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Autore: Alexandra e Mac    25/04/2013    6 recensioni
Chi è realmente Lady Sarah? E perché ha abbandonato l'unico uomo che le aveva fatto conoscere l'amore?
Come procede la storia tra Harm e Mac?
Per chi ha seguito con passione Giochi del Destino regaliamo (da brave STREGHE - o BEFANE!!!) il seguito della storia...
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Clayton Webb, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo XII

Decisioni



 

 

 

Castello della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra

12 maggio 1858 

 

Sentì un nitrito provenire dall’esterno e si alzò lentamente dalla poltrona, abbandonando il libro che stava leggendo.

Si avvicinò alla vetrata della biblioteca e osservò fuori; le scuderie erano dall’altro lato del castello e l’ala in cui si trovava in quel momento era sempre molto silenziosa.

Scorse l’animale, che sembrava passeggiare libero, sul viale che conduceva verso il parco di Beaulieu, quella zona alle spalle della costruzione che si apriva su un’immensa distesa di prati verdeggianti, tipici della campagna inglese.

Vide lei soltanto dopo, quando superò la cavalla che teneva per le redini.

Era pronta per una cavalcata, poiché indossava un paio di calzoni marroni, stivali e una camicia bianca. Sorrise dolcemente, notando che non aveva con sé neanche una giacca: sua moglie era solita uscire a cavallo con indosso meno di quanto il tempo inglese, sempre molto volubile, normalmente richiedeva.

Quella mattina il sole splendeva luminoso e l’aria era tiepida, pertanto la giacca probabilmente non le sarebbe servita; ma ricordava ancora come, solo una settimana prima, fosse rientrata dalla sua cavalcata bagnata fradicia perché, nonostante avesse un logoro giaccone a scaldarla, aveva rifiutato l’impermeabile che il solerte Albert pretendeva che indossasse in quanto si preannunciava un temporale.

Era tornata tutta grondante di pioggia, ma con gli occhi luminosi e le guance arrossate, segno evidente che aveva goduto appieno della cavalcata, nonostante l’acquazzone. O, forse, proprio grazie a quello.

Con i lunghi capelli incollati al corpo aveva l’aria di un pulcino bagnato, eppure lui l’aveva trovata bellissima.

Forse era per via di quella luce che aveva scorto nei suoi occhi, che sembrava averla fatta tornare quella di un tempo. La donna vivace e brillante che aveva conosciuto, e non l’essere taciturno e triste che era diventato da circa un mese, dalla sera del loro matrimonio quando, tra le lacrime, gli aveva gridato che l’odiava.

L’aveva vista così piena di vita che, per un attimo, aveva sperato che fosse tornata la Sarah Jane Montagu che aveva conosciuto, indomita e ribelle. Ma si era accorto ben presto d’essersi sbagliato: non appena si era asciugata e rifocillata e subito dopo che l’ebbrezza della cavalcata l’aveva abbandonata, era tornata spenta e silenziosa, totalmente immersa nel suo mondo e del tutto indifferente alla sua presenza.

Non riusciva ad avercela con lei, anzi soffriva molto a vederla così.

Era assolutamente certo che lei non si stesse comportando a quel modo di proposito, per fargliela pagare. Semplicemente stava cambiando. Ne era sicuro perché, anche quando era sola e non immaginava che lui la stesse osservando, quell’aria triste e malinconica non l’abbandonava mai.

Sembrava quasi che si stesse spegnendo lentamente. Che non avesse più nessuna ragione per gioire, ma neppure per arrabbiarsi.

Sembrava quasi che si fosse rassegnata ad una vita da prigioniera in casa propria.

Avrebbe preferito vederla infuriata; avrebbe preferito che litigasse con lui, che gli rinfacciasse ogni giorno d’averla sposata con l’inganno, piuttosto che vederla sempre più apatica, quasi priva della gioia di vivere.

Non sopportava di vederla così. L’amava troppo.

Gli unici momenti in cui sembrava rinascere erano quelli durante i quali usciva a cavallo. Al rientro la sua espressione era più vivace, come se a cavallo ritrovasse quella parte di se stessa che stava a poco a poco scomparendo. O come se cavalcare le riportasse alla mente ricordi felici, l’unica cosa che ancora le regalasse un motivo per sopravvivere.

Per questa ragione, pur desiderando disperatamente andare con lei, si era sempre trattenuto dal farlo. Continuava a sperare che quella malinconia l’abbandonasse; ma più passavano i giorni e più la vedeva triste, più temeva che il suo umore peggiorasse.

Sapeva bene chi era il colpevole di tutto quanto.

Lui.

Era soltanto colpa sua. Avrebbe dovuto dirle tutto quanto fin dall’inizio, ma aveva temuto di perderla. E ora, forse, era troppo tardi.

Aveva sbagliato: aveva davvero creduto che se fosse riuscito a legarla a sé, avrebbe avuto finalmente la possibilità di farla innamorare di nuovo.

Aveva sperato che lei capisse… che il suo cuore le parlasse… ma Sarah non voleva più ascoltare il suo cuore. E allora non ci sarebbero state speranze che s’innamorasse di Nicholas Thornton.

Aveva fatto il possibile: era stato gentile, paziente, dolce, premuroso… Aveva tentato di corteggiarla, di interessarla a conversazioni brillanti, persino di spingerla ad una discussione… aveva tentato di tutto, pur di ricordarle quanto potesse essere bello condividere le proprie emozioni e il proprio tempo assieme ad un uomo.

Non era servito a nulla.

Osservandola accarezzare Ginger, si disse che avrebbe dato dieci anni di vita in cambio della possibilità di stringerla ancora tra le braccia…

Ma non potevano andare avanti così, si sarebbero distrutti a vicenda.

Per un attimo ebbe l’impulso di uscire, raggiungerla e dirle ciò che aveva pensato di fare proprio la notte prima, mentre attendeva che il sonno arrivasse e facesse cessare, almeno per poche ore, il tormento che provava ogni volta che pensava a lei.

Aveva deciso che sarebbe tornato a casa sua e le avrebbe concesso di vivere la propria vita lontana da lui. Non era certo di riuscire a sciogliere il loro matrimonio, ma in ogni caso le avrebbe regalato la libertà per la quale tanto aveva lottato e che tanto sembrava desiderare.

Dei colpi alla porta posero fine ai suoi pensieri: il maggiordomo entrò e lo avvertì che era appena arrivato suo zio.

 

 

 

 

Parco di Beaulieu
Inghilterra

12 maggio 1858

Le guance arrossate, il respiro affannato e i capelli al vento, Lady Sarah Jane Montagu cavalcava la sua purosangue lanciata al galoppo.
Quella mattina, approfittando della splendida giornata, aveva allungato di parecchio il solito giro e tuttavia non aveva alcuna voglia di rientrare.
Gli unici momenti in cui si sentiva di nuovo viva e felice erano quando cavalcava Ginger, come se solo la cavalla potesse trasmetterle la sua energia per continuare a sopravvivere.
La sua mente tornava ad essere libera; libera di abbandonarsi ai ricordi, gli unici momenti che considerava ancora suoi e che le regalavano un po’ di gioia.

Quanto si era sbagliata!

Era convinta che la sua ragione di vita fosse riottenere Beaulieu, le proprietà e il titolo dei Montagu; aveva lottato per anni per perseguire quello scopo e non si era fatta fermare da nulla, neppure dall’amore. Ma quando aveva ottenuto finalmente quello che aveva rincorso a lungo, si era sentita soltanto tanto vuota e sola.

Dopo la discussione con suo marito aveva riflettuto molto, analizzando eventi e sentimenti con estrema sincerità, ed era dolorosamente giunta alla conclusione che Nicholas aveva ragione.

Egli non l’aveva mai costretta a sposarlo. Era stata lei a trarre certe conclusioni. Non le aveva mentito, semplicemente aveva omesso di chiarirle che non pretendeva lo sposasse solo per ottenere il suo aiuto, ma che l’avrebbe aiutata comunque, come in realtà aveva fatto.

Lei sola si era voluta convincere che lui l’avrebbe aiutata solo in cambio di qualcosa; e si era convinta di questo per nascondere a se stessa di potersi innamorare di Nicholas Thornton, se solo gliene avesse dato la possibilità.

Perché, se si fosse innamorata di Nicholas, avrebbe potuto dimenticarsi di André. Ma non solo: aveva anche avuto timore di arrivare a fidarsi completamente di un uomo. Se il piano avesse avuto successo (come in realtà era accaduto), non avrebbe più avuto scuse per fuggire. Con Hewitt in galera e il nome dei Montagu riabilitato, non avrebbe avuto più scuse per fuggire l’amore, come aveva fatto con André D’Harmòn.

Ripensando con spietata sincerità ai momenti passati con André, doveva ammettere che se si era abbandonata all’amore e ai sentimenti che provava per lui era stato solo perché sapeva che, prima o poi, l’avrebbe lasciato.

Suo marito aveva ragione: temeva i legami, ma ancora di più temeva e fuggiva l’amore.

L’aver accettato finalmente dentro di sé tutto quanto era stato un notevole passo avanti e solo per quello avrebbe dovuto ringraziarlo.

Ciò che tuttavia suo marito ancora non sapeva era la decisione cui era giunta dopo il procedimento mentale da lui stesso innescato: aveva ormai capito che non sarebbe più riuscita ad essere felice a metà.

Non poteva amarlo. Lei amava ancora André François D’Harmòn e lo avrebbe amato per sempre.

Ora era intenzionata a fare il possibile per ritrovarlo, per implorare il suo perdono e dirgli quanto lo amava. E se egli fosse stato ancora libero e l’avesse rivoluta con sé, lei sarebbe stata soltanto sua.

Nulla l’avrebbe fatta desistere da questa decisione, neppure il suo legame con Nicholas Thornton; solamente un rifiuto di André l’avrebbe fermata. Pur di vivergli accanto era disposta anche a mettere a repentaglio la propria reputazione.

Ripensando a suo marito e a come si era comportato con lei in quel mese dalle nozze, ora era dispiaciuta anche per lui: aveva capito quanto stesse soffrendo per non poterla avere, eppure era stato sempre gentile e dolce. Molti altri uomini non sarebbero stati altrettanto pazienti e avrebbero fatto valere i propri diritti, anche con la forza.

Nicholas, invece, si era limitato ad amarla in silenzio.

Purtroppo per lui, lei voleva André.

Era consapevole che questa sua decisione, qualora non fosse riuscita a ritrovarlo o se egli l’avesse respinta, le avrebbe fatto correre il rischio di perdere anche l’unico altro uomo di cui si sarebbe potuta innamorare se solo non lo fosse già stata così tanto del Conte D’Harmòn, ma era disposta a correre il rischio.

Quella sera stessa avrebbe parlato con Nicholas e poi sarebbe partita per la Francia.

Serena per la decisione presa, fece rallentare Ginger e, lentamente, ritornò al castello.

 

 


 

Bond Street
Londra

12 maggio 2005

Quel pomeriggio, per accontentare sua madre che glielo chiedeva da tempo, Belinda era uscita in anticipo dall’ufficio e si era incontrata con lei alla fermata della tube di Bond Street.

In quel momento la strada più famosa di Londra per i suoi negozi di alta moda era affollatissima di ricchi londinesi, turisti e studenti sfaccendati. Non capiva il perché sua madre volesse farle acquistare a tutti i costi due abiti da cocktail e uno da sera. Aveva l’armadio strapieno di abiti e non le mancava certo il modello giusto da indossare per il the di quel pomeriggio e la cena della sera che avrebbe inaugurato il torneo di bridge di Lady Victoria Kent. Vide sua madre scendere da un taxi proprio a pochi passi da lei. Elegantissima e impeccabile come sempre nel sobrio tailleur di Chanel color panna, le si fece incontro salutandola calorosamente.

“Belinda” le disse baciandola su entrambe le guance, “mi fa piacere che tu abbia accettato il mio invito.”

“Mamma sai benissimo che non ho bisogno di andare da Armani o Valentino per un nuovo abito.”

“Non è vero mia cara” replicò Lady Kent. “I tuoi abiti sono fuori moda e per questa serata ti serve qualcosa di nuovo.”

“Come vuoi” si arrese alla fine Belinda, lasciandosi prendere sottobraccio e trascinare in direzione della boutique di Armani.

Entrarono e subito le commesse riconobbero Lady Kent e le proposero gli ultimi arrivi direttamente dalla maison dello stilista italiano.

“Che ne dici di questo?” chiese alla figlia mostrandole un sobrio abito  longuette. “Credo che per il the di oggi andrà benissimo.”

“Non ti sembra un po’ troppo lugubre per un semplice the?” chiese un po’ dubbiosa Belinda.

“Ma il nero ti sta d’incanto mia cara! E s’intona alla perfezione con i tuoi capelli rossi” replicò Lady Kent.

Seppure poco convinta di quella scelta, Belinda s’infilò nel camerino di prova e indossò l’abito. Con suo sommo dispiacere dovette convenire che quell’abito le stava d’incanto. Dopo la cura dimagrante aveva perso cinque chili e il vestito faceva risaltare le sue forme ben tornite ma non troppo. Si rimirò soddisfatta nello specchio.

Cosa avrà lei più di me…, si ritrovò a pensare. Ma che le veniva in mente?! Harmon aveva dimenticato la sua amica, e le aveva detto che fra loro non c’era mai stato nulla. Si stava preoccupando eccessivamente.

Uscì dalla cabina di prova. Sua madre la guardò con aria soddisfatta.

“Visto che avevo ragione? Quest’abito ti sta d’incanto Belinda. Lo prendiamo” aggiunse rivolta alla commessa che le stava seguendo solerte e zelante come un cameriere cinese.

“Adesso vorrei che provassi questo” disse a Belinda mostrandole un altro abito da cocktail, questa volta composto da una giacca color panna e da un pantalone nero in leggero tessuto di fresco di lana. L’insieme era completato da una camicetta di seta bianco avorio.

“Ma mamma!” protestò Belinda. “Si tratta di the, non di colazioni a Buckingham Palace.”

“Hai bisogno di rinnovare il guardaroba Belinda” sentenziò perentoria Lady Kent porgendo il completo alla figlia.

Ormai rassegnata, Belinda tornò nuovamente nella cabina di prova.

Uscirono dalla boutique dopo circa un’ora: i pacchi sarebbero stati recapitati direttamente all’abitazione della famiglia di Belinda, a Mayfair.

“Mamma adesso mi vuoi spiegare cosa hai in mente? Sai benissimo che non ho affatto bisogno di avere nuovi abiti nel mio armadio. E sai benissimo che non ho vestiti fuori moda.”

La donna non rispose, fermandosi a contemplare una vetrina di Chanel.

“Non trovi che quel tailleur sia un amore?” domandò serafica alla figlia.

“Mamma…” la incalzò Belinda  battendo un piede a terra. “Sto aspettando.”

“Vorrei che lo provassi” continuò imperterrita Lady Kent fissando la vetrina e avviandosi all’ingresso del negozio.

A Belinda non restò altro da fare che seguirla, tuttavia aveva la ferma intenzione di scoprire cosa stava tramando sua madre.

Quando uscirono dalla boutique di Chanel Belinda possedeva un tailleur, due gonne e un paio di maglioncini in più.

Dopo quell’ennesima performance di sua madre era più che decisa a scoprire cosa covasse sotto la cenere.

Camminarono lungo la via affollata, e più lei cercava di andare a fondo della questione, più sua madre sviava il discorso parlando del più e del meno.

Quando giunsero davanti all’atelier di Valentino e Lady Kent insistette affinché lei comprasse un abito da sera del valore di 3.000 sterline, non ci vide più.

“Allora mamma vuoi dirmi cosa cavolo stai tramando dietro le quinte? Cosa c’è che non va?” sbottò.

“Belinda! Siamo in mezzo ad una strada! Non ti comportare come una straccivendola qualsiasi!” esclamò scandalizzata.

“Se non mi dici cosa hai in mente giuro che mi metto a strillare qui” la minacciò.

Allarmata da quella disdicevolissima prospettiva Lady Kent si arrese: “Andiamo in quel cafè”.

Si sedettero all’interno del locale e ordinarono una tazza di the.

“Ebbene?” insistette Belinda.

Lady Kent fissò il soffitto: “Il tuo fidanzato non viene?” chiese apparentemente più interessata alla complicata decorazione del soffitto che non alla figlia.

“Cosa vuoi dire? Lo sai benissimo che Harmon questo fine settimana è a Beaulieu per lo Spring Automotor Jumble” replicò Belinda.

“Quindi non sarà presente alle cena di domenica sera” continuò Lady Kent.

“No, mamma, non sarà presente” rispose lei infastidita. “Te l’avevo detto mi pare.”

“Sì è vero” disse la madre tornando a posare gli occhi sulla figlia.

Il cameriere portò i the.

“Ad ogni modo, forse è una fortuna che non ci sia.”

Gli occhi verdi di Belinda si aprirono in un’espressione interrogativa: “Mamma che vuoi dire? Se non sarà per questo fine settimana potremmo sempre organizzare per la prossima. Vorrei presentarvelo senza tutti i vostri amici intorno”.

“Sei sicura di voler stare con lui?” chiese girando distrattamente il cucchiaio nella tazza.

“Mamma! Ma come ti permetti?!” esclamò Blinda. “Io lo amo e lui ama me. Cosa c’è che non va? E per favore parla chiaro questa volta.”

Lady Kent smise di girare il the. “Vedi? Anni di educazione inglese non sono serviti a nulla! Due mesi che convivi con quell’americano e parli come loro. Ma ti sei sentita almeno?”

“Allora è questo! Non ti va che mi sia fidanzata con una persona che non sia inglese purosangue e appartenga ad un altro mondo!”

“Bambina mia” esordì Lady Kent, “quell’uomo non è alla tua altezza. Tu puoi meritare di più. Non è inglese” cominciò ad enumerare, “e quel che è peggio è un americano. È un militare, uno della Marina e tu sai come sono fatti quelli della Marina…”

“Mamma sei piena di pregiudizi. Harmon non è così. Lui è diverso” rispose Belinda esasperata da tutte quelle basse insinuazioni. “Magari preferiresti che cercassi la compagnia di … aspetta come si chiama?” disse sarcastica.

“Charles Hewitt” rispose Lady Kent. “E, a proposito di Charles, sarà presente al the di domani pomeriggio” continuò soddisfatta la donna.

Belinda quasi si strozzò con il the: “Ecco il perché di tutte queste compere!” esclamò. “Tu vuoi….” ma la madre la interruppe.

“Io non voglio nulla, solo che tu rifletta bene sul tuo futuro prima di fare certe scelte.”

“Ma io le ho già fatte le mie scelte mamma! E quando conoscerai Harmon anche tu cambierai idea.”

Lady Kent non rispose.

Terminarono di bere i loro the ed uscirono dal cafè.

“Meglio che torni a casa mamma, ci vediamo domani mattina” la salutò freddamente Belinda.

“Come vuoi cara.”

Guardandola allontanarsi fra la folla delle cinque del pomeriggio in direzione della tube, Lady Kent non poté trattenere un moto di sollievo.

Belinda cerca di nascondere quella che è la sua vera natura, ma se davvero avesse voluto evitare di incontrare Charles mi avrebbe risposto con un ‘no’ secco.

 

 

 

Castello della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra

12 maggio 1858

 

Aveva lasciato la cavalla nelle mani capaci di Ben, che l’avrebbe ricondotta alle scuderie e si sarebbe preso cura dell’animale, e stava per rientrare passando dalle cucine, quando sentì la voce di suo marito e quella del Duca suo zio provenire quasi certamente dal salotto azzurro che si trovava proprio da quel lato della costruzione.

Prima di rientrare si fermò un attimo a cogliere dei fiori da far disporre per la tavola: la presenza di Sua Grazia avrebbe richiesto come minimo le porcellane Wedgwood, se non addirittura l’argenteria… Strano che Nicholas non l’avesse avvisata che avrebbero avuto suo zio a pranzo, a meno che lui stesso non ne fosse a conoscenza se l’anziano gentiluomo aveva deciso di fare una sorpresa ai novelli sposi.

Dalla vetrata aperta poco più in là le voci arrivavano nitide, senza che zio e nipote potessero vederla.

Lady Sarah stava decidendo se cogliere delle rose, nel qual caso sarebbe stato meglio rientrare ed attrezzarsi con guanti e forbici adatte, oppure delle semplici margherite a gambo lungo da abbinare agli ultimi tulipani gialli e rossi; concentrata sulla scelta, fu sorpresa di sentire la voce di suo marito come non l’aveva mai sentita prima.

“Non so più cosa fare con lei, zio. Sarah mi odia.”

Il tono di Nicholas Thornton aveva un che di sofferente e disperato. Lady Sarah rimase immobile ad ascoltare, con una margherita tra le mani.

“Non credo che ti odi, figliolo.”

“Tu non l’hai sentita e neppure vista, quella sera. Era furiosa. E io ho peggiorato la situazione, con quello che le ho detto. L’ho distrutta.”

“Hai cercato di parlare con lei? Di spiegarle tutto quanto?”

“No. Lei sta soffrendo troppo e non vuole avermi intorno.”

“Ma se soltanto sapesse tutta la verità, Nick… Sai che quello risolverebbe ogni cosa, vero?”

La verità?

Ma di cosa stavano parlando?

“Certo che lo so, zio. Ma io avrei voluto che si innamorasse di me senza rivelarle ogni cosa. Avrei desiderato che fosse il suo cuore a capire…”

“Forse hai preteso un po’ troppo. Da te stesso e da lei. Ma puoi ancora rimediare, Nick. Parlale. Raccontale tutto quanto.”

“E’ troppo tardi, zio. Non mi perdonerebbe mai. E poi, nonostante tutto, desidero ancora che si innamori di me, senza che sappia…”

“E tu sei davvero sicuro che se ti rivelasse d’essersi innamorata di te, senza sapere tutta la verità, poi saresti felice?”

“Che cosa vuoi dire, zio?”

“Tu sai che lei ama un altro uomo. Sei certo di riuscire ad accettare, e soprattutto a  credere, che si sia innamorata di te? Di Lord Nicholas Thornton? Pensaci, ragazzo.”

Ma che cosa stava dicendo Sua Grazia?

Tutto quello che aveva sentito non aveva alcun senso.

“Forse hai ragione. Forse soffrirei anche in quel caso…” sentì dire a Nicholas.

Che cosa nascondeva ancora suo marito?

E perché il Duca sosteneva che se avesse conosciuto la verità, ogni cosa sarebbe andata a posto, mentre se lei gli avesse confessato d’amarlo senza conoscere tutto quanto, egli avrebbe comunque sofferto?

Ci doveva essere qualcosa che le era sfuggito…

Ripensò a quello che aveva appena udito, cercando di analizzarlo sotto un’altra prospettiva, quella delle sue sensazioni: tutte le sensazioni che aveva provato da quando aveva conosciuto Lord Nicholas Thornton.

Rifletté sulle parole di suo marito e su quelle del Duca di Lyndham e su tutto ciò che era accaduto in quei mesi, dal suo ritorno in Inghilterra.

All’improvviso lasciò cadere la margherita che aveva tra le mani e corse in camera.

Chiamò la cameriera e si fece preparare una piccola borsa da viaggio, il necessario per una notte; scrisse poi un biglietto a suo marito in cui gli comunicava che aveva saputo di dover andare a trovare un’amica, che l’aveva convocata all’improvviso, e che sarebbe rientrata il giorno successivo.

Dette istruzioni ad Albert affinché consegnasse il messaggio non appena possibile; dopodiché si fece preparare la carrozza e in meno di mezz’ora era già sulla strada per Londra.

 

  
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