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Autore: Zanteh    21/04/2013    0 recensioni
"Io lo so che tutto ciò che c'è, tutto ciò che ci circonda, tutto ciò che ci raccontano in fondo non è altro che una grande, immensa, gigantesca presa per il culo." Hyung-Ki è un forte ma non troppo saggio dragone con gli occhiali con una forse eccessiva propensione all'alcool e un ancor più forte amore per ciò che c'è di bello ma deliziosamente inumano. Le sue peregrinazioni nella kafkiana Crystal City lo porteranno ad incontrare i personaggi più inconsueti verso il ritrovamento di una perduta felicità.
Genere: Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo 3
Donne
 
"Luminoso Signore di Tutti i Mattini,
tu che giosci nel vedermi forte e serena
la notte, nel sonno, quando non sono cosciente,
quando il mio cammino si fa incerto;
Tu che mi hai insegnato a proteggermi da me,
a rifugiarmi nella quiete del mio animo,
a confidare nel mio stesso ingegno;
Tu che sei parte di me e parte del tutto,
che sei onorato dalla mia gioia 
e maledetto dalla mia indolenza,
Ricordami come sarei infelice
se non fossi capace e libera di amarmi."
 
Schylla ha dormito con me. A dire il vero, io ho dormito. Lei è rimasta a contare le ragnatele sul soffitto tutta la notte, parlando tra sè e sè di come avrebbe messo a posto casa. Credo si sia consigliata di prendere in bocca lo spazzolino invece che di tenerlo tra le ginocchia, ma questa potrebbe essere solo una fantasia. La mia unica certezza risiede nelle preghiere che ha cantilenato nel corso della notte. Non so esattamente verso che ora, ma doveva essere l'alba quando si è alzata, è andata alla finestra e ha rivolto al sole sorgente le sue parole di conforto. Credo abbia pregato anche per me. Ma a me basta Jeanne, lei e le sue stigmate da combattente incapace. Ah, Jeanne! Prometto che oggi passo a salutarla.
 
Stamattina, Schylla mi ha aiutato a scegliere una camicia pulita adatta per l'incontro col mio capo, dondolandosi da un capo all'altro per controllare che non ci fossero "orribili pieghe" pronte a tutto per farmi sfigurare. Non m'importa così tanto di presentarmi in ordine, ma Schylla era così teneramente insistente che ho dovuto accontentarla. Lei, felicissima di dispensar consigli, si è irradiata di nuova gioia al vedersi porgere una vecchia e lisa maglietta sintetica ormai troppo piccola per me. Contentissima, s'è infilata tra le pieghe come una giovane micetta e col tono fermo di un vecchio comandante s'è dichiarata pronta e decisa ad attaccare la polvere che assediava da tempo le mensole di casa. Insieme in bagno, le ho legato uno straccetto in testa mentre il colluttorio alla menta le bruciava la bocca, le ho pettinato i capelli e le ho preparato una serie di frullati in bicchieri da mezzo-litro in caso le fosse venuta fame. Le pulizie sono un lavoro duro e faticoso. Altro che spaccare pietre! In quei brevi momenti in cui i suoi occhi non erano persi nel meraviglioso mondo dei sognatori, ha quasi  tentato di ritirare fuori la faccenda del 'mostro', ma me la sono filata in tempo. Non posso certo dirle che Scilla sia un mitologico mostro acquatico con sei teste, quattro occhi, denti appuntiti e viscidi tentacoli divorato dall'astio e dalla vendetta! Ci rimarrebbe male. E una donna che rimane male rompe necessariamente i coglioni.
 
Preferisco piuttosto starmene qui, solo e al freddo, ad aspettare che arrivi il tram per il settore 11. C'è della gente orrenda in giro stamattina. C'è sempre della gente orrenda per le strade di città. Persone brutte dentro, raccapriccianti, marce, esseri ricolmi di pus giallastro e carne putrefatta. Ho schifo di questa gente: Il loro tanfo mi appesta l'animo. Che mi stiano a debita distanza o pressati contro di me sul tram 11-B,questo poco importa: il fetore dell'acquitrino sordido che ondeggia nelle loro pance emana un forte odore di pesci morti. Acque nere, stagnanti. Questi esseri non sono nulla più che sporche tazze del cesso piene di olezzante fanghiglia. Che schifo, questo mondo mi fa schifo.
 
"Ti credi tanto migliore, dragone?"
"Ma guardi, proprio per nulla. Anzi, fortuna vuole che io sia peggio di tutti questi sacchi di merda." 
Alzo la voce senza neppure accorgermene, ma nessuno mi guarda, nessuno mi parla o mi contesta. Siamo luci spente di una cattedrale vuota. "Uniti tutti dallo stesso filo di corrente, impauriti tutti dal bruciarsi di questo unico filo, ci crediamo tanto potenti e indipendenti, quando siamo così miseri che da soli non faremmo luce nemmeno a noi stessi."
"Padre Samuel, ora legge anche nel pensiero?" 
Padre Samuel si avvicina attraverso il mare di pendolari, spingendo con i gomiti appuntiti tra i fianchi di una balena lardosa. "Non nel pensiero, ma negli occhi della gente. E non c'è libro più triste e sconcio delle loro pupille dilatate."
"Forse dovrebbe smetterla di seguire i suoi drogati."
"Preferisco un eroinomane a qualunque altro imbecille. Un drogato hai almeno la speranza di riuscire a guarirlo."
"Mah... Magari questi chiari esempi di fulgida borghesia sono davvero 'nella norma' e siamo noi quelli anormali, gl'inguaribili appestati. Potremmo fondare un club, ci pensa?"
"Figlio mio, essere normali è ben diverso dalla meschina omologazione. Essere magnanimi e rispettosi non si riflette nei miseri tentativi di dialogo con masnade di mocciosi che non hanno capito una mazza di ciò che è stato loro imposto - e questa schiavitù si ostinano tuttavia a chiamarla libertà. La finta libertà di avere molte scelte e continuare a belare."
"La libertà di essere schiavi.."
"E la demenza di non dubitare."
"Però dubitando sempre si resta senza certezze, Padre Samuel.. Non può togliere alla gente una tanto comoda fonte di rassicurazione!"
"Non sono le certezze a darti da mangiare, Hyung-Ki. Dubitare vuol dire porsi in costante ricerca di verità, vuol dire agire consapevolmente --o almeno in parte. Chi non dubita è schiavo delle proprie illusioni."
"Certezze."
"E' un'illusione credere le proprie certezze tali."
"Padre Samuel, Lei crede nella Dea e ne è il servo devoto. Dubiterebbe mai che la Dea esiste? Che sia buona e giusta? Dubiterebbe mai di Lilith, della Grande Signora?"
Il volto di Padre Samuel si apre in un sorriso, il tram sobbalza. "Io dubito di ogni cosa, Hyung-Ki. Dubito anche dell'esistenza della Dea a volte, ma poi mi guardo intorno, e tocco, e vedo le mani, le mie mani - e so che esisto, e che Lilith esiste insieme a me. Dubito che sia buona a volte, ma poi apro i miei libri. La Dea mi chiede di essere felice, di essere responsabilmente felice. Quale altro dio mi direbbe in faccia che la miglior preghiera è la felicità? Lilith non vuole sacrifici, non ha bisogno di chiese - Lilith non chiede nulla, ma la nostra felicità. E' per ricordarci di questo che innalziamo altari, che preghiamo insieme, che organizziamo feste... Tutte cose inutili che a noi danno sicurezza. Io credo nella bontà della Dea perchè mi illudo dell'esistenza della felicità. E sai perchè mi permetto questo lusso, dragone? Perchè sono stato felice. Sono stato immensamente felice." Padre Samuel ondeggia sul tram che si ferma, gli occhi di serpe lucenti nel grigiore del mattino. Si tiene con il braccio ossuto alla sbarra di metallo, mi fissa impassibile tra un sorriso vitreo sospeso in un pensiero. E siamo sospesi anche noi in questo tutto, e ancora distanti dalla destinazione. E allora continuiamo a viaggiare: 
"E di Jeanne? Di lei non si hanno che racconti, leggende e storie per bambini!"
"Jeanne è la Protettrice dei Perduti. La sua funzione è ascoltare le nostre lagne. Come io ora ascolto le tue."
"Che brutto lavoro che s'è scelto!"
"Lo dico anch'io, ma il mio cuore è sazio. Ma ora sentiamo: dove stai andando, dragone? A far finta di essere un bravo cittadino?"
"A lavoro. A proposito, la devo lasciare. E' stato un piacere, Padre Samuel. A buon rendere!" Zompo giù dal tram, spinto e sospinto dalla calca. C'è una ressa immane che combatte per salire, ma me ne frego. Finalmente ho imparato a fregarmene. Mi fa stare meglio, questo sbattermene altamente degli altri. Non bene, ma meglio. Va meglio se scendo un po' prima per evitare una lunga discussione, per evitare di sentir parlare di Jeanne, per non parlare di me, per non parlare. Per stare bene, meglio di così, a volte penso che dovrei ammazzarli tutti.
 
Passeggio veloce per il settore 4, ovviamente in ritardo. Le camelie sorridono sotto la luce artificiale del vialetto della Levharttorren. Entro di corsa nel torreggiante ammasso di uffici della signora Levhart. Una corsa all'ultimo piano e sono fuori. Solo una corsa, solo qualche istante in quell'ufficio e sarò fuori! mi ripeto. Oltrepasso le porte di vetro, mi affretto oltre le specchiere, ignoro le zoccole della reception e m'imbuco nell'ascensore esterno. Pigiato contro il cristallo lercio di polvere e smog, chiedo di premere l'ultimo bottone per me e, una volta che l'alone di vapore si è dissolto nell'aria, posso bearmi gli occhi del panorama cittadino. Le fabbriche grigie vomitano fumo bianco nel cielo tetro, i vicoli bui delineano come graffi gli angoli dei condomini più bassi, il centro storico è un ammasso di macerie e licheni. Che schifo. Che schifo la gente, la città, questa puzza di sudore e sigarette al ginseng. Voglio andare a casa, voglio andare da Schylla. Voglio spiegarle cosa sono i mostri e perchè sono tanto meglio di questi impomatati ipocriti suini. Voglio darle una mano a pulire, a mettere a posto il gran casino che è il salotto, voglio  scegliere con lei i CD e dare in beneficienza i libri che sappiamo a memoria. Voglio Schylla, voglio essere le sue mani. 
 
"Tlin-tlon - Piano 234. I signori vogliano scendere." 

Striscio fuori dall'ascensore e mi dirigo immediatamente verso la porta 33. La signora Levhart non ha mai voluto un ufficio più grande o distinto di quello dei suoi dipendenti, solo una connessione più veloce e una telecamera in ogni ufficio. Grazie al cielo, nessuna telecamera per me. Il grande finestrone su fianco sinistro le permette di scutare con occhi ferini l'intera città, dal quartiere più alla moda all'angolo più buio. E con loro, i suoi dipendenti, dirigenti, i manager... La gente che lavora per lei, legata a lei da un magico filo d'inchiostro, una firma che ne compra il tempo. Non capirò mai come la gente sia felice di essere schiava. Che senso ha buttare via 8 ore al giorno per una stronza come la Levhart? Perchè ti paga? Tanto quei soldi torneranno alla Levhart, alla Torren, al vecchio Ramà, a tutti i finanzieri, banchieri, imprenditori di Crystal Town. Però il tuo tempo, quelle 8 ore buttate via per loro, quello non tornerà mai a te. 

"Hijau, che bella sorpresa." I denti aguzzi della Levhart scintillano dietro quel sorriso sempre teso. Ormai gli interventi sono diventati comune routine, tanto che più il suo volto invecchia, meno rughe si vedono. Non ho nulla contro questa mania della signora Levhart, ma farsi depilare la faccia per pompare quelle labbra nere e assottigliare quel naso da micio che Lilith le aveva dato così bello mi è da subito parso eccessivo. Bella bella bella e scheletrica. Sono sottili come le vibrisse che le decorano il muso le gambe scarne e flessuose a cui si avvinghiano le calze nere da 70 denari e quegli stivaletti da bimba che paiono stuzzicadenti di pelo dorato. Tuttavia, devo dire che anche col seno rifatto e un culo da 5000 crystals resta una bella leonessa, la signora Levhart. Ed io aspetto solo di impagliarla.
 
"L'ha avvertita Hannah, vero? Credo si sia voltata appena sono entrato.."
"No, è stata quella nuova, la morettina."
"Quella con gli occhi da lepre e gli orecchini a cerchione di tir?"
"Proprio lei! L'ho assunta settimana scorsa. Aveva delle unghie verde petrolio meravigliose! Però dovrà fare pur qualcosa per quel muso di topo.. Dirò ad Hannah di portarla a fare shopping. C'è un nostro negozio proprio in viale Lucciole, le dirò di trascinarsela lì."
"Così che il suo stipendio torni in tasca tua."
"Ovviamente. A proposito di stipendio, eccoti i tuoi soldi." Dyana artiglia il cassetto di plexiglass, lo apre con violenza e ne tira fuori una mazzetta di banconote lilla. Le conta in fretta, sventagliandosele sotto il muso, per poi lanciarmele quasi con disprezzo. "Contali pure, ma non ci sono certo tutti. Ne ho trattenuti circa un sesto per pagare i ragazzi della Centrale. Che cari fanciulli! A proposito, ti ringraziano."
"Di nulla, anzi. Sono io a ringraziarli. Posso sapere di più sul cadavere?"
"Paha Likainen, 44 anni, concorrente, trafficante. 230'000 Crystals, tolti i danni. Vuoi sapere altro?"
"Il cuore?"
"Violettlaak, intervento d'urgenza su un moccioso. Il fegato? A una ragazza di Schwarzburg. I polmoni? Non siamo riusciti a piazzarli. I reni eran troppo lerci per essere venduti, il midollo non era compatibile e le ossa le abbiamo triturate per farci crema di bellezza. Il resto se lo stanno gustando i geranei del commissario Jaune. Hijau caro, cosa t'aspettavi ti dicessi?"
"Mi serve un paio di braccia. Sono per una ragazza: giovane, smilza, solare."
"Quanto sei disposto a dare?"
"Quanto sei disposta a chiedere?"
Dyana ride. Ha un modo sguaiato e selavaggio di deridere le sue prede. Credo di odiarla, ma mai quanto amo i suoi soldi. "Ho tutto, Hyung-Ki, e solo poche farfalle non sono ancora nella mia collezione.."
Aggrotto le ciglia fino a sfocare i contorni ben delineati della sua ossuta figura. Solo quand'è completamente scomposta in mille macchie di colore mescolate a casaccio, un ridente dipinto impressionista misto al legno chiaro del mobile alle sue spalle, ecco, solo in quel momento riesco a risponderle: "Si può fare."
I suoi occhi brillano, eccitati dalla conquista. Da quanto tempo mi desidera? Afferrando il telefono, digita veloce il numero del vecchio Sulk, il direttore del settore Impianti. "Howard? Sì, sono io, Dyana. Ce l'hai un paio di braccia in magazzino? Che tipo, dici?" Mi guarda. Gesticolo un "qualunque cosa va bene." "Non so, fai tu. Quello che ti par più carino per una ragazza. Che età?" Sussurro '19'. Con tre dita per zampa è un po' dura mimarlo. "Fai sui 19. Va' che deve crescerci insieme, quindi non roba scadente. Sì, sì. Nel pomeriggio di domani riceverai il pagamento.. Ma chettefrega a te per chi sono? So io per chi sono! Mandami una foto, okay? Guarda che se non ricevo niente nel giro di mezz'ora le strappo a te le braccia. Ciao.. Ah, sei riuscito a trovare qualcuno a cui servisse un duodeno? Millicent Johan di Schwarzburg, dici? Okay, basta che paghi ed è suo! Mandami la cartella quando l'hai piazzato! Un bacio, a dopo!!" Premendo sul touch-screen, Dyana spegne il telefono, lo poggia sulla scrivania opaca e ritorna a fissarmi, stiracchiandosi pigramente fino a far scrocchiare tutte le ossa del busto. "Fatto. Passa stasera da casa mia, dragone, e avrai le tue splendide braccia nuove. Ricordi dove abito, no?"
"Come desideri, Dyana." Infilo la mazzetta nella tasca interna dell'impermeabile e esco dall'ufficio.

Non sopporto la gente triste. Non quando è ricca come Dyana, non quando è eccitante e maliziosa e cattiva come Dyana. Mi rituffo nell'ascensore, ignorando i dipendenti dalle faccie smunte e ingiallite, pedoni grigi aggiogati da contratti a termine protratto. Che brutta vita, essere un precario. Appena la scatola di vetro e metallo mi rivomita nella Hall, mi affretto verso il bancone della reception. Hannah se ne va di corsa, infilandosi nella porta metallica che conduce ai mille cunicoli dell'archivio al piano interrato. Ce l'ha ancora con me, quella lurida serpe. Ma in fondo, chissenefrega. C'è stata una storia, è andata male, bom, fine. Vai avanti. Non puoi sempre fare la bambina, la finta offesa che si nasconde dietro un velo di carta velina e opache menzogne ogni volta che mi vedi. Lavori qui? Beh, anche io. Rassegnati ad avermi tra le palle quando meno te lo aspetti. E se proprio vuoi che la finiscano con le storie su noi due, impara a salutarmi quando entro. Sono stufo di dire a tutti che ci siamo lasciati perchè ho ucciso tua madre. Tua madre sta benissimo, ma a casa sua, e tu sai quanto desideri farglielo saltare in aria, quel suo dannatissimo cottage sui montri Glesar! Ah, queste donne.. Che grandissime teste di cazzo. 

"Salve, Signore, come posso aiutarla?" Magra, mora, riccia, trucco messo male, divisa in disordine, unghie verde petrolio. 
"Juliette, vero?" Sempre che la targhetta sulla divisa non m'inganni.
Ancora un po' imbarazzata, nasconde il viso arrossito nelle spalle, per poi lanciare un sorriso civettuolo. "Sì, sono io. In che posso esserle utile?"
Appoggiandomi al bancone, sorrido dolcemente. Nuova davvero, carne giovane. "E' troppo inopportuno domandare a che ora stacchi?"
Ritraendosi un po' per paura, infine risponde flebilemente. "Tra non molto. Ma perchè me lo chiede?"
Con lo stesso mellifluo sorriso, indico la seconda fila di scaffali gialli, annuendo verso i tronchetti bluette che si intravedono dietro i faldoni. E' rimasta ad ascoltare, quella vipera. "Allora fammi un piacere. Avvisa quella stronza di Hannah che la signora Levhart le commissiona un giro turistico per negozi proprio questo pomeriggio."
"Che??" Mi ha sentito. Splendido. "No, no, no. Aspetta. Cos'è 'sta storia?" Eccola che tacchetta fino in fondo allo scaffale, una svolta, un tuffo fuori dalla porta, bingo! Divisa accorciata, forme sinuose, viso perfetto... Ah, bellissima. Una bellissima deficiente. "Colpa tua, ci scommetto!"
"Io non ho fatto niente." Ridacchio e mi scosto in fretta, suona il telefono. Mi volto verso la telecamera mostrando i denti. Dyana, vecchia stronza, ci stai guardando? 
"Levharttorren & Co, in cosa posso esserle utile? Boss! Certo, Boss. No, Boss. Sicuro, Boss. Come desidera, Boss. La saluto, Boss." Hannah spinge la cornetta ben dentro l'incastro con tanta forza che, per un momento, ho paura possa distruggerla. Guarda torvo me, poi sanguinosamente Juliette. "Il capo vuole che ti porti a far spese. Mettiti su uno straccio e andiamo." Ordina rivolta alle povera moretta. Mi dispiace per questo cucciolo di polpo. La portano a diventare grande. Non sa davvero cosa le aspetta. "E tu, serpentone luccicoso, vedi di levarti dal cazzo nel giro di un minuto o inizierò a gridarti dietro finchè non avrai i timpani così scossi e tamburellanti che il rumore di uno schiacciasassi ti sembrerà musica classica."
Mi lancio in avanti, baciandole la guancia con la punta del muso, per poi correre via, slalomando tra gli impiegati. "Ciao, serpe!" Hannah mi grida dietro, ma me ne frego. Le sue parole non valgono più nulla. E con quel bacio, invece, ho appena dato la vita ad altre mille e più storielle su di noi.
 
Bene, sono fuori. Ho i miei soldi, ho un paio di appuntamenti. Chiamo Schylla? Nah. Vado in giro. Andiamo da Trudy. M'infilo in un vicolo della vecchia città e proseguo nella penombra, spiato dagli occhi liquidi dei vecchi dietro le finestre. Via Ombre, l'angolo dei gossip. Sul retro della via vivono le vecchie, spie di altri tempi che non si lasciano sfuggire niente; sul davanti, i barettini, da cui queste stesse ottengono le conferme necessarie a dare fondatezza alle proprie intuizioni. "Salve, signore!" Urlo d'improvviso, godendomi il concerto di ansimi e pantofole sul pavimento. Penetro nel buio di via Bosco, il vialetto accanto all'Ospedale della Chiesa. Non parla nessuno, non c'è rumore. Via Bosco è un luogo magico, apposito per far riposare i morenti. Ogni tanto una macchina saluta chi rantola per l'ultima volta o lo accompagna fino al bosco sacro. Via Bosco termina appunto con un bosco, il cimitero delle anime. Sotto le querce e i meli lasciamo riposare i nostri cari, avvolti in tombe di calce bianca e terra. Trudy dice sempre che le mele insanguinate sono più gustose delle mele industriali. Le do' ragione: chi si trasforma in mela diventa sempre stranamente più buono. Tuttavia, a me non piacerebbe diventare una mela. Mi sento più ciliegia, in verità. O ghianda. Ecco come mi sento, come una ghianda. Preferisco mille volte esser cibo per porci che per stronzi.
 
M'insinuo nella via del mercato, danzando sulla strada di ciottoli. Ho una predilezione particolare per questo tipo di strade. Sarà che mi massaggiano i piedi mentre cammino, o che sembrano più invitanti delle strade normali, ma non so davvero. Mi sembra di essere più a casa, ecco. Mi sento più a casa su una strada di sasso grigio che su una d'asfalto antracite. Mi sembra mi dica più cose, mi racconti più storie, proprio come un nonno con il nipote. L'asfalto mi dà più l'aria dello snob, del signorotto che si crede chissà-chi, che se ne frega di tutto e di tutti. D'asfalto è la strada dei ciechi. Ma ecco il negozietto di Trudy, là in fondo! Adesso la vado a salu-- E' chiuso. Cazzo. Ma ha cambiato giorno di chiusura? Eh, già. E adesso che faccio? Cazzeggio? Sì, ma dove? Vado in libreria. Vuoi vedere che trovo qualcosa di interessante da comprare? E poi magari passo da Godot e gli lascio i soldi. Sì, perchè io e Godot abbiamo il conto insieme. Lui mi offre da bere quando vado e intanto mi tiene da parte i soldi di cui ho bisogno. Che ne prenda, che non ne prenda, sinceramente non m'importa. Mi bastano quei due spiccioli per l'affitto, qualcosa da mangiare e per pagare Dosto, il biondo bulldog della Finanza, e io sono a posto. Perchè dovrei voler di più dei miei due soldi? Sono libero, sono sano, sono vivo. Molto più vivo di tanti ricconi, questo è certo. Libreria Serpi. Dai, proviamo qui. 
 
Tlin-tlon. "Benvenuto! Un attimo e sono subito da lei."
 
---fine Ch. 3
  
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