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Autore: Cassandra Morgana    12/11/2007    2 recensioni
Un tiranno ed una città a un soffio dalla guerra civile.
Un gruppo di ragazzi improvvisati ribelli, persi nelle sfuggenti sfaccettature del loro essere e del loro ruolo, fra le trame di un complesso interagire nel mondo.
Una minaccia soffusa che aleggia nell'aria...
Un luogo immaginario e un momento storico immaginario, "riconducibile" al XVIII secolo europeo.
Benvenuti a Noir Trésor!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Noir Trésor ~'
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Capitolo 11

Incomprensioni

 

 

Con una mossa tesa ed impacciata, Ambrosie cercò di nascondere dietro la schiena lo stiletto che, terrorizzata, aveva preso con sé come ultima precauzione, prima di varcare l’ingresso della stanza di suo fratello.

Sospirò, contrita: non voleva che Fernand si rendesse conto di quanto, ancora una volta, quelle arcane sensazioni senza alcun realistico riscontro l’avessero gettata nel panico.

Arricciò ansiosamente le labbra delicate: probabilmente era stata tutta una delirante allucinazione derivante dalla tensione degli ultimi avvenimenti, ma, d’altro canto, Ambrosie era quasi convinta che l’atmosfera sinistra che le si era improvvisamente addensata intorno, chiudendosi su di lei in una morsa angosciosa, fosse stata qualcosa di più che un’astrusa suggestione. C’era qualcosa, ma non riusciva a stabilire se si trattasse di una minaccia concreta o, ancora una volta, di una sua proiezione mentale.

Persino Fernand, la notte precedente, era stato colto sulla via del ritorno dalle sue medesime sensazioni, tanto da lasciarsi trarre in inganno dal semplice movimento furtivo di un gatto. Sospirò: ricordava com’era scattato fulmineo sulla difensiva, gli occhi blu sgranati per la paura che spiccavano come buchi neri sul volto esangue e contratto.

Suo fratello era strano: non poteva negarlo. Le aveva assicurato, senza giri di parole, di star bene; ma, dopo il sollievo iniziale, la ragazza, non pienamente convinta, aveva cominciato a nutrire dei dubbi.

Fernand era pallido, e Ambrosie, intrecciando casualmente le dita alle sue e facendo sì che lui ricambiasse la stretta, aveva tastato con le sue stesse mani quanto fosse debole.

- Saresti così gentile, sorella cara – proruppe sommessamente il ragazzo – da mettere via il gingillo affilato che nascondi dietro di te?

La ragazza trasalì. Sfuggito alla sua presa febbrile, il pugnale ricadde sul pavimento.

- Risparmiati l’ironia – gli intimò, piccata, mettendo via l’arma, quasi la sola vista le procurasse fastidio e imbarazzo – Ero terrorizzata: va meglio così? E sono quasi certa di aver sentito chiaramente una porta aprirsi e richiudersi di scatto. Ti saresti raggelato, se, per un’intera notte, non avessi fatto altro che nutrire sempre più fortemente il sospetto che qualcosa ti stia dando la caccia.

 

* * *

 

Porta che sbatteva? Dio… Dorian!

 

Il ragazzo ebbe la presenza di spirito di nascondere il viso tra le mani, mascherando così l’incontenibile rossore che l’aveva imporporato fino alla radice dei capelli.

Seguì con lo sguardo il movimento fluido di Ambrosie, la quale si diresse pensierosa verso la finestra, tutta intenta e concentrata a seguire il filo delle sue inestricabili congetture.

 

Sarebbe stato meglio se Ambrosie e Dorian si fossero incrociati; se non altro, non sarebbe stato compito mio trovare una spiegazione plausibile alla sua presenza. Ma, fortunatamente, Ambrosie non si è resa conto di nulla.

 

- Credo proprio – annunciò Ambrosie, assorta, dopo essersi schiarita la voce – Che, fra qualche istante, avremo visite.

- Eh? – Fernand si riscosse di colpo, sollevandosi a sedere.

- Direi con assoluta certezza – proseguì la ragazza – che l’uomo che si sta dirigendo in questo momento verso casa sia proprio Auguste. E non mi sembra si stia recando in visita di cortesia.

Il panico travolse Fernand come una marea impazzita. Il ragazzo non riuscì a trattenere un ansito di sorpresa.

- Possibile che abbia già scoperto tutto?

- A quanto sembra, è possibile – Ambrosie non si scompose – Che cosa intendi fare?

- Di certo, è qui per chiedere la mia testa – proruppe Fernand con un moto risentito – Non è chiaro, è cristallino: qualcuno alza il becco contro il duca e decide di parlare al popolo con libera lingua. Chi è l’autore del misfatto? Quel pazzo di Fernand: è matematico.

Ambrosie vide gli occhi del fratello scintillare imploranti.

- Se chiede di me, digli che non mi sento bene.

La ragazza incrociò le braccia, irritata, sovrastando la pallida figuretta accoccolata tra le coperte aggrovigliate.

- Prima o poi, dovrai affrontare le conseguenze del tuo “piano geniale” – ribatté seccamente.

Fernand si tirò le lenzuola fin sopra il naso, inasprendo lo sguardo ed imitando il medesimo atteggiamento contrariato della sorella.

- Ah, adesso che qualcuno se l’è presa a cuore, il piano sarebbe mio? Parlerò con lui. Ma non adesso – si rigirò stancamente, sistemandosi la coperta intorno alle spalle con il fare ostinato di chi non avrebbe mutato le proprie intenzioni neppure sotto le più affilate minacce – Il mondo non gira intorno ad Auguste, così com’è vero che nessuno di noi ha mai stipulato un giuramento di eterna fedeltà nei suoi confronti. Ne discuterò con lui più tardi, alla locanda, se e quando sarà il momento, e sempre che lui, nel frattempo, non abbia già provveduto a scorticarmi vivo.

- Immagino che tu sia troppo debole perché possa alzarti da quel letto – lo pungolò Ambrosie, sarcastica.

- È la verità – rispose asciutto il fratello.

 

- Razza di sfrontato! – mormorò Ambrosie a denti stretti, mentre si dirigeva a lunghi passi all’ingresso – Un momento! – gridò.

- Apri, Ambrosie.

La voce concitata di Auguste le giunse dall’altra parte del portone, risoluta ed energica, mentre lei lottava contro il massiccio passante.

Nel momento in cui l’uscio si spalancò, Auguste la spinse da parte non troppo bruscamente e si diresse spedito verso il modesto salone. Si guardò minuziosamente intorno, come un falco alla ricerca della preda ambita; dopodiché, la sua attenzione si concentrò su Ambrosie.

- So che Fernand è in casa.

- Auguste – lo richiamò la donna, un’espressione interrogativa sul volto – Azzardo troppo, se ti chiedo di spiegarmi a cosa devo tanto fervore?

Ambrosie si morse il labbro, rendendosi conto di quanto la sua voce, nel maldestro tentativo di apparire tranquilla e padrona della situazione, suonasse artefatta e piena d’apprensione.

- Ho bisogno di parlare con tuo fratello, Ambrosie. È molto importante – reclamò Auguste, tentando, a sua volta, di mantenere il controllo.

La ragazza respirò profondamente, guadagnando tempo. Lo sguardo febbrile di Auguste saettava inquieto per la stanza, inquadrato negli occhi pesti e cerchiati di chi non ha dormito neppure un istante. I capelli gli ricadevano disordinati sulle guance.

L’uomo le rivolse un breve ed eloquente gesto del capo, attendendo impaziente una risposta.

Ambrosie pregò che la sua mezza verità suonasse credibile: la persona che le stava di fronte non sembrava disposta a tollerare alcun compromesso.

- Fernand non si sente bene. Da stamattina.

Auguste alzò gli occhi al cielo.

- Ambrosie, non è il momento di giocare, te lo assicuro. Lo dico per entrambi.

- È la verità – la ragazza balzò sulla difensiva, lo sguardo duro – Non abbiamo motivi per mentirti, credimi.

- Tu, forse. Ma credo possa ugualmente offrirmi un’esaustiva spiegazione. Riconosci questi opuscoli?

Auguste le consegnò un plico di fogli rozzamente rilegati. Seduto sul divano, accavallò altezzosamente le lunghe gambe, mentre la ragazza scorreva i fogli con finta noncuranza.

- Devo attendere ancora a lungo, perché il signorino mi degni della sua venerabile presenza? – scandì l’uomo, mordace.

- Ti pregherei di non infierire. Sono seriamente preoccupata per mio fratello.

Ambrosie gli posò addosso uno sguardo che non ammetteva repliche. Almeno quella era la verità.

Auguste respirò profondamente, imponendosi ancora una volta di restare calmo. All’occorrenza, quella donna riusciva a rendersi più esasperante di Fernand. Sospirò: ammirava la giovane Ambrosie, ma, in quell’occasione, l’avrebbe volentieri scrollata fino a farsi confessare la verità riguardo alle manovre inconsulte di quel piccolo irresponsabile di suo fratello. Scacciò con decisione l’idea dalla sua mente: l’ultima cosa che avrebbe voluto mettere in pratica in vita sua era mettere le mani addosso ad una ragazza.

Osservò Ambrosie, soppesandola con lo sguardo. Gli parve così minuta da apparire quasi fragile: tutta la sua forza sembrava risiedere nell’espressione ferma ed imperscrutabile del volto. Dieci anni esatti in meno di lui, lo sguardo fiero e pulito, lo stesso orgoglio tracotante del fratello. Non sta mentendo.

Sorrise. Era completamente diversa da Emilie: una bellezza fredda, immersa nel suo biondo pallore impenetrabile, le mani sottili che si muovevano con grazia nervosa, le membra delicate ed eleganti, i fianchi ed i seni poco pronunciati. Una vena d’inquietudine negli occhi.

- Qualcosa non va, Ambrosie? – la sua voce si ammorbidì.

- È… Fernand – sussurrò la ragazza, prestando sufficiente attenzione affinché l’oggetto del suo discorso, che riposava nella stanza a fianco, non la udisse – Poco fa, ha avuto un malore.

- E ora, sai dirmi come sta? – incalzò l’uomo.

Ambrosie si strinse nelle spalle.

- Non saprei. Sta riposando. Sembrava molto debole, e lui stesso ignora la causa del suo malessere.

- Hai pensato di farlo visitare da un medico?

La ragazza gli scoccò un’occhiata ironica.

- Sai com’è fatto Fernand.

- Già, lo conosci bene, e credo di conoscerlo abbastanza anch’io. Fernand pretende troppo da se stesso.

- Spero non via sia nulla di cui preoccuparsi. Se l’episodio dovesse ripetersi, giuro che da un medico ce lo spedisco a calci!

Auguste si ravviò i capelli in un gesto brusco. L’intera faccenda, ad essere sincero, cominciava ad allarmarlo.

La sua attenzione tornò a focalizzarsi sugli opuscoli.

- Dunque, Ambrosie, cosa pensi delle “utili” letture che ti ho procurato?

- Tutto il bene possibile – rispose la ragazza, non senza una punta di malizia – Insomma, Auguste! Era tempo che qualcuno si rendesse conto che mezza Noir Trésor fa la fame in mezzo a nugoli di avvoltoi.

- Smettiamola, una buona volta, di scherzare! Non è divertente – ribatté, secco – Tu, piuttosto, sapevi nulla? – insinuò, serafico.

- Ci puoi scommettere.

La ragazza gli rivolse un mezzo sorriso astuto: aveva la situazione sotto controllo.

- Ma certo! Come non averci pensato prima? – Auguste schioccò le dita, tagliente – Giustamente, avete macchinato il tutto alla perfezione, tanto che, come sempre, l’unico ad esserne rimasto all’oscuro era Auguste, lo scemo. È così?

- Mi dispiace – Ambrosie chinò lo sguardo – Avremmo dovuto discuterne all’ultima riunione.

- Già – l’uomo distolse il viso a sua volta, il cuore trafitto da mille strali di dolore – Spero almeno che abbiate agito con discrezione, benché non condivida i vostri metodi.

- Guardiamo in faccia la realtà, Auguste – Ambrosie si sforzò di non suonare troppo pungente – Quale altro strumento abbiamo a nostra disposizione, se non tentare di trasmettere consapevolezza? – il volto della ragazza s’illuminò – Io credo che un popolo cosciente di questo stato di cose e delle angherie che da molto tempo è costretto a sopportare, possa fare molto. Infondere speranza e consapevolezza dovrebbe essere fra i nostri principali obiettivi. Vorrei fosse possibile fare dell’informazione e della coscienza della gente le nostre armi contro il dispotismo e l’ignoranza, sua complice. In alternativa, quale altra concreta possibilità possiamo proporci? Presentarci al duca du Lac e sparargli un colpo di pistola?

- Onestamente – mormorò Auguste, soprappensiero – è un’idea che, per un certo periodo, io stesso avevo preso in considerazione. Ma promettimi di non dirlo mai a Fernand: matto com’è, il nostro amico sarebbe capace di tradurre veramente in pratica il proposito.

 

 

…E io non voglio vederlo marcire in una lurida prigione. Non voglio vederlo pagare sul patibolo per un’idea che in realtà riguarda noi tutti. Non voglio riporre sulle sue giovani spalle una responsabilità tanto grave. Non voglio che Fernand soffra come ho sofferto io.

 

Auguste tacque, un velo di tristezza ad annebbiargli gli occhi chiari.

La ragazza strinse le palpebre, a disagio. Ancora una volta, il dolore palpabile che si annidava in quel volto stanco e tirato l’aveva gettata in una condizione di lacerante impotenza. Quasi senza riflettere, Ambrosie circondò la mano di Auguste con le sue e se la portò sulla guancia, sfiorandola appena.

I minuti scivolarono su di loro, rapidi come gocce di pioggia.

- Ambrosie, Ambrosie – la voce di Auguste risuonò stanca e vagamente allucinata – Vorrei che mi sciogliessi da un terribile dubbio. Spiegami: da che parte stai?

- Dalla vostra, è naturale – rispose la ragazza, con prontezza.

- Continui a sfuggirmi. Cerco di trovare un nesso alle tue azioni, ma non riesco a seguire un filo comune. Non credevo che anche tu appoggiassi le avventate ed infantili iniziative di tuo fratello.

- Se entrambi vi sforzaste di parlare, almeno una volta, anziché aggredirvi a vicenda, forse avremmo un inconveniente in meno. Io mi sforzo di non cogliere tutto il negativo da una parte e il giusto dall’altra. Ci provo o, per lo meno, cerco di mantenere il proposito. Le nostre fatiche rischiano di cadere nel vuoto, finché tra noi vi saranno tensioni e motivi di rancore. Apprezzo l’impegno di mio fratello; ma, per certi aspetti, non posso non esprimere la mia contrarietà.

- Se intendi ciò che riguarda Raphäel Lemoine, sai bene quanto ritenga importante l’avvicinarmi ad una congrega di più ampio respiro. E spero caldamente che almeno tu riesca a trovare un compromesso con Fernand. Chiunque condivida un progetto di resistenza alla tirannia dovrebbe restare unito. Non approderemo mai ad una conclusione, se continueremo a lottare divisi ed osteggiarci a vicenda.

- Sono d’accordo – lo interruppe Ambrosie – Potrò anche azzardare, se dico che tu e mio fratello ne siete l’esempio più rilevante. Sbagliate entrambi, e prima porrete fine alle vostre controversie, meglio sarà per tutti: credimi.

Auguste respirò profondamente, spazientito.

- Conosci un modo indolore per far ragionare Fernand? Saprai meglio di me quando mi sia difficile trovare il modo giusto di prenderlo, sì da evitare di attaccarlo o essere attaccato: è questa la verità. Parlaci e prova tu a farlo ragionare: è il più grande aiuto che puoi darmi.

La ragazza annuì, il volto serio.

- Un’ultima cosa – la trattenne Auguste, posando con malagrazia i libelli sul tavolo – State attenti nel manovrare questa roba. E scegliete con cura le persone cui è bene divulgarla.

Si diresse verso la porta.

- Dove vai, se non sono indiscreta? – accennò Ambrosie.

- Dove vado? – la mano di Auguste esitò sulla maniglia, mentre la superficie dei suoi occhi tremava umida – Devo andare da lui.

Il cuore della ragazza si strinse in uno spasmo angoscioso. Gli posò maternamente una mano sulla spalla, gli occhi lucidi.

- Auguste, se hai bisogno di… conforto, di qualunque cosa, io…

- Lascia stare – declinò l’uomo, un lieve sorriso carico di tristezza che si allargava sul suo volto – Vai. Ti ringrazio di tutto.

La ragazza lo seguì con lo sguardo, mentre Auguste, spedito, si allontanava dalla sua vista.

 

I suoi passi la condussero nuovamente da Fernand.

- Dunque – la interrogò suo fratello, una punta d’asprezza nella voce – Sei riuscita ad ammansirlo?

La ragazza assentì stancamente.

- Parliamo chiaro, Fernand. Auguste sta soffrendo orribilmente per la scomparsa di Lucien: ti prego di non peggiorare la situazione. Rimandate, almeno per un po’, le vostre discussioni.

Fernand le voltò le spalle con il pretesto di guardare al di là della finestra. Le parole di Ambrosie, involontariamente, l’avevano ferito. Cercò d’impedire ai propri occhi di riempirsi di lacrime, ma il sole che gli bruciava sul volto rendeva ancor più ostico il suo intento. Infine, si lasciò andare ad un triste sospiro.

 

Evita di snervarlo. Non peggiorare la situazione. Non angustiarlo.

Perché sei capace soltanto di irritarlo, di esasperarlo e di complicargli ulteriormente l’esistenza. Non puoi essergli utile: cerca almeno di non essergli dannoso.

 

Non ho mai voluto essere “utile”! Non utile come può essere uno sterile strumento, un seguace senza volto, un burattino senz’anima.

Non voglio essere un intralcio, per lui. Non voglio gravare sulle sue spalle, insieme al dolore che lo consuma. Non voglio essere per lui la causa di altri mali.

 

Vorrei soltanto proseguire diritto lungo la strada che ho scelto, senza incertezze, evitando scontri sempre più dolorosi da cui usciamo entrambi sconfitti. Le ferite bruciano ancora.

 

Vorrei fuggire da questa prigione che mi sono ritagliato addosso senza saperlo. Vorrei tornare indietro e non inciampare più sulla sua strada.

Ma non posso. Non voglio!

 

Rinunceresti all’aria che respiri?

 

Auguste mi ha preso e smembrato lentamente. Io l’ho ripagato di tutto senza sconti. Ma il dolore non è un pretesto che basti a mantenermi lontano da lui.

Si può voler fuggire la propria condanna e, nello stesso tempo, non poter più farne a meno?

Non so cosa voglio. Ma, nello stesso tempo, ne ho paura.

 

- Fernand, perdonami – la voce femminile scivolò morbida su di lui.

Ambrosie gli prese il volto tra le mani.

È davvero tanto debole il mio controllo sulle emozioni più subdole?

Fernand si morse dolorosamente il labbro.

- Vorrei mettere in chiaro una cosa – le sussurrò, atono – Io non odio Auguste. Detesto l’idea di accumulare altro insensato rancore. Questa situazione mi pesa. La nostra… ostilità – Fernand sollevò gli occhi al cielo, confuso.

 

Il solo parlare di “ostilità” è un masso che mi opprime il petto. Chi ha stabilito che deve essere così?

“Odio”: chi è così stolto da credere a simili assurdità?

 

- … la nostra ostilità non avrebbe motivo d’esistere. Non ha nessuna ragion d’essere, Ambrosie; se solo… Non lo so. È più forte di me.

- Tieni molto a lui, è così? – le dita di Ambrosie scivolarono sulle sue spalle tremanti.

- Io apprezzo molto Auguste. Come ti sentiresti a sapere che la persona che stimi più di tutte, ti ritiene poco più che una spina nel fianco?

 

Fratello mio, se così fosse anche per me?

 

- Non è così, Fernand – Ambrosie si sforzò di dissuaderlo – Auguste è una persona fredda e pragmatica, intransigente con se stessa e con gli altri, ma riconosce il valore di chi ha di fronte. Non lasciarti ingannare dalle apparenze: io mi fido del suo giudizio.

Scioltosi dall’abbraccio della sorella, Fernand si diresse in silenzio verso la piccola toeletta e prese a spazzolarsi distrattamente i capelli.

- Stai bene, ora? – indagò la ragazza.

Fernand annuì col capo.

- Adesso va meglio. Ho solo bisogno d’aria. Usciamo, andiamo a far colazione.

 

* * *

 

Un cero ardeva al centro della sala, unica fonte d’illuminazione, proiettando tutt’intorno un chiarore cupo e solenne ed un’impercettibile caligine che offuscava la vista ai presenti. Le imposte erano chiuse, ed il lutto si mescolava all’aroma opprimente della cera che si scioglieva e dello stoppino che bruciava.

La stanza era spoglia ed asettica, magicamente ripulita d’ogni traccia dell’orrore che vi aveva avuto luogo. Un lugubre drappo color fumo celava alla vista dei presenti la superficie del divano, striata da scure e larghe chiazze di sangue. Lui, Auguste, sapeva cosa vi si celava. Distolse lo sguardo.

Quel divano.

Quella stanza.

Rabbrividendo, si premette le mani sugli occhi che bruciavano. L’atmosfera funerea che, sin dal primo istante in cui aveva di nuovo messo piede in quella casa, gli si era incanalata fin nelle ossa, turbandolo quasi quanto l’essersi ritrovato dinnanzi a Lucien privo di vita.

Disagio, vergogna, imbarazzo, dolore ed una sorta d’angoscia inspiegabile: le sole sensazioni ad aver preso il sopravvento su di lui.

Sino a quel momento, aveva scioccamente ritenuto che la sua pena fosse qualcosa da covare in solitudine e da custodire gelosamente dentro di sé. Ma ora non era più solo in quella casa. Il dolore non era una sua esclusiva.

Invano si sforzò, nella confusione, di mettere a fuoco i volti dei presenti, finché la sua attenzione non fu catturata da una pallida figura dal portamento austero, la cui bellezza a tratti vagheggiava la compostezza neoclassica di un’antica dea, di una Diana prematuramente sfiorita dagli affanni e dall’impassibile scorrere del tempo. Qualcosa scattò nella mente di Auguste: i lisci capelli corvini, severamente raccolti; gli occhi azzurri, il profilo aristocratico e le labbra sottili. I tratti sin troppo familiari.

 

Dopo tanto tempo…

Fa’ che non sia lei: la madre di Lucien, Rose. Non riuscirò a sostenerne lo sguardo. Non ne avrò il coraggio.

 

Auguste si strinse tristemente nel soprabito scuro, fissando il candido lenzuolo che copriva la salma di Lucien. Gli addetti all’ingrato compito avrebbero chiuso per sempre le nobili spoglie del suo amico in una gelida cassa lignea e, di lì, il mattino seguente, si sarebbero svolte le esequie.

Era tutto così… impersonale, sprofondato nella più gretta, indifferente quotidianità, mentre lui, lui aveva perso una ragione di vita.

 

La madre di Lucien piange sommessamente. E, a fianco a lei, suo marito fissa il vuoto.

 

La donna mosse alcuni passi verso di lui e gli posò timidamente una mano sulla spalla. Auguste per poco non avvertì il proprio cuore esplodergli nel petto. Inghiottì le lacrime. Incapace di articolare qualsiasi frase coerente, strinse a sé la donna, tremante.

- Tu non hai colpa, Auguste. Non hai colpa – singhiozzò Rose con discrezione – Hai fatto tutto quel che hai potuto per il mio Lucien. Solo, non sei giunto in tempo, ma non potevi sapere. Non potevi sapere…

La donna sussultò flebilmente, soffocando le lacrime sulla spalla di Auguste, il quale strizzò dolorosamente le palpebre arrossate, perdendosi nei suoi pensieri.

Il padre di Lucien stava compunto in un angolo. Non gli si accostò. Si limitò a fissarlo, torvo.

 

Auguste si accinse ad abbandonare quel luogo, annaspando alla ricerca d’aria.

È troppo. Troppo… Straziante.

Una mano forte gli attanagliò il polso. Auguste cedette, arrestando i propri passi.

 

Manca poco. Così poco, alla mia rovina. Straziatemi anche voi, e poi lasciatemi morire del veleno che mi soffoca il cuore.

 

Gli occhi di Emmanuel, il padre di Lucien, bruciavano nei suoi come lava.

- Vi piace ancora giocare a fare i ribelli?

Auguste avvertì le parole dell’uomo, ferme e vagamente deliranti, stridere come cardini non oliati. Chinò lo sguardo, sconfitto, colpito a morte da quella voce e da quello sguardo enigmatico e pieno d’astio.

- Sia maledetta la vostra amicizia – proseguì l’uomo – Maledetti i vostri stupidi sogni di gloria e la vostra dannata pazzia! Se foste annegati voi tutti nella vostra sciagurata, folle ambizione, e se tu non ti fossi mai avvicinato a lui, ora mio figlio starebbe ancora in piedi. Adesso, però, devi ascoltarmi attentamente.

La presa dell’uomo si strinse convulsamente sul polso di Auguste, quasi volesse stritolarlo. Il ragazzo serrò stoicamente i denti, sentendo le ossa scricchiolare nella stretta sempre più assillante.

Vide la mano libera di Emmanuel infilarsi furtiva dentro il mantello scuro, per poi trarne un oggetto acuminato. Un coltello.

Auguste deglutì a fatica, il volto cereo.

Finiscimi, implorò silenziosamente, gli occhi stretti a fessura nello spasmo angoscioso che lo scuoteva. Lava via il sangue di tuo figlio con il mio, se questo ritieni necessario. Metti a tacere il mio dolore ed il mio rimorso come giudichi più opportuno, e che tutto finisca per sempre.

Con grande incredulità da parte di Auguste, l’uomo allentò la presa sul polso arrossato e dolorante e, imponendogliene la presa, gli mise forzatamente in mano il pugnale e gli chiuse le dita sul manico.

- Sai molte cose riguardo a Lucien, ragazzo – gli soffiò in faccia con voce roca – Di certo, tu conoscerai molti più retroscena intorno alla tua morte di quel che dici di sapere. Vai e trova l’assassino. È tutto.

Auguste assentì in un debole cenno, il volto teso ed una sensazione di gelo a percorrergli la spina dorsale, irradiandosi alle sue membra.

- Condoglianze, Auguste.

Emmanuel si congedò con un rigido abbraccio meno rassicurante di quanto sarebbe voluto apparire, e sparì oltre la soglia dell’abitazione.

Auguste si massaggiò miseramente il polso indolenzito. Era nuovamente solo. Lui e la sua disperazione. Sospirò, pentendosi di aver rifiutato l’offerta da parte di Ambrosie di accompagnarlo. La ragazza avrebbe forse rappresentato per lui una parvenza di supporto nell’affrontare il suo inferno; eppure, ancora una volta, aveva finito per agire secondo la sua maledetta volontà, ignorando quelle insolite, amorevoli offerte d’aiuto che di rado gli erano rivolte.

Si diresse mestamente alla volta della piazza cittadina.

 

* * *

 

Il tardo pomeriggio investiva Noir Trésor della luce ramata del crepuscolo, intercalata qua e là dalle lunghe ombre proiettate lungo le vie dalle case e dagli edifici.

A quell’ora della sera, la locanda pullulava già di avventori: giovani senza meta, agitatori nell’ombra, gente del popolo che, di ritorno dal duro lavoro, sfruttava la sua unica, astratta possibilità di esprimere senza censure i propri malumori riguardo al cattivo governo e alle condizioni economiche sempre più precarie, se non addirittura prossime alla miseria.

L’odore pungente del vino si mescolava a quello dell’olio che bruciava nelle lucerne e al fumo dei sigari che aleggiava nell’ambiente in morbide spirali, formando una torbida cappa sopra le testa degli avventori.

- Ehi, ragazzo – un giovane dai capelli biondi e dal fiero portamento che contrastava stranamente con lo sguardo gentile, richiamò l’attenzione dello sguattero – Altro vino per me e per il mio amico. Pulito, stavolta, il bicchiere – gli intimò scherzosamente.

- Ebbene, mon ami – Dorian si rassettò con certosina precisione lo jabot merlettato – A cosa brindiamo?

Uno sguardo deliziosamente luciferino lampeggiò nelle iridi di Fernand.

- Alla riuscita del nostro piano – Fernand schioccò la lingua con fare eloquente – Guarda come si agitano. Guarda come hanno divorato i nostri articoli: fioccano le idee, la protesta si estende. Presto le nuove istanze e le sollevazioni raggiungeranno Palazzo du Lac con un’intensità ed un’iniziativa tale da travolgere il duca come un fiume che, stavolta, gli sarà impossibile arginare.

Il ragazzo accompagnò le sue parole con un sorriso cospiratore.

Dorian sentì le labbra inaridirsi: il vino non era sufficiente a placare l’agitazione derivante dai recenti avvenimenti e dalla vista di Fernand. Represse l’ardente, inconsulto desiderio di stringerlo a sé.

Alla sua sinistra, Ambrosie si guardava intorno nervosamente, con fare sospettoso. La sua presenza era del tutto inconsueta in un luogo come quello, ma la ragazza, intuendo la tempesta che di lì a poco si sarebbe scatenata, aveva insistito, con un pretesto, per accompagnare i due amici.

- Dimmi, Ambrosie: che te ne pare, dunque, del nostro “campo di battaglia”? – Dorian rivolse il suo sguardo sulla donna, la quale si sistemò distrattamente una forcina dalla quale era sfuggita una lunga ciocca color miele.

- Splendi come un diamante nel fango, Dorian. A dover essere sincera, non mi è parso di scorgere qua intorno molte facce rassicuranti. Sarebbe un azzardo, da parte nostra, far subito leva sul malcontento immediato di una massa incontrollabile la cui aspirazione è creare disordini di certo controproducenti. Dobbiamo prestare attenzione: la situazione può facilmente sfuggire di mano.

Fernand irrigidì le spalle.

- Non capisco dove voglia arrivare – controbatté, risentito – Ma comincio a chiedermi come sia possibile che la sola, momentanea vicinanza di quell’uomo sia sufficiente a volgerti contro di me.

- Ora stai esagerando, Fernand. Non è come pensi. Se provassi ad evitare, almeno qualche volta, di riversare su Auguste le cause di ogni tuo problema, riusciresti ad essere realistico: il discorso, in questo momento, riguarda noi due. Vorresti concedermi, gentilmente, la possibilità di rivolgerti un consiglio senza che ciò comporti necessariamente urtare la tua sensibilità? – Ambrosie lo fissò con espressione arguta.

- Mi spiace, Ambrosie – il ragazzo chinò lo sguardo, in palese disagio; non voleva alienarsi l’approvazione di sua sorella, fra i pochi che ancora lo appoggiavano; ma il solo sentir nominare Auguste era in grado di tendere i suoi nervi.

- Non era ciò che intendevo – proseguì, la voce malferma – Volevo dire soltanto che prima si muoverà il popolo, meglio sarà per tutti.

- Ed io volevo ricordarti che un piede in fallo, stavolta, equivale a mandare davvero tutto all’aria.

Dorian, rimasto in disparte sino a quel momento, intento a seguire la schermaglia verbale dei due fratelli, si rivolse al ragazzo:

- Ragiona, Fernand: credo che, per oggi, sia stato fatto abbastanza. Riconosco che il nostro è un passo piuttosto breve, a dispetto di quel che ci proponevamo, ma cerca di capire che, per una mossa tanto arrischiata, non vale la pena rischiare ulteriormente.

Fernand intrecciò le braccia sul petto, inquieto.

- Io sono convinto, al contrario, che la situazione abbia bisogno di una scossa. Ancora non basta, ragazzi, capite? Abbiamo corso gravi rischi nel portare a termine la nostra operazione, e, se nessuno raccoglierà l’occasione, entro domani tutto sarà già inutile e dimenticato. Ora hanno un pretesto per scagliarsi contro il duca. Guarda intorno a te: leggono, inveiscono, fanno sfoggio della loro indignazione. Eppure, di organizzare una resistenza unita ancora non si parla. Domani, i libelli per i quali abbiamo rischiato la galera saranno poco più che testi arguti sui quali sghignazzare in privato.

Il ragazzo si ravviò all’indietro i capelli con fare contrariato. Si alzò di scatto e prese a misurare a lunghi passi lo stretto corridoio che, dall’ingresso della taverna, si diramava, fra isole disordinate di tavoli e panche, fino al malandato bancone in cui l’oste mesceva da bere.

- Non so cos’abbia in mente tuo fratello – Dorian si morse il labbro, impensierito – Ma non mi piace per nulla.

- Ha bevuto? – indagò Ambrosie.

- Soltanto qualche bicchiere di vino.

La ragazza scosse il capo, sconcertata.

- Allora, è chiaro. Dobbiamo fermarlo, prima che commetta qualche altra imprudenza.

- Credo sia troppo tardi…

Rassegnato, Dorian puntò lo sguardo in direzione di Fernand.

Ambrosie sgranò gli occhi, impressionata, portandosi contemporaneamente le mani sul volto in un gesto rassegnato.

 

Basta stare a guardare! Basta osservare impotenti mentre si muore di fame! È giunto il momento che si dia avvio ad un’iniziativa rivoluzionaria che spazzi via il duca du Lac ed il suo dominio sulla città.

 

- Troppo tardi, troppo tardi – la ragazza saettò con lo sguardo dal viso di Dorian alla scena che si stava consumando a qualche passo da lei.

Presa parola alla discussione sempre più accalorata che si era accesa fra gli avventori della locanda, Fernand si era posto in testa alle requisitorie in qualità d’arringatore.

 

I vostri figli fanno la fame…

 

I nostri concittadini muoiono, vittime di un sistema che vuole soffocare ogni libertà attraverso il panico diffuso…

 

Le parole di Fernand si persero confuse nella mente di Ambrosie.

Taci, ti supplico. Prima che sia troppo tardi.

 

Dobbiamo prendere le armi e scuotere l’ingiusta supremazia sin dalle radici per mezzo delle quali si è ancorata nella nostra terra e nelle nostre vite…

 

L’ambiente piombò nel silenzio, mentre le parole di Fernand frustavano l’aria, impetuose. Qualcuno fischiò nella sua direzione, qualcun altro applaudì, altri ancora lo imitarono, entusiasti.

- Questo ragazzo ha ragione – un uomo attempato si accostò al giovane e gli tese la mano con deferenza – Siamo stanchi di chinare il capo davanti all’usurpatore e di accettare ogni sua prevaricazione.

 

Non dice nulla di nuovo: niente che ancora non si sappia. Ma è tutto ciò che la gente vuole sentirsi dire. E la situazione sta degenerando.

Basta!

 

- Dorian, dobbiamo fermarlo – la voce di Ambrosie risuonò stridula.

Si aggrappò al braccio di Dorian

- È mezzo ubriaco, ha perso il senso del pericolo ed ora ha ottenuto i consensi di tutto il locale.

- Se permettete, potete lasciarlo a me.

Dorian e Ambrosie sobbalzarono, quando la figura di Auguste comparve alle loro spalle.

Gli ansiti che gli scuotevano il respiro, i capelli sciolti e gli abiti in disordine lasciavano intuire che Auguste si era precipitato in quel luogo di corsa, palesemente sconvolto. Reggeva tra le mani, stretto al petto, un mazzo di opuscoli.

- È tutta qui la vostra… discrezione? – gli occhi dell’uomo si posarono gelidi su Ambrosie – Non mi pare abbiate scelto bene le persone a cui indirizzare i vostri dannatissimi libelli. Questi, li ho confiscati nella piazza: è meglio che stiano con me al sicuro. Avete la più pallida idea di ciò che avete fatto? Avete sobillato un’intera città; se queste… cose finiscono in mano a qualche autorità, sarà un bagno di sangue.

Auguste si diresse con passi furenti verso il giovane arringatore.

- Hai controllato non vi siano in giro oggetti contundenti? – Ambrosie si coprì gli occhi – Finirà male. Malissimo.

Dorian seguì Auguste.

- Basta, Fernand; credo che per oggi possa bastare.

Dietro Auguste e Dorian, Ambrosie scorse Raphäel, il quale pareva essere spuntato dal nulla

Perfetto, si disse. Ora, il quadro è al completo.

Auguste spintonò bruscamente Dorian.

- Fatti da parte, Dorian. In casi come questo, il tuo amico capisce un solo linguaggio, purtroppo.

Sul viso di Fernand comparve un sorrisetto subdolo, quando scorse Auguste.

- Osserva con i tuoi occhi.

- Ho visto già abbastanza – gli occhi dell’uomo scintillarono di collera – Davvero, i miei complimenti: hai quasi gettato sulla forca un intero popolo facilmente suggestionabile… Per sua sfortuna. Sei felice, ora? Puoi riprenderti questi.

In uno scatto d’ira, Auguste scagliò gli opuscoli, mirando al volto di Fernand. I fogli si sparsero per il pavimento della stanza.

- Solo tu ti ostini a non capire di cosa ha bisogno Noir Trésor. Quanto, ancora, dobbiamo chinare la testa, mentre il duca sfrutta e raggira come meglio può i suoi schiavetti ubbidienti?

- Il popolo di Noir Trésor ha bisogno di riforme che un tiranno non potrà mai garantirgli. Ha bisogno di costruire solide basi economiche e morali per rovesciare una tirannia; di certo, non di un ragazzino sciocco, egoista e megalomane. Credi che gettarsi nella bocca del leone sia un modo per risolvere i problemi?

Il ragazzo indietreggiò, ferito dalle sue parole.

- Neppure patteggiare con certa gente è una valida alternativa – gli occhi di Fernand si strinsero con disappunto, fissandosi su Raphäel – Che ti prende, Auguste? Hai trovato un nuovo socio in affari?

Un nuovo socio con cui rimpiazzare quello vecchio? Fernand tacque, arrossendo: solo un istante dopo, si avvide, nella collera, di aver involontariamente sottinteso qualcosa che non avrebbe voluto.

Una cinquantina sguardi saettarono nervosamente da Fernand ad Auguste. L’aria tesa preannunciava non troppo velatamente che di lì a poco i due contendenti si sarebbero quasi di certo divorati a vicenda.

Fu Dorian a frapporsi tra loro.

- Auguste, ascoltami per un momento: Fernand non intendeva insultare nessuno, men che mai…

L’uomo se lo scrollò di dosso, sordo ai suoi richiami, continuando a fissare gelidamente Fernand. Gli occhi gli s’inumidirono, mentre il respiro accelerava paurosamente.

- È questo che pensi, Fernand?

- Non intendevo… quello. Non oserei mai. Il tuo problema, Auguste, è che hai sempre avuto paura.

Le parole del ragazzo risuonarono come una tromba che annuncia la battaglia imminente.

- È questo che pensi di me? – ripeté Auguste, investendo il ragazzo – Un vigliacco che si circonda di altrettanti vigliacchi. Compreso lui. È così? – il suo viso si corrugò in una maschera di dolore – Perché mi fai questo, Fernand?

 

Perché mi fai questo?

 

Il braccio di Auguste si mosse fulmineo, ed il dorso della mano colpì Fernand in pieno volto.

Il ragazzo arretrò, stordito. Incespicando sui propri stessi piedi, si ritrovò, in capo ad un istante, disteso sul pavimento appiccicoso della locanda, un fianco dolorante e mille occhi su di sé.

Immobile, le piccole losanghe bianche e nere del pavimento che si confondevano sotto il suo sguardo, il cuore sanguinante ed il gelido biasimo trasudante dagli occhi di Auguste che bruciava su di lui, inchiodandolo a terra.

 

Potrei dire l’identica cosa: perché mi fai questo, Auguste? Perché non riusciamo a condividere lo stesso ossigeno senza dilaniarci?

 

Era deluso, triste, furente: deluso, per l’infima considerazione che Auguste aveva dimostrato possedere nei suoi riguardi. Triste, perché, colpendolo, aveva sancito il suo disprezzo; furente, perché, nonostante tutto, non riusciva a odiare quel bastardo capace soltanto di umiliarlo e di arrecargli disperazione e sofferenze.

Ignorò la mano che gli tese Dorian. Ignorò Raphäel che cercava di calmare Auguste e di farlo ragionare; fino a quel momento, su di lui non avrebbe speso neppure un soldo: ora, per un istante, il suo comportamento gli parve quasi ammirevole.

A fatica, si risollevò in piedi.

 

Perché mi fai questo, Fernand?

 

- Di certo, non devo rendere conto a nessuno di quel che faccio – sibilò ad Auguste – Men che mai ad uno stronzo come te!

Senza rendersi pienamente conto del proprio gesto, il ragazzo tirò indietro il pugno e glielo sfracellò in faccia.

Ignorò il veleno che gli mordeva l’anima e l’orribile senso di oppressione che gli invadeva il petto. Ignorò le lacrime che gli accarezzavano le ciglia, mentre i propri passi irruenti lo conducevano fuori di quella sudicia locanda, il freddo che gli pungeva il viso ed il cuore. Fuggì finché gli occhi non cominciarono a bruciargli, finché la sua corsa non disperse le lacrime nel vento.

 

   
 
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