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Autore: _Lalli    19/04/2013    4 recensioni
Arya Dröttningu, ambasciatrice degli elfi, protegge l'unico uovo di drago in possesso alla resistenza; Durza lo Spettro attende da anni l'occasione di impossessarsene e finalmente pare esserci riuscito, ma l'elfa riesce a rovinare miseramente i suoi piani. Allo Spettro non rimane che un'unica soluzione: torturare la sua prigioniera senza pietà, fino a che non confessi il luogo in cui l'uovo è stato trasportato.
Ma se, durante la prigionia, qualcosa di inaspettato fosse accaduto ad Arya? Qualcosa di cui nessuno, a parte lei e Durza, è a conoscenza?
Costretta ad un viaggio avventato e ad un'improbabile alleanza, Arya scoprirà lati insospettabili del suo nemico e si lancerà in una ricerca che getterà i semi del suo destino. Coinvolta in segreti incredibili, finirà per svelare alcuni dei molti misteri che ancora oscurano la bellissima terra di Alagaësia.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arya, Durza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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7. Carsaib

Quando riaprii gli occhi il mio sguardo era annebbiato e sentivo gli occhi gonfi.
Il mio corpo era un qualcosa quasi staccato dalla mia coscienza, estraneo alla mia volontà. Non riuscivo a dare alcun ordine di movimento nemmeno alle gambe, ero totalmente irrigidita.
E in effetti avevo freddo. Ero stretta convulsamente alla coperta di lana ma riuscivo a vedere la neve che cadeva fuori e sentivo il gelo penetrare dalla finestra come mille aghi che mi pungevano la pelle.
Dovevo alzarmi e allontanarmi dall’apertura.
Ma ne valeva veramente la pena?
In quegli ultimi mesi non mi ero mai resa conto di quanto la mia vita fosse pericolosamente in bilico. Mi ero limitata a stringere i denti e a concentrarmi su tutto fuorché la mia condizione. Avevo indirizzato ogni mio singolo pensiero all’uovo, al drago, al cavaliere, al futuro di Alagaësia, come avevo sempre fatto nella mia vita. E tutto quello senza rendermi mai conto che quasi sicuramente io non avrei mai fatto parte di quel futuro. La mia condizione mi impose di essere egoista, per una volta, ed ebbi paura.
Fu in quel momento che capii con orrore di stare morendo. Un velo di lacrime appannò ancora di più la mia già confusa vista.
Anni di sacrifici e sofferenze e me ne sarei andata così. Sola, abbandonata a me stessa, strappata alla vita da una stupida e banalissima febbre che non potevo curare.
Non sentii Durza entrare, lo vidi quando era già chino su di me, ma non riuscivo a distinguere bene i suoi lineamenti. L’unica cosa che riuscii a percepire fu il rosso dei suoi capelli. E il suo odore di menta, ovvio.
Conobbi d’un tratto una strana leggerezza. Almeno non ero più sola, non volevo andarmene da sola.
Cercai di muovere le labbra in quella che sicuramente sarebbe stata una supplica, ma mi sentivo la gola arida e la voce impastata.
Poi d’improvviso qualcosa di fresco si posò con sicurezza sulla pelle sudata e bollente di febbre della mia fronte.
Mi diede un sollievo immediato, anche se non diminuì il freddo che sentivo addosso. Capii che era la mano di Durza. In un attimo di lucidità, sentii le parole dello Spettro riecheggiare quasi dolorosamente nella mia testa, mentre la sua mano mi sfiorava con leggerezza il viso.
«Sei una stupida, Elfa» gracchiò. E nella sua voce percepii il panico.
Poi la mano si scostò, e fu di nuovo il buio.
Disperata, smarrita, al limite della sopportazione fisica, afflosciai il capo sul legno del giaciglio.
E mi abbandonai alla morte.

Un silenzio pacifico mi avvolgeva in maniera totale ed ero al caldo, finalmente. Il mio corpo non bruciava più per la febbre, non mi era più difficile respirare.
Ero morta?
Beh se era così bello morire, avrei dovuto farlo prima.
Ma fui presto smentita. Sentivo dolore in ogni parte del corpo, ed era così presente da dover essere vero per forza.
Cercai di aprire gli occhi, ma c’era troppa luce, non ci riuscii.
Crollai in un sonno nero e privo di qualsiasi percezione.

Il cigolio di una porta che si apriva, il fruscio di passi leggeri, il respiro di un’altra persona in piedi accanto a me.
«Ebbene?» domandò una voce.
Il suono mi giunse lontanissimo, come se venisse da un’altra dimensione.
Una mano piccola, morbida e calda, si posò sul mio viso e lo sfiorò delicatamente, per poi ritrarsi.
Un’altra voce, probabilmente del proprietario della mano si librò nell’aria. Era dolce, soave, incredibilmente argentina e musicale.
Ma le parole che pronunciò mi turbarono.
«Complimenti, mio signore. Hai tra le mani nientemeno che la.. » un sottile fischio di approvazione precedette il resto della frase «la principessa degli Elfi, Arya di Ellesméra, figlia della regina Islanzadi e del re..»
«Puoi andare».
Una voce incolore e fredda. Durza.
I passi leggeri frusciarono nuovamente via.
Il respiro calmo accanto a me persisteva.
Volevo alzarmi, ma la stanchezza ebbe la meglio su tutto e piombai nuovamente nell’oblio, cullata da quel suono ripetitivo e regolare.
Non avrei ricordato quella breve conversazione. Se non molto tempo dopo, quando sarebbe stato troppo tardi.

Quando aprii finalmente gli occhi, pensai di stare ancora sognando. La luce rossastra di una candela posata accanto a me ingentiliva le pareti di pietra grigia della stanza sconosciuta in cui mi trovavo.
Lasciai correre pigramente gli occhi intorno a me. Era un ambiente spoglio, arredato con il solo letto in cui ero distesa -un vero letto! Con un vero materasso di paglia- e privo di finestre. Capii di essere ancora nelle prigioni sotterranee perché l’aria sapeva di marcio ed umidità.
A quel punto mi concentrai su me stessa. Ero decisamente viva. Respiravo ed ero piuttosto indolenzita.
Stirai le braccia e le gambe e mi lasciai sfuggire una smorfia. Le croste delle ustioni, dei graffi e delle frustate, tiravano dolorosamente.
Scostai la coperta pesante sotto cui ero accoccolata e mi alzai cautamente in piedi.
Niente febbre, niente tosse, niente mal di gola ed equilibrio stabile. Perfetto. Rispetto alle mie ultime condizioni, ero decisamente in forma. Avevo solo una fame terribile.
Indossavo anche abiti puliti, che non mi appartenevano. Una pesante camicia bianca e troppo grande, che mi raggiungeva quasi le ginocchia, con le maniche arrotolate sui polsi e un paio di pantaloni di lana grigia, da contadino. In compenso ero ancora scalza e c’era una conca rossastra per ogni unghia dei piedi che mancava.
Qualcuno mi doveva anche avere fatto un bagno perché la mia pelle era pulita e i capelli non erano più sudici. Mi strinsi una ciocca tra le mani e la portai alle narici. Muschio. E salvia, forse. Chiunque mi avesse lavato i capelli lo aveva fatto con degli oli profumati.
Ma chi..?
Durza?
Oh. Speravo vivamente di no! Teoricamente avevo ancora una dignità. Sentii le orecchie andarmi in fiamme.
In ogni caso mi aveva guarita. Perché lo aveva fatto?
Dei passi riecheggiarono fuori dalla porta e riconobbi immediatamente la camminata rapida del mio nemico.
Lo Spettro aprì la porta distrattamente, sovrappensiero, e sussultò quando mi vide alzata.
«Oh bentornata tra noi Elfa!» esclamò con aria sorpresa. «Non mi aspettavo di trovarti in piedi».
«Mi hai curata» decretai, con una tale sicurezza che parve un’accusa.
Durza si ricompose e mi gettò un’occhiata vacua. «Te l’ho già detto: morta non mi servi, non ancora».
In condizioni normali mi sarei dovuta inchinare a baciargli le mani per ringraziarlo della sua cortesia. Ma insomma.. non ero propriamente di fronte ad un qualsiasi uomo di quella terra.
Ma la mia buona educazione ebbe comunque un minimo di sopravvento.
«Grazie» dissi coincisa.
Esibì un ghigno. «Non sforzarti di ringraziarmi. Fidati quando ti dico che non l’ho fatto certo perché tenevo alla tua salute».
I suoi denti erano regolari e stava masticando una foglia di menta. Doveva essere un vizio, come quello di Brom di fumare la pipa e quello di Oromis di fissare il vuoto.
Sollevai una ciocca dei miei capelli. «Muschio e salvia?»
Si strinse nelle spalle. «Mi pare meglio di niente».
Lasciai ricadere il braccio e lo fissai arrabbiata ed imbarazzata. «Hai criticato con tanta asprezza Lord Barst per il suo comportamento svergognato e poi ti sei anche permesso di farmi un bagno?»
«Non mi permetterei mai» ribatté lui posandosi la mano sul cuore in un ironico giuramento. «Il bagno te lo ha fatto una mia serva, ma se lo desideri me ne occuperò personalmente da oggi in poi».
Gli tirai un debole pugno sulla spalla e solo in quel momento mi resi conto di quanto le mie forze fossero ancora fiaccate. «Non osare».
«Come preferisci» si chinò fino a sfiorarmi l’orecchio con la bocca, «Principessa».
Sobbalzai. E Durza rise.
Come..? Ricordai all’improvviso quello che mi aveva detto quando mi aveva rivelato di sapere cos’era lo Yawë.
Sappi che verrò a sapere tutto prima o poi, che tu collabori o meno. Ho i miei mezzi.
Deglutii. A quanto pareva ci stava riuscendo perfettamente.
Lo Spettro mi girò intorno con calma inquietante. «Principessa Arya dunque? E guardiana della pietra.. E ambasciatrice, anche. Notevole. La vostra specie è stupida al punto di mandare i reali in missioni pericolose quale la tua, oppure siete veramente a corto di guerrieri capaci?»
Non risposi alla provocazione e rimasi immobile.
Ma mentre mi era alle spalle, sentivo una morsa di inquietudine serrarmi lo stomaco. Non sapevo cosa aspettarmi da lui. Mi aveva guarita, ma mi aveva anche fatto capire che il suo non era stato un gesto di pietà.
Si fermò accanto a me. «Potrei chiedere un riscatto per una merce di tale valore, che dici?»
Con le labbra serrate per la rabbia mi voltai nella sua direzione. «Credi davvero che gli Elfi siano disposti a cedere qualcosa per riavermi indietro?» sibilai. «Ti sbagli di grosso».
L’espressione di Durza si accigliò e si indurì. «Non farmi ridere, sei la loro principessa».
«Ti ho già detto di non pretendere di conoscermi, Spettro. Io ricopro tutti questi ruoli perché così ho voluto. E non dare per scontato che il mio popolo sia così debole da cedere ad un ricatto. Gli Elfi sono pronti a sacrificare senza esitazione se stessi e gli altri per il bene superiore. E in questo momento il bene superiore è liberare Alagaësia dal dominio del tuo re assassino».
«Quello lo avevo capito. Ma la solidarietà che avete tra di voi è scarsina».
Alzai il mento. «Lo scopo finale è più importante della mia vita».
Mi afferrò una mano. «Quindi mi stai suggerendo di tenerti con me ancora qualche mese».
Lo guardai sospettosa mentre osservava la mia mano con interesse. «Se non avessi voluto tenermi qui mi avresti lasciata morire» osservai.
«Forse». Accarezzò il dorso della mia mano.
La ritrassi rapidamente. Durza alzò gli occhi sui miei e vi lessi uno strano turbamento.
«Mi hai costretto, Elfa. Non mi lasci altra scelta».
«Cosa?» soffiai confusa.
Mi afferrò gli avambracci e chiuse gli occhi. Un istante dopo la mia mente subiva un attacco talmente violento che non riuscii a fare nient’altro se non concentrare tutte le mie energie per difendermi e ritirarmi in me stessa.
L’assalto non aveva un fronte solo, ma veniva da almeno quattro punti e la sua forza circondava la mia coscienza in maniera totale.
Controllai rapidamente tutte le mie barriere e svuotai la mente. La situazione rimase di stallo così a lungo che le gambe cominciarono a tremarmi, così come tremavano le labbra sottili e crudeli dello Spettro.
Dovevo trovare un modo per distrarlo e liberarmi dal suo assalto. Qualsiasi cosa.
Finii per afflosciarmi a terra e l’idea fu talmente azzardata che funzionò. Durza fece un’espressione sorpresa mentre gli cadevo inerte tra le braccia e una piccola breccia si aprì nella sua mente. Ne approfittai e lo assalii.
Lo Spettro urlò e battito di cuore dopo un fiume di immagini e ricordi non miei si riversò nella mia mente.
Carsaib si era allontanato parecchio dal suo maestro, lo sapeva. Ma lui si divertiva così e Haeg lo lasciava fare perché sapeva di poterlo ritrovare con facilità e perché sapeva che ogni tanto aveva bisogno di stare da solo per non impazzire dal dolore per il ricordo della sua famiglia massacrata. Ma ormai erano passati tanti anni e il ragazzo aveva imparato a convivere con la sofferenza.
In quel momento avvistò lo stesso Haeg, l’uomo che lo aveva preso con sé come se fosse un figlio, che si stava avvicinando tra la distesa di sabbia e arbusti, ridendo come un matto.
«Carsaib!» gridò. «Aspettami ragazzo!»
Ma lui non aveva intenzione di muoversi di un pollice e aveva già posato le bisacce a terra. Gli sorrise, malandrino. «Ho trovato una sorgente! Ma se non ti sbrighi si prosciugherà!»
Senza abbandonare il sorriso si voltò in direzione dello specchio d’acqua. Una folata di vento gli scostò il cappuccio del mantello dal viso e lui intravide nell’acqua il riflesso di un giovane uomo alto, dal viso ovale, gli occhi castani così brillanti da sembrare fatti di luce pura e una cascata di capelli scarlatti lunghi fino alle spalle.
Guardò con attenzione e capì di essere lui stesso. Era da tempo che non guardava la sua immagine. Erano cambiate molte cose da quando sua madre possedeva ancora uno specchio d’argento.. Il ricordo gli procurò una lancinante fitta di dolore al petto.
«NO!»
L’urlo che mi trapassò dolorosamente le orecchie era reale.
Misi a fuoco il viso di Durza e non cercai nemmeno di trattenere lo stupore quando riconobbi i tratti del ragazzo che avevo visto un istante prima. La pelle era decisamente molto più pallida e le iridi rossicce, i capelli tagliati corti, la mascella più pronunciata e i lineamenti più maturi. Ma per il resto..
Lo Spettro stava sudando copiosamente e aveva gli occhi fuori dalle orbite mentre cercava di riprendere il controllo della sua mente.
Il controllo della sua mente. Che avevo avuto io.
Mi lanciai nuovamente all’attacco. Era la mia occasione. Era la mia prima, unica occasione da mesi. Ma non riuscii a respingere l’ennesima ondata di immagini
Carsaib era distrutto. Fisicamente e spiritualmente. Il suo maestro, il suo secondo ed ultimo padre era morto. Anche Haeg era sparito tra le ombre, anche lui lo aveva abbandonato. Era solo.
Le gambe gli tremavano per lo sforzo di contrastare la tempesta di sabbia che si stava scatenando da quelle che sembravano ore. Aveva un braccio ripiegato sugli occhi per proteggerli e tuttavia nemmeno quello riusciva a frenare le lacrime che gli stavano inondando le guance, inumidendo le labbra aride e spaccate.
Inciampò e cadde. Gridò quando una pietra gli urtò le costole, mozzandogli il respiro.
Rimase disteso a terra, senza le forze necessarie per rialzarsi.
Haeg era morto perché lui non era stato abbastanza forte da difenderlo. Era rimasto con il suo maestro per degli anni, eppure non era riuscito a diventare abbastanza potente per riuscire a fermare i predoni che li avevano assaltati. E Haeg era corso incontro alla sua morte per salvarlo. Un’ennesima volta.
Uno straziante grido di rabbia e sofferenza scivolò tra le sue labbra.
Lo avrebbe vendicato, sì. Avrebbe chiesto aiuto agli Spiriti più potenti che conoscesse. Conosceva i rischi, li conosceva benissimo, ma non gliene importava più nulla.
Comportarsi in maniera irreprensibile non era servito a salvare il suo maestro e neppure la sua famiglia.
Si sarebbe spontaneamente consegnato alle ombre se quello gli avesse permesso di mettere fine al dolore dilaniante che sentiva dentro. E sapeva che l’immagine di Haeg sanguinante non l’avrebbe mai abbandonato se non lo avesse vendicato.
Si alzò in piedi con nuova determinazione. Se la vendetta era la soluzione, era pronto a diventare qualsiasi cosa pur di realizzarla. Anche uno Spettro.
«ELFA ESCI DALLA MIA TESTA!» sbraitò Durza.
Con una rapidissima azione mi respinse, riunendo la sua mente alle altre tre e ricostruì le sue barriere. Boccheggiai per l’improvvisa violenza e indietreggiai fino a cadere a sedere sul materasso. Mi afferrai la testa cercando disperatamente di mettere ordine tra i miei pensieri e i ricordi dello Spettro.
Uno schiaffo fortissimo mi rivoltò il viso dall’altra parte. Prima che avessi il tempo di reagire Durza mi afferrò per la gola e mi sollevò da terra.
«Brutta sgualdrina!» imprecò ansimando, le iridi da gatto a scavarmi la coscienza. Non mancai però di notare che i suoi occhi erano lucidi e folli, ardenti di una rabbia che raramente gli avevo visto.
Gli artigliai le mani che mi serravano il collo scalciando con i piedi.
Non riuscivo a respirare.
Lo Spettro parve finalmente rendersi conto che se avesse continuato in quella maniera mi avrebbe uccisa e allentò la presa, permettendomi di poggiare i piedi a terra. Tossii.
Un altro schiaffo mi raggiunse in viso. «Non farlo mai più!» sputò.
«Hai.. hai cominciato tu» balbettai, cercando di riprendermi.
«Non prenderti gioco di me, Principessina».
«Durza lasciami» ordinai, riuscendo persino ad apparire calma.
Con evidente riluttanza, lo fece. Poi si volse in direzione della porta. «Dimentica» disse solo.
Mi massaggiai il collo. «Chi era quell’uomo?»
Mi fulminò con un’occhiataccia stizzita. Va bene, me l’ero cercata. «Mi sembra di averti detto di dimenticare».
Presa da un improvviso assalto di spavalderia, spinsi il mento in fuori. «Costringimi».
Lo Spettro si precipitò nella mia direzione ringhiando rabbiosamente. «Ho tutti i mezzi che mi servono per farlo».
«Finora non ti è andata molto bene, no?»
Evidentemente avevo trovato Durza in un momento di debolezza. E la tentazione di approfittarne per fare a lui anche solo un millesimo di tutto il male che avevo subito io era troppo allettante.
«È dunque questa la grandezza degli Elfi? Tu non sai niente» scandì, «eppure ti permetti di giudicare».
Alzai il mento. «So di te più di quanto tu sappia di me».
Rise, una risata aspra che non gli si trasmise agli occhi. «E da quali fonti di grazia?»
«Ajihad» dissi semplicemente.
La reazione dello Spettro fu spropositata. Il pallore cadaverico del suo viso assunse un minimo di colore, un nervo del collo si tese pericolosamente e un paio di capillari uscirono in rilievo sulla sua fronte.
«Non nominare il suo nome di fronte a me».
«Deve essere difficile accettare di esserti lasciato fuggire un umano, un umano che è anche riuscito a rovinarti l’arma».
«Non credere che mi irriti così tanto il graffietto sulla mia spada. Quello è stato frutto di un incantesimo bastardo, perché nessun materiale al mondo potrebbe scalfire la mia lama. E ti posso assicurare che non è stato lui a farlo. Se non fosse intervenuta.. una persona in suo aiuto, non ce l’avrebbe mai fatta a sfuggirmi». Scosse rabbiosamente la testa. «Ma quell’uomo.. merita la morte più di quanto la meriti io». Distolse lo sguardo e ispirò profondamente, cercando di recuperare un minimo di controllo.
«Faresti meglio a tacere» lo informai freddamente. «Ajihad sta combattendo per la libertà da decenni, e lo fa egregiamente. Difende i deboli e gli oppressi dal tuo re con un’energia non indifferente. È il miglior capo che i Varden potessero desiderare e non puoi nemmeno osare a paragonare la tua vita alla sua».
«I Varden seguono un assassino» disse. La sua rabbia era sfumata in qualcos’altro. Un dolore ed un rimpianto antichi e profondi come solo il mare poteva essere.
Scacciai il turbamento che mi sovvenne in seguito alle sue parole. Stava mentendo sicuramente, probabilmente stava solo cercando di screditare Ajihad ai miei occhi. E io sapevo benissimo di chi fidarmi dovendo scegliere tra lui e il capo dei Varden.
Durza mi guardò con serietà. «Anche tu credi alle favole che ti racconta? Sei ingenua, piccola Elfa. Ma del resto è sempre così, solo coloro che non temono di mostrare gli orrori di cui ci siamo macchiati vengono additati come male, mentre chi li cela riesce a nascondersi dietro una maschera e mischiarsi al gregge, come un lupo tra gli agnelli».
«La tua è invidia» decretai, recuperando parte della mia freddezza.
Il sorriso diabolico che gli deformò le labbra parve una conferma. «Dovrei punirti in maniera diversa» disse lentamente, afferrandomi per le spalle e facendomi indietreggiare fino a che la mia schiena non venne in contatto con la parete di pietra gelida della stanza.
Presi a dibattermi, ma Durza mi bloccò, appiccicandosi a me al punto che sentii addosso ogni pollice del suo corpo granitico, i suoi capelli sul viso, le sue gambe mischiate alle mie.
Il respiro mi si mozzò in gola. Restai a fissare il suo volto niveo, atterrita, senza capire bene cosa volesse fare. I suoi occhi avevano di nuovo quella strana luce, di odio, di dolore, di rabbia e di follia.
Chinò lievemente il capo di lato. Sentii il suo fiato freddo accarezzarmi il collo.
Un tremito involontario mi salì tra le vertebre e mi squassò le membra.
«Togliti» ordinai, con la voce strozzata per la paura.
Durza rise piano. «Quando imparerai a rispettarmi, forse».
Soffiò delicatamente sulla mia pelle, facendomi venire i brividi.
«Finiscila» protestai cercando uno spazio tra di noi per poter puntellare le mani su di lui e allontanarlo da me, «mi fai freddo».
Mi afferrò le mani e me le bloccò lungo i fianchi. «Ah, dunque hai freddo..»
A quel punto furono le sue labbra a toccare la mia pelle.
Rimasi immobile e rigida come un pezzo di legno mentre Durza chiudeva la bocca sulla mia gola, con forza. Un bacio caldo, poi un altro, un altro e un altro. Scese fino alla clavicola.
«D-Durza smettila» lo ripresi flebilmente, sconvolta dal suo comportamento, perdendo ogni ferreo autocontrollo sull’espressione del mio viso, che rifletté i miei sentimenti.
Ed era così vicino che sentii il suo petto scuotersi alla risata crudele che gli arrivò alle labbra.
Sollevò la testa e si staccò lievemente da me, giusto lo spazio necessario per portare il viso all’altezza del mio. I nostri nasi quasi si toccavano.
Sgranai gli occhi. «Hai finito?» chiesi con voce stridula.
«No» fu la secca risposta, accompagnata da un’espressione maligna.
Mi divincolai nervosamente. «Non vorrai ridurti ad approfittarti di me Spettro..»
Voleva essere un’osservazione ironica, ma mi resi conto di temere che quella possibilità non fosse poi così assurda. Avrebbe benissimo potuto farlo, non ero in grado di contrastarlo, anche se dopo l’episodio con Barst mi ero sentita al sicuro sotto quel punto di vista.
«Non sono ridotto male a tal punto» mi informò scrutandomi il viso e sollevando le sopracciglia quasi con stupore. Cercai di recuperare il mio contegno e la mia maschera di impassibilità, ma quella svanì non appena Durza tornò a respirare sul mio collo.
Mi morse, tanto che sobbalzai sentendo i suoi denti appuntiti graffiarmi appena, ma poi prese a succhiare delicatamente la mia pelle. Poi con forza sempre maggiore.
Ero indignata, inorridita, schifata. Ma non potei fare nulla per impedirgli di fare ciò che voleva.
Quando lo Spettro si staccò da me e mi lasciò andare, riuscii finalmente a respirare in maniera più tranquilla. Con qualche spanna di distanza tra di noi, mi sentivo più padrona della mia situazione.
«Perché?» chiesi sfiorandomi il punto in cui mi aveva toccata.
«Per punirti» ringhiò. «Hai ragione tu, le torture su di te non funzionano come dovrebbero. Ma questo..» rise gelidamente, disegnando un piccolo cerchio sulla mia gola «..forse questo ti resterà più impresso»
Mi voltò bruscamente le spalle e sbatté la porta.
«Domani si balla bellezza» sussurrò dolcemente, dallo spioncino.
Era la minaccia più spaventosa che mi avessero mai rivolto ed ebbe il potere di rievocare in un solo istante una serie infinita di immagini e sensazioni spiacevoli.
Poi mi ricordai che lo Spettro mi aveva baciato il collo. Con una smorfia schifata mi diressi al catino e mi affrettai a gettarmi dell’acqua gelida sulla pelle.
Nella penombra della mia cella impiegai diversi istanti prima di notare una macchia appena più scura all’altezza della gola.
Solo in quell’istante capii in maniera totale cosa aveva voluto dire lo Spettro.
Sulla giugulare, nonostante la mia pelle scura, spiccava un livido violetto, risultato dei suoi baci non richiesti.
Marchiata.
Era una delle cose più umilianti che avessi mai subito in vita mia. O per lo meno rientrava tra le prime dieci. Molte, guarda a caso, dovute a Durza.
Colpii rabbiosamente l’acqua, cancellando la mia immagine.

  
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