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Autore: sempervera    17/04/2013    0 recensioni
La bambina sorridendo contenta si voltò per indicare allo zio la colonnina dove aveva parlato con il ragazzo.
In quel momento un’ombra scivolò dolcemente oltre il parapetto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5. La Prima Notte




Era stato quando lo aveva visto dormire su quel letto d’ospedale, mentre lui respirava a fatica ed ogni respiro sembrava quasi una sofferenza. Sembrava sereno, con gli occhi chiusi, ma era così debole, così distrutto che quegli occhi chiusi la inquietavano, come se fossero stati l’evidente prova del rischio che avrebbe potuto non riaprirli più. E poi era così pallido, quasi un cadavere. Quasi un’ora prima si era mosso, niente di che, un piccolo sussulto e poi era ripiombato immediatamente in un profondo stato di immobilità.
Era stato in quel momento che Isa aveva preso la sua decisione. Chi diavolo fosse quel ragazzo lei non lo sapeva, quello che sapeva era che non gliene importava nulla. Non meritava di restare solo in quel letto e lei non ce lo avrebbe lasciato.
Aveva detto a suo zio di portare a casa Giulia, l’aveva salutata e poi si era seduta accanto al letto del ragazzo, in una di quelle scomodissime sedie che qualche mente sadica ha pensato di infilare in ogni stanza d’ospedale. Aveva preso una delle sue mani fresche tra le sue molto più calde e aveva appoggiato la testa sulle lenzuola. Il respiro affannoso, ma regolare, del ragazzo la rilassava e allo stesso tempo le riempiva la testa di dubbi, domande e interrogativi. La sua mente era impegnata nella ricerca di un perché, nel tentativo di dare un senso a quello che il ragazzo aveva fatto. Si chiedeva chi lui fosse, quale fosse il suo nome, da dove venisse e perché mai avesse deciso di farla finita.
Non riuscendo a darsi una risposta rialzò la testa e l’appoggiò ad un gomito, pensando a Giulia, a cui avevano dovuto mentire, dicendole che il ragazzo stava bene, quando in realtà di sicuro si sapeva ben poco. Isa sapeva benissimo che la sorella era a casa, nel suo letto, con Ares steso a fianco, a riposare serena proprio perché convinta che il ragazzo stesse bene.
Pensando a sua sorella le era venuto in mente l’ennesimo quesito: da quello che Giulia le aveva raccontato, il ragazzo le aveva parlato, era stato gentile con lei e l’aveva fatta tornare verso la macchina prima di fare qualsiasi cosa.
Aveva fatto in modo che Giulia non vedesse, era stato gentile. Una volta ancora Isa non poté esimersi dal domandarsi: ma allora perché?
Perché diamine un ragazzo che ha deciso di togliersi la vita, che ha deciso che non c’è più motivo di stare al mondo, perché un ragazzo del genere ha deciso di essere gentile nei confronti di una bambina che non aveva mai visto prima?
Proprio mentre cercava, inutilmente, una risposta a tutte queste domande lui si mosse. Non si svegliò, non fece un suono, ma si mosse. Un sussulto. E allora Isa si ricordò perché quella notte aveva voluto rimanere lì: lui era da solo. Lei non era lì per sapere chi lui fosse o perché avesse deciso di lasciarsi cadere dentro l’acqua gelida.
Era lì per lui. Perché lui non fosse solo. Così chiuse gli occhi, gli strinse la mano lievemente più forte e appoggiando nuovamente il capo sulle lenzuola, lentamente si addormentò.



Era sveglio. Lo sentiva. Sentiva il brusio di una qualche macchina elettrica, quel tipo di brusio che siamo tutti abituati a sentire, che sia quello di una lavatrice in funzione al piano di sotto, dell’aria condizionata o di una lavapiatti che lentamente completa il suo ciclo. Nel suo caso era una macchina che rilevava il suo battito cardiaco, regolare e cadenzato. Cazzo, questo voleva dire che era ancora vivo, che non ce l’aveva fatto. Ma cosa diavolo era successo?
Voleva capire ma le sue palpebre, già così pesanti al risveglio che non le aveva nemmeno aperte, ora si erano fatte assolutamente impossibili da sostenere. Sentiva che il sonno lo stava chiamando e decise che non gli importava di capire. Stava bene lì, era silenzioso, caldo e sicuro. Per la prima volta dopo tantissimo tempo sentiva una sensazione di pace e serenità che credeva impossibile poter sperimentare di nuovo.
Sì, poteva restare lì, poteva restare lì ancora per un po’.

Se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo.
Fabrizio De Andrè,  La Città Vecchia

  
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