Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: anqis    24/04/2013    3 recensioni
“Hai messo qualcosa in faccia oggi?” mi chiede a brucia pelo.
Cosa? “Eh?”.
“Rispondimi”, l’aria calda fuoriesce dalla sua bocca riscaldandomi le guance. Nonostante tutte le schifezze che mangia, anche il suo alito sa perennemente di menta fresca. Dolce.
“Un po’ di fard..”.
“Non metterlo, mi da fastidio” pronuncia serio, con le mani nel cappotto scuro.
“Scusami?” chiedo più stupita che infastidita.
Tentenna un attimo, un tenue rossore colora le sue guance. Sarà il freddo? “Ti copre le lentiggini e mi da fastidio” spiega distogliendo lo sguardo.
Faccio una smorfia. “Sai che odio le mie lentiggin..”
“A me piacciono invece! Sai, io ci passo il tempo ad unirle a farci strani disegni!” dice, ma si blocca all’ultimo, imbarazzato dalla strana e improvvisa confessione.
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Little Things.



I know you’ve never loved the sound of your voice tape
You know want to know how much weigh
You still have to squeeze into your jeans
But you’re perfect to me.
- Harry, Little Things.


 

Il vento soffia tra i rami degli alberi che mi circondano. Alcune foglioline si staccano e scendono docilmente al suolo, altre ad un centimetro da terra vengono prepotentemente spazzate via e di nuovo tornano a svolazzare senza meta seguendo la volontà del vento. Mi diverto ad immaginare dove possano finire: all’interno di una classe, sul balcone di qualche casa, sui tetti, ovunque lontano da qui.
Osservo gli alberi. Si può dedurre dal colore più chiaro della corteccia che l’inverno sta per finire ed ormai la primavera è alle porte. Me lo ha insegnato mio fratello quando ancora vivevamo in Irlanda. Sento spesso la mancanza di casa, le riunioni di famiglia dalla nonna, i cenoni insieme, la musica ed i colori. Londra è meravigliosa, ma è grigia e spenta i tre quarti dell’anno. Le voci sul suo instabile clima non sono poi così affidabili, il cielo è perennemente sovrastato da nubi chiare che nascondono ai nostri occhi il sole. Non che in Irlanda si muoia di caldo, ma i colori della terra, degli alberi onnipresenti, sono quelli a renderla viva. Sospiro all’interno della felpa riscaldato dall’idea che le prossime vacanze le trascorreremo a casa.
Batto con il piede il ritmo della canzone che in questi ultimi giorni sono finalmente riuscito a creare nella mia testa seppure con gran fatica. È da circa tre settimane che cerco la melodia giusta, e stavo per dare di matto all’ultimo e rinunciare quando Lucie mi ha chiesto di farle compagnia. E seduti sulle altalene a parlare di nulla ed altro, ci sono riuscito. Mi è bastato guardarla, le gambe stirate in avanti, i capelli sul viso. Ero partito con il piede sbagliato a chiudermi in casa in cerca di ispirazione. Volevo dedicarla a lei e per stendere le note, la cosa migliore era pensare a lei, stare con lei, respirare lei. L’unico problema ora sono le parole.
Accartoccio con frustrazione l’ennesimo foglio macchiato dalla mia disordinata e incomprensibile scrittura e lo getto nel cestino vicino facendo canestro. Mi passo una mano sul viso nel tentativo di svegliarmi e mi ravvio i capelli all’indietro che per la fretta non sono riuscito a pettinare con il gel questa mattina. Mi cascano nervosamente sulla fronte finendomi sugli occhi. Una vera tortura.
Forse è il caso di prendermi una piccola pausa. Prima che il mio cervello decida di scappare dal mio orecchio e fuggire nella natura selvaggia, appoggio le mani sulla superficie del tavolo dove sono seduto e stiracchio i piedi.
L’orologio appeso sul muro dell’entrata segna pochi minuti prima dell’inizio delle lezioni. Maledizione, l’intervallo della mensa non mi è servito a niente. A questo punto avrei potuto fare a meno di portarmi dietro la chitarra e magari approfittare di questa pausa per mangiare, stare con i ragazzi, mangiare, ripassare, mangiare e mangiare. No, devo riuscire a finire questa dannata canzone. Per lei.
In quello stesso momento la vedo. Parli del diavolo e spuntano le corna. Stringo la visuale e la inquadro attraversare la strada che porta al secondo gruppo di edifici, piuttosto lontano dal resto della scuola. Lascio scivolare lo sguardo sulla sua intera figura: i jeans larghi le cadono dolcemente sulle gambe magre che cerca sempre di nascondere il più possibile, se fosse per me butterei tutti quei pantaloni enormi fuori dalla finestra solo per poterle vedere più spesso. Aspetta Niall, questo non è da te. Dannato Harry e la sua cattiva influenza. Mi faccio ancora più strada nel tessuto della felpa per nascondere l’imbarazzante rossore che mi sta infiammando le guance. Perché devo arrossire così facilmente?
Noto che oggi si è legata i capelli in una treccia davvero mal fatta, ciuffi ribelli le incorniciano il viso ed è un attimo che con uno sbuffo se li scosta. Ridacchio. Gli occhiali da vista che usa meno del dovuto le penzolano sul naso coprendo le poche lentiggini. Il ricordo di ciò che le ho confidato riguardo alla mia abitudine di giocarci non fa altro che aumentare il calore che si irradia nelle mie guance. Stupido, stupido, stupido.
La osservo attraversare con tutta fretta, i libri in bilico sulle mani, e non mi preoccupo del sorriso e dell’espressione da ebete che mi sta probabilmente deformando la faccia. Quando ad un tratto la vedo bloccarsi a metà strada con una mano sulla fronte. Il sorriso scivola dalle mie labbra. Con la fronte corrugata stringo gli occhi. La vedo sbilanciarsi in avanti. Ma cosa? I miei occhi la seguono mentre cade al suolo, silenziosa giace a terra insieme alle foglie.
Mi alzo di scatto, “Lucie!”.

 
 
Point of view of Lucie.

 
Non so da quanto tempo sono sveglia.
Non ho ancora aperto gli occhi. Ho paura di affrontare la realtà, paura di Allison, delle risate alle mie spalle, degli sguardi degli amici di Niall, delle voci quando cammino lungo i corridoi delle scuola, di mia madre e della sua reazione, della verifica di algebra, l’interrogazione di storia, di tutto. Anche di Niall, paura di perderlo, ora che mi sono resa conto di quanto sia diventato importante e quanto mi sia impossibile – non so neanche come possa semplicemente pensarlo – che mi abbandoni, anche lui, come hanno sempre fatto tutti. Mio padre da piccola, mia madre che preferisce rincorrere il suo lavoro che trascorrere il tempo con la propria figlia. Strizzo le palpebre, fa male.
Come un soffio di venticello leggero, sento una mano posarsi sulla mia fronte, leggera e delicata. Riconosco l’odore e il suo tocco, Niall è qui con me, ovunque io sia. Sento le sue dita fremere con una delicatezza che non pensavo potesse possedere la mia tempia, scendere lungo la guancia e posarsi sul collo. Distendo la fronte e le spalle si sciolgono sotto il suo tocco magico. Un sospiro di sollievo sfugge involontariamente dalle mie labbra. Poi ad un tratto sento dei fruscii ed un qualcosa di umido mi si appoggia sulla fronte. Le sue labbra. Apro di scatto gli occhi ritrovandomi immersa in un oceano di sorpresa, sbigottimento che si tramuta in felicità e poi in imbarazzo. Tutto nel lasso di un secondo.
“Lucie, sei sveglia!” mormora con voce più roca del solito. Riesco quasi a contargli le ciglia per quanto si trovi vicino, il suo profumo di menta mi inonda le narici, le bocca, i polmoni. Lo sento sulla punta della lingua.
“Cosa stavi facendo?” chiedo, vergognandomi subito dopo di quanto sia roca e secca la mia voce. Mi tocco la gola e Niall sembra notarlo, che in un attimo mi passa una bottiglietta di acqua.
“Va meglio?” mi chiede quando anche l’ultima goccia è stata prosciugata.
Annuisco. “Non che la mia voce così migliori” aggiungo poi ironica.
Ridacchia, le guance ancora arrossate. “Tu e le tue ossessioni. Non capisco come tu faccia ad odiare la tua voce, è normalissima e dolce” si interrompe passandosi un mano tra i capelli biondi che gli ricadono sulla fronte. Scommetto che si è svegliato tardi e non è riuscito ad acconciarli. Meglio così, sono più morbidi senza quella poltiglia appiccicosa.
“Allora, cosa stavi facendo?” domando nuovamente.
Capisce di non esser riuscito a sviare il discorso, e le guance si colorano ancora di più. “N-niente. Ecco, stavi dormendo, e allora ho pensato.. la signora con il camice bianco, la infermiera, ehm mi ha detto di misurarti la febbre.”
“Con un bacio?”, ignoro il gorgoglio che produce lo stomaco quando pronuncio quella parole. Deve essere la fame, mi dico.
Avvampa, “Sì. In Irlanda si usa così” spiega sventolando la mano.
Lascio perdere e lentamente mi metto a sedere. Niall mi si avvicina e mi sistema con cura il cuscino dietro al schiena. Mi guardo un attimo intorno, scoprendo di trovarmi nel lettino dell’infermeria della scuola. Le tende bianche dividono il mio piccolo spazio dagli altri quattro, mi hanno adagiata nel letto accanto alla finestra. Riesco a sentire il rumore dei passi e le grida degli studenti che varcano il cancello e si disperdono nelle strade. L’orologio appeso sopra la scrivania della infermiera – vuota – segna il termine delle lezioni. Mi sono persa l’ora di scienze ed inglese. Sospiro e mi decido a liberarmi delle coperte e scendere dal lettino. La mano di Niall però mi blocca.
“Sei ancora stanca, riposa ancora un poco” mi dice spingendomi all’indietro.
Scuoto la testa, “Ce la faccio. È tardi, devo tornare a casa..”
“Non ti aspetta nessuno là” mi interrompe.
Sollevo di scatto il viso scontrandomi con i suoi occhi acquosi e preoccupati. “E con questo cosa vuoi dire? Che sono sola? Oh, non ti preoccupare, ormai mi sono abituata” replico acida ma non decisa, indebolita dalla stanchezza e dal suo sguardo carico di ansia e preoccupazione. Per me.
“No, non volevo dire questo” la sua presa si affievolisce, ma i suoi occhi non spezzano il contatto, “Non mi sento sicuro a lasciarti da sola a casa tua, preferirei venissi da me questa notte. A mia madre va bene. E aspettiamo ancora un po’ prima di andare, giusto per darti il tempo di riprenderti” tenta un sorriso.
Mi limito ad un cenno del capo e torno ad appoggiare la schiena sul cuscino. Chiudo gli occhi. Mi sento un vero schifo ad avergli risposto così. Chissà da quanto tempo si trova lì, seduto accanto al letto a guardarmi, a controllare ogni mia reazione, come nelle serie televisive spagnole dove uno dei personaggi finisce sempre in ospedale. È così che trovo la sua mano tra le lenzuola e la stringo un poco, in un gesto di scuse. La bozza del suo sorriso prende forma in uno luminoso, seppur stanco.
Rivolgo la mia attenzione al soffitto. Granelli di polvere danzano nell’aria sopra le nostre teste. Si lasciano condurre dagli spifferi di aria, e danzano, danzano fino a non toccare mai terra, leggeri e senza pensieri, preoccupazioni.
“Che c’è Niall?” gli chiedo.
La sua stretta si è fatta più salda e calda. Lo guardo in attesa.
“Perché sei svenuta?” mi chiede scrutandomi alla ricerca di indizi.
Mi irrigidisco e provo a sfuggire dalla sua presa, ma le sue dita non hanno intenzione di lasciarmi andare. “Lucie, ti prego parlane. Sono giorni che sei sempre più silenziosa e pallida, guarda” un pollice traccia le ombre sotto i miei occhi, “che occhiaie. Cosa ti succede, Lucie? Dov’è finita la stessa ragazza sorridente con la battuta sempre pronta e le guance rosse che ho incontrato in biblioteca?” mi sussurra, ormai seduto di fronte a me, una mano intrecciata alla mia, l’altra sullo zigomo.
Deglutisco e stringo il labbro tra i denti, pregando le mie lacrime di non tradirmi. Troppo tardi perché cominciano a scivolarmi lungo il viso, irruenti e senza controllo. Mi domando da quanto tempo non piango di fronte a qualcuno disposto ad ascoltarmi. Da quanto tempo ho aspettato che qualcuno si accorgesse che dietro ad un sorriso, soffrivo.
Le sue braccia mi avvolgono in un abbraccio caldo e confortante, corrono lungo la mia schiena e con delle carezze cerca di darmi conforto. Non sa che solo la sua presenza significhi molto per me. Mi ancoro con timidezza e poi con forza alle sue spalle larghe ed affondo il naso nella stoffa della felpa, senza preoccuparmi di bagnargliela. So che Niall non si fa problemi del genere. E continuo a piangere. I singhiozzi mi scuotono sempre più forte, ma ad ognuno di essi Niall aumenta la stretta, e mi sussurra che tutto andrà bene, che c’è lui con me. E questo mi basta.
Prosciugo il dolore che in questi giorni si è cibato di me. Solo quando le lacrime mi danno una tregua, mi stacco leggermente da lui che fa lo stesso. Non lascio la sua mano però.
“Ho smesso di mangiare da qualche giorno. Lo so” lo interrompo, “lo so che non ne ho bisogno, che sto bene così come sono, ma è diverso quando ti trovi nei miei panni. Vedere tutte quelle ragazze così magre e ripetermi che potrei anche io diventare come loro se solo ci provassi. Sorridono e penso che magari raggiunta quella taglia, forse anche io riuscirò a sentirmi bene con me stessa.”
“C’è modo e modo di dimagrire, lo sai Lucie” mi rimprovera.
“Lo so, ma.. senza la tua presenza è difficile ragionare a mente lucida. Ci sei solo tu con me, nessun altro. E da sola, non riesco a controllare le mie decisioni con coerenza. Avevo solo smesso di mangiare, non mi sembrava così sbagliato..”
“Sei svenuta perché non mangiavi. Pensa alle conseguenze se non ti fossi trovata a scuola o se non fossi stato io a soccorrerti. Pensi davvero che non mangiare sia una cosa da niente?” mi chiede mettendo a tacere il mio tentativo inutile di giustificarmi.
Mi rispecchio nei suoi occhi chiari e sinceri, e scuoto la testa.
“Scusami” mormoro.
Mi sorprende con un nuovo abbraccio. Sento le sue ciglia accarezzarmi la tempia quando chiude gli occhi. “Non volevi mai sapere quanto pesassi e pensavo che non ti interessasse ed invece quello stupido numero della bilancia ha lo stesso effetto anche su te. Non devi lasciarti influenzare da qualcosa di superficiale come il numero di una taglia, non quando dentro di te sei tutto questo” mi prende il viso tra le mani, il suo respiro è irregolare e il suo sguardo serio, “simpatica, ironica, intelligente – tanto da invidiarti, da spingermi a cercare di cogliere anche un decimo di quello che capisci tu - dolce quando vuoi, interessante, stupida – in particolare in questo momento, unica e speciale. Puoi continuare a cercare di infilarti in quegli stupidi jeans di taglia 38, ma tu sei perfetta per me, così come sei. Mettitelo in testa” e non riesco a dire nulla, a respirare, che le sue labbra si infrangono sulle mie. Premono con irruenza, ma con un attenta e agonica dolcezza. Un retrogusto di menta affiora sulla punta della lingua quanto dischiudo leggermente la bocca. È buono come nei sogni. Ma prima che possa anche solo muovermi, smorza il contatto.
Scombussolata, vedo nei suoi occhi – blu ardenti – la mia stessa espressione di sorpresa e qualcosa che non riesco a decifrare. Accenna ad un sorriso e le sue mani scivolano via dal mio viso, fino a raggiungere le mie.
“Andiamo a casa ora.”
 
 
“Ed ora cosa faccio?” si chiese Niall.





- note dell'autore.




Buon pomeriggio.
Ed eccomi qua con il penultimo capitolo di questa mini-long|song-fic (ho scoperto solo negli ultimi tempi il termine adatto, haha!).
Mi scuso di avervi fatto aspettare, anche se ho sempre specificato sin dal primo capitolo che non mi sono posta nessun preciso lasso di tempo da rispettare per aggiornare; preferisco scrivere i capitoli di questa fanfiction quando me lo sento, perchè so che darei il meglio di me senza pressione. 
Grazie alle lettrici che mi hanno lasciato una recensione (le ho lette tutte e grazie davvero) e chiunque abbia aggiunto questa storia tra le seguite/ricordate/preferite. Ammetto che è stato un parto, ho ricontrollato più volte e spero di aver corretto tutto anche se ne dubito visto che i miei di errori non li vedo neanche sventolati sotto il naso, haha! 

L'assolo di Niall ed il ritornello, prometto che ci metterò tutta me stessa. Spero mi aspetterete come avete fatto prima.

Grazie di cuore, al prossimo ed ultimo aggiornamento.
Alice.



 



Un grazie ad Harry che sembra sia nato per cantare queste parole,
un grazie alla sua perfetta interpretazione.
(e mi limito a questo perchè su quanto la sua voce si sposi con il
significato  di quei versi potrei scriverci un libro).


 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: anqis