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Autore: frances bruise    19/04/2013    0 recensioni
Inghilterra, 1908.
La giovane Helena, membro di una famiglia borghese dell'epoca, è costretta a fidanzarsi con un giovane arrogante che non le piace per poter dare un respiro di sollievo al proprio padre, attanagliato dalla crisi economica familiare.
Mentre una parte della ragazza vorrebbe fare del bene per la famiglia, un'altra parte vorrebbe essere libera di fare ciò che vuole; ed Helena vorrebbe fuggire lontano lontano.
Così una notte, mentre tutti riposano, decide di scappare.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo primo
Fuggire via

La proprietà di Francis Carter non poteva certo esser comparata a quella di un ricco borghese: era una piccola costruzione in pietra, che si ergeva su due piani; sulla parte frontale, era stata intagliata solo una coppia di finestre per piano e questa sistemazione conferiva all’intero edificio un aspetto più ristretto rispetto a quanto non lo fosse veramente. Sempre sulla parte frontale, si estendeva un giardino poco curato, al momento spoglio per via della stagione invernale. E l’albero su cui Helena era solita arrampicarsi era privo delle proprie foglie.
Ogni volta che la ragazza gli passava accanto, aveva l’impressione che quell’albero potesse percepire il freddo molto più di quanto potesse percepirlo lei stessa, e rimaneva estasiata a contemplarne le forme per interi minuti.
Invece, sul retro, vi era un piccolo capannone in cui suo padre aveva riposto la locandina della panetteria. Nessuno vi entrava mai, proprio perché sia padre che figlia temevano che i ricordi potessero rifarsi vivi. Vivi per tormentare ancora le loro notti invernali, e per non far dimenticare loro quanto il dolore fosse potente. Più potente dell’amore.

Per quanto Helena provasse ancora dolore per la scomparsa di sua madre e per la chiusura del negozio, non si era certo tirata indietro, quando aveva soccorso il giovanotto dai capelli bruni.
Dopo averlo rifocillato per bene (quel giovanotto tutto sporco aveva davvero un appetito notevole!) ed averlo aiutato ad alzarsi, lo aveva condotto verso la propria casa per potersi prendere cura di lui. Tutto ciò era accaduto sotto lo sguardo pieno di scherno di William Berkley, che fin dal primo istante non nascose il proprio disappunto per il comportamento della signorina Carter.
Ahimè, William aveva avuto poco da obiettare: per quanto avesse cercato di convincere Helena a non introdurre nella propria dimora un ragazzo tanto sporco, non ci era riuscito. Neanche le solite minacce avevano funzionato, dato che la giovane donna era decisa a fare la buona Samaritana con quel poveretto.
-Helena, vi pentirete amaramente di ciò che state facendo! – esclamò William, alle spalle della ragazza, - voi non potere introdurre in casa vostra un simile pezzente! Non posso permettervelo! “Voi siete una fanciulla onesta, Helena, e lo stato sociale di questo individuo certo non si addice alla vostra persona. Per cui, se non volete farmi questo piacere, fatelo almeno per voi stessa: lasciate che se ne prenda cura una delle anziane del villaggio ed evitare di insudiciare la vostra casa.
In fondo, Helena, avete già aiutato questo giovanotto. Lo avete fatto, ed è stato abbastanza! E’ ora che impari come cavarsela da sola in questo mondo pieno di ingiustizie e ad evitare di abusare dell’alcool e ad imparare a sperperare il proprio denaro...”
A quel punto, Helena non lo stava più ascoltando: William le diceva quelle cose, ma fortunatamente non gliele stava dicendo in faccia, cosicché fosse costretta ad ascoltarlo. Nulla le importava della stima che i suoi compaesani avevano di lei, nulla le importava dell’opinione di William sul povero malcapitato che aveva incrociato lungo la via, nulla le importava della reazione che avrebbe avuto suo padre alla vista del giovanotto; era realmente risoluta a fare del bene per quel ragazzo.
Erano giunti entrambi presso l’ingresso principale della casa e William aveva deciso di tornare dalla sua famiglia per trascorrere del tempo assieme ai parenti. Era ovvio che non volesse essere testimone del comportamento della propria fidanzata.
Il giovanotto dai capelli bruni, dopo diversi giorni di vagabondaggio lungo le vie del villaggio, percepì nuovamente il calore che solo un caminetto acceso avrebbe potuto rilasciare. Così, non appena Helena richiuse la porta, il giovanotto tentò di camminare sulle proprie gambe, senza l’ausilio della ragazza.
-Non ci provate – lo ammonì Helena, - siete troppo debole per poter camminare da solo. Lasciate che vi aiuti e che vi faccia fare un bagno caldo, dopodiché vi preparerò una minestra. Poi, se lo vorrete, potrete raccontarmi il motivo per cui giacevate sul marciapiede.
Il ragazzo continuò ad annuire col capo, ma non sembrava intendere le parole di Helena, che intanto lo conduceva al piano superiore e gli indicava la porta del bagno. Gli diede qualche indicazione circa gli asciugamani di cui servirsi e circa la vasca da bagno, che supponeva il ragazzo sapesse usare, dopodiché tornò al piano inferiore per preparargli una minestra calda.
Circa mezz’ora dopo, il ragazzo si presentò nuovamente. Questa volta, al posto degli stracci che Helena meditava di bruciare nel caminetto, indossava una vestaglia maschile – appartenente al signor Carter – che la giovane donna gli aveva lasciato di fronte alla porta del bagno. Ma non fu tanto questo a colpire Helena. La bellezza del giovane era indiscutibile: aldilà degli intensi occhi azzurri, la cui luminosità era visibile anche quando il ragazzo era ancora ricoperto di fango, a colpire Helena fu la delicatezza della sua mascella, che gli conferiva un aspetto regale. Aveva proprio una faccia d’angelo.
E la giovane donna rimase a guardarlo, come costretta da una calamita invisibile, e si dispiacque molto, quando il buonsenso le suggerì di volgere lo sguardo altrove per non mettere in imbarazzo l’altro.
-Spero che vi sentiate a vostro agio qui, signor... Signor...? – farfugliò Helena, confusa per la vicinanza del giovane, che immediatamente venne in suo soccorso.
-Thomas, solo Thomas – rispose.
Dunque, il nostro Thomas fece qualche passo attorno alla tavola circolare e si mise a studiare attentamente l’ambiente che lo circondava: nell’angolo in cui Helena lasciava cuocere il brodo di carne, oltre al piano cucina vi era un mobile in legno scuro tendente al bordeaux, sul quale erano poggiate le stoviglie ormai asciutte e un paio di bottiglie di vino rosso non ancora aperte. Le pareti, tinteggiate di marrone chiaro, quasi beige, suggerivano un’atmosfera calda, ma forse un po’ triste e monotona. Lo sguardo azzurro di Thomas si posò su un altro mobile dalla parte opposta della stanza e gli si avvicinò, incuriosito con sincerità: all’interno della credenza dalle ante in vetro erano custodite delle stoviglie ben curate, anzi immacolate.
Si chinò leggermente, mentre Helena si voltava e scostava le lunghe chiome dal petto stretto nel corpetto. Non si soffermò a chiedere perché mai il giovanotto – Thomas, si chiamava Thomas! – fosse tanto interessato al servizio di piatti della domenica, e si servì di un panno bianco per sollevare la pentola dal fornello; verso il brodo in una scodella in coccio e la poggiò sulla tavola, affianco ad un cucchiaio, un tovagliolo e ad un bicchiere d’acqua.
-Prego, mangiate – disse a Thomas, - nel frattempo, io sistemerò per voi la camera degli ospiti.
Thomas si accostò alla sedia e fu in procinto di sedersi, ma poi gli venne un dubbio: alzò lo sguardo e lo puntò sulla ragazza dalle bionde chiome, infine chiese: -E voi? Voi non mangiate?
Quella era una domanda da poco per ogni essere mortale presente sulla faccia della Terra, ma per Helena non si poteva dire lo stesso: nessuno si curava di lei, a nessuno importava se mangiasse o meno, o se dormisse abbastanza per poter affrontare la giornata con prontezza. Nessuno.
Il cuore le sembrò improvvisamente molto pesante, al punto che temette che potesse scoppiarle dalla gabbia toracica, dato che il suo respiro era tanto affannato. E, poi, sentiva un qualcosa nascere all’altezza del suo petto. Un qualcosa che lentamente si arrampicava nella gola e che le faceva bruciare le narici, al punto che la sua vista si fece sfocata tutto d’un tratto e due grossi lacrimoni le rigarono le guance.
Dunque, a qualcuno importava. A qualcuno importava di lei!
-Io... Io mangerò più tardi – affermò, sebbene con voce tremante.
Lasciò che il ragazzo mangiasse in pace e salì al piano superiore, dove aprì la porta della camera di fronte alla sua ed accese la luce: il letto, una volta scoperto dal telo bianco che serviva a non farlo impolverare, aveva ancora un bell’aspetto e si poteva affermare con sicurezza che l’abat-jour sul comodino funzionasse alla perfezione. Helena si mosse in direzione dell’armadio e ne spalancò le ante per prelevare gli asciugamani ivi conservati, così li piegò nuovamente e li pose accanto alla bacinella per la toeletta. Ancora, con una pezza ripulì lo specchio appeso alla parete, proprio sopra al cassettone in cui poteva essere riposta la biancheria intima. Infine, si dedicò completamente al letto: tolse le coperte e le lenzuola e le lasciò cadere a terra, radunandole in un cumulo, poi diede diversi colpi al materasso col battipanni e infine rifece il letto con lenzuola e coperte pulite.
Siccome voleva che nulla mancasse al giovanotto, ripulì anche il pavimento e spolverò i mobili, in modo che Thomas potesse sentirsi a proprio agio all’interno della camera.
Per ultimo, dopo che il giovanotto si fu chiuso nella camera a lui destinata, Helena mandò giù due bocconi di pane sesso e un bicchiere di latte, che costituivano la sua cena.

Verso le nove e mezzo, sia Helena che Thomas si erano ritirati nelle proprie stanze ed avevano chiuso le porte, dopo essersi scambiati un augurio di buonanotte. Ed entrambi si erano addormentati.
Il piccolo orologio sul comodino di Helena aveva appesa segnato le tre e un quarto del mattino, quando la porte della sua camera venne aperta silenziosamente. Con passi furtivi, Thomas si avvicinò al letto di Helena per assicurarsi che la fanciulla stesse dormendo: passò ripetutamente una mano di fronte al suo viso e, una volta certo che si trovasse tra le braccia di Morfeo, poggiò un pezzo di carta sul comodino. Tuttavia, nel buio urtò il piccolo orologio, che cadde a terra e si ruppe in mille pezzi, generando un fracasso che svegliò Helena.
Quella trasalì e tirò su le coperte all’altezza del petto; sbarrò gli occhi verdi e grandi alla vista del giovane, mentre le guance già le ardevano per via del pudore virginale. Un uomo nella sua camera alle tre di mattina. Un uomo che non era né un fidanzato, né un marito e né un amico. Che cosa avrebbe detto papà Francis, se fosse venuto a conoscenza della presenza di Thomas nella stanza della propria figlia ancora vergine?
-Che cosa ci fate qui? – domandò, allora.
-Sto per andarmene a volevo lasciarvi una lettera per ringraziarvi – rispose lui tranquillamente.
-E... E dove andate?
Thomas tirò su le spalle ed assunse una postura molto rigida. Poi, senza guardare negli occhi la donna, disse con voce fiera: - Torno nel mio mondo, signorina.
A sentirsi dire una baggianata del genere, Helena scostò le coperte – oramai incurante dello stupido pudore virginale che le impediva di comportarsi con tanta sfacciatezza – e si alzò in piedi, ponendosi proprio di fronte al giovanotto. Il suo sguardo si indurì.
-Vi ho accolto in casa mia e voi mi mentite tanto spudoratamente! – esclamò, - dovreste vergognarvi delle bugie che mi state raccontando, signor Thomas, perché sono bugie che non dovrebbero neanche essere pensate in presenza di una signorina.
-Io non vi sto mentendo – la interruppe Thomas.
Con una semplice occhiata, Helena mostrò tutta la sua perplessità, ma ancor più il suo scetticismo. Quel Thomas! Che vergogna mentire ad una ragazzina!
Si allontanò da lui e fece qualche passo avanti e dietro lungo la stanza, aggrottando le sopracciglia e poggiando il dito indice sotto il mento in segno di riflessione. Cominciò a chiedersi se, in fondo, il signor Thomas non avesse ragione: del resto, era un ragazzo alquanto insolito per il piccolo villaggio di Greystone e lei stessa doveva ammettere che fin dalla prima volta in cui lo aveva visto, aveva pensato che fosse un essere proveniente da un altro pianeta. Così, ad un tratto, si volse di scatto e si strinse al petto del giovane.
In tono supplichevole, gli disse: -Portatemi con voi, vi prego!
-Voi... Voi mi credete? – domandò allora Thomas, che fino ad allora aveva creduto che non sarebbe mai riuscito a convincere la ragazza della veridicità delle proprie affermazioni.
-E perché non dovrei credervi? – si interrogò Helena, - se state dicendo la verità, non avrete nulla da temere, giusto?
Thomas annuì con un semplice cenno del capo.

   
 
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