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Autore: nephylim88    21/04/2013    1 recensioni
Quando si parla di case maledette acquistate, il nostro pensiero va immediatamente alla sorte dei poveretti che hanno acquistato gli edifici in questione. Ma come vivono la situazione quelli che vendono queste case? Ho voluto mettermi nei panni di un giovane agente immobiliare, che si ritrova a vendere una della case più famose di Venezia, almeno da questo punto di vista...
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Trascorsero diverse settimane. La mia vita andava avanti tranquilla. La vendita delle case andava straordinariamente bene. Ne vendevo una ogni due settimane, più o meno. Uscivo con i miei amici, chiacchieravo con Lucrezia Borgia e Giulia Farnese. A dire la verità, sospettavo che entrambe ci provassero spudoratamente con me. Quante volte entravano nel mio ufficio con una scusa qualsiasi, e con quelle minigonne che lasciavano ben poco all'immaginazione! E vogliamo contare le numerose carezze dietro la nuca, o il saggiare continuamente i miei (?) muscoli? E gli sguardi maliziosi che ogni tanto bersagliavano la patta dei miei pantaloni?

Se da un lato il mio ego maschile prendeva il volo, dall'altro ero a disagio. Non avevo la ragazza, né intendevo trovarmene una nell'immediato. Stavo bene così come stavo, nella mia solitudine e tranquillità. E avere quelle donne (e una di loro era la compagna del mio capo!) che mi facevano il filo mi metteva non poca confusione! Oltretutto mi facevano sentire un pivellino alla sua prima cotta! Ed era successa una cosa un po' particolare. In realtà, inizialmente sembrava molto insignificante. Talmente insignificante che solo la sera della morte di Généviève capii che non lo era poi così TANTO. Anzi!

Ero in ufficio. Avevo appena contattato un cliente molto interessato ad una villa veneta nell'alta padovana. Una villetta piuttosto insulsa, secondo me. Non era molto grande, né molto famosa. Avevo parlato con alcune persone del luogo, e metà di loro non conosceva nemmeno il nome di quella magione! Ma, nonostante questo, aveva anche lei le sue leggende. Quella che mi era rimasta impressa parlava di un buco nella chiesetta della villa, sotto una piastrella rotta, che pareva non avesse fondo. Mi accordai per trovarmi col cliente due giorni dopo. Gli avrei fatto visitare la villa. Era già interessato a comprarla, anzi mi aveva già fatto un'offerta. Ma era prassi fargli almeno vedere dove sarebbe andato ad abitare!

Avevo appena messo giù il telefono, quando entrò Cesare, seguito da Lucrezia. Avevano entrambi un sorrisetto gelido stampato in faccia.

“Hai concluso ancora, eh, Giorgio?” la voce di Cesare era alquanto tagliente. Onestamente, ebbi paura. Ero convinto di fare qualcosa che non andava. Come si spiegava quello sguardo, sennò?

“Ha bisogno di qualcosa, Cesare?” domandai, cercando di stare tranquillo.

“Oh, su, rilassati! Non sono qui per mangiarti!” scoppiarono entrambi a ridere. Quando smisero, l'espressione sembrava più cordiale. Ciononostante, notai, avevano entrambi lo stesso sguardo gelido dei serpenti.

“Allora...?” bofonchiai.

“Siamo qui per parlarti di lavoro!” cinguettò allegra Lucrezia. Si sedettero sulle sedie di fronte alla mia scrivania. Intrecciai le dita sul piano del tavolo, e mi misi in ascolto.

“Come sai, noi siamo una ditta in continua espansione. Questa storia di vendere case antiche attira la clientela! Specie se sono 'infestate'!” Cesare fece il segno delle virgolette con le dita. “Ora! Quello di cui abbiamo bisogno per espanderci è un team estremamente dinamico, pronto a qualsiasi cosa pur di vendere! E, come ti abbiamo già detto quando ti abbiamo assunto, se questo team lavora bene, lo premiamo! Certi agenti sono diventati addirittura soci!”

Dove voleva andare a parare?

“Abbiamo controllato il fatturato delle nostre filiali. Beh, la sede di Venezia è quella che rende di più. E questo grazie al tuo fantastico team!”

“Composto solo da me...” borbottai.

“Non fare il modesto! Tu hai inventiva, spirito di iniziativa, voglia di lavorare! Da solo hai venduto più case del team di Roma! Questi sono alcuni dei requisiti per diventare nostro socio!” era così eccitato che a momenti se la faceva addosso... Lucrezia stava seduta al suo fianco con un sorriso misterioso stampato in faccia.

“E quali sarebbero gli altri requisiti per diventare socio?”

“Diciamola così...” intervenne la donna, sempre con quel sorriso enigmatico “cosa sei disposto a fare, pur di riuscire nel lavoro?”

Rimasi zitto per un po', prima di rispondere un incerto “Beh, in verità non lo so...”

“Vorresti diventare nostro socio?” Lucrezia e Cesare mi guardarono pieni di aspettativa.

“Sì, certo!”

“Ok. Al momento giusto valuteremo noi se sarai... degno... di quel ruolo!”

Detto questo si alzarono e se ne andarono. Io rimasi a fissare la porta dell'ufficio, stranito. Davvero mi volevano come socio? Come diavolo avrei dovuto fare per dimostrare di essere 'degno' di quel ruolo?


E quando non era il lavoro a mettermi in difficoltà, c'era Généviève. Ormai ero sempre più preoccupato. Non si faceva vedere, né sentire, per parecchi giorni di fila, e quando lo faceva era sempre più abbattuta.

“Généviève, ti manca così tanto, tuo marito?” le domandavo spesso. Era una domanda scema e priva del benché minimo tatto, lo so, ma era l'unico sistema che avevo per capire meglio i suoi sentimenti. Con un “stai bene?” ricevevo solo una laconica alzata di spalle. Non che, alla domanda su suo marito, rispondesse tanto di più. Un vago “suppongo di sì” era la norma.

Oltretutto, Julie, la sua domestica, se n'era andata. Di punto in bianco. Aveva mollato lì la sua datrice di lavoro, che chiaramente stava male. Se l'era svignata, quella stronza! Ero indignato al massimo, quando Généviève me l'aveva detto. Ma lei... lei sembrava fregarsene. Girava per casa con quello sguardo vacuo che metteva i brividi. Ormai ero da lei tutte le sere, per assicurarmi che mangiasse almeno una volta al giorno. Non posso dire di essere mai stato particolarmente testardo. Con un'altra persona, prima o poi avrei mollato la presa, e l'avrei mandata a quel paese, con un lapidario “se non vuoi aiutarti tu da solo, perché devo farti io da psichiatra?”. Ma con lei non ce la facevo. Proprio non ci riuscivo! Forse era la sensazione che mi prendeva quando varcavo il cancello di villa Dario. Una sensazione di gelo terribile. In un momento di idiozia, avevo detto sghignazzando a Marco, il mio migliore amico, che capivo perfettamente che cosa provava Harry Potter quando aveva a che fare con un dissennatore. Scemo che non ero altro! Avevo cercato di buttare in ridere una questione serissima. Quando entravo lì, mi sentivo come se ogni singola cellula del mio corpo fosse svuotata di ogni energia. Quella casa era opprimente. Tuttavia non riuscivo a portare Généviève fuori di lì. Sembrava quasi legata a quel posto. Quando tornavo a casa mia, mi sentivo come se avessi le pile scariche. Nonostante questo, la sera dopo ero lì, più battagliero. Non intendevo in nessun modo lasciare Généviève lì da sola!

Quella sera andai di nuovo da lei, con il necessario per fare una pasta alla carbonara. Aprii il cancello, che emise un cigolio sinistro. Da quel momento mi riprese la sensazione di nausea opprimente che ormai avevo imparato a collegare a quella casa. Guardai attentamente il cortile e la casa. Sentii i muscoli tendersi, come se stessi per essere attaccato. Sono sicuro che ci fosse qualcuno, lì. Una presenza indefinita. Alzai lo sguardo verso le finestre. Una tenda venne scostata. Con mia enorme sorpresa, vidi un uomo affacciato alla finestra. Ma fu una visione alquanto fugace. Si tolse immediatamente alla mia vista, e la tenda ritornò al suo posto.

Perplesso, mi avviai verso la porta d'ingresso. Bussai. Genéviève venne ad aprirmi dopo un tempo che mi parve infinito. Mi sembrò stare meglio rispetto alla sera prima.

“Oh, ciao Giorgio...” anche il suo saluto sembrava meno fiacco.

“Genéviève, tutto bene?”

“Certo... perché?”

“Oh, nulla. Senti, ti vanno degli spaghetti alla carbonara?” misi in mostra il sacchetto della spesa.

“Ah... ehm... no grazie... io... beh, stasera preferirei stare sola.”

La guardai. Era pallida, evidentemente dimagrita. La luce dei suoi occhi sembrava spenta. Avrei tanto voluto dirle di no, che sarei rimasto. Ma era anche vero che in quel periodo forse le stavo un po' troppo addosso. Con riluttanza, annuii. In fondo non era sola, c'era sempre quell'uomo che avevo visto alla finestra. Me ne andai. Una volta in strada, tirai fuori il cellulare e chiamai Marco per andare a prendere uno spritz.

  
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