maniera decisamente poco piacevole, non so ancora se
per via
della sua vicinanza o di quello che sta per accadere.
È un attimo, ed è come se fossi spinta dentro un
tubo troppo stretto per
la mia taglia.
Mi sento soffocare, come se qualcosa mi avvolgesse comprimendomi in
maniera quasi dolorosa.
"Non
usiamo la magia?"
Al diavolo me e la mia stramaledetta boccaccia privi di filtri! Oh
Dio… sto per
morire.
Proprio
quando penso di non farcela più un fastidiosissimo
‘crack’ mi
riempie le orecchie, le bende invisibili che mi costringevano sembrano
esplodere permettendomi di prendere grandi boccate d’aria
gelata.
Le gambe tremano contro la mia volontà, e senza un secondo
pensiero,
senza pensare se sia opportuno o meno, mi aggrappo con forza alle
spalle di
Pansy, seppellendo il viso nella sua spalla.
A questo gesto la sento sospirare rumorosamente, mentre la sua mano va
a
posarsi sulla mia schiena , disegnando piccoli cerchi.
“Non
capisco perché continui a farlo se poi il risultato
è questo”
sollevo a malincuore il viso per poterla guardare in faccia. Gli angoli
della
bocca sono leggermente inclinati verso l’alto, cercando di
trattenere una
risata, mentre, dal canto mio, stringo la presa sulle spalle per
trattenere
l’impulso di picchiarla.
Lentamente
si sottrae alla mia presa, per aprire il grosso portone nero
dell’ingresso e
permettermi di seguirla per le scale. Non saprei dire a che piano siamo
arrivate, ho smesso di contare dopo il secondo, preferendo perdermi nel
potere
ipnotico dei suoi fianchi, nel loro modo di spostarsi ad ogni passo.
Ci fermiamo
di fronte ad un portone verde segnato dal numero 45 e una volta dentro
si
affretta ad accendere la luce, esclamando "Casa, dolce casa".
È un bel
posto. Dove per bello intendo veramente stupendo.
Qualche
passo all’interno dell’appartamento e mi trovo
dentro una spaziosa sala che
sembra essere uscita direttamente da una rivista d’arredo,
con tanto di schermo
piatto e stereo in un angolo. Sulle pareti ci sono foto artistiche (
senza
dubbio scattate da Luna), quadri ed alcuni ritagli di giornale
incorniciati sui
quali leggo immediatamente il nome di Pansy.
Mentre io
mi soffermo un attimo per osservare ciò che mi circonda, la
sento poggiare le
chiavi su di un bancone prima di proseguire fino allo stereo per
raccogliere un
iPod poggiato lì a fianco.
Una voce
familiare riempe la stanza, mi ci vuole un minuto, ma mi rendo conto
che si
tratta di Jeff Buckley. Kim lo ascolta quasi ogni giorno.
La mia
momentanea sorpresa non passa però inosservata a Pansy.
“Pansy
Parkinson che usa oggetti babbani? Incredibile vero?” inizia
avvicinandosi, un
sorriso divertito sulle labbra, “Devo ammetterlo,
all’inizio ero un po’
scettica ma ora non saprei fare meno di tutte queste babbanerie”.
Sorrido
debolmente più per il suo tono che per il contenuto delle
suo parole, inebriata
dalla sua voce, dal suo profumo, dal suo sguardo… da lei.
Ci
avviciniamo lentamente al divano mentre mi chiede “ Birra?
Intendo quella
babbana ovviamente”.
Annuisco
mentre lascio navigare i miei sensi all’interno della stanza,
in particolare
mi accorgo di
quanto l’appartamento abbia
il suo stesso odore. O
Forse è il
contrario. In ogni caso lo adoro, potrei ubriacarmi solo con questo.
Mi siedo
accavallando le gambe e la osservo tornare con due birre ghiacciate in
mano.
“Ecco a te”
mi dice porgendomi una delle due bottiglie, per poi sedersi al mio
fianco,
lasciando casualmente un braccio sullo schienale.
“Hai
veramente una bella casa. A giudicare da quello che ho letto sulle
riviste il
tuo lavoro da modella sta andando molto bene”.
Sgrana
leggermente gli occhi ridendo “Parli di quelle riviste
babbane? Non so ancora
cosa mi abbia spinto a farlo! Voglio dire, ero già
abbastanza famosa nel mondo
magico…” Sospira prima di lanciarmi uno sguardo
complice. “Ricordi quando non
vedevo l’ora di lasciare Hogwarts? Essere libera di fare
ciò che volevo, libera
del nome dei miei genitori e affermare il mio.” Abbassa la
bottiglia alle
ginocchia, giocherellando con l’etichetta bagnata.
“Accidenti, sembra sia
passato un secolo da allora.”
E così come
avevo fatto per il resto della serata mi limitai ad annuire e
ascoltare. Senza
dubbio è la strada più sicura. Il suo sorriso
svanisce e riporta il suo sguardo
su di me “ Hai mai desiderato tornare indietro? Intendo
tornare a quel periodo?”
Abbasso lo
sguardo sul divano, sperando non noti la mia incertezza, la mia
confusione.
“Non lo so.”
Rispondo sinceramente, stringendo la bottiglia di birra tra le mani.
“Già…”
dice
a bassa voce. “Io ci ho pensato parecchio…e lo
farei. Dicono che non devi avere
rimpianti del passato, che ti rende ciò che sei oggi. Che le
cose buone e
cattive ti hanno portato a questo punto nella vita.” Prende
un sorso dalla
bottiglia, acquistando un po’ di conforto dalla birra.
“Ma non
saprei Herm, proprio non saprei. Guardami qui seduta sul mio divano da
500 galeoni
dentro il mio centralissimo appartamento, un lavoro di successo,
sicurezza
economica…Il mondo praticamente ai miei piedi. Le persone
sentono il mio nome e
non pensano alla mia famiglia. Finalmente ho quella libertà
che tanto che ho
cercato tanto disperatamente anni fa. Ho tutto quello che ho sempre
voluto, e
sai cosa?”
Fa una
pausa e si guarda intorno. I suoi occhi si posano sui muri, sulle foto,
sulla
tv fino a tornare su di me.
“Ero più
felice allora. Ero più felice in quel mondo che non vedevo
l’ora di lasciare.
In quel mondo dove pensavo che questo…” alza la
mano indicando uno degli
articoli di giornale “.. fosse tutto ciò che
volevo e di cui avevo bisogno.”
Il suo
sguardo torna nuovamente su di me e posso sentire che mi prega di
ricambiarlo. Così
lo faccio.
“ Ero più
felice nostro mondo Herm. Non sono
mai
stata così felice e libera come quando eravamo insieme, solo
noi due. E quello
che rende tutto ancora più triste..” mi rivoge un
triste sorriso “…è che non mi
rendevo conto di quanto fosse fantastico quello che avevamo. Sapevo che
era
bello, sapevo di essere fortunata e felice, non sapevo però
che fosse
dannatamente incredibile. Non sapevo che nulla di simile mi sarebbe più
capitato.”
Si lascia
andare in una profonda risata volta a mascherare la sua insicurezza e
sospira
un “Accidenti, che argomento serio e profondo” mi
rivolge un ultimo sguardo e
un veloce “scusa” prima di finire la sua birra.
Non so
veramente cosa dire, così finisco anche io la mia, la parola
“tranquilla”
lascia le mie labbra giusto in tempo prima che la bottiglia le copra.
Rimaniamo
immobili per po’, solo la voce di Jeff Buckley
a riempire lo spazio, finchè lei non inizia parlare di
nuovo. Questa volta con
un tono più leggero.
“Ti ricordi
quella volta che siamo andate in campeggio?” Scuote la testa.
“Diciamo pure il
nostro patetico tentativo di campeggio. Che coppia di disperate che
eravamo,
della serie che ci vollero ben ore a tirare su una tenda!”
Ride genuinamente,
poggiando la testa all’indietro. “…e
alla fine neanche ci riuscimmo veramente.”
Rido con
lei. Rido perché sembra veramente un bel ricordo, un ricordo
a che mi
piacerebbe poter avere. Sospira profondamente, guardando il soffitto
“Stavo
impazzendo, non so neppure come mi convincesti ad abbandonare la
bacchetta e seguirti.
Sappiamo entrambe che non sono una persona da gite
all’aperto, senza magia per
di più.” Mi sorride ancora “Grazie al
cielo hai ceduto e detto di impacchettare
tutta la roba e rifugiarci in un motel lungo la strada.”
Un sorriso
nostalgico sulle sua labbra “Fu una bella
serata…” Il suo sguardo fisso in un
ricordo lontano “…davvero una bella
serata.”
È a questo
che sento il dolore a cuore, il mio petto stringersi, perché
per la prima volta
desidero poter ricordare. Per la prima volta desidero avere indietro i
miei
ricordi. Realizzo solo in questo momento che non torneranno mai e mi
colpisce
come una secchiata di acqua gelida. Li rivoglio. Li rivoglio indietro
ora. Sento
la mancanza di quello che non ricordo di aver avuto e mi sento morire
dentro. Sento
la mancanza di quello che non ricorderò mai. Sento la
mancanza di quello a cui
ho deciso di rinunciare.
Questo
è il punto di rottura.
Tieni duro, continua a
tenere duro.
Ma no ci
riesco, non sono abbastanza forte. Lascio la prima lacrima scivolare
dal mio occhio,
e poi un’altra e un ‘altra ancora. Le lacrime
iniziano a scendere rapide e l’appartamento
attorno a noi diventa sfocato.
“Herm?”
Sento la dolce voce di Pansy spingersi attraverso i miei singhiozzi.
Sto
lasciando andare tutto quello che si è accumulato in me. Mi
porto le mani agli
occhi cercando di arginare il fiume che sta uscendo dai mie occhi,
cercando di
frenare le lacrime che spingono fra le mie dita per scivolarmi sulle
guance.
“Mi…” un singhiozzo,
“…dispiace.”
La sento avvolgere le braccia attorno al mio corpo tremante,
avvolgendomi
completamente. La sento piangere e far scivolare nelle mie orecchie un
ovattato
“ Lo so”.
La sua guancia bagnata scivola contro la mia mano e sento la tristezza
per tutto
quello che ha perduto, per tutti gli anni che sono stata via da lei.
Sono
responsabile per ciò che ha perso, per le sue lacrime e non
sa neppure quello
che ho fatto.
Ho rovinato
entrambe le nostre vite con un'unica stupida decisione.
Devo dirglielo.
Piango
ancora più forte.
Piango perché
è colpa mia.
Piango perché
sto per perdere anche questo.
Una volta
che dirò la verità perderò queste
braccia attorno a me, questo rifugio sicuro,
perderò l’unica cosa che mi abbia fatto sentire
davvero felice negli ultimi
anni.
Lentamente mi tira indietro sul divano, finchè non siamo
entrambe distese,
legate ancora in questo abbraccio. Seppellisco il viso umido nel suo
collo
mentre sento le lacrime iniziare a rallentare.
Dopo
qualche minuto il mio respiro si regolarizza, andando a quasi a tempo
con il
suo, ed inizio ad sentire le palpebre pesanti.
In questo
momento, tra le sue braccia, mi lascio tutto alle spalle, tutte le
menzogne e
la tristezza.