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Autore: Princess_Klebitz    17/04/2013    2 recensioni
Amici fino alla morte ed oltre; nemici controvoglia. Musica, amore e morte nella metà sbagliata degli anni '90, scaraventati avanti volontariamente per non poter più tornare indietro.*
La tregua tra la Ragione ed il Caos durava da troppo tempo; quando si accorsero dell'errore, corsero ai ripari, e l'Immemore e l'Innocente si trovarono faccia a faccia, dopo anni di ricerche, per riportare la situazione in parità.
Un errore troppo grosso, la persona sbagliata, un imprevisto che non doveva assolutamente accadere.
Storia scritta nel 1997, e l'epico tentativo di riscriverla senza snaturarla.
Spero qualcuno apprezzi.
Genere: Drammatico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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13. L' impatto
 
Dopo la ‘Grande Riconciliazione di Novembre’, come la chiamò Shane, le attività del gruppo si mossero verso acque più agitate, e se il ritorno di Justin diede una speranza inaspettata a quello che era stato un semplice gruppo di ragazzini del Liceo intenti a copiare canzoni dei loro miti, proprio lui fu l’elemento destabilizzante interno. Il fatto che avesse smesso di fare ‘stronzate’ si rivelò una mera illusione, ma d’altra parte, dopo altre due o tre litigate di tono più leggero, lasciarono anche perdere la convinzione di poterlo cambiare: a Justin piaceva flirtare col rischio, e ormai tutti avevano capito che, a parte rari casi, non si spingeva più in là dell’assunzione di anfetamine.
Aveva persino rivelato che, nonostante poi crollasse per due giorni di seguito, gli era diventato quasi vitale fare quelle notti sveglio, a scrivere, o a sognare. Qualche volta, persino, studiava, e visti i suoi risultati agli esami, c’era da crederci; d’altra parte, non si perdeva in giochi pericolosi, come mixare le pastiglie con altro o con troppo alcool, e nonostante i giorni in cui ‘recuperava’, si presentava sempre in aula o alle prove.
Era un azzardo lasciarlo fare, ma controllarlo sarebbe stata l’alternativa, e un altro periodo di guerriglia civile non era ciò che serviva al gruppo, non ora che iniziava ad ingranare sulle marce più alte, provando le nuove canzoni persino in dimensione live al Queasy.
 
Sembrava che Dorian avesse compiuto il miracolo, ma non si era capito che il vero miracolo era stato solo ascoltare il suo sfogo, la solitudine che aveva dentro e che da secoli non riusciva ad esprimere.
 
In positivo, Justin aveva accettato il progressivo allontanamento di tutti dal nucleo originario, al quale si era opposto persino in modo tragico durante l’estate: Shane usciva spesso con dei colleghi, Eddie si faceva vedere sempre più con suo fratello e i musicisti di Linayr al Queasy, entrando in un giro di gente più adulta che trovava gratificante. Il confronto con colleghi più vecchi gli stava facendo capire molte cose sulla batteria, sul suo drumming, e perdeva notti intere a discutere e suonare.
Persino Justin uscì con un paio di rockettare del suo corso: buchi nell’acqua in partenza, ma iniziava a farsi un nome nella piccola comunità di musicisti del Trinity, sia per essere un amico prezioso per le ragazze , di solito trattate dall’altro al basso dai maschi - come se la rivoluzione riotgrrrls non fosse mai avvenuta - ma anche per la sua disponibilità a  prestarsi come vocalist per qualsiasi progetto gli venisse proposto.
 
Dorian era, a detta di tutti, il caso più ‘grave’. Quando non era in sala prove, era a Dublino a studiare con Monik, la fidanzatina tedesca: ormai era un tran tran consolidato.
Che poi, invece di studiare, andassero al cinema, in Temple bar o facessero tutt’altro, erano affari loro. Comunque Dorian era maledettamente preso, e aveva lasciato di sale tutti, una volta, parlando di un’eventuale vacanza in Germania, comune, ovviamente, a Wittemberg, la città di Monik, lodandone le bellezze e la sua vicinanza con Berlino, in uno spudorato tentativo di irretire i suoi amici.
 
Il suo rapporto, che all’inizio aveva fatto ghignare d’incredulità e dato il via ad un giro di scommesse alle sue spalle, pareva più solido di quanto il biondino volesse far credere, con la sua vena non ancora sopita di superficialità a tutti i costi. La prova definitiva era l’aver portato la sua fidanzata anche ad una serata di prove (cosa che aveva non poco agitato gli altri, visto stavano definendo le nuove canzoni) e, nella sua incontenibile vanità, anche al Queasy, riempiendo per una volta il bus Dublino-Linayr, visto la piccola Monik aveva portato almeno sue venti compagne di Erasmus tedesche con lei, entusiaste di evadere dal campus.
 
Stranamente, in quell’occasione, la band non era agitata, anzi Justin aveva improvvisato stranissime sfilate in passerella sul palco, e ancheggiamenti nei suoi pantaloni di pelle e capelli neri gettati all’indietro con mosse improvvise, con l’asta del microfono trascinata con finta noncuranza da consumata rockstar, mentre Shane si gettava spalla a spalla col vocalist, come le inossidabili coppie rock and roll, e da solo continuava a fare improbabili mosse da bass hero, headbanging in primis.
 
I loro sforzi erano comunque inutili, poiché la prima (ed anche la seconda) fila, composta di ragazze Erasmus e altre di Linayr che ormai andavano al Queasy solo per vedere gli Interferences e che si erano lanciate avanti, vedendo l’assembramento, avevano tutte occhi solo per Dorian, che da consumato chitarrista mandava scintillanti assoli di ghiaccio con Phoenix, stoppandosi per riprendere la ritmica con forsennato vigore.
 
Inutile dire che quella sera il tempo delle canzoni andò letteralmente a puttane, con disperazione e poi progressiva incazzatura di Eddie, che se avesse potuto avrebbe iniziato a bersagliare di bacchette volanti i suoi compagni. Viceversa, al banco, Jem e Edmond si scambiavano un cinque con le nocche, ridendo e osservando l’incasso ed il successo.
“Sembra la Beatlemania, Ed, scommetto che tra un po’ una di quelle oche sviene!”
“E tutto per quel frocetto con quell’assurda chitarra! Guarda mio fratello, Jem, sta per diventare viola da tanto è incazzato!”
“EeeeeeeECCO che perdono il tempo tra basso e cantato un’altra volta! Evviva Shane ed evviva Justin, stanno riuscendo a sputtanare persino Knockin’ on heaven’s door! Come la chiamerebbe, dottor Joyce, questa sintomatologia?”
“Voglia di figa, stimato collega!”
 
E buttarono giù la pinta, sghignazzando alle spalle del gruppo.
No, più precisamente, proprio in faccia.
La band, alle prove dopo, si era sentita un solenne cazziatone da Eddie, mai così infuriato nella sua breve vita da batterista, supportato dal fratello, che però rideva sotto i baffi.
Dorian sospirò, e chiese a Monik di non portarsi mezzo Erasmus del Trinity, la prossima volta, e neppure alle prove, dove iniziava ad esserci un via vai di gente da qualche settimana a quella parte.
 
Dopo quella breve pausa da ‘artisti’ acclamati, prima di Natale i ragazzi misero mano definitivamente alle nuove canzoni, con i testi incrociati di Dorian e di Justin, con i quali i due chitarristi ed ormai entrambi cantanti, stavano per darsi battaglia.
Se Justin, col suo tono di tre ottave passate e la sua tecnica casalinga ma comunque efficace, era ancora il principale vocalist, ed aveva fatto qualche passo avanti con la chitarra durante le sue notti insonni, Dorian vantava dalla sua una tecnica chitarrista ormai eccellente e personale, e seppure con la sua voce più morbida ed un tono più banale, avrebbe potuto avanzare pretese anche in quel campo, se avesse voluto.  
 
Dopo tutti i guai passati e quelli che ancora si trascinavano, gli Interferences, a gennaio entrarono nello studio gestito dall’ex chitarrista dei Golden Ghost, socio di Edmond Joyce, a Lynair.
La demo prese una settimana per cinque canzoni più una bonus track, un anno futuro ipotecato di litigi, musi duri e ripicche che si sarebbero trascinate senza mai avere fine, specie tra Justin e Dorian, e due giorni interi solo per la stratificazione di effetti della chitarra (e tre per la voce), nonché un fottio di soldi che dovettero chiedere, supplicanti, alle loro famiglie, nonostante i lavoretti di Natale in cui tutti si erano imbarcati.
 
Il lavoro sulla demo li rese talmente sensibili, che persino Dorian, di solito la più dolce creatura sulla faccia della terra (‘bello, bravo, buono e intelligente!’, cantilenava la sua fidanzatina nel presentarlo alle amiche, nel suo povero inglese)  divenne duro come l’acciaio nelle prove pre, durante e post lavorazione.
Le sue ferme (e poco cortesi) richieste di avere un po’ di pace in quel periodo, fecero scoppiare una grossa lite tra lui e Monik, che lasciò la biblioteca dove stavano studiando letteralmente in lacrime, abbandonando il campo e non voltandosi neanche indietro. Non era un gesto del solito Dorian, come non lo era lo stringere forte il manico di Phoenix e assottigliare gli occhi, in silenzio completo, se Shane gli chiedeva di cambiare di un millesimo la ritmica, o, più frequentemente, Justin si scontrava con lui per la metrica di un verso che aveva imposto; purtroppo l’amico era riuscito ad accaparrarsi quasi tutte le lyrics, ed erano arrivati quasi ad un punto di non ritorno su ‘Silences’, la preferita di Dorian, che Justin non voleva cantare “A quel modo, non lo sento mio, cazzo!!!”
 
Lo scontro venne aggirato da Edmond, ormai de facto manager della band ed assieme al suo amico Martin, in banco mixer come produttore (se etichette simili si potevano affibbiare, al loro livello), che escluse Justin dalla malinconica ma potente ballad, imponendo sì di tenerla, ma volendo che la cantasse Dorian, quasi in solo, visto il poco apporto degli altri strumenti.
Justin strinse i pugni e ammise la sconfitta, ma la tensione non calò finché non venne loro consegnato il cd demo. Solo allora, invece delle prove, si ritirarono una sera a casa di Shane, con il suo megaimpianto stereo Sony portato per l’occasione in garage, gli strumenti abbandonati, a sentire il frutto del loro lavoro, dei loro rapporti così vicino ad essere in frantumi, e del denaro che avrebbero dovuto sudare per restituire.
 
Era il giorno prima del ritorno in aula da studenti di tre quarti del gruppo, il 7 gennaio 1998; l’anno passato sarebbe stato ricordato come l’anno d’oro del ritorno del grande rock sull’onda dell’elettronica, e loro erano una rockband esordiente col loro primo demo indipendente, totalmente senza synth o digitalismi, ma anche senza ‘big hair rock’ fine anni ’80.
 
Silences, l’ultima del mazzo prima della ‘ghost track’ acustica, li fece zittire, poco prima di mezzanotte.
 
Il primo commento di Justin, quando la sentì (visto quando era stata registrata aveva, per protesta, lasciato lo studio), fu un bofonchiamento senza infamia né lode, ma con un certo fondo perfido, nonostante l’innocenza delle parole.
“Sai che ti mangi le parole, quando canti?”
“Non sono cazzi tuoi.”, lo rimbeccò Dorian, praticamente con la testa dentro una delle casse a controllare eventuali errori di registrazione.
Talmente dentro che non si accorse, nell’assolo, della mascella di Justin che cadeva letteralmente a terra,e della mano schiaffata sulla bocca di Eddie e della testa scossa di Shane, come a riprendersi.
 
Quando finì, in calando, si ritenne soddisfatto del lavoro, e si girò verso i compagni, quasi prendendo un colpo, vedendoli tutti con gli occhi sgranati che si fissavano senza parole, e spense lo stereo.
“Ma… che vi prende?!”
Justin lo fissò, togliendo la mano che stava mordendo da ben 5 minuti, ovvero quanto durava quella burrasca di calma acustica e tempesta elettrica che si scontravano, e lo fissò, quasi guardandogli attraverso, tanto sembrava allucinato.
 
“L’hai davvero scritta tu?”
“Ma che domande di…”
“È un capolavoro, Dorian. È il pezzo più bello della demo.”
Fu la volta di Dorian di restare a bocca aperta, dalla quale uscì solo una flebile protesta.
“Just…ti sei fatto anche stasera?”
Justin non gli rispose, ancora con lo sguardo trasognato, e si alzò in piedi, brandendo la bottiglia di champagne comprata per l’occasione, e fissando gli amici uno per uno, aprendosi in un sorriso.
 
“Questa demo è vincente, carissimi!”, e solo allora gli altri tre si concessero di respirare e di sorridere a loro volta.
Justin accennò un inchino e li abbracciò letteralmente con gli occhi, con la voce sull’orlo del pianto.
 
“È un onore avere suonato con voi, signori.”
 
E mentre la ghost track partiva quasi non sentita, e le campane di Dublino suonavano la mezzanotte, i ragazzi saltarono tutti in piedi, abbracciandosi l’un l’altro, mentre Justin apriva il maledetto champagne, inondandoli tutti; la ghost track era ‘Someone in my mind’, e non era del tutto finita.
 
Erano due canzoni che sarebbero state definite ‘destinate’.
 
Per loro erano solo due bellissime canzoni, e specialmente, erano loro.
 
**
 
“Justin?”
“Che c’è, Eddie?”
 
Eddie era rimasto a dormire a casa sua, quella notte, e si erano accampati in salotto, con disperazione di Edele.
 
Il rosso si alzò su un gomito, osservando il ciuffo nero in calando dell’amico; per l’occasione, si era truccato anche per l’ascolto.
Lui e Dorian avevano davvero un sacro concetto della musica, cui piano piano stavano riuscendo ad entrare anche lui e Shane.
Dopo quella sera, sarebbe stato difficile ammettere che suonavano solo per divertimento.
 
La voce di Justin, mezzo addormentato ed irritato, lo riscosse dai suoi pensieri.
“Insomma, Eddie, che c’è?! Stavo per dormire… Non dormo da tre giorni, e domani mattina ho lezione alle nove! Il primo giorno dopo le vacanze!”, si lagnò l’amico, mettendosi a sedere sul suo sacco a pelo improvvisato sul divano, riavviandosi gli ormai mitici capelli neri a danno dell’ozono.
Eddie soppesò se parlare o no, tralasciando il fatto che se non dormiva era colpa sua razza di cretino anfetaminico, ma ormai Justin se ne stava tra il curioso e l’incazzato a fissarlo, con tanto di matita colata che non sapeva se faceva ridere o piangere, data la situazione.
Non gli stava dando tregua, con gli occhi: avrebbe dovuto sputare il rospo.
 
“Al Dublin Tech…la settimana prossima… c’è un contest. Per band originali…”, ed esitò, vedendo come Justin si era raddrizzato, ogni minima traccia di sonno sparita. “Minimo 3 pezzi registrati entro mercoledì prossimo, ma esibizione live sabato decisiva per i piazzamenti. Però… è troppo vicino, e ne faranno di sicuro altri in primavera. Ne ho sentito parlare, il Tech è molto aperto su queste cose.”, si affrettò a dire.
Inutilmente.
 
Justin stava già giocherellando con i capelli, pensando febbrilmente ed esprimendo anche qualche frase smozzicata a voce alta.
“Mercoledì… domani è lunedì. Dorian ha l’esame di Letteratura Irlandese dopodomani…Io il giorno dopo quello di Psicologia Sociale… “, e si voltò a guardarlo, con una fiammella ballerina, negli occhi, pericolosamente eccitata e con la quale ci si poteva facilmente scottare.
 
Lui stesso ne aveva fatto l’esperienza; ci si era scottato più volte, persino ustionato, ma non poteva starne alla larga
 
“Tu come sei messo ad esami?”
“Inizierebbero la settimana dopo il contest, sai che il Tech è in ritardo rispetto al Trinity e poi andrò ai secondi appelli, vista la demo durante le vacanze…”, ma il discorso andò perduto per Justin, che si alzò ed andò a recuperare l’agenda, consultandola e borbottando a mezza voce.
“Dorian… può spostare l’altro esame al secondo appello, io anche… l’altro primo appello l’avrei dopo la selezione live… Ed anche se fosse, salterei al secondo!”.
 
Ora il sacro fuoco sembrava animarlo tutto, mentre si apprestava a vestirsi in fretta in maglietta e con i pantaloni di pelle, con allarme di Eddie.
“Ma...dove cavolo vai?!
“Telefono a Dorian!”, ghignò Justin, malamente. “Quella stupidina tedesca ha fatto la grandissima cazzata di regalargli un cellulare, per ztare zempre in contatto, ja! Ma Dio mi fulmini se non gli farò cambiare piano di esami!”, sibilò, mentre digitava i numeri sul cordless, preparandosi ad una sfuriata senza precedenti da parte del biondino, per cui il sonno era maledettamente sacro.
Eddie scosse la testa, anche lui levandosi, e mise una mano sulla spalla di Justin.
“Justin… anche se accettasse, e sai che ci sono buona probabilità visto stiamo parlando dell’occasione di fare virtuosismi con Phoenix davanti ad un pubblico, che ne dici di Monik? Stasera Dorian ha detto che la prima cosa che avrebbe fatto, arrivato al Trinity, sarebbe stato di farsi perdonare. E a pensarci a come l’ha piantata…”, Eddie rifletté, ripensando alla freddezza con cui ne aveva parlato inizialmente il biondino, per poi fare solenni proclami romantici la sera prima.”...direi che sommando a questa situazione ulteriori impegni col gruppo sarebbe un bel colpo di grazia.”
 
“Meglio.”
Eddie credette di essersela sognata, ma Justin, in attesa al cordless che Dorian si levasse dal letto e prendesse quell’odioso ma utile aggeggio,  lo fissò con la coda dell’occhio, inquietante con la matita sbavata su quelle lastre trasparenti dei suoi occhi, i capelli mezzi in piedi e mezzi cadenti nella frangia, nei pantaloni di pelle come se ormai ci vivesse, e quello sguardo deciso che niente aveva a che fare con le anfetamine.
“È ora che quell’inutile femmina impari a togliersi di mezzo, quando c’è da suonare. Ed è meglio che lo impari anche Dorian.”, disse, con tono basso ma gelido, appena prima di prendere linea.
Dorian-bello, ciao! No, non iniziare a riempirmi di insulti, ho appena saputo una bella notiz… la smetti di mandarmi a fanculo?! Oh, mi fai parlare o devo chiamarti sul telefono di casa, svegliandoti la famiglia?! Ma… CAZZO fammi parlare, Dorian!!”
 
Eddie tornò a letto, coprendosi la testa col cuscino, tentando di ignorare quel che aveva visto.
 
Il sorriso malevolo di Justin mentre firmava la condanna di Monik.
Aveva pensato di dirgli ‘Bentornato tra noi’, per l’ottimo lavoro della demo e nel tenere sotto controllo i suoi eccessi, ma aveva nettamente cambiato idea.
Non gli era piaciuto il tono di Justin, ma era certo che stavolta Dorian l’avrebbe mandato diretto in un posto chiamato ‘fanculo’, lui ed il suo sacro fuoco innescato da Ziggy e dai live sempre più convincenti; e si mise il cuscino in testa, soffocando i rumori della lite telefonica tra i due, mentre si addormentava convinto: a primavera avrebbero partecipato al contest e tutto sarebbe andato bene.
Dorian non era tanto preso come Justin, e almeno un po’ sapeva ragionare; era davvero giunto il momento che Justin si prendesse la dovuta paga. Da troppo tempo si salvava in corner.
 
Ma il giorno dopo, quando, alla sera, come parlando della qualità di McDonald’s, Dorian gli comunicò fuggevolmente di aver lasciato la sua ragazza, quella per cui una volta era stato mezza giornata sotto la pioggia fuori dal dormitorio femminile del Campus senza ombrello, solo per offrirle un gelato, capì che né lui né Shane erano ancora coinvolti come Justin e Dorian nel gruppo.
 
Ma a quel punto, ricordando l’espressione di Justin e guardando quella di Dorian mentre accantonava come non degno di nota  l’argomento ‘fidanzata’ e passava a progettare di quale effetto usare dal vivo su Someone in my mind,  non desiderava neppure esserlo.
 
***
 
Dayer si spostò lentamente, su quella specie di superficie scivolosa che era diventato il suo cammino.
 
Lo vedeva.
Vedeva Alael, L’Immemore.
E non era neppure troppo lontano.
Se avesse allungato un pensiero, l’avrebbe certamente toccato. 
 
Il suo avvicinarsi, lento ma implacabile, avvolto nel manto di nebbia, aiutato dai pensieri più torbidi che il suo esterno aveva raccolto attorno a sé, era silenzioso ma denso di rabbia, come un turbine rossastro che luccicava nei suoi occhi.
La sua arma, la spada violacea degli inviati del Caos, era già impugnata ed oscillava lungo il suo fianco destro con falso abbandono, mentre un misto di eccitazione perversa lo pervadeva.
 
In questo, era ormai arrivato alle spalle di Alael, mentre il paesaggio tra loro mutava forma di continuo.
“Ci sei…”, sussurrò, in modo da non farsi sentire, mentre gli occhi lampeggiavano di soddisfazione, e si fermava ad assaporare il suo momento.
 
Nella dimensione umana, il suo esterno si stava preparando a fare altrettanto: erano uniti, completamente. In simbiosi, ormai non sarebbero  mai vissuti l’uno senza l’altro.
Una volta eliminato l’Immemore, quell’impiccio messo sulla sua via, avrebbe vissuto una vita.
Vera.
Non una vita ‘per finta’ come quella dei suoi predecessori, di qualsiasi parte si trattasse, no.
 
Dayer sarebbe vissuto.
E Alael sarebbe morto.
 
Sollevò la spada con entrambe le mani fino a sopra la testa, non abbandonando mai quel sorriso quasi giocoso e gli occhi luminosi: era l’Innocente, e lo sarebbe rimasto.
La sua missione era inderogabile.
 
“Voltati e guarda chi porrà fine alla tua miserabile esistenza, Immemore!”, sibilò, prima di calare il fendente, che sarebbe stato unico, nel suo intento.
 
“Credevi non ti avessi sentito, Dayer?”, mormorò l’Immemore, prima di voltarsi.
Il solo sentire la sua voce riempì di rabbia, oltre ogni misura, la mente dell’Innocente, che però si bloccò, quando Alael lo fronteggiò, calmo e sicuro…
SICURO.
 
SICURO che non l’avrebbe colpito.
“Come…?”, e Dayer lasciò cadere la spada alle sue spalle, stupito dalla visione.
Dalla sicurezza quasi offensiva dell’avversario.
 
L’Immemore inclinò un po’ la testa, gli occhi rivolti a quello strano cielo sempre in movimento, su quella superficie rossastra, e non lo degnò di uno sguardo, anche stando in fronte a lui.
“Ero curioso di vederti, Innocente.”
“…cosa?”, ansimò Dayer, colpito come e più di uno schiaffo.
Alael sembrò tornare gradualmente alla realtà, e lo fissò, addolorato.
 
“Non mi importano gli ordini. Da qualsiasi parte essi vengano.”, e parve sospirare interiormente. “Non ti ucciderò.”
Non puoi uccidermi, vorrai dire.”, sibilò Dayer, gli occhi che dal rosso passavano ad un verde acceso ed allarmante.
 
Alael si sporse appena verso di lui col busto, e sorrise.
Giusto un po’.
 
“Ti ho individuato da quando tu hai individuato me, Innocente.”, ed il sorriso si spense. “Volevo mi trovassi. E ti rendessi conto perché non ti ucciderò.”
“Dammi una ragione per non fare altrettanto e prenderò in considerazione l’idea di ragionare su quanto mi hai detto.”, ribatté sprezzante, Dayer. E poi, a sua volta, avanzò, con un’espressione irrisoria. “Non ti illuderai che io rinunci al mio compito, Alael?”
“No.”, rispose l’Immemore, secco come un colpo di pistola, e con quella sicurezza irritante come la leggera brezza che gli muoveva i capelli. “Non rinuncerai.”, e si aprì di nuovo in un bel sorriso, senza malizia, alzando di nuovo gli occhi al cielo, come se riuscisse a vedere qualcosa persino più profondo di loro.
“Ma penso non ci riuscirai… non ora.”, e inclinò la testa, mentre il vento aumentava sempre più ed il suo sorriso si allargava, fino a diventare inquietante a sua volta. “C’è una persona con la quale devi consultarti, Dayer. Una a cui non hai chiesto il permesso di uccidermi.”, e con queste parole, Alael sparì dalla sua visuale, mentre l’Innocente veniva trascinato via.
 
***
 
Dayer si ritrovò nel luogo della sua nascita in un battito di ciglia, disteso, con la spada al suo fianco.
 
E soprattutto furioso.
E sapeva anche con chi.
 
Con il suo esterno.
Con se stesso.
 
Purtroppo, prima di uccidere Alael, avrebbe dovuto abbattere le debolezze del suo esterno.
Avrebbe dovuto cambiare se stesso, ormai.
I primi dubbi iniziarono a vorticargli in testa, dapprima sempre più confusi, poi più chiari.
 
E, nella sua mente, rimbombò, per la prima volta, la voce dell’Immemore, quasi a schernirlo.
Peccato che non vi era ombra di scherno, in quel maledetto emissario della Ragione.
 
“È stato interessante vederti, Dayer. E scommetto che lo è stato anche per te.”
“Fottiti…”, sibilò l’Innocente, a denti stretti, raccogliendo la spada.
 
Quello che aveva visto era sconvolgente, ma non avrebbe mai rinunciato al suo compito.
 
***
 
Alael rimase a scrutare il cielo, dopo aver inviato il suo messaggio all’Innocente.
 
Dopo un po’, scosse la testa.
Al contrario di Dayer, che non avrebbe mai rinunciato al compiere il suo ordine, lui aveva scelto; teoricamente non avrebbe potuto, ma non aveva trovato impedimento alla sua decisione.
 
Non POTEVA ucciderlo.
Non lui.
 
Sospirò, abbassando lo sguardo alla landa rossastra.
 
Se Dayer si era già rimesso alla sua ricerca, lui aveva preferito schermarsi, cosa che non aveva fatto prima; non voleva assolutamente affrontarlo di nuovo.
 
Di più.
Non voleva vederlo.
Gli faceva male.
 
Per la prima volta nella sua millenaria storia, maledisse il suo destino, e nascose la sua presenza.
 
“Perché?”, chiese, ben sapendo che sarebbe stato inutile.
 
La brezza gli rispose, beffarda, con i suoni lievissimi.
 
***
 
Dorian saltò direttamente i primi appelli, in nome del contest, e si chiuse con Justin (che almeno ebbe la decenza di dare l’esame di Psicologia Sociale) nello studio dell’amico di Ed, a Linayr, per potere riarrangiare le canzoni.
 
Se Eddie si era spaventato a vedere come Justin aveva letteralmente imposto di partecipare, Justin stesso si era spaventato a vedere come Dorian si era gettato nell’impresa. Riusciva a farlo sentire inadeguato in ogni momento, e se i brani registrati non si discutevano ed erano stati inviati, in dimensione live eccelleva in qualsiasi momento, non prendendosi un attimo di pausa.
Senza batteria, senza basso, senza cantato, Dorian rendeva riconoscibile ogni canzone grazie alla sua incredibile chitarra, e voleva che Justin toccasse il suo livello, in campo vocale, visto che, come aveva detto rientrando in studio,”A livello chitarristico non c’è più niente da fare: rivendi quella chitarra e prendi un microfono migliore, guadagneresti di certo in qualità e non ci romperesti le scatole con i tuoi accordi sbagliati!”
 
Quando arrivò la tanto sospirata esibizione live, nel backstage del palco approntato nell’aula magna del Dublin Institute of Technology, sfiorò la rissa prima con Eddie, imponendogli all’ultimo secondo un drumming di chiusura in ‘Lost’, la loro prima canzone da suonare, e poi con uno dei componenti di un gruppo punk che aveva dichiarato che il suo gruppo doveva suonare dopo, e che la batteria non era adatta.
 
“Non ha due tom, non si può suonare con un solo tom!”, si era lamentato il punk, dopo aver messo in chiaro che gli Interferences avrebbero suonato quasi per ultimi, alle nove di sera.
Non male, visto erano lì, in quel backstage soffocante, dalle 15 del pomeriggio, con strumenti addosso, essendo stato il contest male organizzato in quanto orari di esibizione e con un paio di contrattempi tecnici a fare aumentare i ritardi.
Il trucco di Justin era ormai sciolto, ma Dorian insisteva, vedendo passare cantanti gothic truccati simili e spesso meglio, che nessuno sarebbe stato grandioso come il suo vocalist; Justin lo guardava dubbioso, pregandolo con gli occhi di fare i suoi proclami a voce più bassa, e rabbrividendo letteralmente a sentire acuti o bassi epici che raggiungevano tali mezzeseghe ,come le aveva chiamate quel concentrato di aggressività che era diventato Dorian.
La sua voce, per quanto bella, non era certo all’altezza, ed era sicuro che stavolta si sarebbero piantati di brutto.
Shane, sedutogli vicino, si scambiava con lui occhiate disperate, stringendo a sé il Fender come uno scudo, di fronte al passeggiare rabbioso ed impaziente di Dorian nel camerino, davanti a cui tutti si spostavano.
 
I capelli biondi tirati indietro, i jeans neri strappati, e la camicia nera,  gli davano una certa aria di
furia trattenuta, associata alla sua espressione: un’aura di decisione lo avvolgeva, e non lo abbandonò neanche quando si decretò una pausa e fu finalmente fissata l’ora della loro esibizione.
Il punk, che credeva di avere stabilito un punto di contatto dopo la scazzottata evitata, lo avvicinò, scuotendo la cresta rossa.
“Amico… sono andato a vedere. Non si può suonare forte con quella batteria, è…”
Dorian si fermò e lo fronteggiò, stringendo i pugni e mostrandogliene uno.
“Parla ancora di quella batteria e ti ci mando seduto subito sopra, hai capito, coglione?! TU non saprai suonare senza due tom, ma il mio batterista sì!! Perciò levati dalle palle o giuro su Dio che alla prossima parola non dovrai farti tanti piercing falsi per fare il punk, visto ti aprirò io un buco!! Dove?! Mah, vogliamo provare?!”
Il punk batté in ritirata, mentre il resto del gruppo si guardò, a bocca aperta.
 
Eddie non era per niente certo di poter suonare forte su quella batteria, ma stette zitto, e preferì accusare Justin con gli occhi, che gli si avvicinò, mordendosi la mano per non farsi sentire.
“Eddie…”
“Che c’è? L’hai creato tu, questo casino!”, sibilò il rosso, di rimando, stando attento a non farsi vedere o sentire dalla furia bionda.
Justin alzò un attimo gli occhi a guardare Dorian che si chinava a controllare ennesimamente la sua pedalboard, e sospirò, con l’aria di voler piangere, scuotendo la testa.
 
“Eddie… ho creato un mostro.”
 
***
(20.55)
 
“Justin, porta la tua chitarra sul palco.”
“Ma se hai detto…”
“SEI SORDO?! PORTA LA TUA SCHIFOSA CHITARRA SUL PALCO!!”
**
Alla fine dell’esibizione infuocata, in cui il biondo li trascinò avanti fino a fare prendere a tutti loro il suo livello, spingendo letteralmente Justin a furia di spallate sull’estremo bordo del palco a coinvolgere la folla, Dorian lasciò Phoenix a fischiare feedback lancinanti contro un amplificatore, e, presa la chitarra di Justin, la sfasciò contro un amplificatore di riserva, con una rabbia ed una violenza inaudita.
E con immenso stupore dei suoi compagni, quando lasciò il manico dei resti dell’Eko di Justin in un costoso Marshall ed abbandonò il palco con Phoenix, senza staccare cavi ma solo il suo jack, lasciando un inferno di fischi e feedback furiosi, si fermò a mollare un grosso respiro, alla fine della scaletta di uscita, e voltarsi a guardarli.
 
Le mani gli tremavano, la bocca anche, ma riuscì ad aprirsi in un sorriso, trattenuto per tutto il pomeriggio.
 
“È da quando vidi il video dei Nirvana a Reading che volevo farlo…cazzo, l’abbiamo fatto!!”,e abbracciò Shane, che era completamente a bocca aperta.
 
Justin scosse la testa.
“Ora speriamo che questa follia sia finita. Eddie, quando daranno i risultati di…”
“Abbiamo vinto.”
 
Dorian si era sciolto dall’improbabile abbraccio con Shane ancora irrigidito come una statua, e lo fissò, come a sfidarlo, poi si avvicinò a lui, guardandolo sempre negli occhi.
“Hai dei dubbi, Justin?”
“Dorian! Cristo certo che ho dei…”
 
Lo schiaffo fu inaspettato per tutti, e fece fare letteralmente un sobbalzo ad Eddie e Shane, per non parlare dell’espressione stupita di Justin, che incredibilmente si portò la mano alla guancia che non veniva colpita per la prima volta, ma mai da un Dorian così furioso, ma non riuscì neppure a parlare.
Non a Dorian.
Non in quel momento.
 
TI HO DETTO CHE ABBIAMO VINTO!”, e si avvicinò, mentre Justin tentò di allontanarsi di un paio di passi da quegli occhi verdi lampeggianti, mai così pericolosi. “Tienilo a mente, specialmente tu!  Ho rinunciato atutto per questo contest. Non farmene pentire.”, sibilò il biondo, prendendolo per il colletto e tirandolo vicino, arricciando le labbra, come un animale in procinto di attaccare, e poi, in un movimento fulmineo, lo tirò talmente vicino da sussurrargli qualcosa all’orecchio, che fece annuire, mestamente, l’amico.
“Se non dovessimo vincere me la pagherai molto cara, Justin. Non penserai che la mia pazienza sia infinita, per caso…”, gli aveva sussurrato, con un tono che non lasciava spazio ad alcuna speranza.
Le parole di Dorian furono una pietra tombale sui residui della loro vecchia amicizia e l’inaugurazione della nuova; quella dove ogni arma non era risparmiata.
 
Lasciò l’amico e guardò gli altri, un po’ più calmo.
 
“Andiamo a farci una birra e calmarci. Fuori di qui.”
 
**
 
Vinsero.



 

N.d.A:

Era logico che vincessero, vi pare?
Sono qui per scusarmi e 'spiegare' i capitoli precedenti: intanto, l'ultimo era talmente scritto in fretta e male che non intendevo neanche pubblicarlo, cosa che poi purtroppo ho fatto senza betaggio PURE (qualcuna voleva usarmi come bersaglio per i coltelli come al circo). Poi vorrei chiarire, sen on l'ho già fatto (visto sono troppo pigra per andare a guardare se l'ho già fatto) che questi sono capitoli 'originali'. Nel senso che, al tempo che fu, vi sono stati dei buchi nella trama, vuoi perchè non li sapessi (e ancora non so, come è dimostrato) scrivere, vuoi per tempo o per urgenza di scrivere qualcos'altro... E vi sto rimediando ora, ma con molto meno tempo a disposizione, perciò ne nascono anche schifezze inenarrabili come il precedente capitolo, che prometto solennemente di riscrivere. Re-infilarsi nello studio e nella testa di 16 anni fa non è nè facile nè agevole, ve lo dico io. 
Qua vediamo che Dorian-bello è un po' cambiato. Giusto un po'. Ci sarà qualcosa o qualcuno che lo turba? E chi? EVERYTHING YOU KNOW IS WRONG (non direi queste cose se non fossi certa che molti di voi ormai hanno intuito i collegamenti umani col soprannaturale)

   
 
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