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Autore: Nikkio    16/04/2013    4 recensioni
"La mia è una storia strana, che inizia una mattina di 4 anni fa, quando mi svegliai senza più un ricordo e con un mal di testa spaventoso."
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Ginny Weasley, Hermione Granger, Pansy Parkinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due ore dopo troppi bicchieri di  whiskey erano stati svuotati.
Una nuova sigaretta appariva non appena quella vecchia era stata consumata, avvolgendoci  permanentemente nella nostra piccola nuvoletta.
Erano state pronunciate parole. Così tante parole. Parole intime e private. Parole che io non avrei dovuto sentire.

Ma questo è l’effetto dell’alcol su Pansy,  è come se da ogni sorso venisse fuori un po’ di verità. Innumerevoli “Dio quanto mi sei mancata” e “Avevo dimenticato quanto fossi bella” hanno lasciato le sue labbra, e con ognuno di essi mi sento sempre più presa dalla situazione. Presa da lei. Così presa da sperare che il whiskey abbia lo stesso effetto su di me, da farmi venir voglia di essere onesta, da rendermi più semplice l’inevitabile. Ma non sono così fortunata. Neanche un po’. L’aspro sapore della bevanda riesce solo a spingere la verità sotto il mio letto.
E anche nel mio stato di ebbrezza, anche attraverso la densa nuvola di fumo, riesco chiaramente a vederlo.
Riesco comunque a vedere l’imminente castigo, risultato di questa serata. Risultato della mia incapacità di essere onesta con la persona che più lo merita.

“Beh, credo che ci siamo.”

Sbatto le palpebre uscendo dalla mia piccola trance e la guardo senza capire. Con un lieve movimento del capo mi indica l’orologio appeso alla parete.

“Ora di chiudere. Anzi, mi stupisce che non sia ancora venuto nessuno a mandarci via.”

“Oh… giusto.” Le mie difese immediatamente si alzano, coprendo con sicurezza qualsiasi vulnerabilità stessi esponendo. Delusa che la serata sia già finita, la mia insicurezza non può fare a meno di risalire, portandomi a pensare che, in fondo, sia lei a volere che la serata finisca.

Senza pensarci due volte, afferro al volo la mia felpa, pronta ad una rapida fuga. Cercando di infilare le mani nella manica giusta, e fallendo miserabilmente, mi rendo conto che la cosa non è così semplice quando non si è sobri.
La sento ridacchiare al mio tentativo di infilare la mano destra nella manica rigirata.
Sospirando, mi alzo di scatto.

Questo migliorerà sicuramente le cose…

Non appena in piedi il mio già scarso equilibrio viene meno.

sbagliato

Il rapido movimento compiuto dal mio corpo si scontra con lo stato annebbiato della mia mente,  e barcollando all’indietro allargo le braccia pronta ad aggrapparmi a qualsiasi cosa.
Improvvisamente due mani mi afferrano i fianchi, tenendomi ferma.
Un sommesso “Ehi, piano” riempie lo spazio tra me e Pansy.  E in qualche modo lo spazio sembra diminuire. L’aria viene a mancare. Mi sorride, ed io non posso che sorridere a mia volta, guardando il suo viso qualche centimetro sopra il mio. Prima che me ne renda conto le mie mani trovano la loro strada verso la sua vita. Tenendola lì, così vicina a me. Mi rendo conto di aver bisogno del suo sostegno.

Non è che volessi solo sentire cosa si provava a farlo… no assolutamente.

Ridacchia leggermente, spostandosi alle mie spalle. “Ecco.” Mi dice dolcemente, aiutandomi a trovare le odiose maniche con le quali stavo combattendo un attimo prima.
Trovo il piccolo gesto incredibilmente gentile.
Probabilmente più di quanto dovrei, ma sono troppo ubriaca per realizzarlo. Troppo colpita per curarmene.

Fa un passo indietro e sembra che esiti.
“Emh... dovrei prendere delle cose dal set.” Con il pollice mi indica la porta del camerino, come se ci fosse un’altra uscita da quella stanza.

Ora, naturalmente qualsiasi persona sobria si sarebbe limitata a rimanere lì ed avrebbe aspettato, sapendo che sarebbe tornata subito. Ma io non sono una qualunque persona sobria. Sono decisamente ubriaca e di conseguenza anche insicura.

“Oh, okay. Mi sono divertita molto” Le parole escono come un fiume dalla mia bocca, mentre i miei piedi si muovono automaticamente verso l’uscita. Sarei già fuori dalla porta se la sua mano non mi avesse afferrato e tirato indietro.

“No, non devi andartene!” Le sue insicurezze sbucano improvvisamente, facendosi strada tra le sue parole, “…cioè, puoi andare se vuoi, ma io torno subito. Pensavo che potevamo stare ancora un po’ insieme.” Un timido sorriso le attraversa la faccia. “…potremmo parlare ancora un po’?”

“Ah.” Un sorriso sollevato si apre sul mio viso e sono abbastanza sicura che lei l’abbia notato. “Certo, mi piacerebbe!” Finisco piano, avvicinandomi di nuovo alla porta. “Ti aspetto fuori.”

Mi guarda un po’ preoccupata ed io mi affretto ad aggiungere “Ho solo bisogno di un po’ d’aria fresca.”

Sembra capire ed annuisce lievemente, mentre ci facciamo strada fuori dal camerino per trovarci nel corridoio.
Mi guarda indecisa, con le sopracciglia aggrottate, un piede nella mia direzione e l’altro nella direzione opposta. Sembra stia contemplando se dirmi o meno qualcosa.

“Solo non…” gli angoli delle bocca si piegano leggermente verso l’alto “…non fuggire da me.” E prima che io possa ribattere si già voltata, andandosene,lasciando una traccia ardente dietro di lei. Facendo bruciare le mie guance di un rosso cremisi mentre la guardo camminare lentamente verso il set. Non so se è per l’alcol, o tacchi, o se lei lo faccia solo perché sa che sto guardando. Ma proprio in questo momento mi sento eccitata. Fottutamente eccitata.

Ho proprio bisogno di aria fresca…

Incredibilmente, nonostante l’alcol e la grandezza dell’edificio, riesco a trovare l’uscita. Le porte si aprono al mio passaggio e l’aria fredda della sera mi avvolge completamente, rinfrescandomi.
È proprio come l’immersione nel mare gelato durante una calda giornata estiva. In un primo momento sei un po’ scombussolato, i tuoi sensi nuotano, cercando di trovare un terreno solido. Ma poi, all’improvviso, trovi la stabilità, ti adatti all’atmosfera, ed è perfetto. Proprio quello di cui hai bisogno.
Mi trovo praticamente a strisciare contro la parete, fino ad allontanarmi di qualche passo dall’ingresso. Inclino la testa indietro, contro la superficie fredda, ed inspiro a pieni polmoni, con la speranza di schiarirmi in po’ la mente.
Rilasciando l’aria, sento uno strano miscuglio di felicità e ansia mentre ripenso a quello che è successo questa sera, a quello che è stato detto. Anche ora, solo poche ore dopo, ci sono delle parti mancanti.
Non riesco a ricordare tutto. Non riesco a distinguere tra ciò che è realmente accaduto e ciò che la mia mente vorrebbe che fosse vero. E questo non è mai buon segno.

Mi ha parlato del suo lavoro. Di come si è affezionata a Luna. Penso di aver sentito “Adoro quella pazza!” all’incirca una trentina di volte durante il discorso.
Si è sbottonata un po’ riguardo la sua vita sentimentale.
Si è praticamente messa a nudo in quel camerino, dicendo onestamente, forse anche troppo onestamente, di non essere più uscita con nessuno. Non faceva per lei. Che non sapeva spiegare il motivo.
Rimasi in silenzio finché il
whiskey non mi diede una piccola spinta e ammisi che effettivamente neanche io ero più uscita con qualcuno. Sembrava completamente sollevata, a tal punto da sospirare.
Ma alla fine, gli eventi della serata sono tutti mescolati nella mia memoria. Sono tracciati nella sabbia, in attesa di una nuova onda che li cancelli.
È sorprendente quanto una persona può farla franca in una conversazione in cui è l'altro a fare la maggior parte della conversazione.
Quando l'altra persona ha così tanto da dire. È possibile stare semplicemente seduti lì ed ascoltare. Non devi partecipare, tanto non lo noterebbe; e se ci sono degli alcolici di mezzo neanche glie ne importerebbe.
Il suo camerino, con i nostri bicchieri apparentemente senza fondo, era il perfetto nascondiglio per un partecipante silenzioso come me. Era il posto perfetto per essere coinvolti ed ignorati alla stesso tempo.


Prendo una nuova lunga boccata d’aria, gonfiando i polmoni più che posso cercando di ricordare qualcosa. Trattengo l’aria il più possibile, mentre cerca di tornarmi alla mente qualcosa che ha detto Pansy.

“Allora, cosa ti è successo Herm?” Le parole risuonano nel mio orecchio, l’aria esce dai polmoni troppo velocemente, quasi dolorosamente.

L’ha chiesto veramente?

Guardo velocemente verso l’entrata, mentre il ricordo sfocato di una lacrima che scivola lungo la guancia mi riempie la mente.

Lei mi ha guardata con tristezza.
I suoi occhi mi hanno attraversato, e dalla maniera in cui mi guardava non sembrava un’impresa impossibile.
Mi guardava come se fossi un guscio vuoto.
Come se i vestiti che avevo indosso fossero solo la patetica armatura di una cassa vuota.
Non ero nulla, e lei lo sapeva.
Aveva sospirato quando un’altra lacrima era caduta a terra, portando il mio cuore con lei.
Mi ero limitata a guardarla con occhi tristi, rispondendo così alla sua domanda. Facendole capire che qualcosa in me non andava. Che ero persa, triste e rotta. Non ero più la ragazza che conosceva.
Allora mi aveva preso la mano nella sua, avvolgendola nel suo calore, mentre il pollice dolcemente scivolava sulla mia pelle.

Ma forse la mia memoria mi sta semplicemente giocando uno scherzo crudele.Il whiskey potrebbe aver creato questo scenario nella mia mente colpevole.
Oppure… Oppure potrebbe essere accaduto.

Abbasso lo sguardo sui miei piedi, rilasciando una risata un po’ amara per l’ironia delle cose. Sto costruendo dei nuovi ricordi con questa persona, questa persona che ho cancellato dalla mia mente, eppure sono ancora discutibili. Alla fine, continuo a fare cose che mi fanno dimenticare. Tutti questi nuovi ricordi potrebbero aggiungersi a quelli che ho già perso, e ancora una volta, sarebbe colpa mia.

“Cosa c’è da ridere?”  I miei occhi trovano subito la fonte della voce, appoggiata con la spalla al destra muro, un sorriso curioso sulle labbra mentre mi osserva.

Distolgo lo sguardo per puntarlo sulla strada, precisamente su di una lattina vuota che rotola, sospinta dal vento. “Niente”

Si stacca improvvisamente dal muro al muro per posizionarsi di fronte a me, “Coraggio.” Mi dice porgendomi una mano “casa mia è un quarto d’ora di strada qui, meglio che ci sbrighiamo.”

I miei occhi, pieni di confusione si spostano dalla sua mano al suo viso, “ Non usiamo la magia?”

Non appena vedo la sua espressione sorpresa capisco di aver detto qualcosa che non dovevo. E ora? Mi avrebbe fatto una serie di domande? Le avevo confermato i suoi dubbi? Avrebbe urlato? Si sarebbe arrabbiata? Peggio ancora, l’avrei più rivista? Le domande sfrecciavano nella mia mente una dietro l’altra, quasi contemporaneamente.

Fortunatamente è la sua voce ad interrompere il mio panico mentale, con una semplice domanda, dal tono calmo, leggermente sorpreso, sicuramente non arrabbiato o sospettoso.

“Sei sicura?”

Ormai quel che è fatto è fatto.

“Emh… certo, non vedo il problema” a parte il fatto che probabilmente vomiterò sulle tue costose scarpe non appena arriviamo.

“ Se sei sicura…” inizia, guardandomi a metà tra il sorpreso ed il divertito, ed inizio a pensare che forse avrei fatto meglio a tenere chiusa la mia boccaccia.

Bacchetta in mano mi afferra un braccio. Mentre sulla sua faccia si estende un sorriso che credo debba risultare rassicurante, il mio stomaco si contorce in una maniera decisamente poco piacevole, non so ancora se per via della sua vicinanza o di quello che sta per accadere.
È un attimo, ed è come se fossi spinta dentro un tubo troppo stretto per la mia taglia.
Mi sento soffocare, come se qualcosa mi avvolgesse comprimendomi in maniera quasi dolorosa.

"Non usiamo la magia?" Al diavolo me e la mia stramaledetta boccaccia privi di filtri! Oh Dio… sto per morire.

Proprio quando penso di non farcela più un fastidiosissimo ‘crack’ mi riempie le orecchie, le bende invisibili che mi costringevano sembrano esplodere permettendomi di prendere grandi boccate d’aria gelata.
Le gambe tremano contro la mia volontà, e senza un secondo pensiero, senza pensare se sia opportuno o meno, mi aggrappo con forza alle spalle di Pansy, seppellendo il viso nella sua spalla.
A questo gesto la sento sospirare rumorosamente, mentre la sua mano va a posarsi sulla mia schiena , disegnando piccoli cerchi.

“Non capisco perché continui a farlo se poi il risultato è questo” sollevo a malincuore il viso per poterla guardare in faccia. Gli angoli della bocca sono leggermente inclinati verso l’alto, cercando di trattenere una risata, mentre, dal canto mio, stringo la presa sulle spalle per trattenere l’impulso di picchiarla.

Lentamente si sottrae alla mia presa, per aprire il grosso portone nero dell’ingresso e permettermi di seguirla per le scale. Non saprei dire a che piano siamo arrivate, ho smesso di contare dopo il secondo, preferendo perdermi nel potere ipnotico dei suoi fianchi, nel loro modo di spostarsi ad ogni passo.
Ci fermiamo di fronte ad un portone verde segnato dal numero 45 e una volta dentro si affretta ad accendere la luce, esclamando "Casa, dolce casa".

È un bel posto. Dove per bello intendo veramente stupendo.
Qualche passo all’interno dell’appartamento e mi trovo dentro una spaziosa sala che sembra essere uscita direttamente da una rivista d’arredo, con tanto di schermo piatto e stereo in un angolo. Sulle pareti ci sono foto artistiche ( senza dubbio scattate da Luna), quadri ed alcuni ritagli di giornale incorniciati sui quali leggo immediatamente il nome di Pansy.

Mentre io mi soffermo un attimo per osservare ciò che mi circonda, la sento poggiare le chiavi su di un bancone prima di proseguire fino allo stereo per raccogliere un iPod poggiato lì a fianco.
Una voce familiare riempe la stanza, mi ci vuole un minuto, ma mi rendo conto che si tratta di Jeff Buckley. Kim lo ascolta quasi ogni giorno.
La mia momentanea sorpresa non passa però inosservata a Pansy.

“Pansy Parkinson che usa oggetti babbani? Incredibile vero?” inizia avvicinandosi, un sorriso divertito sulle labbra, “Devo ammetterlo, all’inizio ero un po’ scettica ma ora non saprei fare meno di tutte queste babbanerie”.

Sorrido debolmente più per il suo tono che per il contenuto delle suo parole, inebriata dalla sua voce, dal suo profumo, dal suo sguardo… da lei.

Ci avviciniamo lentamente al divano mentre mi chiede “ Birra? Intendo quella babbana ovviamente”.

Annuisco mentre lascio navigare i miei sensi all’interno della stanza, in particolare mi  accorgo di quanto l’appartamento abbia il suo stesso odore.  O Forse è il contrario. In ogni caso lo adoro, potrei ubriacarmi solo con questo.
Mi siedo accavallando le gambe e la osservo tornare con due birre ghiacciate in mano.

“Ecco a te” mi dice porgendomi una delle due bottiglie, per poi sedersi al mio fianco, lasciando casualmente un braccio sullo schienale.

“Hai veramente una bella casa. A giudicare da quello che ho letto sulle riviste il tuo lavoro da modella sta andando molto bene”.

Sgrana leggermente gli occhi ridendo “Parli di quelle riviste babbane? Non so ancora cosa mi abbia spinto a farlo! Voglio dire, ero già abbastanza famosa nel mondo magico…” Sospira prima di lanciarmi uno sguardo complice. “Ricordi quando non vedevo l’ora di lasciare Hogwarts? Essere libera di fare ciò che volevo, libera del nome dei miei genitori e affermare il mio.” Abbassa la bottiglia alle ginocchia, giocherellando con l’etichetta bagnata. “Accidenti, sembra sia passato un secolo da allora.”

E così come avevo fatto per il resto della serata mi limitai ad annuire e ascoltare. Senza dubbio è la strada più sicura. Il suo sorriso svanisce e riporta il suo sguardo su di me “ Hai mai desiderato tornare indietro? Intendo tornare a quel periodo?”

Abbasso lo sguardo sul divano, sperando non noti la mia incertezza, la mia confusione.

“Non lo so.” Rispondo sinceramente, stringendo la bottiglia di birra tra le mani.

“Già…” dice a bassa voce. “Io ci ho pensato parecchio…e lo farei. Dicono che non devi avere rimpianti del passato, che ti rende ciò che sei oggi. Che le cose buone e cattive ti hanno portato a questo punto nella vita.” Prende un sorso dalla bottiglia, acquistando un po’ di conforto dalla birra.

“Ma non saprei Herm, proprio non saprei. Guardami qui seduta sul mio divano da 500 galeoni dentro il mio centralissimo appartamento, un lavoro di successo, sicurezza economica…Il mondo praticamente ai miei piedi. Le persone sentono il mio nome e non pensano alla mia famiglia. Finalmente ho quella libertà che tanto che ho cercato tanto disperatamente anni fa. Ho tutto quello che ho sempre voluto, e sai cosa?”

Fa una pausa e si guarda intorno. I suoi occhi si posano sui muri, sulle foto, sulla tv fino a tornare su di me.

“Ero più felice allora. Ero più felice in quel mondo che non vedevo l’ora di lasciare. In quel mondo dove pensavo che questo…” alza la mano indicando uno degli articoli di giornale “.. fosse tutto ciò che volevo e di cui avevo bisogno.”

Il suo sguardo torna nuovamente su di me e posso sentire che mi prega di ricambiarlo. Così lo faccio.

“ Ero più felice nostro mondo Herm. Non sono mai stata così felice e libera come quando eravamo insieme, solo noi due. E quello che rende tutto ancora più triste..” mi rivoge un triste sorriso “…è che non mi rendevo conto di quanto fosse fantastico quello che avevamo. Sapevo che era bello, sapevo di essere fortunata e felice, non sapevo però che fosse dannatamente incredibile. Non sapevo che nulla di simile mi  sarebbe più capitato.”

Si lascia andare in una profonda risata volta a mascherare la sua insicurezza e sospira un “Accidenti, che argomento serio e profondo” mi rivolge un ultimo sguardo e un veloce “scusa” prima di finire la sua birra.

Non so veramente cosa dire, così finisco anche io la mia, la parola “tranquilla” lascia le mie labbra giusto in tempo prima che la bottiglia le copra.

Rimaniamo immobili per po’, solo la voce di Jeff  Buckley a riempire lo spazio, finchè lei non inizia parlare di nuovo. Questa volta con un tono più leggero.

“Ti ricordi quella volta che siamo andate in campeggio?” Scuote la testa. “Diciamo pure il nostro patetico tentativo di campeggio. Che coppia di disperate che eravamo, della serie che ci vollero ben ore a tirare su una tenda!” Ride genuinamente, poggiando la testa all’indietro. “…e alla fine neanche ci riuscimmo veramente.”

Rido con lei. Rido perché sembra veramente un bel ricordo, un ricordo a che mi piacerebbe poter avere. Sospira profondamente, guardando il soffitto “Stavo impazzendo, non so neppure come mi convincesti ad abbandonare la bacchetta e seguirti. Sappiamo entrambe che non sono una persona da gite all’aperto, senza magia per di più.” Mi sorride ancora “Grazie al cielo hai ceduto e detto di impacchettare tutta la roba e rifugiarci in un motel lungo la strada.”
Un sorriso nostalgico sulle sua labbra “Fu una bella serata…” Il suo sguardo fisso in un ricordo lontano “…davvero una bella serata.”

È a questo che sento il dolore a cuore, il mio petto stringersi, perché per la prima volta desidero poter ricordare. Per la prima volta desidero avere indietro i miei ricordi. Realizzo solo in questo momento che non torneranno mai e mi colpisce come una secchiata di acqua gelida. Li rivoglio. Li rivoglio indietro ora. Sento la mancanza di quello che non ricordo di aver avuto e mi sento morire dentro. Sento la mancanza di quello che non ricorderò mai. Sento la mancanza di quello a cui ho deciso di rinunciare.

Questo è il punto di rottura.

Lotto con tutte le mie forze per trattenere le lacrime, cerco di trattenere il inondazione che si sta per riversare dai miei occhi.

Tieni duro, continua a tenere duro.

Ma no ci riesco, non sono abbastanza forte. Lascio la prima lacrima scivolare dal mio occhio, e poi un’altra e un ‘altra ancora. Le lacrime iniziano a scendere rapide e l’appartamento attorno a noi diventa sfocato.

“Herm?” Sento la dolce voce di Pansy spingersi attraverso i miei singhiozzi. Sto lasciando andare tutto quello che si è accumulato in me. Mi porto le mani agli occhi cercando di arginare il fiume che sta uscendo dai mie occhi, cercando di frenare le lacrime che spingono fra le mie dita per scivolarmi sulle guance.
“Mi…” un singhiozzo, “…dispiace.”

La sento avvolgere le braccia attorno al mio corpo tremante, avvolgendomi completamente. La sento piangere e far scivolare nelle mie orecchie un ovattato “ Lo so”.
La sua guancia bagnata scivola contro la mia mano e sento la tristezza per tutto quello che ha perduto, per tutti gli anni che sono stata via da lei. Sono responsabile per ciò che ha perso, per le sue lacrime e non sa neppure quello che ho fatto.

Ho rovinato entrambe le nostre vite con un'unica stupida decisione. Devo dirglielo.

Piango ancora più forte.
Piango perché è colpa mia.
Piango perché sto per perdere anche questo.
Una volta che dirò la verità perderò queste braccia attorno a me, questo rifugio sicuro, perderò l’unica cosa che mi abbia fatto sentire davvero felice negli ultimi anni. La perderò. Perderò tutto. Di nuovo.

Lentamente mi tira indietro sul divano, finchè non siamo entrambe distese, legate ancora in questo abbraccio. Seppellisco il viso umido nel suo collo mentre sento le lacrime iniziare a rallentare.
Dopo qualche minuto il mio respiro si regolarizza, andando a quasi a tempo con il suo, ed inizio ad sentire le palpebre pesanti.

In questo momento, tra le sue braccia, mi lascio tutto alle spalle, tutte le menzogne e la tristezza.

  
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