Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: NowKissMe YouFool    19/04/2013    50 recensioni
Os Fairytales!AU.
Louis/Harry.
Partecipa allo Shuffle Fest organizzato dal #THEGAYS.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
"Non vuole che Harry lo ami perchè vede in lui un mostro dall'animo buono, tradito dalla vita e terrorizzato dal mondo. Non vuole perchè lui sa di non essere così. E' sempre stato un mostro, anche prima di indossare quella maschera e quei guanti. E vuole che Harry lo capisca, perchè troppo spesso, l'apparenza non inganna affatto. Troppo spesso, ciò che appare marcio ed insanabile fuori, lo è anche dentro."
Genere: Angst, Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Beauty.

Salve a tutti, miei prodi, è Arianna che vi parla.
Sono qui in veste ufficiale per presentarvi il motivo per cui non ho ancora aggiornato la mia cara "A kind of brothers?" (perdonatemi please!) e cioè questa enorme, gigantesca, inutilissima os. Vi avviso fin da subito che sono trenta pagine di sclero completo con l'AU più assurdo che mi potesse capitare, scelto al buio per lo Shuffle Fest organizzato dai geni del #THEGAYS .
Non ho un buon rapporto con le fiabe, lo ammetto, non perché non mi piacciano, ma perché sicuramente non so scriverle. (Il fluff non è il mio forte ah).
Perciò ho scelto la fiaba più angst e scontata di questo mondo, ficcandoci anche un po' di atmosfere dark perché sì, e scrivendo al presente perché, alla fine, tanto valeva che lo sperimentassi.
Per fortuna il pairing è quello dei miei amati Larry, quindi l'ispirazione non mi è mancata.
La canzoncina che ho ficcato lì in mezzo è "Boudelaire" di Rykarda Parasol, che mi ispirava perché in quel momento ero triste.
Spero vi divertiate a leggere come io mi sono divertita a scrivere e magari sarò così fortunata da leggere presto qualche recensione. Sempre che riusciate ad arrivare alla fine di questa storia, è davvero abnorme cavolo!
Un grazie speciale alla mia Y che mi ha sostenuto in questa follia.
Un ringraziamento allo staff del #thegays per aver portato avanti questa splendida iniziativa.
Mi scuso in anticipo per errori e ripetizioni varie, non ho avuto molto tempo per correggere.
Un bacio a tutti e buona lettura.



-Arianna.










Beauty.






Harry Styles è un ragazzo strano.
E' arrivato in paese circa quattro anni fa, con quei suoi occhi da cerbiatto, le fossette sulle guance e l'accento del Cheshire tra le labbra.
E' arrivato con la sua famiglia e, a dirla tutta, anche quella è un po' strana.
La madre è molto bella, forse anche troppo per i gusti delle compaesane inviperite. Esce di casa cantando, ride troppo rumorosamente, bacia tutti sulle guance quando li incontra per strada. Senza dubbio, il figlio ha preso da lei. E' dannatamente bello, canta sempre e il suo sorriso riesce a zittire per un attimo anche i commenti delle vecchie comari assiepate sul ciglio della strada.
Il padre ha tirato su una piccola biblioteca, perciò molti pensano che sia tremendamente ingenuo o forse pazzo, perché solo in quel caso avrebbe potuto credere che quello fosse un buon modo per far soldi, in un paese del genere. Gli uomini del luogo storcono il naso, vedendolo, e poi borbottano sottovoce.
"La gente di città non resiste a lungo, qui da noi." Dice Emilè il fornaio, di tanto in tanto. "Ma non li vedete? Sono troppo sofisticati, troppo diversi, troppo..."
"Inglesi?" conclude sua moglie Carole, quasi con disgusto.
"Giusto, inglesi! Gli do massimo un anno e poi fuggiranno dalla Francia a gambe levate."

Ma, contro ogni previsione, gli Styles sono ancora qui. E vanno avanti, non si sa come.
La libreria è sempre vuota. Ad aggirarsi tra gli scaffali polverosi c'è solo Harry. Ha letto tutti i libri che suo padre si è portato dietro almeno un centinaio di volte. E forse, li avrebbe letti anche un milione di volte, se non avesse conosciuto Zayn.
Harry è un ragazzo strano, non c'è dubbio. La mentalità gretta ed arcaica di quel paesello fuori dal mondo non può trovare altro modo per definirlo.
Ma adesso, si dice anche che Harry sia un cattivo ragazzo.
Perché è diventato il miglior amico di Zayn Malik.

Ed è proprio lui che corre attraverso la piazza, in questo momento, i capelli scurissimi scompigliati dal vento, un sorriso ammiccante sulle labbra.
"Styles! Vecchio topo da biblioteca, datti una mossa!"
Harry alza gli occhi dal libro che tiene in grembo. "Per andare dove esattamente?"
Il moretto si china su di lui. "E' venerdì, Harry. Sai dove andiamo il venerdì."
Il riccio alza gli occhi al cielo, sospira appena. "Speravo di ricevere un'altra risposta, almeno per un venerdì..."
Non ha nemmeno il tempo di concludere la frase che Zayn lo trascina in piedi. Harry infila il libro in borsa e lo segue, gli sguardi insipidi dei presenti li accompagnano finché non spariscono dalla loro visuale.
Zayn ficca le mani nella sua casacca, appena girato l'angolo. "Ce li hai i soldi?"
"Si, certo."
"Perfetto" sogghigna, "perché io non ne ho."

Zayn Malik, in fondo in fondo, non è un cattivo ragazzo.
E' rimasto orfano a sei anni e, semplicemente, ha imparato che la vita è meglio godersela, finché si è in tempo. Come un ubriaco, perennemente sull'orlo del collasso, si sforza di bere fino all'ultima goccia di quell'ottimo liquore che ha nella sua bottiglia, così Zayn cerca di stillare alla sua esistenza tutti i limiti e le costrizioni, assapora ogni attimo come fosse l'ultimo, vive alla grande e non se ne vergogna.
Per questo gioca d'azzardo alla locanda ogni venerdì sera, pur non avendo un soldo.
Per questo si infila nelle mutandine di una ragazza diversa, ogni notte.
Per questo Harry lo ammira.
Lui è l'opposto di Zayn. Dei suoi diciotto anni di vita può ben dire di non averne vissuto davvero neanche uno. Ha girato il mondo, al seguito di suo padre, eppure non lo conosce. Ha incontrato tanta gente nel suo lungo peregrinare, ma non ci ha mai messo molto a dimenticarla.
Harry vive nei suoi libri, nelle atmosfere sospese e misteriose di terre lontane, nella mente oscura e complessa dei personaggi, tra le pagine sgualcite dei suoi sogni ad occhi aperti. La vita reale non lo ha mai affascinato tanto come un buon libro. E nessuno fin'ora si è mai preoccupato di strappare quel libro, afferrare lui dai capelli e costringerlo ad camminare in strade vere, in mezzo agente vera, in un modo vero.
Nessuno, a parte Zayn Malik. Lui gli ha aperto gli occhi, gli ha fatto capire che non deve accontentarsi di leggere le imprese che altri hanno compiuto per essere felice, ma che lui può crearsi un'avventura propria, ed esserne il vero protagonista. Harry è grato a Zayn per questo e forse sta iniziando anche a volergli bene, ma teme che, non appena suo padre deciderà di ripartire, non ci metterà molto a dimenticare anche lui. Il problema con le persone è questo: non possono rimanere per sempre su uno scaffale, ad impolverarsi come i libri.

"Se mio padre scopre che ti ho prestato altri soldi..." sussurra Harry, mentre l'amico apre la porta e l'odore caldo ed inebriante della locanda li avvolge.
"Non lo scoprirà" Zayn si infila uno stecchino in bocca, fa l'occhiolino alla barista. "Stasera vincerò così tanto che sarà lui a dovermi chiedere un prestito, la prossima volta."
Poi insieme raggiungono il tavolo in fondo, dove i compagni di bisca li aspettano.
Zayn si da' delle arie. E' ottimista, come sempre, e per dimostrarlo, offre un giro di birre a tutti -con i soldi di Harry-.
Non sa che, tra meno di un'ora, avrà perso così tanto da essere costretto a giocarsi persino lo stuzzicadenti che tiene tra le labbra.





"Questa è la cosa più folle che io abbia mai fatto in tutta mia vita" ripete Harry, schiacciandosi il più possibile contro il muro.
Zayn sbuffa. "Ci credo, fin'ora hai passato il tempo solo a sistemare libri in ordine alfabetico."
Harry sta per ribattere, ma un rumore lo mette all'erta. Entrambi rizzano le orecchie come gatti, guardano in fondo al vicolo buio e tortuoso appena percorso.
"Meglio se ci muoviamo" sussurra il più grande, prima di iniziare a forzare la finestra di casa Smith.
Arthur Smith è quello che in paese chiamano "il barone". Non che lo sia davvero, ma è l'unico ad avere abbastanza grana da potersi permettere quell'appellativo. E certamente solo un pazzo come Zayn Malik può pensare di riuscire ad intrufolarsi in casa sua, sgraffignare un po' del ben di Dio che il vecchio tiene in cassaforte e poi consegnarlo ad Antonie, il ragazzo a cui deve quasi cento franchi. Quei franchi che è stato Harry a prestargli.
"Allora? Ce l'hai fatta?" 
"Non è facile come giocare a carte, Styles!"
Il riccio sbuffa, lo spinge di lato, spazientito. "Tu non sai far bene neanche quello" sbotta, prima di aprire la finestra con uno scatto secco.
Il rumore del legno rimbomba orrendamente nella notte buia.
I due hanno meno di un secondo per guardarsi in faccia, terrorizzati, prima di decidere il da farsi.
"Oh al diavolo!" Zayn entra nella casa, si muove lentamente nel salotto.
Harry lo segue dopo un attimo, facendo scivolare le gambe lunghe oltre il bordo della finestra.
Sa che dovrebbe essere spaventato, che dovrebbe avercela a morte con Zayn. Ma l'adrenalina che sente scorrere nelle vene gli impedisce di pensarci. In quel momento, è esattamente come uno dei suoi eroi immaginari. Sta vivendo la sua avventura e vuole farlo fino in fondo.
"Dove diavolo tiene la grana quel vecchio bastardo?" il sibilo di Zayn si ode appena. Il ragazzo sta rivoltando cassetti e stipetti come se fosse a casa sua.
Harry lo imita, tentando di non far scricchiolare le assi del pavimento mentre si muove impacciato fra i mobili.
Meno di un minuto dopo, ha in mano un sacchetto pieno di monete.
"Tadan" esulta, sbatacchiandolo di fronte al viso ammirato dell'amico.
Ha appena il tempo di infilarselo in tasca, che la luce di una lampada ad olio, come un fuoco fatuo, scivola lentamente lungo le scale e il vecchio Smith gli si presenta davanti.



"Corri!" Zayn lo afferra dalla camicia per spronarlo. "Corri più veloce!"
Il riccio scaccia la sua mano, annaspa un "Ci sto provando!" e spera che le sue gambe non decidano di abbandonarlo troppo presto.
Sente il vociare alle loro spalle aumentare e si arrischia guardare indietro.
Ci sono tre o quattro uomini con il vecchio Smith. Alcuni sorreggono le torce. Altri, i fucili.
"Io direi..." ansima, sforzandosi di raggiungere l'amico, "che è meglio rinunciare al quel sacchetto,"
"Forse sì. Ma lo farò quando saremo lontani dalle canne dei fucili."
Zayn si ferma un attimo. Sono ormai al limitare del paese. Di fronte a loro si estende, calma e silenziosa, la campagna. A destra, serpeggiante giù per le pendici della montagna, c'è il bosco.
Con sommo orrore di Harry, Zayn decide di optare per la seconda opzione.
"Il bosco di notte? Sul serio?"
"Non ci troveranno mai, lì dentro."
"O magari ci ritroveranno, ma fatti a pezzi da un lupo." sibila Harry, prima che i passi alle loro spalle ricordino ad entrambi che non hanno più tempo per pensare.
Si gettano a capofitto tra le sterpaglie del sottobosco. Harry inizia ad essere stanco. L'aria nei polmoni brucia come fuoco, le gambe cedono ad ogni spinta, i piedi inciampano, incerti, ad ogni passo.
"Finirò ammazzato stasera" sputa. "E tu mia avrai sulla coscienza!"
Sente la risata folle di Zayn scomparire nel buio, prima che l'amico venga inghiottito dall'aggrovigliato intrico di rami della foresta.
E' un attimo e poi non lo vede più.
"Zayn?" continua a correre, cerca di seguirlo, ma il fruscio dei suoi stessi piedi sulle foglie è troppo forte. "Zayn!"
Senza rendersene conto, rallenta. Il bosco gli appare d'improvviso più cupo e spettrale che mai. I raggi della luna illuminano a sprazzi il terreno umido e scivoloso, come lame di un coltello troppo affilato.
Il buio, la solitudine, il silenzio. Tutto questo è decisamente troppo reale per Harry Styles. E sa che nessun libro riuscirebbe mai ad avvolgerlo nella cappa di oscuro terrore in cui si trova intrappolato adesso.
Così "Zayn!" non può far a meno di chiamare di nuovo, e si accorge di avere urlato solo quando i bagliori del fuoco delle torce illuminano gli alberi alle sue spalle, scivolando sulle cortecce come lava bollente.
Non sa che fare allora, ma d'istinto rimette in moto le gambe, l'eccitazione e la paura a frizzare violente nel suo petto, l'adrenalina a fargli esplodere le vene, la testa sempre più pesante.
Harry Styles corre, incurante dei rovi che gli graffiano i polpacci, delle radici che gli arpionano le caviglie.
Corre alla cieca e più di una volta rischia di finire schiacciato contro un tronco, o con un ramo conficcato dritto nel petto.
Corre e non nota nemmeno che mano a mano il bosco si fa meno fitto, gli alberi più radi, il terreno meno scosceso.
Si accorge del muro di mattoni solo quando va sbatterci contro.
Finisce a terra, nella polvere, il fiato mozzato e la testa a girare vorticosamente. Quando riesce di nuovo ad articolare bene le mani, si tasta la fronte. Il dolore è lancinante, lo costringe a sdraiarsi a terra. Si guarda le dita e non si stupisce nel trovarle macchiate di sangue. Sospira, tentando di non svenire, si stende meglio tra le foglie secche e allora si rende conto di cos'ha davanti.
Il muro è alto almeno tre metri, massiccio, impenetrabile, si distende come le spire di un serpente, per quelli che gli sembrano centinaia di metri. E per quanto sia frastornato, riesce a capire che quello a pochi passi da lui è un cancello: le sbarre nere, sottili come dita di spettri, puntano al cielo della notte senza di stelle.
Harry rabbrividisce e non sa se sia per il vento gelido che soffia da nord, o per ciò che quello stesso vento porta alle sue orecchie. Un frusciare crepitante e sconnesso di passi.
Allora si acquatta sul terreno a pancia sotto, spera che i rovi secchi bastino a nasconderlo e osserva.
Quando vede il fioco bagliore apparire nell'oscurità, è tentato di scappare, ma è consapevole di non esserne in grado. Aspetta che Smith e i suoi compari si riversino sul sottile sentiero, ma una sola figura avanza tra le tenebre. E non si tratta di uno dei suoi inseguitori.
Il corpo è troppo minuto, le gambe troppo magre, i passi troppo leggeri.
Harry riesce a distinguere poco, alla luce della lanterna che lo sconosciuto tende di fronte a sé. Il modo in cui si muove, con scatti repentini, il cappuccio a nascondere il volto, il mantello a frusciargli attorno come sospeso, spaventano Harry.
Alla luce fioca della luna, fatica a credere che quell'essere sia umano. E quando ne ode la voce, esile e raschiata, se ne convince completamente.

We have beds
And couches on which to lie.
Flowers surround us
Under the finest sky.

La dolce e sospesa melodia di quelle note stride con il fievole ringhio che va a crearne l'armonia.
Harry sente i capelli rizzarsi sulla nuca, le membra intorpidirsi, il sudore asciugarsi addosso, freddo come ghiaccio. Non sa cosa gli stia succedendo, ma è sicuro di non voler  ascoltare quel suono immondo ancora una volta.
Per questo, fa la cosa più stupida che un ragazzo solo, sfinito, di notte, persosi nel bosco, potrebbe mai fare, in presenza di un'inquietante qualcosa di fronte a sé.
Abbandona il suo nascondiglio e si alza. Arretrando lentamente, per addentrarsi nel fitto della boscaglia, pensa di avercela fatta. Sta già assaporando il gusto inebriante e confortevole della salvezza, quando la figura incappucciata si volta.
Ed Harry ne è sicuro, anche se non può vederlo in faccia. Quel qualcosa lo sta fissando.
Allora, manda al diavolo ogni ripensamento e, anche se i muscoli delle gambe protestano e la testa gli gira, ricomincia a correre.
Peccato che, appena voltate le spalle a quell'ombra scura, capisce di aver fatto l'ennesimo errore di quella notte. Adesso che non può vedere la creatura, la paura gli si aggroviglia nel petto come un rampicante. Sa che lo sta seguendo, sente il frusciare del mantello sempre più vicino.
E non ha neanche il tempo di realizzarlo che una mano gelida, esageratamente forte, gli artiglia il collo.
"Fossi in te, eviterei di muovermi adesso."
Il sussurro raschiato gli sfiora l'orecchio ed Harry non può far a meno di urlare, perché capisce di non essersi sbagliato: quella voce non ha niente di umano.
Urla, per quanto glielo permettano quelle mani strette attorno al collo.
Urla finché i polmoni non prendono fuoco, la gola si infiamma, gli occhi si riempiono di lacrime.
Urla, prima che un colpo alla testa lo faccia piombare a terra, privo di sensi.



________




Quando Harry si sveglia, attorno è così buio che per un attimo teme di esser diventato cieco. Si tasta affannosamente gli occhi, chiude e riapre le palpebre, ma ciò che vede non cambia. Un'ostentata, impenetrabile oscurità lo circonda, così compatta e vellutata che crede addirittura di poterla toccare.
Tende le mani tremanti in avanti e no, non le vede. Allora, le poggia sul pavimento freddo su cui è steso. Il contatto con la pietra dura ed umida lo fa rabbrividire, ma almeno è sicuro di essere in un luogo reale. Si volta di scatto, a destra e a sinistra, cerca di cogliere oltre quella coltre nera un particolare che possa in qualche modo rassicurarlo. Ma la testa gli gira, è pesantissima. Tutto il corpo gli duole, le ossa schioccano come legno, quando tenta di muoversi.
E' in ginocchio adesso, sta seguendo con le dita le crepe sul muro di pietra che si ritrova alle spalle, il raschiare del suo stesso respiro lo spaventa, ma sta così male che per un attimo la paura passa in secondo piano.
Quando si rende conto che le sue mani sono arrivate a toccare qualcosa di diverso dalla pietra -legno forse?-, un clangore improvviso lo fa sobbalzare.
E adesso la sente, la paura, chiara e definita, a dilaniargli il petto e a bloccargli il fiato il gola. Lo squarcio di un ricordo si staglia nitido nella sua memoria: il bosco, la creatura avvolta dal mantello, quella voce...
Si alza e l'improvvisa incalzante sensazione di non essere solo lì dentro lo convince a spalmarsi contro quella che spera sia una dannata porta.
"Ehi! C'è nessuno?"
Quello che nelle sue intenzione sarebbe dovuto essere un grido si rivela poco più di un sussurro. Frustrato, si porta le mani alla gola, accorgendosi solo in quel momento di quanto orrendamente bruci. Ma non smette di aggrapparsi disperato a quella porta, vi poggia sopra l'orecchio e lo sente di nuovo. Un clangore metallico, di chiavi o catene. Dei passi concitati che rimbombano giù per le scale.

"Non è una buona idea, Niall!"
L'ha sentita, può giurare di averla sentita! Un voce! E' non come quella nel bosco. Questa è umana.
"Lo so. Ma non intenzione di lasciarlo lì dentro a morire."
Anche la seconda voce è normale, colorita da un marcato accento irlandese.
"Al padrone non piacerà..."
I passi si avvicinano, Harry decide che è meglio restare in silenzio, si rannicchia di nuovo a terra, come un animale.
"Liam, al padrone non piace mai niente."
I passi cessano e poi, senza preavviso, una luce accecante lo investe, costringendolo a rintanare il viso tra le braccia.
"Ooh" il sussurro che lo richiama è dolce, appena un po' inquieto. "Sei sveglio?"
"Forse sarebbe meglio chiedere sei vivo?"
"Niall smettila!"
Le voci sono quelle di due ragazzi, provengono dal rettangolo di luce che si delinea lentamente sulla retina di Harry. E' una grata minuscola, con uno sportellino all'esterno, nella parte superiore della porta massiccia.
"Chi siete?" riesce ad articolare.
"Perfetto, è vivo!" esulta uno, l'atro sbuffa e "Io sono Liam" poi si presenta. "Ho pensato che avessi fame e..."
"Veramente io l'ho pensato." lo interrompe l'altro, contrariato.
Ma Harry non ha tempo per i loro battibecchi. Si alza di nuovo, infila le dita tra le sbarre della grata e "Dove mi trovo?" chiede, affannato.
"In una cella, mi pare ovvio!"
"Niall, vuoi finirla?"
Harry sente del buono in quelle voci, spera ingenuamente di poterli convincere ad aiutarlo così "Fatemi uscire" implora.
Gli occhi castani che intravede dall'altra parte sembrano sinceramente dispiaciuti quando Liam risponde. "Non possiamo. Non dipende da noi, mi spiace."
"E da chi dipende?" ansima il riccio, le unghie affondate nel legno marcio, il cuore in gola. "Chi è il padrone?"
Percepisce che l'atmosfera al di là della porta è diversa ora, tesa come una corda d'arco. Non riceve alcuna risposta, ma attraverso una gattaiola ai suoi piedi, qualcuno spinge dentro un piatto con formaggio e pane raffermo.
"Ti conviene mangiare."
E' l'irlandese a parlare, prima che i passi dei due riprendano  a rimbombare nelle scale.
"Perché mi tenete chiuso qui?" Harry grida, nonostante il dolore lancinante alla gola. "Perché non posso tornare a casa?"
E' Liam a rispondere, serio ed incolore. "Perché tu...l'hai visto."





"Non resisterà ancora a lungo" Niall avanza nella camera buia, nonostante gli tremino le gambe. "Sono quasi due settimane che non vede la luce del sole!"
La figura in poltrona rimane immobile, eccetto che per la mano guantata con cui si porta un calice di vino alle labbra.
"Le persone non sono piante, Niall. La luce del sole non le tiene in vita."
Il biondino china il capo, si fissa i piedi. "Se non lo lasciate uscire, morirà."
"Che muoia, allora" il ringhio irritato sembra far fremere le tenui fiammelle delle candele. "Non posso rimandarlo a casa e lo sai."
"Ma potrebbe vivere qui con noi, io e Liam lo terremmo d'occhio..."
Un suono gutturale, forse una risata, invade la camera.
"Provi pena per lui, Niall?"
"Sì, così come la provo per me stesso. E come la proverei per voi, padrone, se il ragazzo morisse. Sarebbe un vero peccato e so che voi, in fondo, non volete che accada."
Ha rischiato, pronunciando quelle parole, ma non gli importa. Ha promesso ad Harry che l'avrebbe fatto uscire di lì e lui mantiene sempre le promesse.
Il padrone si alza, getta il calice a terra con un movimento fluido e "Portami da lui" ordina. "Voglio parlargli."




In effetti, Niall ha fatto bene i conti.
Harry è rinchiuso in quella cella da dodici giorni, anche se a lui sembrano passati anni. Il tempo scorre lento e piatto, il silenzio è il suo unico compagno e al buio ormai si è abituato. Non riesce a contare i giorni o le ore. Nella cella non ci sono finestre, il giorno e la notte si fondono tra quelle gelide mura e i pensieri gli si affollano in testa come un'orda inferocita.
Pensa a sua madre, a quanto starà piangendo in quel momento.
Pensa a suo padre, che forse lo sta cercando da solo, nel bosco.
Pensa alla sua libreria, più vuota che mai.
Gli sfugge qualche lacrima a volte, per quanto sia così debole ed emaciato da non aver più la forza nemmeno di piangere ormai. L'unico rimedio a quell'ammasso confuso e tormentato di pensieri è il sonno.
Harry cerca di dormire il più possibile. Dorme per ore, forse per giorni interi. Quando è sveglio, spera che Niall venga a trovarlo. A volte, quando gli porta la scodella con pane e formaggio, parlano. E' sicuro di aver trovato il lui un alleato, per quanto l'unica cosa che abbia mai visto siano i suoi occhi: azzurri, vivi, ma velati di tristezza, frustrati da una libertà che gli viene negata da troppo tempo. Esattamente come quelli di Harry.
Quando Niall non c'è, viene Liam. Lui è dolce, meno affabile e più spaventato. Harry prova pena per lui, quasi quanto ne prova per se stesso.
Ma, esclusi quei minimi ed infimi contatti umani, Harry è perennemente solo. Per questo a volte canta, girovagando per la cella, passandosi le dita tra i capelli sudici di sangue rappreso e terriccio.
E sta cantando anche nel momento in cui sente il consueto rumore di chiavistelli, seguito da quello di passi sulle scale.
Si ammutolisce, resta in ascolto. Di solito riesce a distinguere i suoi carcerieri dal modo in cui camminano. Stavolta no.
Per questo "Niall?" si azzarda chiedere, affacciandosi alla graticola, che ormai è sempre aperta. "Niall, allora gliel'hai chiesto?"
Harry spera in una risposta positiva. Il biondo gli aveva promesso che avrebbe parlato col padrone, che avrebbe tentato di convincerlo a farlo uscire da lì.
E in effetti, è una risposta positiva quella che riceve, ma chi la pronuncia, non è affatto Niall.
"Sì, me l'ha chiesto."
Harry riconosce il sibilo graffiato udito nel bosco e rabbrividisce.
"Ma non credo che assecondare quell'insulso irlandese sia una buona idea."
La voce è più vicina, adesso
Il riccio si ritrae istintivamente dalla grata, scivola seduto a terra contro la porta.
"I-io non so neanche perché sono qui" balbetta. "Non so in che diavolo di posto mi trovo, né chi tu sia...ma non hai il diritto di tenermi qui."
"Non ho il diritto. Ma ne ho la necessità."
"Che vorrebbe dire?"
"Vuol dire che non posso permettere..." la voce è terribilmente vicina adesso, ad Harry sembra di percepire il fiato della creatura sul collo, "che tu vada  a raccontare in giro del nostro incontro nel bosco."
"Quindi, intendi lasciarmi marcire qui dentro per precauzione?"
L'aguzzino ridacchia al tono mortalmente ironico del ragazzo. "Forse sì. A meno che tu non prometta di non provare a scappare dal palazzo, una volta che ti avrò fatto uscire."
"Posso prometterti" rischia Harry, "che non dirò niente a nessuno, se mi lascerai tornare a casa."
Quando l'altro risponde, ogni traccia di ilarità è sparita dalla sua voce.
"Non sei nella posizione di negoziare" sputa subdolamente. "Adesso, promettimelo, o dovrò  tenerti chiuso qui finché non ti deciderai a tirare le cuoia."
Harry sospira, si afferra la testa tra le mani, combattuto e spaventato come un animale in trappola.
"Lo prometto" sussurra alla fine, mentre lacrime gli rigano le guance.
"Confido che sia una promessa sincera" ringhia il padrone, dall'altra parte. "Altrimenti, sarò costretto ad ucciderti"
Harry non ha nemmeno il tempo di assimilare quelle parole, che la porta alle sue spalle si apre con uno scatto.
Sente passi veloci che svaniscono su per le scale e poi finalmente ha il coraggio di alzarsi e spingersi contro la porta, che si spalanca cigolando.

Quando Harry vede Niall e Liam per la prima volta rimane un po' spiazzato. Sono diversi da come li immaginava; non avrebbe mai associato la voce calda e rassicurante di Liam al profilo così deciso della mascella, ai capelli cortissimi, al fisico impostato e a tratti aggressivo. Così come non pensava che al carattere allegro ed esuberante di Niall potesse corrispondere un corpicino minuto, dalle spalle curve e dal viso innocente, da bambino, con le guance perennemente arrossate.
I due lo guidano su per le scale ed Harry capisce di essere stato sotto terra per tutto quel tempo. Percorrono tanti, troppi corridoi, stretti e lunghissimi, attraversano porte, salgono e scendono scale. Harry non si sofferma ad osservare nulla. Cammina ad occhi socchiusi, deve ancora abituarsi alla luce. Avanza lentamente, a volte Liam lo aiuta e gli impedisce di finire a terra.
Dopo chilometri di corridoi, arrivano in una stanzetta minuscola. Ci sono una vasca, uno specchio e dei vestiti puliti.
"Fa come se fossi a casa tua" sussurra Liam, prima di lasciarlo solo.
Il bagno caldo da' ad Harry l'impressione di rinascere. L'acqua si mischia alle sue lacrime, lava via, insieme al sangue e al sudiciume, anche i ricordi di quell'orrida prigionia.
Rimane nella vasca finché la pelle non inizia a raggrinzirsi. Poi indossa i vestiti non suoi, piegati sulla sedia, ed esce.
Quella sera, seduto attorno ad un rozzo tavolo di legno con Liam e Niall, gli sembra di vivere un sogno. Cenano in silenzio, si godono il calore fumoso della cucina, mentre fuori inizia a nevicare.
"Una casa così deve avere una sala da pranzo enorme" se ne esce il riccio, all'improvviso.
"Ne ha più di una, in realtà. Ma io e Niall preferiamo mangiare in cucina, dato che siamo solo in due."
"E il padrone?"
"Il padrone non cena mai con noi."
Harry rigira il cucchiaio nel suo piatto. "Tiene prigionieri anche voi?"
Un attimo di silenzio e poi "In un certo senso" sussurra Niall.
"E non avete mai provato a scappare?" una forza nuova anima la voce di Harry, qualcosa di simile alla speranza "Siamo tre contro uno adesso, non dovrebbe essere difficile."
"Noi non vogliamo scappare!" Liam sbatte una mano sul tavolo con forza. "Eravamo qui prima che gli accadesse e abbiamo promesso di restare, di aiutarlo..."
Gli occhi di Harry luccicano. "Prima che accadesse cosa?"
Cala di nuovo il silenzio in cucina ed  è di nuovo Niall a romperlo, con un mezzo sorrisetto sulle labbra. "Tu non l'hai ancora visto in faccia, vero Harry?"
Quello scuote la testa, impaurito dalla domanda di cui non afferra il senso, aspettando che uno dei due inizi a spiegargli qualcosa.
Invece Liam si alza da tavola e "E' complicato" si limita a sussurrare. "Se posso darti un consiglio, Harry, smettila di fare domande. Ed inizia ad abituarti a vivere qui, perché dovrai rimanerci per sempre."
Harry non sopporta la cupa rassegnazione di quelle parole, quel suo tono arrendevole e fiacco.
"Zayn verrà a cercarmi prima o poi" mormora a mo' di sfida, "lui mi riporterà a casa."
Niall scoppia a ridere, gli da una pacca sulla spalla. "Spera che non ti trovi, allora. Altrimenti, rimarrà imprigionato qui come tutti noi."







Louis si sveglia tardi, come ogni mattina, e il suo primo pensiero, non appena apre gli occhi, è per il ragazzo del bosco. In realtà, da due settimane a questa parte, ogni suo pensiero è rivolto a lui e adesso che se lo ritrova a scorrazzare per il palazzo, teme che la sua possa trasformarsi in un'ossessione.
Louis ha paura di quel ragazzo, forse più di quanta Harry ne abbia di lui.
E' l'unico essere umano con cui abbia mai parlato, eccetto Niall e Liam, da quando è successo. E' il solo che fin'ora sia riuscito a trovare il palazzo, l'unico ad aver avuto la sfortuna di incontrarlo nel bosco.
Per certi versi, Louis vorrebbe davvero ucciderlo: non lo conosce, ma sa che per lui rappresenta un pericolo. Farlo fuori sarebbe la scelta più saggia.
Ma non può. E non perché non sia in grado di uccidere: l'ha già fatto in passato, tante di quelle volte che non lo ricorda nemmeno. E' solo che la consapevolezza di essere lui stesso la causa di ciò che sta accadendo, gli impedisce di punire il ragazzo. Se è riuscito a vederlo è solo colpa sua e del suo dannato vizio di andarsene in giro per il bosco di notte. E neanche un mostro ripugnante come Louis sarebbe capace di far pagare qualcun altro per un suo errore.
Striscia giù dal letto senza nemmeno accorgersene, afferra le pesanti tende di velluto e le scaccia con uno sbuffo.
Odia la luce, ma le giornate invernali ne hanno così poca che non gli dispiace appollaiarsi in veranda, a contemplare l'immenso giardino.
La nevicata della notte ha impolverato di bianco il prato trascurato, le siepi deformi, il muro di cinta, che si staglia sull'orizzonte grigiastro come un'orrida montagna.
Louis inspira l'aria fredda e pungente, si tira su il cappuccio, perché senza si sente vulnerabilr. E poi la sente.
E' la voce del ragazzo. Sta intonando la stessa melodia triste che lo ha sentito sussurrare nella sua cella. Parla di strade percorse e grandi città, di campi di grano ormai secchi, di fiori sbiaditi e pagine ingiallite. Parla di una vita che non è stata mai vissuta, di una nostalgia che non ha senso di esistere, perché non è che il mero ricordo di ciò che sarebbe potuto essere e non è mai stato.
Louis si affaccia oltre il parapetto. Il ragazzo del bosco è seduto sul muretto che delimita la fontana cadente, in giardino. Tiene gli occhi chiusi mentre canta, muove la testa a ritmo, sfiora con le dita l'acqua gelida e putrida. Le ombre giocano tra i capelli riccissimi, sul viso di porcellana scavato dalla sofferenza, sulle labbra piene, aride e secche come il pane che è stato costretto a mangiare in quei giorni.
Poi, all'improvviso, apre gli occhi. E' un'esplosione di verde così forte e lucente che Louis ne rimane abbagliato anche a quella distanza. Si ritira precipitosamente nella stanza, sperando di non essere stato visto, un strano brivido a corrergli lungo la schiena, un vuoto allo stomaco che non sa definire. Quasi istintivamente, balza in fondo alla stanza e siede di fronte al suo pianoforte. Sta pensando che Niall aveva ragione. Sarebbe stato un peccato, un abominio, se un ragazzo così bello forse morto.
E pochi minuti dopo, senza nemmeno accorgersene, sta suonando col suo pianoforte le stesse note che la voce, calda e profonda, di quella creatura perfetta, aveva intonato poco prima.





Harry è sicuro di quello che ha visto. Un'ombra lo osservava, acquattata sul balcone più alto, prima che aprisse gli occhi. Ed anche se è svanita nel nulla, l'inquietudine che gli striscia addosso, facendogli tremare le gambe, lo segue finché non rientra in casa. E, mischiata ad una sottile e perversa curiosità, continua a tormentarlo anche nei giorni successivi.
Non ha molto c'è molto da fare nel palazzo. Liam e Niall non si preoccupano di dargli un aspetto quanto meno decente, si curano solo della cucina e degli alloggi della servitù, quelli in cui tutti e tre vivono. Il padrone non vuole che mettano piede nelle sue stanze, neanche per pulirle. Il giardino è abbandonato a se stesso, punteggiato d'erbacce, invaso da parassiti di ogni tipo. Sul muro di cinta e sulle pareti del palazzo l'edera si dirama come un'intricata rete di ragnatele.
Perciò Harry passa le giornate a girovagare per i corridoi. Ammira gli arazzi sfilacciati, appesi lungo le pareti, e osserva le sculture impolverate, le armature arrugginite e cigolanti, i lampadari decrepiti, a sorreggere mozziconi di candele spente chissà da quanto. Le porte del primo piano sono tutte chiuse a chiave. Al piano terra ci sono sale immense, troppo buie e silenziose perché abbia il coraggio di avventurarvisi da solo.
Al secondo piano non può andarci. Liam è stato categorico su questo e in effetti Harry non gli da tutti i torti. Al padrone non piace essere disturbato. Eppure, quando guarda l'elegante scalinata che lo separa dal quel luogo proibito, Harry non può fare a meno di esserne attratto. C'è qualcosa di infimo e affascinante che lo porta a fermarsi, con il piede sul primo gradino, le dita sul corrimano, gli occhi fissi sul ballatoio sovrastante, immerso nell'oscurità. Quel desidero ambiguo e grottesco è frenato solo dall'istinto di conservazione. Ma è sicuro che un giorno quello spirito verrà meno e lui salirà quelle scale. Non ha intenzione di dirlo a Liam, naturalmente. Ma forse a Niall sì. Nelle due settimane passate fuori dalla cella può dire di aver capito un paio di cose.
Primo: Liam è il capo. Il padrone parla solo ed esclusivamente con lui e il suo compito è quello di assicurarsi che tutto vada esattamente come lui desidera. E' un capo rigido ma non severo, poco loquace, a tratti dolce. Per la maggior parte del tempo, è triste.
Secondo: Niall è pazzo. Per la metà del tempo è esuberante, vivace, dannatamente impertinente. Per l'altra metà è taciturno, indisponente, irritabile e velenoso come un serpente a sonagli. Harry non sa cosa scatti nel suo cervello, cosa riesca a far convivere due personalità così diverse, entrambe estremamente inadatte alla situazione in cui si trovano. Quando è felice, lo è decisamente troppo. Quando è giù, manca poco che decida di chiudersi a chiave in una stanza e appiccare il fuoco al suo letto, lasciando che le fiamme divorino lui e la prigione in cui è costretto a vivere. Harry crede che un giorno finirà per farlo davvero e gli dispiace. In fondo Niall, quando ha le sue giornate sì, è il suo preferito.
Grazie a loro, Harry ha scoperto anche po' di dettagli interessanti quanto inutili.
Il maniaco che li tiene rinchiusi lì si chiama Tomlinson. Esce della sue stanze solo di notte. Porta sempre mantello e guanti neri, ed Harry non deve mai, per alcun motivo, guardarlo in viso. O almeno, così ha detto Liam.
Rispettare questo divieto non si rivela un problema. Esclusa la fugace apparizione sul balcone, Harry non ha mai il piacere -o il dispiacere- di incontrare il padrone di casa. A volte gli riesce difficile credere persino che esista. E' forse è questa falsa, quanto autodistruttiva sensazione, che lo porta a capire la cosa più importante di tutte, alla fine di quelle due settimane.
Non può vivere lì per sempre.
Deve scappare.





Non ha programmato niente. Non ha studiato la situazione, non ha preso nessuna precauzione. Eppure quella notte si alza dal letto, già vestito, si infila le scarpe ed esce silenziosamente dalla porticina di servizio degli alloggi per la servitù.
Ha paura, ma è risoluto. Sa che se lascia trascorrere troppo tempo, non avrà più il coraggio di provare, o anche solo di pensare alla fuga. Attraversa affannosamente il giardino innevato, fa di tutto per non guardare il palazzo, che incombe come una nera fortezza alle sue spalle. Lungo il limitare nord del giardino, incorniciata dall'edera e incastrata nel muro di cinta, c'è una porta. Di giorno, non ha mai osato avvicinarsi. Perciò è inquieto quando la raggiunge: non sa se si aprirà.
E, ovviamente, quando afferra la maniglia tonda e arrugginita, si accorge che è chiusa a chiave.
"Dannazione!"
Tira fuori dalla tasca un uncinetto di ferro, ringrazia Dio che Zayn Malik gli abbia insegnato ad usarlo e si china sulla vecchia serratura. Ci lavora un po' su, con il vento che diventa sempre più gelido e i primi fiocchi di neve che iniziano a danzargli attorno. Dopo quelli che gli sembrano secoli, la serratura scatta e la porta si apre.
In meno di due minuti è immerso nell'ombra spettrale del bosco. Non conosce quella zona, non ha idea di dove si trovi, ma confida che prima o poi incontrerà un sentiero. Si infila le mani sotto i vestiti, per difendersi dal freddo, ed avanza goffamente nella neve. La luna splende più del solito stanotte, rischiara i tronchi grigi e le foglie ghiacciate del bosco, lo fa sentire più ottimista. O forse, è la consapevolezza di aver finalmente lasciato quel palazzo a dargli il coraggio di continuare a camminare, anche se la neve cade sempre più fitta e il vento soffia sempre più forte.
Harry pensa che la sua storia, come quella dei beniamini dei suoi romanzi, finirà bene. Pensa che tra poche ore sarà a casa, con sua madre, davanti al fuoco e il mese appena passato non diventerà altro che un ricordo distante e nebuloso.
Si illude. E per questo, non vuole ammettere che qualsiasi sentiero nel bosco è stato ormai irrimediabilmente nascosto dalla neve.
Non vuole ammettere che gli alberi gli appaiono tutti dannatamente uguali, che i piedi iniziano a perdere sensibilità, che la nevicata si sta rapidamente trasformando in una tempesta.
Non vuole ammettere che quelle sul suo viso sono lacrime e non fiocchi di neve. E non ha intenzione di arrendersi, finché ha la forza per respirare.
Ma neanche a quel punto, quando si accascia a terra sul ghiaccio, i piedi congelati, il corpo scosso dai brividi, il respiro condensato in nuvolette fugaci, vuole ammettere di aver fallito.
Mentre chiude gli occhi e si raggomitola sotto un albero, Harry Styles è ancora convinto che presto riuscirà a rivedere sua madre.



_________



Quando si risveglia non ha affatto freddo. Anzi, non riesce a muoversi sotto il pesante strato di coperte che lo sovrasta. E' sudato ed ha i piedi intorpiditi, ma sta decisamente bene. Fin troppo bene.
Per un attimo, crede di avercela fatta, di essere a casa. Lo scoppiettare del fuoco è rassicurante, dannatamente familiare. 
Ma il sogno ad occhi aperti svanisce come fumo non appena si guarda intorno. Le tende viola scuro che circondano il letto, il profumo opprimente, la grandezza di quella stanza, non hanno niente di familiare.
Si solleva a fatica, scostando le coperte e allora "Non muoverti troppo. Sei ancora debole" lo richiama una voce.
Ad Harry salta il cuore in gola. Di fronte al camino, sulla poltrona, c'è una figura ammantata d'ombra.
Il padrone.
Harry non riesce a parlare. Lo guarda mentre si alza e gli si avvicina, veloce e leggero come uno spettro, il viso nascosto dal riverbero del fuoco.
"Come ti chiami?" sussurra.
"Harry."
"Harry" ripete quello, sospirando. "Sei uno sciocco, Harry. Non solo hai ignorato il nostro patto, ma hai deciso di fuggire proprio nel bel mezzo di una tormenta" stringe tra le dita le tende del baldacchino e china il capo. "Devi odiarmi infinitamente, se sei disposto a rischiare la vita pur di scappare da qui"
Harry deglutisce, si fa forza e "Che importanza ha, ormai?" domanda. "Adesso che ho infranto la promessa, sarai tu ad uccidermi."
Louis scuote la testa, come divertito. "In effetti potrei. Ma così, tutta la fatica che ho fatto per salvarti andrebbe perduta."
"Se tu mi avessi lasciato tornare a casa fin dall'inizio, ci saremmo evitati entrambi queste complicazioni." 
A Louis quel tono non piace. L'ultimo che ha osato rivolgersi a lui in quel modo si è ritrovato con un pugnale nel petto, pochi minuti dopo.
"Casa!" ripete, quasi disgustato. "Cos'ha questa casa di tanto speciale? Io ti ho offerto un intero palazzo! Eppure preferiresti morire piuttosto che vivere qui, con me."
"Di un palazzo non me ne faccio niente" Harry parla in tono derisorio, ma sente già che le forze lo abbandonano. "Di te non mi importa nulla! Voglio solo riavere la mia famiglia" quasi urla, ma gli manca il fiato. "I miei libri. La mia vita!"
E poi crolla.
Scoppia in lacrime, ansima sul cuscino, stringe i denti sperando di poter fermare l'afflusso incontrollato di dolore che lo travolge.
Louis lo guarda, immobile. Pensa che così ridotto, con le guance arrossate, gli occhi in tempesta, le mani affondate con rabbia tra le coperte, sia ancora più bello.
Ma la sua voce implorante, quando "Ti prego" singhiozza, lo fa rabbrividire. Distoglie lo sguardo, incapace di controllare il battito forsennato del proprio cuore.
"Ti prego!" grida ancora il ragazzo. "Lasciami libero. Ti giuro che..."
"Hai già giurato una volta" Lou si allontana, va verso la porta. "Ma sappiamo entrambi che non sei un uomo di parola."
"Per favore, farò tutto ciò che vuoi..."
"Io voglio che dimentichi tutto, Harry. La tua famiglia, i tuoi amici, la tua vita. Perché la tua casa adesso è questa."
Il padrone apre la porta e alla luce del corridoio, Harry finalmente la vede.
La maschera è bianca, traslucida, levigata come porcellana. Copre tutta la parte destra del volto di Tomlinson, il limite sottile gli attraversa la fronte spaziosa, percorre il naso minuto, taglia le labbra fini ed inespressive.
Harry non può far a meno di trattenere il fiato. Per un attimo, non si cura più neanche delle lacrime che gli rigano il viso. Vorrebbe fermarlo, dire qualsiasi cosa, per continuare a supplicarlo o forse solo per aver la possibilità di analizzare nei minimi particolari quel viso deforme.
Ma Louis si tira su il cappuccio con uno scatto repentino e chiude la porta.
Dal corridoio, può sentire Harry che ricomincia ad urlare, a piangere, ad imprecare, come se avesse perso il senno.
Quel suono, così simile al mugolio disperato di un animale intrappola, gli stringe il cuore, quasi gli impedisce di respirare. Ma non torna indietro.
Ed Harry urla ancora per molto, rigirandosi tra le coperte, le mani tra i capelli, la gola in fiamme
Urla, finché Liam non entra in stanza con un vassoio.

Allora si nasconde sotto le lenzuola, si asciuga le lacrime e serra le labbra. Non vuole che lui lo veda crollare.
Si rifiuta di parlare ed anche di mangiare, per quanto ne senta il bisogno.
Non chiede niente a Liam, ma quello gli racconta tutto ciò che è successo.
Il padrone l'ha seguito nel bosco, l'ha trovato in mezzo alla neve, svenuto e quasi congelato, l'ha riportato a casa. Non ha permesso né a lui né a Niall di avvicinarsi o aiutarlo. Lui stesso l'ha portato fino al secondo piano, sistemato in una delle sue stanze, ed accudito durante i tre giorni in cui è stato incosciente.
Quando finalmente Liam se ne va, Harry è certo che gli abbia detto tutto perché gli è stato ordinato.
Il padrone vuole che gli sia grato. Vuole conquistare la sua fiducia, la sua amicizia forse, per assicurarsi che non vada via mai più.
Ed Harry si sente debole ed insulso, quando capisce che il suo piano sta funzionando alla perfezione.
Adesso, è in debito con Louis e questo rende mille volte più difficile continuare ad odiarlo.
La mattina dopo, quando trova sul suo comodino una copia sgualcita dei Sonetti di Shakespeare, arriva a pensare che odiarlo sia addirittura impossibile.



Dopo sei giorni, Harry può dirsi finalmente guarito. E' dimagrito ancora, si sente un tantino debole, ma di stare a letto non ne vuole più sapere.
Esce dalla lussuosa camera del secondo piano tenendo tra le braccia vestiti, effetti personali e il libricino che ha finito di leggere quella mattina. Niall giura che non è stato lui a metterlo sul comodino, ed è sicuro che non sia stato neanche Liam.
Harry, purtroppo, non fatica a credergli.
Attraversa il corridoio un po' incerto. Sapeva che prima o poi si sarebbe ritrovato a percorrerlo, ma non in una situazione simile.
A dirla tutta, gli dispiace lasciare la stanza grande, luminosa e calda dove ha passato la sua convalescenza. Sta pensando all'umile lettuccio che lo aspetta al piano terra, quando un cigolio annuncia l'aprirsi di una porta.
"Dove stai andando, Harry?"
Louis lo osserva dal fondo del corridoio, appoggiato allo stipite di una porta così alta da arrivare a sfiorare il soffitto.
"Nella mia camera" risponde il piccolo, come fosse ovvio.
"E' quella la tua camera adesso" lo corregge l'altro, indicando con un cenno del capo la stanza alle spalle del riccio. "E voglio che tu ci rimanga."
E per quanto sia felice di non dover tornare agli alloggi dei servi, Harry pensa che, restando lì, la situazione diventerà insopportabilmente complicata.




"Sei schifosamente fortunato, Harry Styles" Niall affonda la forchetta nella bistecca con forza. "Io non ho mai neanche avuto la fortuna di entrare in quelle camere!"
"Ma smettila!" Harry, con Liam, sta finendo di preparare la cena. "Solo il pensiero di dormire accanto a Louis ti spaventa a morte."
"Louis!" ribatte il biondino, sghignazzando. "Adesso è così che lo chiama, capito Lì?"
Payne annuisce distrattamente, afferra il vassoio d'argento e posiziona con maniacale attenzione i piatti con la cena del padrone.
Harry gli si avvicina con nonchalance
"Vuole controllarmi, per questo mi tiene lì, vero?"
"Non lo so."
"Ho visto la maschera. Perché la porta? Che gli è successo?"
"Non lo so."
"Non ci credo."
Liam sbuffa, fa per prendere il vassoio, ma Harry è più veloce.
Il castano strabuzza gli occhi. "Che stai facendo?"
"Servirò io il padrone stasera" annuncia il riccio, incamminandosi verso la porta.
Sente Niall ululare un: "Hai fegato ragazzo!" mentre Liam lo insegue  e "No!" esclama, deciso. "Non puoi farlo, Harry."
"Non mi farò ammazzare, tranquillo."
"Ma..."
Liam grida qualcos'altro, forse avvertimenti, o magari insulti. Ma Harry non lo ascolta. Deve trovare delle risposte alle sue domande, e l'unico modo per farlo è entrare in quella camera.






Quando sente bussare alla porta, Louis è disteso sul letto, una bottiglia di vino in mano, l'aria gelida della notte a scompigliargli i capelli i grigiastri.
Sta pensando al ragazzo del bosco, a come sia arrossito quella mattina, quando gli ha parlato. A come gli occhi verdi abbiano sostenuto il suo sguardo, senza fremere terrorizzati. E' senza dubbio più bello con le guance arrossate per l'imbarazzo che per il pianto.
Un altro colpo insistente alla porta.
"Vai via Liam, non ho fame."
"Non sono Liam."
Louis odia il modo in cui il cuore gli salta in gola, quando riconosce quella voce. Ed anche se la ragione gli suggerisce quanto sia sbagliato "Entra" ordina.
Harry obbedisce.
Louis può vedere la sorpresa dipingersi sul suo volto, non appena si ritrova nella stanza.
E' grande, assurdamente grande, separata in tre navate da due file di colonne, come una chiesa. Ma per il resto, somiglia più ad un magazzino abbandonato. Il pavimento è disseminato di carte, libri, bottiglie vuote, alcune rotte, tappeti impolverati, bauli chiusi, una marea di mobili, vecchi e inutilizzati.
Al centro, come una montagna su un mare di macerie, c'è il letto. Doveva essere stato bello un tempo, ma le colonne di legno ora sono crepate, ammuffite e le tende di un rosso sbiadito, in più punti strappate.
Harry rabbrividisce e non sa se sia per il tetro spettacolo che ha di fronte, o per il vento gelido di dicembre che entra dalla finestra immensa, completamente spalancata.
"Poggià il vassoio lì."
La voce autoritaria di Louis gli ricorda che non è solo. Lancia un'occhiata discreta al lato sinistro del suo viso, quello che Lou non si vergogna di mostrare, illuminato dalla fiammella tremolante di una candela, mentre adagia il vassoio su un tavolino traballante.
E' un viso elegante, dal profilo affilato, le guance scavate, le labbra di un pallore cadaverico. L'occhio, quello che riesce a vedere, è sottile, azzurrissimo. Harry direbbe che è molto giovane, se non fosse per i capelli di un grigio quasi argenteo.
Louis si sente osservato, vorrebbe cacciarlo, invece si porta la bottiglia alle labbra beve un lungo sorso e "Perché sei qui?" chiede.
 "Per portarti la cena."
"Intendo dire, qual è il vero motivo?"
Harry è di nuovo a disagio. Si tortura le mani e china il capo come un bambino.
"Volevo ringraziarti...per il libro."
"Solo per quello?" Louis inarca un sopracciglio. "Non per averti salvato la vita?"
"Non volevo essere salvato." Il riccio inspira profondamente. "Perché l'hai fatto?"
"Perché se fossi morto, sarebbe stato un peccato" il padrone beve ancora, poi si pulisce le labbra con il dorso della mano. "Un vero peccato."
Non crede che Harry abbia capito il senso di quelle parole, ma il riccio non fa altre domande.
Si avvia verso la porta, invece, evitando abilmente l'ammasso di sudici oggetti raccolti sul pavimento, e nel vederlo andar via, Louis sente il vuoto nel petto tornare.
"Comunque" lo richiama, prima che esca, "puoi prendere tutti i libri che vuoi."
Gli indica col dito la parete destra della stanza. Nascosta dall'ombra, in quella camera grande come una cattedrale, c'è una libreria. Sugli scaffali polverosi, sono ammucchiati in disordine centinaia di libri.
Harry rimane a bocca aperta.
"Io...grazie" balbetta, ma non osa avvicinarsi. Louis sbuffa, si alza, afferra il libricino che tiene sul letto.
"Leggi questo intanto" glielo lancia tra le mani. "Ti piacerà."



Harry finisce il libro in una sola notte.
Legge sorreggendo la candela accanto al viso, finché gli occhi non gli bruciano e il sole non spunta oltre le cime degli alberi.
Legge e quando arriva all'ultima riga sente come un pezzo di sè che va via, una parte di anima che rimane incastrata tra quelle pagine.
Louis aveva ragione. Gli è piaciuto.
Forse è per questo che quella sera si presenta di nuovo alla sua porta, col vassoio in mano e il cuore a mille. E lo fa anche la sera dopo, e quella dopo ancora.
Ogni sera, quando lo vede varcare quella porta, Louis è sempre più compiaciuto.
Non parlano granché, in realtà. Harry si limita a salutarlo, il padrone gli consiglia un nuovo libro e in pochi secondi tutto è finito.
Eppure Louis, dopo appena una settimana, si accorge di essersi affezionato talmente tanto a questa strana abitudine da non poterne più fare a meno. A volte pensa che, se per una volta Harry mancasse al loro appuntamento, lui rischierebbe di impazzire.
Ne ha la conferma una sera di metà Dicembre. Il sole è già calato da un pezzo, lui si è già scolato due bottiglie di vino ed Harry è terribilmente in ritardo.
Louis è tentato di alzarsi e andare a cercarlo. La paura che se ne sia andato, che l'abbia abbandonato di nuovo gli divora il petto, gli marcisce dentro, tramutandosi in rabbia fredda ed irrazionale.
Quando finalmente sente bussare alla porta, non risponde.
Harry entra lo stesso, sudato e trafelato, il vassoio in bilico sulle mani.
"Scusa" è ciò che sussurra spontaneo, senza sapere neanche il perché.
Louis rimane in silenzio. Una parte di lui vorrebbe urlargli contro, ma sa che non ne ha il diritto. L'altra, vorrebbe solo chiedergli di restare.
L'alcool in circolo nel suo corpo lo convince ad assecondare la seconda.
Così "Harry" sussurra, mentre l'altro già sta per andare. "Voglio cenare con te, stasera."



Harry non ha mai bevuto prima.
Zay ha tentato qualche volta di ficcagli un po' di birra in gola, ma con scarsi risultati.
Quella sera, seduto sul balcone con Louis, un bicchiere di vino in mano -l'ennesimo- e il cielo trapuntato di stelle a sovrastarlo, si da dello stupido per non averlo mai accontentato.
Si sente la testa pesante e il cuore infinitamente leggero. Guarda Louis come incantato, mentre quello gli riempie di nuovo il bicchiere.
"Non la togli mai?" chiede, con fare fin troppo impertinente. "La maschera, intendo."
"No."
"Neanche quando dormi?"
"No."
"Wow."
Lo fissa ancora, beve ciò che è rimasto nel suo bicchiere e "Sei davvero strano, sai?" ridacchia, in modo imbarazzante.
Louis annuisce. "Dire strano sarebbe riduttivo."
"Io...io non...non lo dico per la maschera."
"E per cosa, allora?"
"Beh prima dici che vuoi uccidermi. Poi dici che sarebbe un peccato. E mi regali libri e mi fai bere...cos'è, vino?"
Louis ride, non può farne a meno.
Svuota la bottiglia con un lungo sorso e guarda il suo ospita. "Anche tu sei strano, comunque. Chiunque altro avrebbe troppa paura per starmi così vicino."
"A me piace avere paura, Louis" soffia quello in risposta, chiudendo gli occhi. "Quindi...mi piaci anche tu."
Quelle parole sono così sincere ed inaspettate, che Lou vorrebbe scoppiare a piangere.
E vorrebbe anche togliersi i guanti, accarezzare quella pelle liscia come porcellana, sfiorare quelle labbra turgide, toccare i ricci scomposti che ricadono dolcemente sulla fronte dell'altro.
Invece, si limita a guardarlo, a bearsi dell'incorruttibile purezza di quel viso. E pensa che l'Harry ubriaco sia il più bello che abbia mai visto, fin'ora.
"E' giallo?" la domanda improvvisa del riccio lo confonde. Quello sospira, avvicina pericolosamente il dito alla sua maschera. "Il tuo occhio è giallo!" scandisce.
E Louis ride di nuovo.
Harry invece continua a parlare. E parla tanto quella notte. Racconta di sua madre, dei suoi infusi miracolosi. Di suo padre, della biblioteca, di tutti i libri che ha letto fin da piccolo. Racconta dell'Inghilterra, delle nuvole grigie e dell'odore della pioggia, delle città cupe e del mare in tempesta, di qualche ragazza che ha conosciuto e di cui non ricorda il nome.
Parla e Louis lo ascolta per tutto il tempo, finché quello "Lou" sospira, "posso chiamarti Lou?"
Lui annuisce e  "Non è vero" continua il riccio. "Non è vero che preferirei morire, piuttosto che vivere con te."
Poi chiude gli occhi, si abbandona sulla sua spalla, si addormenta.
E mentre Louis lo porta in braccio in camera sua, pensa che d'ora in poi lo inviterà a cenare con lui più spesso.


___________



Harry Styles è morto.
Di questo sono tutti sicuri in paese. Un ragazzo così strano non poteva che fare una fine del genere. Sono passati ormai tre mesi dalla notte del furto a casa Smith. Per un po', nessuno si è dato la pena di cercare lui o il suo compare Malik, neanche i genitori di Harry. Dopo una bravata del genere, è normale darsi alla macchia.
Ma quando Zayn è tornato al villaggio, una settimana dopo, lurido e con i vestiti stracciati, molti hanno iniziato a chiedersi come mai fosse solo.
Non era stato affatto facile per lui raccontare alla madre di Harry cosa fosse successo quella notte - e soprattutto perché- ma aveva dovuto farlo. Non dimenticherà mai le lacrime della donna, i sospiri del marito, il dolore acuto e penetrante che lui stesso ha provato nel realizzare che era solo colpa sua.
Il padre di Harry l'ha cercato per giorni nel bosco, da solo. Nessuno degli uomini in paese ha pensato valesse la pena aiutarlo. Zayn l'avrebbe fatto volentieri, invece, se non fosse che si era ritrovato a lavorare sia per Smith che per Antonie, per saldare il suo debito.
Con l'arrivo della neve, la signora Styles ha convinto il marito a non avventurarsi più nel bosco.
Ma neanche lei si è rassegnata.
Miss Adele e la vecchia Eve giurano di averla vista aggirarsi di notte nei campi, a raccogliere erbe, cantando nel buio.
"Perla con gli spiriti" dicono. "Gli chiede di riportare indietro suo figlio!"
Le altre donne del villaggio scuotono la testa, sconvolte, e si coprono la bocca con la mano, indispettite.
"Non è una buona cosa" fa la Guendaline, stringendosi il pargolo al petto. "Queste stregonerie finiranno col mandare il raccolto in malora."
Eve annuisce energicamente. "Porteranno sventure al villaggio!"
In effetti, nessuno pensa sia un caso che quell'inverno si prolunghi più dei precedenti, che il mulino del signor Pat crolli, e che metà dei campi si rovini per il freddo.
Fatto sta che gli unici ad illudersi di poter ritrovare quello strano ragazzo ancora vivo sono i suoi genitori e Zayn Malik.
Ed è lui che, dopo aver estinto il suo debito, quando ormai la neve si va sciogliendo, si mette lo zaino in spalla e si incammina alla volta del bosco.
Vivo o morto, è deciso a ritrovare il suo Harry.






E' il terzo giorno che Zayn vaga per il bosco, quando incontra Niall.
Sente lo scalpiccio degli zoccoli del baio scuro, cavalcato dal biondo, molto prima che questo attraversi il sentiero. Si accuccia tra il fogliame, aspetta che cavallo e cavaliere lo superino, e poi li segue.
Spariscono presto alla sua vista, ma lui segue le impronte sull'erba fresca. Si ritrova a camminare per ore, rendendosi conto di essere ormai lontanissimo dal sentiero principale. Pensa di non aver letto bene le tracce, accigliato e deluso, fa per tornare indietro, ma un colpo alla testa lo stordisce, mandandolo a ginocchia a terra.
"Ahi, ma che diavolo!" Nonostante gli occhi lacrimanti, riconosce la figura del cavaliere biondo di fronte a sé.
E' lui che lo afferra dal colletto della camicia, sollevandolo da terra.
"Perché mi stai seguendo?" sputa.
"Io non ti sto..." grugnisce Zayn, ma quello "Non mentirmi" lo interrompe duramente. "Non sono uno stupido."
Zayn, che sta già cominciando a riprendersi, si divincola, cerca di sottrarsi alla sua stretta. Ma il biondino non demorde. Finiscono a terra, ad azzuffarsi come bambini, tra le foglie e il terriccio umido.
Dopo essersi beccato due pugni allo stomaco, Zayn riesce finalmente ad atterrare l'altro con un calcio dritto sulle costole.
Il ragazzetto perde il fiato, si circonda la pancia con le braccia, mugolando di dolore.
"Me le hai rotte." si lamenta e Zayn, a cavalcioni su di lui, non può fare a meno di ridere. Non è affatto pericoloso come pensava.
"No, non lo sono" sogghigna, costringendolo con le spalle a terra, "ma potrebbero diventarlo, se non mi ascolti attentamente."
Adesso gli occhi azzurri del ragazzo sono puntati su di lui. Ha la sua completa attenzione. Perfetto.
"Sto cercando un ragazzo, più o meno della mia età. Alto, riccio, accento inglese. Si chiama Harry."
Il biondino sgrana gli occhi. "Tu sei Zayn?"
Il moro aggrotta la fronte ma annuisce.
"Lui ha detto che saresti venuto a cercarlo" conclude l'altro, in un soffio.
"L'hai visto?" Zayn lo scuote per le spalle, eccitato. "Sta bene? Sai dov'è?"
"Sì, sta bene. E so dov'è."
Zayn lancia un urlo di gioia e si alza in piedi. "Devi portarmi da lui"
Niall si solleva a fatica. "Questo non posso farlo"
Il moro sospira. "Sono sicuro che troveremo un accordo.." ma nel dirlo, sta già sfiorando il pugnale che tiene nascosto sotto la camicia.
Ma Niall è più veloce. stavolta. E Zayn capisce di averlo sottovalutato, quando si ritrova uno stiletto piantato nella gamba.
Grida di dolore, preme le mani sulla ferita da cui escono fiotti di sangue. "Maledetto bastardo!"
Niall si rialza velocemente e  monta sul suo cavallo. "Ascolta, se ci tieni alla pelle, non provare più a cercarlo" dice, prima di allontanarsi al galoppo.
Non può sapere che Zayn Malik non ci tiene affatto alla sua pelle.


__________



Tra le mura dell'antico palazzo nella foresta il tempo si è come congelato.
Da quando Harry Styles è arrivato molte sale e stanze al piano terra sono state riaperte, tirate a lucido, riscaldate con il fuoco del camino. Il silenzio sospeso che vi aveva regnato indisturbato fino a quel momento è ormai solo un ricordo.
I sussurri concitati di Louis e le risate troppo forti di Harry rimbombano adesso nella biblioteca. L'armonia melodiosa del pianoforte e la voce calda e raschiata di Harry risuonano dal salottino fino all'androne, su per le scale, arrivano addirittura in cucina, dove Liam e Niall non possono far a meno di sorridere, speranzosi.
Harry non va più in camera di Louis la sera, non ce n'è bisogno. E' il padrone a scendere, a cenare con loro, persino a parlare a volte. Ride insieme a Niall, discute con Liam. Poi si alza e con un cenno del capo, ordina ad Harry di seguirlo. Non gli piace condividerlo a lungo con loro.
Anche se in effetti, di tempo insieme ne passano fin troppo. E forse per questo il palazzo per Harry non è più una prigione. Della primavera che già arrivata neanche si accorge.
Louis non sta più rinchiuso in camera sua, la mattina. Gli piace ascoltare Harry cantare, mentre passeggia in giardino. Gli piace anche osservarlo mentre vaga per i corridoi, incantato dagli arazzi che ormai conosce a memoria, perso in pensieri labili ed inconsistenti.
Qualche volta, trova il coraggio di unirsi a lui in quell'inutile e vano girovagare.
"Questa è la battaglia di Lipsia" gli sta spiegando un giorno, indicando il quadro dai toni cupi che si confonde col il legno scuro della tappezzeria. "Mia madre l'ha fatto acquistare da una sua serva al mercato, ma agli altri ha sempre detto di averlo pagato a peso d'oro."
Harry fissa il dipinto per un po', poi riprendono a camminare, come se si trovassero sul corso illuminato a festa di una grande città e non in tetro corridoio, che hanno già percorso un centinaio di volte.
Louis adesso gli racconta dell'armatura d'acciaio, quella arrugginita, appoggiata al muro di destra. Era del suo trisavolo, dice, vale più di tutto l'oro e l'argento sparso nel resto del palazzo.
Harry lo ascolta in silenzio, assorbe come una spugna ogni parola, come se le storie di Louis fossero un libro da cui non riesce a staccare gli occhi.
Adora sentirlo parlare, forse perché Lou lo fa raramente. Non ricorda neanche più perché la sua voce, all'inizio, gli apparisse così inquietante. Adesso il raschiare dei suoi sussurri lo ammalia, il costante e sottile ansimare del suo respiro è assuefacente, inebriante.

"E questo?" si ritrova a chiedere interrompendo di nuovo la passeggiata e indicando l'arazzo più piccolo, quello che più di tutti lo affascina.
La trama è consumata, corrosa dal tempo e dall'umidità. Le figure appaiono deformate e sfilacciate, come spettri che si aggirano sullo sfondo di un cupo cimitero.
"Questo" mormora Louis, quasi a malincuore, "rappresenta la mia famiglia."
Harry riconosce solo ora lo stemma dei Tomlinson al centro della scena, erto come una lapide tra i volti nebulosi di uomini e donne.
Ne sfiora istintivamente uno con le dita. "E' tua madre?"
L'altro annuisce.
"Dov'è ora?"
Louis si incupisce. "In Inghilterra. Ci è tornata ormai da tempo."
Harry avverte nella sua voce qualcosa che non vi ha mai riconosciuto prima: malinconia.
Non ha mai pensato che Louis non abbia sentimenti, ma si era ormai rassegnato all'idea che non li avrebbe mai mostrati, che non gli avrebbe concesso di sondare troppo a fondo la sua anima, di guardare oltre quella maschera che gli copre volto e cuore.
E forse è la consapevolezza che Louis sia disposto a mostrarsi, per la prima volta, debole ai suoi occhi, che gli toglie il respiro e spinge il suo cuore a battere più forte.
"E tuo padre?" domanda, senza pensarci. Vuole sentirlo ancora quel sentimento, quella passione, quell'umanità che Louis gli ha tenuto nascosta per troppo tempo.
Ma Tomlinson si irrigidisce, poggia il palmo della mano sulla figura del genitore in primo piano e "Lui è morto" risponde freddamente.
"Mi dispiace."
"A me no" l'occhio giallo, quello in parte nascosto dalla maschera, luccica di rabbia. "L'ho ucciso io."
Nel corridoio cala il silenzio.
Harry non sa perché gliel'abbia detto, ma nella mente di Louis tutto è perfettamente chiaro e definito. Sta cercando di nascondere il dolore che l'ha tradito, parlando di sua madre. Non vuole che Harry provi compassione per lui. Non vuole che Harry lo ami perché vede in lui un mostro dall'animo buono, tradito dalla vita e terrorizzato dal mondo. Non vuole perché lui sa di non essere così. E' sempre stato un mostro, anche prima di indossare quella maschera e quei guanti. E vuole che Harry lo capisca, perché troppo spesso l'apparenza non inganna affatto. Troppo spesso, ciò che appare marcio ed insanabile fuori lo è anche dentro.
Ma Harry non sembra turbato. Fa scorrere la mano sulla tela, in silenzio, fino a sfiorare quella del pardone.
Louis sente il tocco leggero delle sue dita attraverso i guanti. Rabbrividisce.
"Non vuoi sapere il perché?" ansima, forse sperando di vederlo annuire.
Ma Harry scuote la testa.
"E questa cosa non ti spaventa?"
Quello fa di no, di nuovo.
"Lui non è stato l'unico" Louis quasi annaspa ormai, fissa l'altro sperando di cogliere qualsiasi tipo di reazione sul suo viso. "Ho ucciso molte volte. Non ricordo neanche quante."
Harry rimane impassibile. "Non mi importa, ma sono felice che tu me l'abbia detto."
E Louis non può far ameno di sbuffare, alzando gli occhi al cielo. "Sei un ragazzo strano, Harry Styles. Davvero troppo strano."
L'altro accenna un sorriso. "Lo pensano in molti, ma non mi è mai pesato. La stranezza rende unici, a suo modo."
Il grande assottiglia lo sguardo e solleva il mento. E' sicuro che il riccio non si stia riferendo solo a se stesso.
 "Sei davvero così stupido da credere che io possa fare della mia stranezza un vanto? E magari uscire di qui e vivere tra la gente normale?"
"Sì, forse lo sono."
"Lo dici solo perché in quel caso saresti libero di tornare a casa."
"E' vero, lo dico perché voglio tornare a casa. E mi piacerebbe portarti con me."
In quel momento, Louis Tomlinson realizza di odiare profondamente Harry Styles.
Lo odia perché vorrebbe diffidare di quelle parole, ma non ci riesce. Sono intrise di una spontaneità così devastante, che per un attimo ne ha paura.
Lo odia perché adesso, invece di abbassare lo sguardo, come pentito, lo sta fissando con quei suoi occhi da cervo.
Lo odia perché le dita di lui vanno ad incrociarsi con le sue, legandoli debolmente, come le trame consunte dell'arazzo.
Lo odia perché adesso è vicino, così vicino che riesce a sentirne il respiro sul viso, il sangue pulsare, il cuore battere come un tamburo.
Lo odia perché sa cosa sta per succedere e lui non può fare niente per evitarlo. Allora, decide di non provarci neanche. Si solleva sulle punte e lo bacia.
Ma è un bacio a metà quello che sboccia tra le loro bocche.
Le labbra morbide di Harry incontrano la superficie fredda e liscia della maschera, sfiorano appena quelle secche e sottili di Louis. Il riccio inclina la testa, cerca di approfondire il contatto, fa scivolare le dita sul collo dell'altro. Louis, per la prima volta dopo anni, vorrebbe davvero togliere quella maschera, gettarla a terra, distruggerla con un colpo secco del piede.
E probabilmente, è anche quello che vuole Harry, perché Lou la sente, la sua mano  che risale verso il viso e si infila nell'angolo tra la guancia e l'orecchio, pronta a strappargliela di dosso...

"No!"
Il padrone lo spinge via, allontanandosi affannato e, senza neanche accorgersene, si sta già nascondendo sotto il cappuccio.
Harry lo guarda con occhi sgranati, le guance rosse, le labbra turgide ancora aperte.
Louis lo odia, lo odia perché anche così, stravolto e ferito, è dannatamente bello. Si volta per impedirsi di scusarsi e si allontana lungo il corridoio.
"Lou."
La voce roca lo segue.
"Louis, aspetta!"
Le dita di Harry si stringono sul suo polso. Louis se lo scrolla di dosso, ritira la mano come se si fosse scottato, e allora accade.
Il guanto scivola via, rimane stretto tra le dita prepotenti di Harry. E lui può vederla, adesso, alla luce fioca di una candela: la pelle di Louis è come marchiata a fuoco. Sulla carne putrida le vene risaltano come cicatrici, rosse e gonfie. Il palmo è rugoso, raggrinzito come quello di una cadavere.
Il piccolo trattiene il fiato e, senza volerlo, arretra.
Allora Louis può scappare, nascondendo la mano sotto il mantello, con impressa nella mente l'espressione disgustata del ragazzo.
Sotto la maschera sente scorrere una lacrima, mentre Harry rimane solo, in mezzo al corridoio, a fissare il guanto che tiene in mano.





Louis non scende a cena per tutta la settimana seguente. Rifiuta il vassoio che Liam adagia con ostinazione ogni sera di fronte alla sua porta. Tiene le tende sempre tirate, non si alza dal letto neanche per suonare.
Non sente più Harry cantare in giardino, la mattina. Le sale al piano terra tornano ad essere tetre e silenziose come un tempo.

"Si può sapere che è successo?" se ne esce Niall un giorno, mentre è con Harry e Liam a raccogliere il bucato.
"Sii più specifico, Nialler."
Il biondo sbuffa. "Tra te e Lou" spiega, spazientito.
"Niente" soffia l'altro in risposta. "Assolutamente niente."
Liam e Niall si scambiano un'occhiata, poi il più grande "Harry.." inizia, con voce fin troppo comprensiva.
Il riccio butta le lenzuola che tiene tra le braccia nella cesta e "Ho detto niente, ok?" sputa, prima di lasciarli soli in cortile.
I due si fissano per un po', quasi imbarazzati.
"Sai stavo iniziando a credere.." confida alla fine Niall, timidamente, "che lui fosse quello che aspettavamo. Quello che ci avrebbe salvato."
Liam sospira. "C'è ancora speranza, Horan."
"Non mi piace sperare" ribatte quello, afferrando la cesta tra le braccia. "La delusione fa più male della disperazione."
Liam lo guarda tornare dentro. Sa che sta inevitabilmente per inaugurare uno dei suoi periodi no.




Louis esce dalla sua camera per la prima volta dieci giorni dopo il bacio. E' notte e si ritrova a vagare a lungo fuori dalla muraglia che ha eretto per il difendere il mondo da se stesso -o forse, per difendere se stesso dal mondo?-
Non lo sa e non vuole neanche pensarci, farlo riporterebbe a galla le parole di Harry, gli ricorderebbe quanto gli manca, quanto vorrebbe non averlo mai baciato.
Ma mentre cammina nel buio del bosco, non può far a meno di pensare a quella notte, quando lo ha visto scappare attraverso rovi e cespugli, impaurito come una lepre inseguita da cani da caccia. E ripensa anche a quando lo ha trovato, accartocciato su se stesso ai piedi di un albero, coperto di neve, con le membra congelate e il viso cereo di morte.
Forse avrebbe fatto meglio a lasciarlo lì, quella notte.
Forse si sarebbe evitato tutto quell'incomprensibile ed irrazionale dolore. Louis è abituato ai sensi di colpa e all'odio che prova verso se stesso, avere la vita di Harry sulla coscienza, non l'avrebbe distrutto.
Ma all'amore Louis non è affatto abituato. E' per questo che adesso, senza di lui, si sente cadere a pezzi.
Torna al palazzo che è ormai giorno. L'aurora tinge il bosco di un rosa pallido ma vivido, terribilmente confortante. Non gli piace. Alla luce del sole è difficile nascondere ciò che è.
Quando apre la porta della sua stanza, sta ancora pensando ad Harry.
Per questo quando lo vede, seduto sul suo sgabello, di fronte al pianoforte di sua madre, crede che si tratti di un sogno.
Ma poi il sogno fa scorrere le dita lunghe sui tasti dello strumento, e allora Louis esplode.

"Che stai facendo?" ringhia, si fionda accanto al pianoforte.
Harry si alza, come a sfidarlo. "Ti stavo aspettando."
"Non puoi entrare qui senza il mio permesso" lo afferra dal collo della camicia, i loro nasi si sfiorano, i respiri si incrociano. "Non puoi toccare quel fottuto pianoforte, se non sono io a dirtelo."
"Se dovessi aspettare il tuo permesso per fare ciò che voglio non potrei parlarti mai più."
Louis sbuffa, alza gli occhi al cielo. "Se volevi davvero parlarmi, perché hai mandato Liam a servirmi la cena, fino ad oggi?"
"Forse per lo stesso motivo per cui tu si sei rinchiuso qui dentro" ansima il piccolo, attingendo a tutto il suo coraggio. "Per quel bacio."
Louis non vuole credere che l'abbia fatto, non vuole credere che l'abbia detto davvero.
Quel bacio è stato l'errore più grande che si sia mai permesso di compiere.
Quel bacio ha dimostrato quanto sia debole, indifeso, come una bandiera bianca posta sul campo di battaglia per arrendersi al nemico.
Quel bacio gli ha fatto scoprire quanto sia disperato il suo bisogno di essere amato.
Ma Louis non vuole cedere a quel bisogno, non può farlo. Nessuno lo amerà mai davvero, questo lo sa ormai da tempo. E non si farà ingannare da quegli occhi lucidi e trasparenti come uno specchio d'acqua, da quelle parole così forti e sincere, da quella creatura perfetta che è Harry Styles.
Perciò "Vai via" gli intima, strattonandolo verso la porta.
"Cacciarmi non ti servirà a cancellare quello che è successo."
"Harry" il padrone si stringe i capelli tra le mani, l'amore che diventa frustrazione, la disperazione che si trasforma in rabbia. "Esci da qui, ora."
"NO!" Harry avanza di nuovo, anche se le gambe gli tremano più della voce. "Non ho paura di te!"
"INVECE DOVRESTI!"
L'urlo di Louis è un ruggito assordante, il suo viso un quello di una belva, deformato dalla follia, scavato dalla rabbia. Le mani che si chiudono sul collo di Harry sono artigli, i suoi occhi quelli di un mostro.
"Dovresti, perché io non sono come te. E per quanto tu possa cercare, non troverai mai del buono in me."
Harry non può rispondere. La stretta sul collo è troppo forte. Annaspa contro il viso di Louis, il fiato bloccato in gola, la testa sempre più pesante. Louis lo sta tenendo fede alla sua promessa, alla fine. Lo sta uccidendo, forse senza neanche accorgersene, e ad Harry dispiace. Non per la vita che lentamente lo abbandona, ma per Louis stesso, perché sa che uccidendolo, ucciderebbe anche se stesso.
E forse è questo che riesce a capire anche lui, in un effimero lampo di lucidità.
Allenta la stretta sul suo collo, lo scaraventa a terra e lo guarda, come fosse un fantasma. Harry tossisce, si afferra la gola come abbia paura che possa sgretolarsi, l'aria torna a fluirgli nei polmoni, violenta e corrodente. Brucia, brucia così tanto che è ancora convinto di essere sul punto di morire.
Invece, tutto quello che fa è svenire, mentre Louis, come un automa, esce dalla stanza senza nemmeno guardarlo.





"Allora, come sta?"
Liam avanza nella stanza buia, verso il sibilo che l'ha interpellato.
"Meglio. Gli è rimasto solo qualche livido sul collo. Niall se ne sta occupando."
Louis passa il pollice lungo la bottiglia di vino che ha tra le mani e "Perfetto" mormora, pur non pensandolo davvero.
"Padrone?" Liam si azzarda ad avanzare ancora un po', "secondo me dovreste scendere a scusarvi."
La risata gutturale di Lou lo fa rabbrividire. "Dovrei? Solo perché tu ed Horan pensate che lui possa essere la soluzione ai nostri problemi?"
"No. Dovreste perché Harry non starà davvero bene finché non vi avrà perdonato. E probabilmente neanche voi."

Louis non crede che Liam abbia ragione, eppure quella sera si ritrova ad abbassare la maniglia della porta e ad entrare nel salottino al primo piano.
Harry è sul tappeto, di fronte al fuoco, avvolto in una coperta, e tiene un libro sulle gambe incrociate. Non solleva nemmeno lo sguardo quando Louis gli siede accanto.
"A leggere con questo buio ti rovinerai gli occhi."
Il riccio sospira, volta un'altra pagina. "Sono pronto a correre il rischio."
Lou osserva i segni violacei impressi su quel collo candido e rabbrividisce. "Ma se accadesse, sarebbe un peccato."
"Odio quando dici così" Harry chiude il libro con un scatto, il viso contratto dalla rabbia.
"E' colpa tua se mi ritrovo a dirlo, Harry" Lou scivola sul tappeto, arriva a sfiorare la sua spalla con la propria. "Pensaci su. Se vedessi un vecchio barbone cieco, in mezzo alla strada, non proveresti niente, fuorchè pena e disgusto. Ma se un bel ragazzo fosse cieco, allora ti ritroveresti a pensare che il mondo è stato davvero crudele con lui, che si è permesso di rovinare qualcosa di estremamente perfetto, che quella privazione è una profonda ed incomprensibile ingiustizia. E forse piangeresti, nell'immaginare quanto belli fossero i suoi occhi, prima che smettessero di vedere."
Il silenzio nel salotto ora è rotto solo dal crepitio del fuoco. Harry sta pensando a cosa rispondere. E' sicuro di non aver mai sentito Louis parlare tanto e in modo così disperatamente sincero.
Non sa ancora bene quello che vuole fare quando si solleva e afferra il mozzicone caldo della candela.
"Quindi se adesso mi bruciassi il viso" si avvicina pericolosamente la fiamma alle labbra "tu piangeresti?"
Louis assottiglia lo sguardo, si morde le labbra. "Ma tu non lo faresti mai."
Harry Styles gli sorride ammiccante, prima di premersi  la cera brucente sulla guancia.
"NO!"
Louis gliela strappa di mano ringhiando, la guarda sconcertato mentre rotola inerme sul tappeto. Harry invece sta ridendo. Un bolla rossa si gonfia sul suo viso, pulsa tra la cenere e la cera che gli sono rimaste attaccate alla guancia. Si è appena spento una candela sulla faccia e sta ridendo.
"Allora Lou, non piangi?"
Il padrone vorrebbe farlo; sa che, come per i segni sul collo, il responsabile di quella ferita sul suo viso è lui. E' per questo che "Scusami" sibila, stringendo il polso di Harry, ancora bloccato tra le sue mani. "Scusami, per tutto."
L'altro finalmente smette di ridere. Anzi il suo volto si fa serio, assurdamente serio
"Non voglio le tue scuse."
"Cos'è che vuoi, allora?"
Harry gli si avvicina ancora, sfiora con le dita la maschera di un biancore mortuario. "Un bacio" soffia tra le sue labbra. "Un bacio vero"
Louis scuote la testa, rifiuta il suo tocco come se stesse scacciando uno sciame di insetti.
"Per te è come un gioco, vero Styles?" stringe i denti, quando si accorge che la voce gli trema. "Questa maschera ti affascina, ti attira come una bella spada che riesce ad ammaliare un bambino. E quel bambino si sente forte, quando la impugna e ne accarezza la lama. Capirà che quello non è affatto un gioco. solo quando si sarà ormai squarciato le mani."
Harry sbuffa. "Sai bene quanto me che quel bambino non sono io. Ma sei tu. Non hai paura di ferire me, togliendoti quella maschera, ma te stesso."
Lou si irrigidisce, gli afferra il mento tra le mani. "Ho solo paura che una volta visto il mio viso, non avrai più voglia di baciarmi."
Gli occhi verdi di Harry guizzano a quelle parole. Si sottrae alla sua stretta, afferra un lembo della propria camicia e lo strappa. Poi lo tende a Louis. "Bendami"
Tomlinson, per l'ennesima volta quella sera, rimane spiazzato. E vorrebbe tanto rifiutare, infuriarsi, urlagli contro, ma non può. Perché l'Harry sadico e malizioso, l'Harry ambiguo e perverso è senza dubbio quello che più lo attrae, tra le innumerevoli personalità che ha imparato a conoscere in questi mesi.
Così si abbandona al fuoco che sente nascere dentro, afferra quella benda e lo spinge lungo disteso sul tappeto.
"Promettimi che non ti muoverai" si china su di lui, gli lega la stoffa strettissima tra i capelli ricci, "per nessun motivo."
"Promesso."
"E che non mi toccherai" è a cavalcioni su di lui adesso, lo gambe attorno alla vita esile, le mani affondate nelle sue spalle. "Promettilo!"
Harry appare titubante, ma alla fine annuisce. Sente il cuore rimbombare nelle tempie, il respiro infrangersi sul lembo della camicia che lo copre fino al naso.
Il buio in cui è immerso non gli fa paura, ma aumenta l'aspettativa in modo spasmodico, estenuante, corrodente. Sente che Lou si muove su di lui, ode il tonfo sordo di qualcosa che cade sul tappeto.
La maschera.
Ha voglia di afferrarlo dai capelli, allora, di attirarlo a sè per mettere fine a quella lacerante attesa.
Ma non ce n'è bisogno.
Le labbra di Louis si scontrano con le sue, arroganti e prepotenti. Sono fredde, secche, sottili. Nell'angolo destro della bocca, quasi inesistenti. Ma Harry neanche se ne accorge, perché cerca già la sua lingua, tra la chiostra di denti ruvidi e appuntiti. Quando la trova mugola soddisfatto. Louis non ha un buon sapore, ma ad Harry piace.
E quando lo sente allontanarsi, non può fare a meno di inarcare la schiena e allungare il collo alla cieca, per riappropriarsi di nuovo di quelle labbra. "Ancora" ansima e a Louis sembra uno di quei pulcini che allungano il becco, sperando che la madre abbia qualche insetto da offrir loro.
"Avevi detto un solo bacio" sogghigna, ma poi lo bacia di nuovo, si inebria del sapore dolce della sua saliva, del suo respiro nella bocca, degli ansiti sconnessi che portano il corpo a tremare sotto il suo.
Senza accorgersene, ha già stracciato la camicia nera che lo separa dalla sua pelle, sta ammirando i muscoli delle spalle, le ossa sporgenti delle clavicole, le vene che si gonfiano sul suo collo.
"Toglili" soffia Harry, rabbrividendo, quando il padrone poggia le mani sul suo petto. "I guanti, toglili."
"Questo non era compreso nei patti."
Il riccio sta per ribattere, ma Lou lo zittisce con un altro bacio. E nel momento in cui realizza di essere per la prima volta felice in vita sua, succede: Harry infrange la sua promessa. La sua mano si ritrova schiacciata sulla guancia destra di Louis. La pelle è fredda, putrida, viscida, pulsa orrendamente sotto il suo palmo.
Istintivamente, il piccolo ritira la mano. Nel momento esatto in cui lo fa, sente il calore del copro di Louis abbandonarlo, i suoi passi affrettati sul tappeto.
"Scusa" annaspa, si solleva, si trappa via la benda dagli occhi.
Lo vede, accucciato oltre la luce del camino, la maschera ancora in mano, il cappuccio tirato sulla testa.
"Ti avevo detto di non toccarmi."
"Scusami, ti prego..."
Ma Louis si è già alzato e corre via, sbattendosi la porta alle spalle.




_____________





Zayn trova il palazzo il giorno dopo.
Non ha seguito i consigli che il biondino gli ha dato e adesso si aggira attorno alle mura, cercando di trovare una via d'accesso che gli permetta di entrare.
Non è sicuro che Harry sia lì dentro e dopo ore passate ad ispezionare ogni singolo centimetro dell'impenetrabile muraglia, è assurdamente frustato e demotivato.
Ma poi, proprio mentre si allontana, deciso a tornare il giorno dopo, lo vede.
E' lo stesso sciocco irlandese che l'ha costretto ad andarsene in giro per il bosco zoppicando per due giorni.
Non è a cavallo, porta una vanga in mano e fischietta un motivetto triste e malinconico.
Zayn conosce quella canzone. Harry la canticchiava spesso.
La rabbia gli monta dentro come un toro imbufalito e senza neanche rendersene conto, due secondi dopo, è addosso al ragazzo. Ignora il dolore alla gamba e lo scaraventa a terra. La vanga finisce lontano tra le foglie, il biondo urla, tenta di lottare, ma il coltello di Zayn, puntato al collo, gli fa cambiare velocemente idea.
"E' un piacere rivederti, amico mio" ghigna il moro, facendo scorrere di piatto la lama sul quel viso dolce ed ingenuo. "L'ultima volta, mi hai lasciato un ricordino per niente piacevole. Mi sa che è giunta l'ora di ricambiare il favore."
Un movimento rapido del polso e sulla guancia di Niall appare uno squarcio rosso. Dalla ferita il sangue prende a colargli sul viso e lungo il collo. Ma non lui si lamenta. Ansima, stringe i denti e "Cosa vuoi?" scandisce soltanto.
"La stessa cosa che ti ho chiesto la scorsa volta: Harry Styles."
"Non posso portarti da lui" Niall parla con tono persuasivo, quasi amichevole. "Finiremmo tutti nei guai."
Ma Zayn non lo ascolta. "E' lì dentro?" chiede, indicando il palazzo. "Tu puoi farmi entrare?"
Niall scuote la testa con forza. "Non hai idea del guaio in cui ti stai cacciando!"
"Ho idea di quello in cui ti caccerai tu, se non mi aiuti ad entrare."
Il biondo sospira, lecca un po' del sangue che gli è scivolato sulle labbra.
"Puoi anche uccidermi, per quanto mi riguarda. Non interesserebbe a nessuno, tanto meno a me."
Zayn rimane spiazzato. Riconosce in quelle parole la sua intera esistenza, la sua filosofia di vita, il suo stesso impronunciabile dolore.
Si alza e tende la mano quel ragazzo. "Come ti chiami?"
Quello l'afferra titubante e "Niall" risponde, mettendosi in piedi.
"Ascolta, Niall. Non voglio metterti nei casini. Ma ho bisogno di vedere Harry, di sapere che sta bene. Aiutami, e giuro che poi mi leverò dalle palle."
Il biondino sbuffa, si morde le labbra, indeciso.
Ma alla fine "Seguimi" mormora. E insieme si avviano verso quella porticina grazie a cui Harry è fuggito, più di tre mesi fa.




Harry è in giardino, gira attorno alla fontana canticchiando, quando Niall gli corre incontro, trafelato. Anche lui ha una ferita sulla guancia, nota il riccio: un taglio obliquo di colore rosso vermiglio.
"Horan, ma che cavolo..."
"Zitto" quello lo afferra dalla mano e lo trascina verso il muro.
"Niall, dovremmo pensare a quella ferita. Liam..."
"Liam un corno" sbotta, l'altro. "Sta zitto a vieni con me."
Harry sta per ribattere, ma quando raggiungono la porticina nascosta dall'edera che conosce fin troppo bene, le parole gli muoiono in gola.
Zayn lo aspetta appoggiato al muro, uno stuzzicadenti tra le labbra, i vestiti logori, una benda insanguinata sotto il ginocchio destro.
"Il mio topo di biblioteca è vivo, a quanto pare!" lo saluta sorridendo.
Harry sa che dovrebbe sforzarsi di essere discreto, di contenere l'entusiasmo, ma tutto quello che riesce a fare è gettarsi tra le sue braccia.
Si stringono forte, si baciano sulle guance, persino l'arrogante ed insensibile Zayn Malik ha gli occhi lucidi.
"Mi sei mancato" singhiozza Harry sul suo collo.
"Sono qui adesso. E ti riporterò a casa."
Il riccio si irrigidisce a quelle parole, lancia un'occhiata inquieta a Niall che li ha osservati fino a quel momento. L'irlandese sembra preoccupato. Per qualche arcano motivo, non vuole che Harry se ne vada.
"Zay" inizia quello, serissimo. "Io sono già a casa."
Il moro sgrana gli occhi. "Che vorrebbe dire?"
"Vuol dire che sto bene qui. E voglio restare."
Il moro lo fissa per un attimo, poi si rivolge furioso a Niall. "Sei stato tu vero? L'hai costretto a raccontarmi queste stronzate."
"No, lui..."
Le parole di Harry vengono interrotte da un'altra voce che risuona chiara e limpida nel giardino. Quella di Liam.
"Niall" Harry si volta di scatto verso di lui, "portalo fuori di qui."
Zayn li guarda stranito. "Cosa? Che stai dicendo?" cerca di seguire l'amico, ma il biondino lo spinge verso la porta. "Harry! Che significa tutto questo?"
Ha appena il tempo di vedere Harry mimare un mi dispiace con le labbra, prima di ritrovarsi fuori dalla mura.
E "mi dispiace" è anche quello che continua a ripetere Niall, mentre si chiude la porta alla spalle.
"Gli avete fatto il lavaggio del cervello, vero? Me l'avete fatto ammattire!"
Il biondo scuote la testa, irritato, tenendolo saldamente dai polsi.
"Tu non capisci! Lui è la nostra unica speranza! Non può uscire da lì. Almeno, non per ora."
Zayn serra la mascella e stringe i pugni. "Io non ho intenzione di abbandonarlo."
"Ascolta" sospira l'altro, ormai allo stremo "ti propongo un patto. Promettimi che non parlerai a nessuno del palazzo, ed io ti permetterò di vedere Harry ogni volta che vorrai."
A quel punto Malik non può che accettare.






Zayn Malik, senza saperlo, sarà anche il motivo per cui Louis quella sera permetterà ad Harry di entrare in camera sua, nonostante quello che è successo meno di un giorno prima davanti al fuoco.
L'ha visto, quella mattina, a sgattaiolare al di là del muro, accompagnato dal suo fedele servitore irlandese.
Horan.
Il padrone ha sempre dubitato di lui, in realtà. Non è ligio al dovere come Liam e non ha neanche un briciolo del suo temperamento. Con gli anni che passano, ciò che prima era un'insulsa debolezza si è trasformata in una ferita sempre aperta, e Niall non può vivere senza almeno provare a chiuderla.
Per questo, quel giorno, ha tradito il suo padrone. E nonostante tutto, Louis non può fargliene una colpa. Tanti anni fa, in un altro tempo, in un'altra epoca, sarebbe impazzito dalla rabbia. Ma adesso, non può che restare indifferente mentre tutto ciò che possiede gli scivola tra le dita, perché tutti i suoi sforzi, tutti i suoi pensieri, tutto il suo essere è concentrato sull'unica cosa che non possiede e non può avere.
Per questo, vedere Zayn Malik lo porta ad accettare la drastica quanto inevitabile conclusione dell'indefinibile sentimento che tiene Harry unito a lui. Spera solo di avere il coraggio, adesso che lo sente avanzare nella stanza, di fare ciò che giusto: spezzare quelle catene, recidere quel legame, prima che quella corda diventi troppo stretta per entrambi.
"Lou?"
La voce di lui è fievole, intimorita. Louis non si volta. Resta affacciato al balconcino, a guardare il tramonto che tinge di un rosso sanguigno le chiome degli alberi.
Harry, alle sue spalle, si tortura le mani e si morde la labbra. A volte si gratta la guancia infastidito, nel punto in cui si è bruciato la sera prima. E' lì per chiedere scusa, per promettergli che non lo toccherà mai più, che non gli chiederà un altro bacio. E forse, vuole anche dirgli della visita di Zayn. Ma alla fine, che senso avrebbe? In ogni caso, lui non ha intenzione di andarsene.
Così "Lou" ripete di nuovo, schiarendosi la voce.
Ma quello si gira di scatto e "Una volta" scandisce, freddo, "mi hai detto di non aver paura di me, Harry. Ricordi?"
Il riccio annuisce.
"E mi puoi assicurare che fosse la verità?"
Annuisce di nuovo, anche se non afferra il senso di quelle domande.
"Ti fidi di me, quindi?"
"Louis, ma che.."
Ma quello non gli permette di continuare. "Non mi nasconderesti mai niente... non mi mentiresti. Giusto?"
Harry sente il cuore sprofondargli nel petto, mentre la lucida e devastante consapevolezza che lui sappia gli blocca il respiro. E non aspetta che Louis glielo chieda apertamente, non aspetta che si metta a parlare di Zayn, o delle colpe di Niall.
"Io non voglio scappare Lou. Non voglio lasciarti." sussurra soltanto, perché è quella l'unica cosa che conta.
Ma a quanto pare Louis non è d'accordo.
Sbuffa, percorre il balcone avanti e indietro per un po', gli occhi spenti e il viso imperlato di sudore.
Quando si ferma, è talmente vicino che Harry ne sente il respiro raschiato addosso.
"Ma io" sillaba, come sotto tortura, "voglio che tu lo faccia."
"C-cosa?"
"Andare via di qui. Abbandonarmi."
Il frinire delle cicale accompagna quelle parole come un'inquietante orchestra, e adesso che il silenzio regna tra loro si fa forte, quasi assordante, insostenibile. O forse, sono i pensieri nella testa di Harry, agitati e sconnessi, a creare quel brusio costante che rischia di farlo impazzire.
Solo grazie a questo trova il coraggio di "Non ci credo" sussurrare. "Tu non vuoi che me ne vada. Tu mi ami."
"Sì, ti amo" conferma Louis, con la stessa fredda sicurezza, "ma non voglio continuare a farlo. Quindi è meglio che tu vada..."
Harry non riesce ad ascoltare quella marea di falsità neanche un secondo di più.
"Perché?" urla, il sapore acido della bile in bocca, le mani improvvisamente agganciate alle spalle dell'altro. "Perché rinunci sempre a ciò che provi? Perché non lasci semplicemente che quello che senti accada? Di cosa hai paura?"
"Ho paura per te, Harry!" e Louis ha ormai perso tutta la sua fermezza. Trema, tenta di allontanare le mani di Harry, si impone con tutte le forze di non guardare quegli occhi che hanno il mondo tra le ciglia. Ma non ci riesce e "Ho paura" ripete, ricacciando le lacrime "perché so che il mio amore ti guasterebbe, ti macchierebbe per sempre. Io sono un mostro Harry, ma non per questo devi esserlo anche tu. Ho fatto cose orribili in vita mia, cose di cui neanche mi pento, ma non posso permettermi di fare del male a te."
Harry rimane a bocca spalancata, per un attimo rabbia, frustrazione e disperazione lottano nel suo petto.
Poi la prima, forte e prepotente, prevale su tutte le altre.
"Credi che mi importi?" grida, spinge l'altro così forte da farlo finire contro il parapetto. "Non sono un tempio che può essere profanato. Non sono un'opera d'arte che rischia di essere deturpata! E tu non sei un mostro"
Louis ride. Ed è una risata gelida la sua, un raschiare basso e velenoso, che somiglia terribilmente ad un singhiozzo.
"Non hai ancora capito? Non lo sono per il mio viso, per il mio corpo, ma per quello che ho dentro. Questo aspetto disgustoso non è altro che lo specchio della mia anima."
"Fammi vedere, allora!" lo aggredisce violento Harry. "Se vuoi che abbia paura di te, togliti quella dannata maschera!"
Il tempo, scandito dei battiti dei loro cuori, dal ritmo incostante dei loro respiri, sembra scorrere adesso molto più lentamente.
Louis guarda il ragazzo del bosco, non dice una sola parola, ma il suo braccio si solleva, le dita si stringono attorno ai bordi della maschera bianca come ossa.
Inspira. Trema. Poi la toglie. La getta a terra.
La pelle raggrinzita e grigiastra riluce sotto i raggi della luna. Vene, capillari, ossa, tutto risalta orrendamente, come fosse destinato a strappare la carne e mostrarli, pulsanti e rossi di sangue, da un momento all'altro.
L'occhio giallo, molto più grande dell'altro, brilla come un quello di un animale, un predatore della notte.
"Hai paura adesso, Harry?"
Il riccio non riesce a rispondere. Ha le parole bloccate in gola, insieme al respiro. Ma si fa forza, deglutisce, scuote la testa, perché è vero, non ha paura. Non sa cosa prova, sa solo che vorrebbe piangere, più forte e più a lungo di quanto abbia mai fatto in vita sua.
"No?" chiede Louis, scettico prima di sfilarsi i guanti.
Harry continua a guardarlo mentre con le dita putride si slaccia il mantello, si strappa la camicia e "E adesso?" sussurra.
Il ragazzo del bosco distoglie lo sguardo da quella visione raccapricciante. Il corpo di Lou è martoriato, la palle sottilissima, quasi trasparente. Oltre il bacino e sulle clavicole si intravede il biancore delle ossa, il pulsare constante delle vene rosse.
Louis gli va incontro, lascia mantello e maschera sul pavimento del balcone.
Gli passa accanto, veloce e silenzioso come sempre.
"Dirò a Liam di prepararti i bagagli per il viaggio di domani" sospira, tremolante. "Buonanotte, Harry."
Poi se ne va.
Ed Harry non può vederlo, ma è sicuro che stia piangendo.



_________




Harry si mette la sacca in spalla, guarda per quella che forse sarà l'ultima volta la cucina piccola, il tavolo di legno custode di troppi segreti, il camino adesso freddo e spento.
"Hazza!" la voce di Zayn lo convince a distogliere lo sguardo ed uscire.
In giardino insieme a lui ci sono anche Liam e Niall.
Il primo gli rivolge un sorriso triste. L'altro, braccia incrociate e viso imbronciato, non gli dedica nemmeno un'occhiata. E' in una delle sue giornate no e il motivo è in quella sacca che Harry porta sulle spalle, nel suo mantello da viaggio, nel sorriso d'addio che ha stampato in faccia.
"Ci mancherai" Liam lo stringe goffamente. 
"Anche voi, Payne."
Niall sbuffa, distruggendo l'atmosfera quasi intima che si è creata. Ma Harry non si offende, alza gli occhi al cielo e abbraccia anche lui ."Ti voglio bene, Nialler."
Quello arrossisce, gli da qualche pacca sulla schiena, prima di allontanarsi, a disagio.
"Ci si vede, amico" lo saluta anche Zayn, come se non potesse farne a meno. "Grazie di tutto e scusa per il..." sfiora appena la cicatrice sulla guancia del biondino.
"Se vuoi puoi abbracciarmi anche tu" lo stuzzica quello, derisorio. E, incredibilmente, Zayn lo fa. Lo stritola tra le braccia, togliendogli il fiato, lasciandolo rossissimo ed imbarazzato, mentre gli altri ridono.
"Beh.. ci vediamo" sussurra Harry.
"Io non credo" è l'ultima frase che Niall gli rivolge. Poi i due attraversano il giardino. Una forza misteriosa ed attraente spinge Harry a voltarsi, prima uscire dal cancello. 
Il palazzo incombe su di loro come una silenziosa cattedrale. Le finestre, le guglie, le statue, li osservano dall'alto. Ma c'è anche qualcun altro che li sta guardando. Un'ombra è appollaiata oltre il parapetto del balcone più alto. Harry la fissa, finché quella non svanisce come fumo tra le tende della camera.
"Allora, andiamo?"
"Sì" risponde, abbassando lo sguardo, anche se vorrebbe dire esattamente il contrario.



Louis non vede Harry andarsene.
Scivola nella sua stanza prima che il riccio attraversi quel cancello che li separerà per sempre. Forse è la consapevolezza di aver appena lasciato andare l'unica persona che abbia mai davvero amato che lo porta ad uscire dalla sua camera per fiondarsi in quella di Harry.
Ha paura di aver vissuto in un sogno per mesi. Teme che il ragazzo del bosco non sia altro che un'invenzione della sua mente folle, che la bellezza di quel viso, la purezza di quell'anima, non siano mai esistite.
Ma quando entra in quella stanza sente il suo profumo, vede i suoi vestiti ancora sul letto e i libri che gli ha regalato sugli scaffali.
Solo uno manca all'appello.
Ed è posato sulla pila di vestiti ordinatamente piegati sul letto, quelli che Harry ha indossato il giorno in cui è uscito dalle segrete.
I Sonetti di Shakespeare.
Louis sfoglia il libro, senza un motivo preciso, e allora la trova. All'ultima pagina, scribacchiato con una calligrafia semplice e veloce, ci sono queste parole: Tornerò. Te lo prometto
Peccato che Harry non sia mai riuscito a mantenere una promessa.

E infatti non torna.
Né la settimana successiva, né quella dopo, né quella dopo ancora.
Le sale al piano terra vengono chiuse di nuovo, le porte sprangate, i mobili coperti con teli bianchi. Liam e Niall tornano a magiare in cucina, da soli.
Liam è ancora il capo, ma non sa più bene di che cosa.
Per Niall ogni giorno diventa un giorno no. La sera fissa la candela sul suo comodino e giura che prima o poi lo farà, la butterà tra le lenzuola e il fuoco potrà divorare quello che è ormai da troppo tempo il suo inferno.
Il padrone non suona più, non legge più, esce solo di notte.
Dorme nella stanza di Harry. Ama quella stanza, potrebbe morirci lì. E pensa che non passerà molto tempo prima che accada.
Ma, contro ogni aspettativa, immerso nel buio e circondato dall'alcool, Louis sopravvive.
E dopo un mese, è ancora vivo, rannicchiato in quel letto che ormai ha perso il suo odore, a stringersi al petto quel libro che ormai conosce a memoria, quando Liam bussa alla porta.
"Padrone" la voce gli trema. "Padrone aprite, per favore."
Louis, per tutta risposta, scaglia la bottiglia vuota contro la porta.
Il fragore del vetro che si rompe è coperto dalla voce dell'irlandese. "Levati, Payne!"
"Niall, non credo che..."
Ma un colpo fortissimo soffoca le proteste di Liam, fa tremare la porta e l'intera stanza.
Il rumore si ripete, una, due, tre volte. Alla fine il legno cede, Niall si ritrova in stanza, il busto di marmo di chissà quale antenato dei Tomlinson usato come ariete, le guance rosse e gli occhi in fiamme.
Louis non lo guarda neanche. "Potrei ucciderti per ciò che hai appena fatto" cantilena, ma in realtà, non ha neanche la forza di alzarsi.
"Sarete libero di farlo" sputa il biondo, "dopo aver visto questo." Si avvicina alle finestre e spalanca le tende.
Louis la vede subito, la colonna di fumo si staglia sull'orizzonte come una nuvola carica di pioggia. Il bagliore rossastro del fuoco riluce come sangue contro il cielo scuro.
L'incendio è così grande che pare destinato a divorare il bosco intero. Non prima però, di aver distrutto il villaggio.
E con le fiamme che gli si riflettono negli occhi blu e gialli, Louis "Prepara i cavalli" ordina a Liam, "andiamo in paese."



La vecchia Eve ha dimenticato di spegnere la lampada ad olio, quella sera. Quando il marito è tornato, ubriaco fradicio, l'ha buttata a terra con una gomitata.
Dieci minuti dopo, sono entrambi morti, la casa assomiglia ad una gigantesca torcia e le fiamme sono spinte dal vento verso le altre abitazioni.
Quando l'incendio scoppia, Zayn ed Harry sono alla locanda. Escono in strada, al seguito degli altri avventori. L'aria fuori è irrespirabile, la luce delle fiamme è così forte che sono costretti a chiudere gli occhi.
Gli uomini si stanno organizzando. Molti imbracciano secchi e badili ricolmi d'acqua. La maggior parte si dirige verso il pozzo. Zayn li imita e nel trambusto, non si accorge che Harry sta andando dalla parte opposta, verso la biblioteca.


Harry Styles è un ragazzo strano, lo sanno tutti.
Ha rapinato in vecchio Smith. E' sparito nel bosco per mesi. E' tornato più bello e triste che mai. E adesso, corre a perdifiato per le strade, senza riuscire a pensare ad altro che non sia sua madre.
Non può perderla adesso che si sono appena ritrovati.
Quando arriva alla libreria la vede in fiamme. Il cuore gli esplode nel petto, la paura lo consuma come le fiamme fanno col legno.
Trova suo padre in strada, gli occhi lucidi e spenti. "Papà! Stai bene?" Lo afferra dalle spalle, lo scrolla violentemente.
"I miei libri" sussurra quello debolmente, come in trance. "Tutti i miei libri..."
Harry lo scuote ancora, frustrato. "Dov'è mamma? Dimmi dov'è!"
"Non lo so" piagnucola l'uomo, accasciandosi improvvisamente a terra. "Non lo so!"
Per Harry quelle parole sono abbastanza. Si fionda nella casupola in fiamme, senza pensare. Dentro è un inferno. Il calore è insopportabile, il fumo gli brucia i polmoni, gli artiglia la gola, gli pizzica gli occhi.
Ma Harry non si ferma. L'unico dolore che sente è quello al petto, che si nutre della terribile eventualità di non poter rivedere più sua madre.
E mentre cammina sul pavimento, che è ormai un cumulo di cenere, le pareti della casa si sgretolano, si accartocciano su di lui, stringendosi come le foglie di una pianta carnivora. I libri accrescono il rogo a dismisura. Gli scaffali e le copertine si fondono insieme in un orrido connubio. Le storie di terre lontane, di eroi impavidi, di amore ed odio, sono ormai poco più che polvere.
Harry Styles è costretto ad osservare la sua intera esistenza incenerirsi, mentre evita i mobili rovesciati e sale le scale annerite che portano a casa sua, coprendosi il viso con le mani.
Neanche si rende conto di cosa sia successo, quando si ritrova con la gamba affondata in uno degli scalini. Il legno ha ceduto e lui è in trappola. Fa forza sulle braccia per cercare di risollevarsi, sente le schegge di legno penetrargli nella carne ad ogni movimento. Impreca ed ansima, si arrende, poi riprova.
Sono senza dubbio i minuti più lunghi della sua vita. E in qualche modo si sente felice, quando il fumo gli rende ormai impossibile respirare, la testa inizia a girare vorticosamente ed è costretto ad accasciarsi sui gradini bollenti.
Con la faccia premuta contro il legno carbonizzato, gli occhi chiusi e il cuore che rallenta nel petto, Harry Styles si ritrova un viso stampato nella mente.
E contro ogni previsione, non è quello di sua madre. Ma quello di Louis Tomlinson.

Forse è per questo che, quando tra le fiamme distingue un'ombra che avanza, è sicuro che sia lui.
La figura è avvolta in un mantello, balza trai detriti veloce, troppo veloce per un essere umano. E adesso che si sta chinando su di lui, Harry non ha più dubbi.
"Padrone" gracchia, perché è la prima cosa che gli viene in mente.
"Sta zitto" gli ordina quello, con quel sibilo inconfondibile che è la sua voce. "Hai già inalato abbastanza fumo."
Si avvicina ancora, affonda le mani nel legno, sbriciolandolo, allargando la voragine in cui Harry è incastrato. Sbuffa e ansima, in una lotta contro il tempo che sembra durare secoli interi. Allora Harry si accorge che è senza maschera.
"Sei bellissimo" si trova a tossire, mentre Louis gli infila le braccia sotto le ascelle e lo solleva.
"Non è ora di parlarne, Harry."
"Invece sì, è il momento" si aggancia a lui, ansimante. Il sangue gli scivola  lungo la gamba, il viso è in fiamme. Le forze lo stanno abbandonando. E' per questo che sente il bisogno, la necessità dilaniante di trovare il fiato per pronunciare quelle che crede saranno le ultime parole della sua vita.
Così, mentre Louis rompe il vetro della finestra e lo afferra tra le braccia, Harry Styles sussurra il suo "Ti amo".
E spera con tutto il cuore che Louis l'abbia sentito, prima di abbandonarsi sul suo petto e, finalmente, svenire.



___________



E' giorno.
Harry ha gli occhi chiusi, ma la luce forte e chiara dalla primavera filtra attraverso le palpebre abbassate. Cerca di aprirle, ma sono come incollate. Sospira, frustrato, ma si pente subito dopo di averlo fatto: il petto gli brucia come se gli avessero ficcato giù per la gola dei carboni ardenti. Quel dolore è comunque rassicurante. La sua mente intorpidita lo identifica come la prova inconfutabile che, nonostante tutto, è ancora vivo.
Ma...tutto cosa?
Harry non ricorda cos'è successo. A dire la verità, gli sembra di non ricordare neanche come si muovano la braccia, le gambe, le dita. Non ha più un corpo, è puro pensiero. Un pensiero mutilato, però. Incapace di liberarsi dalla nebbia che lo avvolge, ridotto ad agganciarsi alle immagini fugaci, sfuocate, inconsistenti, che la memoria debole gli concede a sprazzi.
Immagini di case distrutte, ombre di fumo, libri in fiamme.
Allora, come colpito da una scarica elettrica, il suo corpo si rimette in moto.
Spalanca gli occhi senza che nemmeno il cervello l'abbia ordinato. Scatta seduto, apre la bocca e "Mamma?" è l'unica parola che riesce pronunciare.
"Lei sta bene. E' dalla signora Verne, adesso."
La voce acuta e sottile proviene dai piedi del piccolo letto.
C'è un ragazzo seduto lì. Harry è sicuro di non conoscerlo, ma nella suo tono c'è qualcosa di familiare, qualcosa di terribilmente rassicurante.
"Ed io dove sono?" ansima, per poi rigettarsi sui cuscini. Quel movimento gli causa una fitta acuta, inaspettata, al lato destro del viso. Fa per sfiorarsi la guancia ma "Ma io non lo farei se fossi in te" lo ammonisce lo sconosciuto.
Harry, la testa pesante e la vista ancora annebbiata, non riesce a distinguerne bene i contorni del viso, ma dalla voce traspare un'infinita tristezza.
"Che mi è successo?"
Il ragazzo non risponde subito. Sospira, dondola un po' sul posto. Non è indeciso, ma sembra spaventato, come se la risposta a quella domanda sia qualcosa di così immondo e abominevole da non poter essere pronunciata.
Ma alla fine "Ti sei bruciato" sussurra. "Nell'incendio alla libreria." 
La sofferenza nella sua voce è sincera, schietta, palpabile, come se anche il suo corpo in quel momento sia lambito dalle fiamme.
Ma Harry è già troppo stanco per accorgersene.
E' troppo stanco per pensare al marchio indelebile che porta sul viso, o per credere che possa essere un problema. Chiude gli occhi sospirando e un'altra immagine si fa spazio nella sua testa, spingendo da parte le altre.
Quella di una sera di non molto tempo prima, quando per spregio ha afferrato una candela e l'ha spenta sulla propria carne.
Sorride per l'ironica sorte che il destino gli ha riservato. Pensa a Louis, ai suoi sproloqui sulla natura malvagia, sull'ingiustizia nel mutilare qualcosa di così bello...
Louis.
Un labile, confuso dettaglio si staglia nella sua memoria e riguarda lui. Ma rimane lì, sospeso ai confini della sua coscienza, sfuggente ed inafferrabile come l'aria. Harry si sente frustrato, perché ne è certo, è un dettaglio terribilmente importante, che forse lo aiuterà a ricordare cos'è successo quella notte. Ma nel lottare contro la sua stessa mente, senza neanche accorgersene i pensieri che lo avvolgono diventano sogni e il riposo leggero, sonno.
E' la mattina dopo, quando si sveglia a causa del parlottare concitato di Zayn e Niall, che il suo desiderio di sapere viene appagato.
Perché ai piedi del letto, dov'era seduto il misterioso ragazzo fino a qualche ora prima, c'è un libro.
Una copia sgualcita dei Sonetti di Shakespeare.
Harry è ancora convinto di essere in un sogno quando lo apre e scorre fino all'ultima pagina.
Accanto al suo "Tornerò" c'è un'altra scritta, sinuosa ed elegante.

Verrò io a prenderti.  

Allora Harry ricorda quello che non è affatto un dettaglio.
E scoppia in lacrime.





Quella è la casa di Zayn.
Harry lo capisce quando si alza traballante dal letto per guardarsi un po' attorno. La stanza è minuscola, sudicia ma in qualche modo accogliente.
Segue le voci lungo il corridoio stretto come fossero note di una musica soave e si ritrova in cucina.
Seduto al tavolo con Malik c'è Niall. Il moretto gli sta insegnando a giocare a carte e la cosa pare per entrambi estremamente divertente.
Quando sollevano lo sguardo, Harry nota tante piccole cicatrici sul volto dell'amico, mentre i capelli biondissimi dell'irlandese sono anneriti sulle punte, come bruciacchiati.
"Grazie a Dio! Credevamo che non ti saresti più svegliato!"
Si alzano, lo invitano a sedersi, gli fanno domande a cui non risponde, gli raccontano cose che non capisce.
Sì, sua madre è dalla vecchia Verne, a quanto pare. E' riuscita a scappare la notte dell'incendio, prima che lui si fiondasse nella casa in fiamme in una corsa suicida. Sta bene, ma è ancora troppo debole per venire a trovarlo.
Suo padre piange sulle ceneri della biblioteca ogni giorno. Non è riuscito a salvare nemmeno un libro. E il resto del paese non è ridotto meglio. Le uniche case rimaste in piedi sono quelle dislocate dal centro, vicine ai campi, come quella di Zayn.
Ah Liam! Sì, c'era anche Liam con loro fino a qualche giorno fa, ma ora è tornato al castello per sistemare chissà quale affare e...

"Louis" li interrompe bruscamente Harry. "Anche lui è stato qui, dopo l'incendio?"
I due si lanciano delle occhiate ammiccanti ricche di sottintesi e "Sì," risponde alla fine Zayn. "E' stato in camera con te per tutto il tempo".
All'espressione confusa di Harry, segue la fragorosa risata di Niall. "Tu...non l'hai ancora visto in faccia, vero?"
E quella domanda appare così infinitamente diversa, dalla prima volta che gli è stata rivolta, che Harry non può far altro che alzarsi, uscire in giardino e andare a cercalo.


Il ragazzo è seduto sotto un albero, ha un libro sulle ginocchia e il gambo di un fiore in bocca.
Harry lo osserva, mentre gli si avvicina.
Capelli ambrati, quasi dorati per i riflessi del sole. Pelle liscia, colorita, coperta da uno spruzzo di barba. Labbra rosa, fini, eleganti. Mento appuntito, naso minuto, drittissimo.
Poi quello solleva lo sguardo.
Harry può vederli, adesso: gli occhi sottili, azzurri, celesti quasi, come il riverbero della luce su uno specchio d'acqua.
"Lou" si ritrova a sussurrare. E non è una domanda. Perché, per quanto ciò che ha di fronte sia impossibile da spiegare o definire razionalmente, lui sa che quello è il suo Louis.
Il ragazzo gli sorride, lo invita a sedersi lì accanto e "Ti va di ascoltare una storia, Harry?"
Il riccio annuisce, incantato. Fissa il volto bellissimo del ragazzo ed aspetta impaziente che cominci a parlare.
Sa che quella storia sarà più bella di tutti i libri che abbia mai letto.
Perché è la storia di Louis e quindi anche la sua.




Quando Lou smette di parlare è ormai sera.
Harry, accanto a lui, sfilaccia distrattamente gli steli d'erba che tiene tra le dita. Inclina la testa senza accorgersene, per evitare che il vento gli scompigli i capelli. Ogni tanto porta la mano a sfiorare la benda grigiastra che gli copre la guancia destra.
Louis rabbrividisce solo a guardarla.
Così, per non doverci pensare, decide di continuare a parlare.
"E' assurdo, vero?"
Il riccio aggrotta la fronte e sospira. "Cosa? Che tu sia stato vittima di un incantesimo per tutto questo tempo, o che io mi sia innamorato di te?"
"Direi entrambe" ridacchia il grande. "Forse più la seconda."
Harry sbuffa, poi si appoggia sulla sua spalla, si fa cullare dal suo respiro.
"Allora dovrei pensare che ora sia assurdo che tu possa amarmi. Adesso il mostro sono io."  Mentre lo dice strappa via la benda che da ore ormai sta tormentando.
L'ustione è grande quanto il palmo di una mano, di un biancore traslucido, attraversata da sottili linee rosso sangue.
Louis distoglie lo sguardo. E non perché ne sia disgustato. Non vuole farsi vedere da Harry mentre piange.
Ma quello gli afferra il viso tra le mani, lo porta all'altezza del suo e "E' un peccato, non è vero?" sussurra, come a sfidarlo.
"Si. Ma..."  soffia Louis, reprimendo le lacrime. "questo non ti rende un mostro."
Ad Harry sorride a quelle parole. "Finalmente hai capito."
"Capito cosa?"
"Che il fatto che mi sia innamorato di te non è assurdo. Anche quanto ti credevi un mostro, tu eri perfetto, lo sei sempre stato." Gli poggia una mano sul petto. "Qui dentro."
Poi lo bacia.
E mentre le sue mani scorrono sulla pelle calda, i respiri si mischiano e i cuori accelerano il battito, Harry pensa alla sua biblioteca.
Non gli dispiace che si andata di distrutta. Non ha più bisogno di quei libri per vivere.
Anzi, pensa addirittura che potrebbe scriverne uno lui.
E parlerebbe di Louis. Del suo palazzo nel bosco, del suo pianoforte e delle bottiglie di vino. Dei suoi guanti e della sua maschera.
Della sua bellezza.













   
 
Leggi le 50 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: NowKissMe YouFool