Ed
eccoci arrivati all’
ultimo capitolo… strano vero? Ma ormai la mia propensione
per le storie lunghe
sta venendo a mancare (scherzo, sto progettando qualcosa di assurdo!).
forse l’
ho già detto nel primo capitolo, o forse è solo
scritto nella mia pagina
autore, ma questa non è una storia a sé,
bensì una parte di un ciclo di storie
di molti personaggi tutti un po’ legati fra loro, in poche
parole, un altro
progetto da aggiungere alla mia lista spropositata. Non vi annoio
oltre, vi
lascio al capitolo. Ci vediamo in fondo :)
“Lay my head, under the water
Aloud I pray, for calmer seas
And when I wake from this dream, with chains all
around me
No, I've never been, I've never been free.”
Un
urlo acuto squarciò il silenzio della
notte e May cadde in ginocchio, la neve bruciò la pelle
delle sua ginocchia,
tremò, mentre la paura si agitava dentro di lei. Mai si era
sentita così, mai
aveva visto una cosa del genere. Non avrebbe mai potuto immaginare una
cosa del
genere; quella era una parte di lei che prendeva il sopravvento; un
po’ come la
lacrime, che se lasciate scorrere ti consumano fino a sfinirti,
quell’Ombra l’avrebbe
consumata a morte.
Un urlo era sfuggito dalle sue labbra
quando aveva sentito il freddo acciaio della lama mordere la sua carne
e
tranciare di netto l’osso del braccio, altro sangue sulla
neve, altra pelle
bruciata dal suo gelo. Cadde con la faccia dentro quella poltiglia
bianca e
rossa respirando la puzza della morte che si avvicinava sempre di
più. quando
riuscì a voltarsi sulla schiena riuscì a vederla,
nonostante la vista
annebbiata dal dolore e dal sangue perso, la sua figura nera e alta.
Aveva sbagliato, aveva fatto ciò che mai
avrebbe dovuto, perché era stata lei a svegliare quel
mostro, avrebbe dovuto
ucciderla subito, con un taglio netto al collo avrebbe sistemato tutto
e
sarebbe potuta vivere un po’ di più. E dire che la
ragazza era certa di essere
una semplice umana, di poter vivere tranquillamente con loro, ah,
quanto si
sbagliava!
Una mano scheletrica si avvicinò al suo
petto; lo sentiva anche lei, il cuore che batteva forte come a indicare
la sua
posizione, impaziente d’essere strappato.
Si sentì afferrare per il braccio, i
muscoli si contrassero e la rabbia salì, mai come allora
aveva voglia di
ucciderlo, gli stava facendo perdere troppo tempo.
“Voglio aiutarla anche io!” Era certo di
essere l’ unico in grado di farlo.
“Saresti solo d’ intralcio! Rischia di
morire ancora prima di svegliarsi.” Gli scoccò
un’ occhiata gelida, non avrebbe
esitato ad ucciderlo se davvero gli avrebbe causato più
difficoltà di quante
già se ne poteva aspettare. “E non toccarmi,
sporco Umano.”
“Non…”
“Non ho tempo per te!” Si scrollò con
forza dalla sua presa rimettendosi a correre, soffocando tra le labbra
le
imprecazioni. Il tempo era tutto quello che gli mancava, che gli era
sempre
mancato, era sempre stato il suo nemico, e si era ritrovato sempre
sconfitto.
Un ammasso di nero svettava sopra una
grossa macchia di sangue, il sangue sulla neve si congelava e il fiato
diventava condensa, Jhonny rabbrividì nel vedere
quell’ essere che di umano non
aveva più niente, non poteva credere che si trattasse della
stessa ragazza
fragile che avevano aiutato, e non poteva immaginare un modo per
tornare
indietro da quella condizione.
Vide Testament lasciare a terra la sua
arma e avvicinarsi lentamente a quei lucenti occhi rossi.
“Dizzy, questo non è quello che desideri
realmente vero?” Sentirono la creatura fischiare per la
rabbia. Jhonny strinse
la presa sull’ elsa di legno. “Dicevi di essere
umana.” Con grande stupore il
teschio che era il suo volto si dissipò
lentamente,
lasciando
intravedere il volto della fanciulla, i suoi occhi in contrasto con il
pallore
del volto, un ‘espressione sofferente e triste.
“Non volevo più soffrire.” La sua voce
si sentì appena.
Il nero di cui era avvolta sembrò
allargarsi
minacciosa,
le ali si aprirono e le piume scure scintillarono come lame, il suo
volto si
oscurò.
Una scarica di adrenalina investì
Jhonny, che spaventato da quello che avrebbe potuto fare
l’Ombra si avvicinò
velocemente, con la lama in posizione d’ attacco, senza
però l’intenzione di
mettersi a combattere; era riuscito a scorgere il corpo dilaniato della
cacciatrice vestita in rosso.
Sentì i suoi occhi rossi posarsi su di
lui e con la coda dell’ occhio vide l’espressione
rabbiosa di Testament diretta
a lui. Un altro urlo, questa volta inumano, squarciò il
silenzio graffiando il
suo cervello con artigli affilati.
Una mano scheletrica si protese verso di
lui; era troppo scioccato per saltare indietro, fece in tempo a
maledirsi per
quella sciocchezza che la mano si fermò a pochi centimetri
dal suo volto.
Trattenne il fiato, osando spostare lo sguardo su Testament, che
sembrava non
voler credere a quello che stava vedendo; il nero si sollevava
pigramente dalla
sua figura come fumo e cadeva nella neve lasciando macchie nere. In
pochi
istanti il corpo della ragazza venne liberato dalle piume e dal manto
nero; la
mano protesa verso di lui divenne quella minuta e pallida di una
ragazzina
qualunque appena prima di vederla scivolare giù, insieme al
resto del corpo.
Ma un paio di braccia la afferrarono
prima che potesse cadere nella neve.
“Non avresti dovuto.” Rimase in
silenzio. Guardandolo mentre avvicinava il suo volto a quello della
ragazza;
nessun soffio tiepido scaldò la sua pelle. Non ci era
riuscito; l’unica persona
che desiderava proteggere era morta sotto i suoi occhi.
La adagiò con delicatezza sulla neve,
prima di alzarsi e recuperare da terra la sua falce.
“Nient’ altro che abusi e sofferenze,
non meritava tutto questo.” Occhi rossi pieni di rabbia si
puntarono su di lui.
Aveva giocato una partita contro il tempo, e aveva perso.
“Da quando un Gear si preoccupa della
vita di qualcun’ altro?” Si accorse troppo tardi di
aver detto la cosa peggiore
che sarebbe mai potuta uscire dalla sua bocca.
“Voi umani, siete voi il male, siete voi
i mostri senza cuore, e noi Gear siamo stati creati per eliminare voi,
peccati
viventi.”
La sua rabbia era
puro odio, la rabbia che provava era immensa e anche se comprese che
probabilmente il tempo che era rimasti non sarebbe bastato a salvare
Dizzy, non
poteva fare altro che prendersela con lui.
“Lei non l’avrebbe mai voluto.”
“È morta!” Rabbia nelle sue parole e nei
suoi occhi, il sangue bruciante che chiamava altro sangue.
“Urla, Umano, e
scappa per salvarti la vita, ai confini del cielo, alla fine degli
oceani,
brucerete tutti, questa è la ragione per cui
esistiamo.” Si avventò su di lui,
dandogli appena il tempo di alzare la sua spada di legno per parare il
colpo,
ma la lama rossa la tranciò di netto, sbilanciandolo e
facendolo cadere sulla
neve, la lama non si fermò fino a che non
incontrò la pelle sopra la sua
clavicola. Fece pressione fino a che non lo sentì urlare,
fino a che l’ osso si
ruppe e altra neve venne macchiata dal sangue; non voleva ucciderlo
subito, ma
il desiderio di vedere i suoi occhi vacui era più forte
della smania di farlo
soffrire di più, molto di più.
Alzò la lama e la calò sulla sua gola.
La prese in braccio, così come aveva
fatto la prima volta
che l’ aveva trovata distesa sulla neve.
Aveva blaterato nel sonno quella volta e
per un attimo guardò il suo volto pallido, era come un
angelo sulla cui anima
era appena sbocciata la notte.
“Mi
piace questo posto, è così tranquillo.”
La sua voce era assonnata. “È il mio
bosco ghiacciato, e io gli appartengo.”
“Per
sempre.”
Eccomi,
allora, che dire? Forse
c’era da aspettarselo… i miei finali sono sempre
tragici, (e a aprer mia
frettolosi) dovrei cambiare un po’? Ma il fatto è
che io non credo nel lieto
fine ^^” (ne ho valide motivazioni).
Ora spero di riuscire a
dedicarmi meglio alle altre storie, visto che questa mi ha tenuta
terribilmente
occupata, ma sono felice di essere arrivata in fondo e sono sorpresa
che questa
storia sia piaciuta a tante persone, hip-hip-urrà a chi
recensisce, grazie
mille, mi siete di grande aiuto! A presto!