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Autore: Scattered Dream    24/04/2013    4 recensioni
Salve!
Sono tornata con una storia ad OC, spero vi interessi!
***
Tratto dalla storia:
"-Hai una pessima opinione sui pirati, eppure hai tutte le carte in regola per diventarlo anche tu!-
-Non è vero-
-Invece si: hai aiutato un malfattore, ovvero me, hai derubato un ricco viandante, stai per rubare una nave e hai un'ossessione per i tesori!-
-Non ho nessuna ossessione per i tesori!-
-Non tutti i tesori sono d'oro- "
***
Una leggenda tramandata da cinquant'anni riguardante il tesoro più grande e prezioso di tutti i tempi.
Una guerra senza esclusione di colpi.
Un viaggio oltre ogni immaginazione.
Genere: Avventura, Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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 ♦Incubi, lettere e strani incontri♦
 

 

Tuoni.
Paura.

E acqua. Tanta acqua. Come non ne aveva mai vista prima.
Vide l’Albero Maestro piegarsi al volere del vento, spezzarsi come un ramoscello secco, cadere come un gigante ferito. Si voltò dall’altro lato, in cerca del suo sguardo. Lo trovò, e desiderò non averlo mai incrociato. Era freddo, spento, vuoto. Lo sguardo di un morto.

-NO!- urlò con tutto il fiato che aveva in gola, mentre un’altra onda, più grande e violenta delle precedenti, si abbatteva sul ponte, facendo inclinare pericolosamente la nave da un lato.
-Vieni via!- sentì due mani che lo afferravano e lo spingevano malamente da un lato,mentre  il suono agghiacciante della nave che strusciava contro qualcosa riempiva le sue orecchie, e il freddo si insinuava nelle sue ossa.
 

-Svegliati, Will! Svegliati, è solo un sogno!- la voce di Dylan gli arrivava come un sussurro, lontano e confuso. Spalancò gli occhi solo quando sentì uno schiocco sulla guancia, seguito da un bruciore insopportabile. Si alzò e, con un’espressione più cupa della notte sul viso, si piazzò davanti a Dylan, che non indietreggiò di un passo.
-Non azzardarti mai più- gli sussurrò gelido all’orecchio, per poi uscire con i capelli ancora in disordine e senza camicia, sbattendo la porta della camera. Subito dopo, si sentì un’altra porta sbattere, e il locandiere urlare qualcosa riguardo ai soldi.
-E’ andato- sussurrò Mosca, sedendosi affranto sul letto sfatto, in cui, pochi secondi prima, dormiva l’amico. Succedeva raramente che William si svegliasse di cattivo umore, e ancor più raramente che si svegliasse incazzato. Evidentemente, quella non era stata una delle sue notti migliori. Lo aveva sentito agitarsi per tutto il tempo e, ad un certo punto, lo aveva sentito addirittura urlare quel nome. Un nome che non usciva mai dalle sue labbra,  che lo aveva spaventava e rattristava allo stesso tempo appena lo udiva. Evidentemente, Will aveva sognato quella parte dell’incidente.
-Torno subito- disse, uscendo e sbattendo anche lui la porta. Nella stanza rimasero solo Midorikawa ed Hiroto, anch’esso abbastanza scuro in volto.
-Che è successo?- osò domandare il verdino. Era vero che aveva rinunciato a comprendere qualsiasi pensiero o azione dei pirati, ma un comportamento del genere era veramente troppo, e dietro ci doveva essere sicuramente qualcosa di molto più grande che un semplice incubo.
-Lascia perdere- gli rispose freddamente il rosso, mentre si avviava anche lui verso la porta, barcollando e imprecando tra i denti.
-Si può sapere che vi prende a tutti quanti?!- sbottò Riuuji, esasperato da tutto quel mistero, e ricevendo come sola risposta il silenzio, interrotto solo dal ticchettio delle lancette dell’orologio appeso al muro, sgangherato e mezzo bruciacchiato.
○○○
-Signore- un ragazzo dalla pelle diafana e i capelli bianchi come la neve entrò nella sua camera, fermandosi esattamente al centro, in attesa di poter parlare. Atsuya alzò lo sguardo dal calice di birra che si stava gustando, e con un gesto della mano invitò il giovane a continuare. Quest’ultimo lo guardò leggermente piccato, poi, con estrema calma, posò sgarbatamente una lettera stropicciata sul tavolo.
-E’ arrivata ora- disse soltanto, uscendo dalla camera con fare indifferente e richiudendosi la porta alle spalle. Atsuya sbuffò sonoramente, rigirandosi tra le mani quel pezzo di carta ingiallito, mentre pensava a come far capire a quell’indifferente di Fuusuke che doveva portargli un po’ di rispetto, perché lui era pur sempre il capitano, e pretendeva di essere trattato da tutti come tale. Peccato solo che parecchi uomini non lo riconoscevano comeil loro vero capitano, e questo lo faceva incazzare, si sentiva umiliato e, soprattutto, inferiore. Inferiore alui. Chiuse gli occhi per qualche istante, cercando di far andare via quei pensieri pieni di rabbia verso se stesso e verso il mondo. Strappò con un colpo secco la busta contenente la lettera, piegata frettolosamente in quattro parti. Non sapeva perché, ma aveva una brutta sensazione. Il breve testo era stato scritto di corsa, era evidente, ma nonostante ciò la calligrafia era elegante, con lettere sottili e poco elaborate. Una calligrafia che conosceva fin troppo bene. Lesse con foga le poche righe scritte, incupendosi sempre di più ad ogni parola:

“Non credo ci sia bisogno di presentazioni, tanto avrai già capito chi sono.
Ho bisogno di parlarti urgentemente, e non tentare di dartela a gambe come al tuo solito, tanto sai perfettamente che riuscirò a rintracciarti lo stesso. Ti anticipo, più o meno, l’argomento del nostro incontro: I Gioielli della Morte. Già, proprio il famigerato tesoro di Barbanera. Non sono impazzito, credimi, la mia mente non è mai stata più lucida come quando ho preso questa decisione.
Ti aspetto alla locanda “Tre Timoni” domani, alle 14.45.
Sii puntuale e ricordati del grosso favore che mi devi.”
 
A quanto pareva, i suoi cattivi presagi erano fondati. Si passò una mano sul viso, maledicendo quella lettera. I Gioielli della Morte. Cosa diavolo gli era saltato in mente a quello svitato? Imprecò ancora un po’, rileggendo più e più volte quel pezzo di carta che, seppur così piccolo e insignificante, gli aveva portato un sacco di guai. Si alzò facendo cadere la sedia, e uscì come una furia, alla ricerca di parte della sua ciurma. Sicuramente, quel folle gli avrebbe chiesto indietro i suoi uomini, e la sua nave, e avrebbe anche preteso il suo aiuto nell’intraprendere quel viaggio, visto ciò che aveva scritto nell’ultima riga.

***
Dylan trovò Will sul retro della locanda dove alloggiavano, intendo a fissare il mare con occhi malinconici. Non si era nemmeno accorto della sua presenza. Il biondino si avvicinò lentamente, per poi sedersi accanto a lui. La sabbia era ancora umida dopo il temporale di quella notte, e ci mise poco ad appiccicarsi ai suoi vestiti e alla sua pelle.
-E’ stata colpa mia- la voce del castano lo colse di sorpresa, facendolo trasalire.
-Non è vero, e lo sai- protestò, costringendo l’amico a guardarlo in faccia. Si era alzato un vento leggero, caldo, di quelli che ti accarezzano la pelle in riva al mare, o che dondolano dolcemente le piccole barche dei pescatori attraccate in porto. Un vento apparentemente amico, che gonfiava appena le vele di una nave, ma che si poteva tramutare nella peggiore delle tempeste, proprio com’era accaduto a loro quella fatidica notte.
Il silenzio calò tra i due. Non era un silenzio imbarazzante, come quando due persone si incontrano e non sanno che dirsi, ma era un silenzio carico di significati, di parole non dette e di sospiri trattenuti. Un silenzio che celava segreti inconfessabili ed incubi fin troppo vividi.
-Nessuno di noi può dimenticare, quindi possiamo solo andare avanti, godendoci la vita anche per chi non c’è più- aggiunse Mosca, per poi andarsene silenziosamente, così com’era arrivato.
***
Era un locale enorme, con ampi tavoli di legno massiccio, sedie e un bancone, illuminato da centinaia di candele e pieno di persone, alcune sedute altre in piedi, che bevevano. Ingurgitavano avidamente il contenuto dei loro bicchieri come se, così facendo, potessero risolvere i problemi delle loro vite. L’attenzione di tutti, però, era concentrata su un vecchio dalla voce rauca, il quale stava raccontando, ritto su uno dei tavoli, vecchie leggende e storie, raccontategli, a quanto diceva lui, da gente che, a sua volta, le aveva ascoltate dal mare stesso. Scosse la testa a quell’assurdità, dicendosi che quella gente credeva a tutto per il semplice fatto di essere ubriaca fracida, e quindi di non avere la lucidità mentale per rendersi conto di tutte quelle frottole. Certo, poi c’era anche gente che ci credeva realmente, a certe cose, ma quelli, nella maggior parte dei casi, erano ossessionati dalle leggende, o, più semplicemente, pazzi da legare.
-Che prendi da bere?- il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dalla voce rude della locandiera, bassa e robusta, con una grossa benda nera sull’occhio destro.
-Sidro- disse velocemente, per poi ritornare ad ascoltare il vecchio che parlava, rintanato in un angolo in fondo alla sala. Ad interrompere l’atmosfera magica e misteriosa che si era creata, furono le urla improvvise di due ragazzi, che si stavano azzuffando sull’uscio, seguite dalle voci concitate di altri uomini, molto probabilmente passanti fermatisi ad assistere alla rissa. Si alzò, poiché aveva riconosciuto una delle due voci che avevano urlato, e si diresse sconsolato ed esasperato verso l’uscita.   
-Idioti!- esclamò, facendosi largo tra la piccola folla che si era creata, con un’espressione assatanata negli occhi.
-Jack…che ci fai qui?- domandò uno dei due giovani, quello con gli occhi verdi, con un’espressione a metà tra lo stupito e lo spaventato. Jack non gli rispose nemmeno, limitandosi a trascinare lui e quell’altra testa quadra fuori dalla cerchia.
-Era tutto sotto controllo- provò a giustificarsi il ragazzo moro, fischiando sonoramente al passaggio di due belle ragazze, agghindate per bene, che lo guardarono ridacchiando, per poi sparire dietro l’angolo. Gianluca era un mezzo donnaiolo, questo era poco ma sicuro.
-Ero venuto solamente a salutarvi, comunque- disse Jack Baker, sistemandosi il ciuffo che ricadeva ribelle sul viso, mentre gli occhi a mandorla, molto simili a quelli di un pazzo, guardavano intensamente i due ragazzi. Era un tipo di poche parole, e apriva bocca solo per dire cose importanti o per insultare qualcuno. Un tipetto assetato di sangue che si annoiava sempre. Un vero tesoro.
-Salutarci?- domandò confuso Marco, strofinandosi gli occhi irritati dal fastidioso vento che si era alzato. Baker non rispose, limitandosi a sbuffare e a fare spallucce.
-Domani saprete- aggiunse soltanto, prima di voltarsi e scomparire nel buio della notte.
***
Terumi camminava con un’espressione schifata dipinta sul volto, osservando la strada sporca che stava percorrendo da alcuni minuti, piena di scarti alimentari, di bottiglie infrante e..e..di escrementi. Si tappò la bocca, per non vomitare, e il naso, per non respirare la puzza atroce di quella stradina infernale. Sentì delle grida femminili provenire da un vicolo cieco dove si trovava l’entrata secondaria di una delle tante bettole da quattro soldi di quel posto. Si precipitò nel vicoletto, pronto a soccorrere la fanciulla che aveva gridato. Con sua grande sorpresa, però, scoprì che le urla udite pochi attimi prima non erano una richiesta di aiuto, ma bensì delle urla di… piacere. Guardò allibito la scena, per poi guardarsi meglio in giro, rendendosi conto solo in quel momento di esser finito in un vicolo di prostitute. Tre donne, due more e una bionda, lo guardavano maliziose, ed una di loro gli si avvicinò con fare seducente.
-Vuoi fare un giro?- gli sussurrò maliziosa, guardandolo negli occhi, leccandosi le labbra impaziente.  Aphuro sbarrò gli occhi e, cercando di darsi un contegno, rifiutò educatamente l’offerta, allontanandosi il più velocemente possibile. Era quasi uscito dal vicoletto, quando una mano lo bloccò.
-Non si rifiuta mai l’offerta di una delle mie ragazze- un pirata  dalla pelle scura e lunghi capelli neri gli si parò davanti, guardandolo crucciato. Il biondino aggrottò le sopracciglia, cercando un modo per evitare una rissa.
-Vado di fretta-rispose alla fine, secco, sperando che il tizio, dopo quella risposta, lo avesse lasciato in pace. Naturalmente, non fu così.
-Ragazzina come osi rispondermi in questo modo?- si infuriò il tipo, assumendo un’aria poco amichevole, portando le mani ai coltelli dalla lama ricurva, infilati nei logori pantaloni marroni. Era evidente che stava cercando un pretesto per litigare e, senza saperlo, ci era anche riuscito.
-Ragazza…- sussurrò Terumi, guardandolo torvo ed estraendo le pistole. Gli potevano dire di tutto, che era vanitoso, fissato con la cura del corpo e con la pulizia, che era egocentrico e così via, ma nessuno poteva dargli della ragazza. Aveva passato una vita a sentirsi chiamare femminuccia dai bulletti del suo quartiere, quando era piccolo, ma, adesso che era cresciuto, che era entrato nella Marina, non avrebbe di certo permesso ad un fuorilegge mezzo ubriaco di ferire il suo orgoglio. Sparò un colpo a sorpresa, mancando di pochi centimetri la testa del suo avversario, il quale si scagliò contro di lui, con un coltello stretto nella mano e l’altro tra i denti. Un attimo prima che avvenisse lo scontro frontale, un secondo prima che uno dei coltelli sfiorasse il braccio del biondo, e  ancor prima che quest’ultimo mirasse al petto del pirata, una terza figura, più bassa degli altri due, si mise in mezzo, interrompendo il duello.
-Miura!- esclamò sorpreso Aphuro. Il nuovo arrivato gli rivolse uno sguardo di rimprovero, per poi rivolgere la sua attenzione al pirata.
-Come ti chiami?- domandò il castano, osservando con un sopracciglio inarcato il ragazzo muscoloso, che stringeva ancora tra i denti il pugnale.
-Therens Torue- rispose con una punta di orgoglio il pirata, guardando di sottecchi il nuovo arrivato. Lo stava studiando, stava cercando un qualsiasi dettaglio, una qualsiasi scusa per riprendere lo scontro, era più che evidente, ma Miura non fece niente per impedirlo, e rimase fermo dov’era, con le braccia incrociate e gli occhi azzurri rivolti al cielo. Un gruppo di gabbiani volava veloce verso il mare, stridendo a più non posso.
-Andiamo Terumi, Jean Raphael e Sirius ci staranno aspettando- disse in fine, voltandosi e andandosene, seguito a ruota dal biondino. Il pomeriggio era alle porte, e c’erano ancora un sacco di cose da fare. Il pirata gli scoccò uno sguardo furente, mentre riponeva i coltellacci nei pantaloni, poi disse qualcosa a un tizio dietro di lui, che era accorso quando Miura aveva fatto la sua comparsa.
-Ci rivedremo- disse a denti stretti Therens, osservando la figura aggraziata di Aphuro e quella snella del castano allontanarsi verso il porto.
***

 [Le onde del mare nella bianca grotta,
una corona che fece affondare la flotta.
Viaggiano viaggiano senza paura,
uomini di mare in cerca d’avventura.
Fuggono fuggono dalla loro triste sorte,
ma non si può scappare alla morte!]
 
 

 

 Angoletto mio (??):
Salve!
Oddio, devo assolutamente chiedervi scusa per la lunga attesa! Davvero, sono dispiaciuta un sacco, ma varie cose mi hanno impedito di pubblicare prima di adesso, mi dispiace davvero tanto! Mi impegnerò, d’ora in avanti, perché abbiate minimo un capitolo al mese –anchedueseciriesco-.
La filastrocca scritta alla fine  l’ho trovata mentre girovagavo (?) su Internet, ma non so di chi sia. Inoltre, ho voluto lasciare invariata  la punteggiatura, perché era scritta in questo modo più volte, e allora ho pensato di lasciarla così. Non sarà l’ultima volta che la sentirete, fidatevi :’’, sarà ricorrente nella storia.
Jack Baker è l’OC di  _Slash e a lei appartiene.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento ^^
By
Benny.
 

  
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