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Autore: Hylia93    24/04/2013    7 recensioni
Dopo aver letto tante ma tante ff, provo a scriverne una anch'io, la mia prima Dramione!
Siamo al quinto anno, ma c'è qualche differenza. Voldemort non è rinato, perché Silente è riuscito ad impedire che Harry (e di conseguenza anche Cedric) usasse la passaporta, ossia la Coppa del Torneo Tremaghi. Tuttavia, Voldemort non è ancora morto del tutto e forse nasconde più di quanto si pensi. L'atmosfera è all'apparenza più tranquilla a Hogwarts, più serena. Sarà un altro anno pieno di peripezie o riusciranno, finalmente, a vivere un anno da adolescenti? Le due cose, in realtà, sono complementari! :)
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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I’ve kissed your lips and held your hand
shared your dreams and shared your bed
I know you well, I know your smell
I’ve been addicted to you.

Goodbye my lover


James Blunt, "Goodbye my lover"


Capitolo 35, "Addio?"

 

Le sue mani su di me sapevano di necessità e terrore quella mattina e le sue labbra mi cercavano disperatamente. Sembrava che Draco volesse respirare attraverso di me.  
Ero stata indecisa tra il fermarlo per abbracciarlo, sussurrandogli che sarebbe tornato senza dubbio e che non gli sarebbe successo niente, oppure lasciarlo sfogare e crogiolarmi nella consapevolezza dei suoi sentimenti, resi espliciti come non mai dalla paura e dall'intensità dei suoi gesti.
Alla fine lo avevo lasciato fare, un po' egoisticamente, ripetendomi che di tempo per rassicurarlo ce ne sarebbe sicuramente stato, quando in realtà sapevo benissimo che il tempo scarseggiava e che probabilmente le mie parole non avrebbero cambiato nulla. Mi rendevo conto di non aver avuto né la forza né la volontà di staccarlo da me e neppure la minima intenzione di rimproverarlo per la foga con cui le sue mani scorrevano sulla mia pelle, per i segni dei denti che mi aveva lasciato sulla spalla come un marchio, per l'insopportabile silenzio durante il quale mi aveva guardata chiudere la porta di mogano scuro dietro di me, mezz'ora dopo.
In fondo, se quello di cui aveva avuto bisogno in quel momento era stata solo la mia presenza fisica, non c'era niente di male. Cercavo di ripetermelo ancora e ancora, mentre salivo le scale verso la Sala Comune.
Eppure qualcosa mi disturbava.
Forse ero ancora shoccata perché mi ero resa conto di avere piena fiducia in lui, una fiducia che non avevo mai concesso tanto facilmente a nessuno e che pochi potevano vantare.
O forse era lo sguardo perso, smarrito, confuso che mi aveva lanciato prima di chiedermi di andare via, di lasciarlo solo, aggiungendo malinconicamente che ci saremmo visti più tardi.
O, più probabilmente, era quella stessa richiesta, una preghiera quasi, proferita con voce debole, quasi dolce, ma dal contenuto incredibilmente amaro per me.
Avevo cercato di capirlo, ero persino riuscita a sorridergli lì per lì.
Ma, ora che non poteva vedermi, mi stavo lentamente sgretolando.
E non era la rabbia che mi invadeva, come sarebbe stato normale e anche decisamente più tollerabile.
Era la frustrazione per non essere realmente riuscita ad aiutarlo, per essermi fidata ancora una volta del suo giudizio e averlo lasciato lì da solo, per non averlo costretto a vestirsi e seguirmi da qualche parte, qualsiasi parte, purché restassimo soli fino al giorno della partenza.
Mentre posavo un piede davanti all'altro, più per inerzia che per altro, mi maledii per tutto quello che non avevo fatto e anche per tutto quello che invece avevo fatto e prima di accorgermene sentii le lacrime scivolare giù per lo zigomo e scorrere sulla guancia. Avevo voglia di urlare e di prendere a calci qualcosa, ma ancora una volta la mia razionalità e il mio autocontrollo mi avevano concesso solo due salatissime ed amarissime lacrime. Passai la manica del maglione sugli occhi e continuai a camminare, a testa alta. Perché se era vero che Hermione Granger sapeva affrontare i suoi nemici, era altrettanto vero che avrebbe affrontato allo stesso modo le sue più grandi paure e i suoi più infantili timori.

- Hai almeno le mutande addosso? - domandò l'Idiota, da fuori la porta del dormitorio. 
Mugugnai un qualcosa che poteva assomigliare ad un "si" e richiusi gli occhi.
Non riuscivo a tenerli aperti, c'era troppa luce. Oltretutto, nel buio riuscivo a vedere con più chiarezza i miei pensieri, ad analizzarli, a metterli da parte per il grande giorno.
Alla fine, l'avevo quasi cacciata.
Avevo paura a stare ancora solo con lei, era questa la verità.
L'avevo voluta con me e su di me, fino alla fine, eppure guardando i suoi occhi marroni e i suoi capelli stesi sul cuscino accanto a me avevo improvvisamente sentito scomparire il poco coraggio che ero riuscito a raccogliere. Sapevo di dover fare tutto questo anche per lei eppure, rivendendola, dentro di me si era fatto strada uno strano pensiero, un'immagine contorta e lontana. Il mio cervello mi aveva sussurrato di chiederglielo, di implorarla di scappare con me, di strisciare ai suoi piedi da bravo serpente e di lasciarle le mie spire sulla pelle. In questo modo non avrei dovuto rinunciare a lei neppure per un secondo e tutti sarebbero stati felici e contenti.
Poi, un'altra parte del mio cervello, decisamente più razionale, forse resa più forte proprio dalla presenza della mezzosangue, mi aveva saggiamente ricordato che lei non sarebbe affatto stata felice, perché non importava quello che provava per me, non avrebbe mai tradito i suoi valori e i suoi ideali, non lo avrebbe fatto per nulla al mondo.
E per un attimo ero riuscito a capire e anche ad invidiare quell'insano spirito Grifondoro, fatto di certezze secolari, di onori, di coraggio, di onestà e lealtà. Per un attimo soltanto.
Poi mi era sembrato di sentire un coltello conficcato nel petto, perché mi ero reso conto che lei, proprio grazie a quello spirito che io non avrei mai avuto, sarebbe sempre e comunque riuscita a sopravvivere.
Io non ero strettamente necessario, mentre lei mi era diventata indispensabile.
- Si può sapere che ti prende, Drà? - domandò Blaise, sventolandomi insistentemente una mano davanti agli occhi. Pensandoci bene, la possibilità di non rivederlo più poteva quasi considerarsi un lato positivo.
Sbuffai e cercai a tentoni la lettera sul letto.
Dopo qualche tentativo fallito la trovai e gliela porsi, tenendo gli occhi fermamente chiusi per evitare di vedere la sua reazione. Mi avrebbe fatto impanicare ancora di più e davvero non era il momento.
Dopo alcuni lunghissimi secondi sentii, nitidamente, Blaise deglutire e sedersi sul letto con un tonfo non indifferente e al diavolo il portamento da belloccio.
- E la Granger? - domandò poco dopo con tono incolore.
Aprii gli occhi, di scatto, e mi mossi sul letto, a disagio.
- Cosa? - chiesi, sperando che capisse che davvero non avevo voglia di parlarne.
- Che ti ha detto? - insisté lui, incapace come sempre di evitare gli argomenti più spinosi. Sembrava uno Snaso alla ricerca dell'oro quando si trattava di parlare di cose sgradite. Richiusi gli occhi, indeciso su cosa dire.
- Non abbiamo parlato. - mormorai, riluttante.
- Capisco perfettamente che tu abbia preferito fare sport, ma da parte della Granger mi sarei aspettato milioni di domande e altrettante rassicurazioni, strane proposte per salvarti la pelle e una seduta intensiva in Biblioteca. - disse, aggrottando le sopracciglia.
- Non ne ha avuto il tempo. - sussurrai, con enorme sforzo.
- Che vuol dire? Non l'avrai mica cacciata? - domandò, alzandosi dal letto e guardandomi sospettoso. 
Oltre che rompipalle, vanitoso, insistente, Blaise Zabini è anche un sensitivo.
- Non proprio. - mugugnai, girandomi dall'altra parte per evitare il suo sguardo.
Si, beh, non ero stato proprio il miglior fidanzato del mondo, ma d'altronde sono sempre Draco Malfoy. Voglio dire, da me queste cose bisognava aspettarsele, no? E comunque l'avevo fatto per una nobile causa, dopotutto, ossia l'evitare di porle una domanda completamente idiota a cui avrebbe risposto sbandierandone l'assurdità e conficcandomi un' ulteriore lama nel petto.
- Sei un completo imbecille, Draco. - disse Blaise, facendo il giro del mio letto per rifilarmi il suo migliore sguardo di rimprovero, che risultava alquanto buffo in realtà. Se di lì a due giorni non avessi rischiato la morte avrei anche riso.
- Lo so. - mi arresi, alzandomi a sedere e gettando la testa tra le mani con i gomiti poggiati sulle ginocchia.
- Oh. Beh, questa risposta non me l'aspettavo. - esordì Blaise, l'espressione effettivamente sorpresa.

Tutta la giornata. Tutta. Senza una dannata notizia. 
Lo avevo cercato a pranzo in Sala Grande, ma non c'era. E neppure Zabini, ovviamente.
Così ero stata costretta a passare in rassegna tutti i corridoi di Hogwarts nella speranza di vederlo spuntare da un angolo buio o da una scalinata, insomma una di quelle apparizioni tipicamente Serpeverde e tipicamente Malfoy. Anche in questo caso non avevo ottenuto alcun risultato.
Così ero arrivata alla conclusione che mi stesse evitando e non riuscivo a cancellarmi dalla faccia un'espressione alquanto simile a quella della McGranitt quando scopre che qualcuno non ha consegnato il tema di Trasfigurazione. Non che a me abbia mai rivolto un'espressione del genere, ma lo stesso non si può dire per Ron e Harry i quali, per inciso, sono due perfetti cretini.
- No Harry, non te lo concedo. - disse il primo cretino, incrociando le braccia sul petto e risultando estremamente ridicolo.
Sbuffai e mi portai la forchetta alla bocca, tentando di soffocarmi col cibo per evitare di assistere di nuovo ad una scena come quella.
- Avanti Ron, ti prego! - rispose il secondo cretino, mettendo su la sua più volte collaudata espressione da cane bastonato con la coda tra le gambe in perfetta adorazione.
Sbuffai di nuovo e nel farlo quasi riuscii nell'intento di strozzarmi.
- Harry sei il mio migliore amico… - cominciò Ron, guardando Harry a cui si stavano illuminando gli occhi per quell'inizio così promettente, - ma lei è piccola. Quindi no. - aggiunse, mandando in frantumi tutte le speranze del suo migliore amico.
Avrei voluto sbuffare di nuovo ma ero troppo impegnata a tossirmi l'anima per evitare di morire, senza che nessuno dei due si preoccupasse minimamente di aiutarmi.
- Ron, non è più una bambina, e comunque voglio solo chiederle di venire ad Hogsmeade con me non voglio mica farle fare una visitina ad Azkaban! - disse Harry, riprendendo un po' di colorito e passando da cane bastonato a cane inferocito.  
- Basta, basta, basta. - tossii, battendo un pugno sul tavolino per farmi sentire.
Immediatamente si girarono verso di me, guardandomi come se fossi appena arrivata.
Aggrottai le sopracciglia e mi schiarii la voce.
- Ron, Ginny non è di tua proprietà e quindi non è necessario il tuo permesso. - dissi, ignorando lo sguardo luminoso del secondo cretino e rivolgendomi a lui con decisione, - e Harry, non capisco perché tu glielo chieda, sinceramente. - aggiunsi.
Stavano per rispondermi, probabilmente a tono, quando un tornado rosso mi fece quasi cadere dalla panca.
- Quando parli del diavolo… - mormorò Neville, che aveva ascoltato l'intera conversazione con estremo interesse e altrettanto divertimento.
- Ciao Ginny. - la salutai, accennando un sorriso nonostante il nervosismo e la rabbia che mi divoravano.
Vedendo gli occhi spalancati con cui mi fissava, il suo petto alzarsi e abbassarsi rapidamente come se avesse corso e la bocca aperta per incamerare più aria, mi allarmai ancora di più.
- Cosa diavolo è successo? - urlai, facendo girare più o meno tutta la Sala Grande.
Ginny si guardò attorno e decise che non era il caso di spiattellare una cosa evidentemente privata davanti a tutti, quindi optò per il strattonarmi in modo piuttosto violento e trascinarmi fuori in modo affatto delicato. Non appena si rese conto che la sua presa era un tantino dolorosa mi lasciò andare e mi fece segno di seguirla dentro un'aula vuota, chiudendo la porta dietro di sé.
- Si può sapere cosa?… - cominciai, il panico che cresceva sempre di più nel mio stomaco.
- Si tratta di Malfoy. - esordì, ancora con il fiatone, buttandosi su una panca e respirando a fondo.
Io rimasi immobile, non riuscivo a muovere un muscolo. Neppure quelli involontari.
- Ginny?… - la implorai, muovendo appena le labbra.
E ora cosa diavolo era successo?
Possibile che non si potesse avere un giorno, ma che dico, un'ora di pace?
- Ho incontrato Blaise mentre stavo venendo a cena e ha cominciato a farneticare sul fatto che "ha tentato di fermarlo", che "non ha voluto sentire ragioni" e altre cose incomprensibili. Gli ho detto di calmarsi e quando ci è riuscito mi ha detto che Malfoy è partito per il Manor un giorno prima ma non sono riuscita a capire altro. Sembrava così allarmato mentre me lo raccontava che sono corsa subito a cercarti. - sciorinò, ravviandosi in continuazione i lunghi capelli rossi dietro le orecchie e spostando convulsamente lo sguardo dal mio volto al pavimento.
Mi portai una mano sulla fronte, cercando di calmare la miriade di pensieri che mi stavano frullando in testa. 
Neanche il tempo di salutarlo.
Neanche il tempo… 
Neanche…
Mi lasciai cadere per terra, consapevole che le mie ginocchia non avrebbero retto la distanza fino alla panca. Ginny mi fu subito accanto, mi abbracciò dolcemente e mi tirò indietro i capelli.
Vabene, mi aveva quasi cacciata quella mattina, ma neanche per un secondo avevo pensato che lo avesse fatto con cattiveria. Ci ero stata male, mi ero chiesta il perché, ma non avrei mai immaginato che potesse fare una cosa del genere. Mai.
Deglutii e alzai lo sguardo, incontrando quello preoccupato di Ginny.
- Quell'idiota. - sussurrai, ricacciando indietro le lacrime, - come ha potuto… io… perché? -
- Avanti, Hermione, tirati su, andrà tutto bene… - cercò di consolarmi, accarezzandomi piano i capelli.
Mi lasciai cullare dalle sue parole e dalle sue mani per qualche minuto, riordinando i pensieri nella mia mente. 
Non appena mi sentii in grado di reggermi sulle ginocchia aprii gli occhi e li volsi verso di lei.
- Grazie di tutto Ginny, ma ora... io devo andare, ci vediamo dopo. - le dissi, alzandomi e divincolandomi alla sua presa per raggiungere la porta.
Sarei corsa da Silente e l'avrei fatto tornare immediatamente qui. Non sarebbe stato così facile liquidare Hermione Granger, assolutamente no. Come minimo avevo bisogno di una spiegazione e quell'imbecille di un biondino me l'avrebbe data quella sera stessa.
Camminavo a passo svelto, i pugni chiusi lungo i fianchi, le guance rosse di rabbia e gli occhi lucidi.
- Hermione! -
Mi girai di scatto e non appena mi resi conto che non era lui il sorriso si spense sul mio volto.
- Scusa Nott, sono di fretta. - borbottai, ricominciando a camminare.
Theodore non si arrese, accelerò il passo e si portò vicino a me.
- Si, lo vedo che sei di fretta, ma Silente mi ha dato questo da consegnarti. - disse, un po' piccato, porgendomi un rotolo di pergamena.
Mi bloccai e mi girai verso di lui, afferrando titubante il messaggio.
Mormorai un "grazie" poco convinto e lo srotolai. 

Signorina Granger, 

la volevo informare che sono andato a cercare James Price
due giorni fa, reperendo indizi nel luogo del sogno dove mi 
ha portato la passaporta. Sono partito questa sera stessa
per andare a parlare 
con lui nella segretezza più assoluta
dunque la prego di 
distruggere questo messaggio non
appena lo avrà letto. 
Spero che riuscirò a convincerlo a non
accettare la proposta, 
nel caso in cui non lo abbia già fatto. 
Per quanto riguarda la partenza di Draco, la prego vivamente
di mantenere la calma. Ha avuto le sue motivazioni. 
Tornerò al più tardi tra tre giorni e le assicuro che lui 
sarà con me. 

Albus Silente

Presi la bacchetta dalla tasca e la puntai contro la pergamena.
Sospirai e la guardai accartocciarsi sul pavimento, in preda alle fiamme, sotto lo sguardo stupito di Nott. 
La prego vivamente di mantenere la calma.
Ma che razza di richiesta è?
Io non avrei mantenuto proprio niente. 
Ha avuto le sue motivazioni.
Al diavolo Silente e le sue frasi enigmatiche.
Non mi importava un accidenti delle sue stupide motivazioni, io avevo il diritto di sapere.
- Hermione, tutto bene? - chiese Theo, guardandomi di sottecchi.
Forse per il suo tono dolce, preoccupato, o forse perché semplicemente non riuscii più a tenermi tutto dentro, fatto sta che crollai. Non fisicamente, come nell'aula poco prima, ma emotivamente. Smisi di trattenermi, semplicemente, lasciai scorrere le lacrime, lasciai sfuggire i pensieri che avevo imbavagliato fino a quel momento. E abbracciai Nott, perché era l'unico essere umano presente e io avevo bisogno di calore umano, sentendo il mio svanire piano piano. Affondai la guancia nel suo maglione beige e mi sentii sollevata sentendo le sue mani sulla schiena, mentre cercava in modo un po' impacciato di consolarmi.
- Non piangere. - mormorò, e quella frase me ne ricordò un'altra, e mi ricordò un volto, una voce, un tocco, un bacio. E piansi ancora di più.
Non so precisamente quanto rimasi tra le sue braccia. Mi sembrò una vita e, quando finalmente smisi di versare lacrime, mi staccai. Lui mi sorrise, titubante, e mi passò una mano sulle guance per asciugarle. Poi mi prese per mano e mi portò a un bagno, promettendomi che avrebbe aspettato fuori.
Mi sciacquai la faccia, guardando la mia figura riflessa sullo specchio. Avevo un'aspetto terribile: occhi rossi, guance altrettanto, capelli arruffati e pallida come non mai. Respirai a fondo una, due, tre, troppe volte e mi decisi ad uscire.
Nott mi aveva davvero aspettata, appoggiato al muro con lo sguardo fisso davanti a sé.
- Grazie Theo. - mormorai, sorridendogli.
- Figurati. - rispose, alzando gli occhi su di me.
- Credo che andrò a dormire, ora. - sussurrai, debolmente.
- Certo, buonanotte. - rispose, senza distogliere lo sguardo.
Mi incamminai verso la torre Grifondoro con una mano sul petto, come per assicurarmi che la mia sensazione fosse sbagliata: non era possibile che lì dove fino a quella mattina c'era il mio cuore ora ci fosse soltanto uno spazio vuoto

   
 
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