2
La
mattina dopo mi sveglio
con una sensazione di calore alle spalle e per un attimo il mio
cervello si
illude che sia quello di Mark.
Mi
basta abbassare un
attimo gli occhi sul braccio che mi tiene abbracciata e che giace sulla
mia
pancia per capire che non è così. È un
braccio completamente tatuato ed è
quello di Tom, nel sonno si deve essere avvicinato a me fino ad
abbracciarmi.
Poco
dopo lo sento fare i
movimenti lenti e quasi impercettibili di chi si sveglia,
c’è un attimo di
incertezza e poi lo sento staccarsi da me come se gli avessi dato la
scossa.
Lui
si volta verso di me e
alza le mani.
“Io….
Scusa non so come
sia potuto succedere!”
“Non
preoccuparti, devi
esserti avvicinato nel sonno, piuttosto fa qualcosa per
quello…”
Gli
indico una potente
erezione che si intravvede dai boxer e
che lui osserva costernato.
“è
da anni che non avevo
un alzabandiera mattutino, cazzo!”
Scende
dal mio letto di
corsa imprecando e lo sento andare in bagno, io scoppio a ridere di
gusto e mi
sento di buon umore: sono ancora abbastanza sexy da dare erezioni
mattutine non
volute!
Lui
ritorna in camera,
ancora borbottando.
“Dai,non
è successo nulla.
Adesso mi alzo per preparare la colazione a Jack e portarlo a scuola,
vuoi
qualcosa?”
Lui
scuote la testa.
“Posso
venire anche io.”
“No,
troppo presto o
altrimenti rischiamo una rivolta da parte di Jack, però se
vuoi puoi venire con
me a fare colazione dopo che l’ho portato a scuola.”
“E
sia, dove?”
“Mistero!”
Con
calma esco dal letto e
vado a svegliare mio figlio, il quale – come al solito
– si attacca al
materasso pur di non alzarsi.
“Eddai,
Jack! Lo sai che
devi andare a scuola!”
“Nooooo!
Ti prego! Per
oggi fammi rimanere a giocare con Ava.”
“Ma
dorme ancora! Dai,
pigrone, esci!”
“NOOOOO”
Io
non so più che santo
chiamare quando sento una presenza appoggiata allo stipite della porta:
Tom.
“Lascialo
stare a casa per
un giorno, non essere così inflessibile! Sta passando un
brutto periodo e tu
scommetto che non gli hai fatto perdere nemmeno un giorno di
scuola!”
Io
lo guardo irritata,
Jack con uno sguardo di pura gratitudine.
Mi
sento accerchiata su
due fronti – in una perfetta morsa a tenaglia – e
quindi cedo: stacco le mani
dalle sue spalle e gli concedo ancora qualche ora di sonno.
“Tom,
accidenti!”
“No,
accidenti a te Skye!
Mostra un po’ di comprensione e di uguaglianza, ti sei
concessa di fuggire dal
lavoro per un mese e non concedi nemmeno un giorno di ferie a tuo
figlio?”
Lui
se ne va in salotto,
grattandosi il sedere e lasciandomi in piedi accanto alla stanza di
Jack come
una fessa. È questo che mi sento in questo momento: una
fessa mista a tiranna.
Lo
raggiungo in salotto.
“Hai
ragione, Tom.
Dai,
prepariamoci che ti
porto in un posto.”
Lui
annuisce e dopo un
quarto d’ora usciamo di casa, io sono martellata dalle
domande di Tom, ma
possibile che non sia capace di stare zitto un attimo?
“Tom,
se non stai zitta ti
gambizzo! Com’è vero che mi chiamo Skye
Everly!”
Lui
tace.
“Come
fai con Mark?”
“Lui
non è pressante come
te! Sa quando è arrivato il momento di tacere se non vuole
rischiare una
rappresaglia.”
“Io
sono Tom.”
La
sua frase risuona come
una fucilata nel mio cervello; è lui ad avermi gambizzato,
non il contrario.
Il
mio volto si fa scuro
ed entriamo in macchina senza profferire parola, Tom ha
un’espressione
vagamente dispiaciuta in volto, forse si è reso conto di
aver detto qualcosa
che non doveva dire.
Metto
in moto con stizza e
partiamo a razzo, tanto che lui si aggrappa alla maniglia che
c’è sopra il
finestrino.
“Skye?”
“Che
vuoi?”
“Scusarmi,
forse ho detto
qualcosa che non dovevo dire.”
“Hai
solo detto la verità
e la verità fa male.”
Lui
non mi risponde e
guarda fuori dal finestrino: stiamo uscendo dalla city per inoltrarci
nella
grande Londra.
“Dove
cazzo stiamo
andando?”
Mi
chiede nervoso, quando
nota che andiamo verso la periferia e per di più in una zona
piena di
musulmani.
“Skye!”
“E
stai zitto! Non ti
porto tra i terroristi!”
Alla
fine parcheggio
davanti al solito ed entro con un guardingo Tom alle spalle, mi siedo
al solito
tavolo e ordino il solito caffè e un dolce indiano.
Le
brioches sono finite,
mi dice un costernato cameriere che avrà sì e no
quindici anni.
“Ah,
e così è questa la
tua tana.”
“Esattamente.
Come vedi
tutti si fanno i fatti loro e non mi chiedono nulla della mia
vita.”
“
è un’ottima cosa”
Dice
bevendo un sorso di
cappuccino.
“E
anche il cibo è buono,
questo cappuccino ha qualcosa di diverso rispetto agli altri.”
“La
cannella.”
Sentenzio
io.
Poco
dopo la stessa donna
di ieri si avvicina al mio tavolo e guarda Tom.
“è
lui quello che doveva
tornare?”
Io
scuoto la testa.
“Lui
è il miglior amico di
mio marito e il marito della donna con cui sono stata
tradita.”
La
donna – sui sessant’anni,
con una pelle scura e dura come il cuoio e un piercing al naso
– mi osserva.
Con quella faccia e quella treccia di capelli neri e grigi che esce a
tratti
dal velo sembra il ritratto della vita vissuta fino in fondo: grandi
gioie e
dolori terribili.
“A
volte due cuori
spezzati possono creare un cuore nuovo che funzioni.”
Detto
questo se ne va e io
mi chiedo se dietro a queste parole oscure non si celi una profezia da
cui Jack
e Ava ci hanno in guardia: che tutto
ci
si possa rivoltare contro e che finiremo per innamorarci sul serio.
Scaccio
questi pensieri
come mosche, ma ormai una goccia del veleno che hanno disseminato in me
è
entrato in circolo e sento salire in me una leggera angoscia.
Arriviamo
a casa e
troviamo i nostri pargoli vivi e attivi.
“Avete
già fatto
colazione?”
Chiedo
io appendendo il
cappotto sul gancio che c’è dietro alla porta.
“Sì,
Jack mi ha fatto la
colazione!”
Sorride
Ava prima di
riprendere a strimpellare su un basso acustico seguita a ruota da Jack
che
muove piano le dita sulla sua chitarra.
“Metti
insieme un Hoppus e
un DeLonge e li vedrai suonare immediatamente.”
Lui
ride.
“Bravino,
Jack. Non è da
tanto che suona, vero?”
“No,
solo qualche mese.”
“Anche
Ava suona il basso
solo da qualche mese. Credi che tuo figlio accetterebbe lezioni di
chitarra da
me?”
“Non
hai che da
chiederglielo. Mi spiace per Ava che rimarrà
indietro.”
Lui
mi guarda ghignando.
“Ma
qui c’è una bassista!”
“Cosa?
No, i bassi di Mark
li ho distrutti tutti!”
“Ho
detto che c’è una
bassista e sei tu e so che il tuo basso è nascosto da
qualche parte!”
Io
arrossisco fino alla
radice dei capelli.
È
vero, io suonavo il
basso all’università e tante volte durante i
nostri primi appuntamenti io e
Mark suonavamo insieme, ma non sapevo che Tom lo sapesse.
Quel
basso è finito chissà
dove e non so se ho voglia di tirarlo fuori di nuovo e ricordare tutte
quelle
volte Mark mi correggeva qualcosa e i brividi che provavo allora.
“Sì,
lo è. Non so dove.”
Lui
mi tende una mano.
“Vieni
, ti aiuti a
cercarlo.”
Io
lo guardo un po’ esitante,
ma alla fine accetto. È inutile scappare dai fantasmi del
passato, per quanto
lontano tu andrai loro ti seguiranno sempre perché sono
creati e vivono nella
tua testa.
Ci
avventuriamo nel mio
sgabuzzino: una stanzetta ingombra di cose e pericolosa.
Basta
toccare uno
scatolone per venire travolti da altra roba e finire sepolti
– letteralmente –
sotto i ricordi.
Muovendoci
con calma, come
degli sminatori, troviamo una scatolone lungo che può
contenere dei bassi. Lo
portiamo fuori dalla stanzetta e in effetti contiene proprio due bassi:
un
basso acustico con il segno della pace disegnato sopra e un basso
elettrico
rosso con gli adesivi dei blink e dei pistols.
“Pacifista?”
“No,
me l’ha disegnato la
mia compagna di stanza al college senza il mio permesso.”
Imbraccio
lo strumento e
lo accordo, al primo segno di una melodia bassa e triste vengo assalita
da
migliaia di ricordi e mi sembra quasi di sentire le mani si Mark sulle
mie.
Tom
intanto è andato in
salotto, io lo guardo sedersi vicino a Jack che smette immediatamente
di
suonare.
“Ehi,
ti va se ti do
lezioni di chitarra?”
Il
clima nella stanza si
fa pensante, da una parte mio figlio vorrebbe rifiutare sdegnato,
dall’altra
sente la pressione di Ava che vuole che accetti.
Devo
fare qualcosa.
“Che
ne dite se andiamo al
parco?”
Mio
figlio mi guarda
grato.
“Sì!!
È una bella idea, ci
sono le altalene, gli scivoli e si può dare skate!”
Ava
annuisce, la proposta
è accettata e il clima si scioglie. I due mettono a posto i
loro strumenti e si
preparano per uscire.
Venti
minuti dopo siamo
stretti nella mia utilitaria e diretti verso uno dei tanti parchi di
Londra,
nei sedili posteriori Ava, Jonas e Jack chiacchierano allegramente, io
e Tom
rimaniamo in silenzio.
“Non
mi sembri felice di
aver trovato il tuo basso.”
“Ci
sono troppi ricordi
che sono legati a quello strumento.”
Taglio
corto io.
Arriviamo
al parco e i due
maschietti corrono verso le altalene, Ava invece si ferma un attimo da
me.
“Ho
sentito un basso
prima, era il tuo?”
“Sì,
suonavo il basso al
liceo e al college.”
“Mi
insegni?”
Io
sorrido.
“Va
bene.”
Lei
rimane un attimo in
silenzio.
“Tu
pensi che mio papà sia
un bell’uomo?”
Io
arrossisco, che Tom sia
un bell’uomo è assodato ed è anche
sexy, ma come faccio a dirlo a una
ragazzina?
“Beh,
sì. Non lo trovi
bello anche tu?”
“Sì,
anche io.”
Butta
lo skate per
terra e raggiunge
Jack sulle altalene,
gli dice qualcosa e lui scende dall’altalena, recupera il suo
skate e si mette
a fare acrobazie con Ava sotto lo sguardo vigile mio e di Tom.
“Sai
cosa mi ha chiesto
tua figlia?”
“Cosa?”
“Se
ti trovavo bello.”
Lui
gonfia il petto.
“Immagino
le avrai detto
di sì.”
Io
scoppio a ridere.
“Non
cambierai mai, eh?
Sì,
le ho detto che sei
bello. Jen è stata una fessa a lasciarti andare.”
“Jen
voleva troppo.”
Lui
stringe i pugni e
guarda lontano con aria scura.
“Scusa,
forse non dovevo
nominarla.”
“No,
è ok. Prima o poi
dovrò parlare di lei ed è meglio che inizi ad
allenarmi con te.”
Ci
sediamo su una
panchina, non ho mai visto jack così felice da quando
abbiamo lasciato san
Diego, la sua cotta per Ava deve essere davvero forte.
Trascorriamo
una mattinata
piacevole al parco, persino il sole decide di fare capolino tra le
grigie nubi
londinesi e questo mi mette di buon umore.
Mi
manca la California, era
Mark quello che voleva venire qui, io ho sempre amato il sole, il mare
e le
città di mare.
A
mezzogiorno i pargoli
tornano da noi vecchi e chiedono a gran voce cibo, Tom mi guarda e
sogghigna.
“Mac
Donald?”
“Sììì!”
“è
cibo spazzatura!”
Lui
scuote la testa.
“Skye,
non la pensavi così
quando eri in California.”
Io
sospiro.
“D’accordo,
ma non
abituatevi al Mac, troppi hamburger fanno male!”
Usciamo
dal parco e
ritorniamo di nuovo nella mia utilitaria, alla ricerca del fast food
più
vicino.
Lo
troviamo e Ava, JoJo e
mio figlio si precipitano dentro senza nemmeno aspettarci.
“Che
energia!”
“Sono
così belli!”
Io
e Tom raccogliamo le
loro ordinazioni e ci mettiamo in fila, quando arriva il nostro turno
il
ragazzo al bancone guarda Tom come se fosse una visione paradisiaca.
“Ma
tu sei Tom DeLonge!”
“Sì,
sono io!”
“Ti
prego, potresti
firmarmi un autografo, per favore?
Sono
anni che seguo le tua
band.”
Tom
sorride timido, non
gli piace molto il contatto con il pubblico a differenza di Mark.
“Certo.
Mi dai un pezzo di
carta su cui scrivere e una penna?”
Mi
chiede, io frugo per un
po’ nella borsa e poi gli porgo un foglietto staccato da un
block notes e una
penna.
“Come
ti chiami?”
“Lewis!”
“Bene.”
Tom
firma l’autografo e
noi ci spostiamo nella zona dove ci consegneranno i piatti.
“Odio
essere famoso certe
volte.”
“Non
essere così snob, ti
ha solo chiesto l’autografo e poi è male che hai
voluto tu. Sei tu che hai
sempre spinto i blink verso mete più alte.”
“Già,
la maggioranza delle
cose che mi fanno male sono cose che ho voluto io.”
Ci
sediamo al tavolo, io
non ho capito cosa abbia voluti dire con l’ultima frase.
Rimpiange di aver
creato i blink o di averli abbandonati?
Mentre
distribuisco i
vassoi la mia mano viene casualmente a contatto con quella di Tom e un
brivido
passa tra di noi, l’ha sentito anche Tom perché
allontana quasi subito la mano
e mi guarda interrogativo.
Io
gli faccio un leggerissimo
cenno di diniego, quello che è appena successo non significa
nulla, non deve
significare nulla.
Io
amo ancora Mark e Tom è
solo un amico con un solo difetto: essere troppo sexy.
Nella
mia condizione di
donna abbandonata e in astinenza sono semplicemente troppo sensibile a
certi
impulsi.
È
Mark che rivoglio.
Mark.
Chiarito
questo ai miei
bassi istinto mangio con troppa voracità il mio panino.
“Fortuna
che era cibo
spazzatura, eh Skye?”
Mi
prende in giro Tom.
“Oh,
ma sta zitto!”
Lui
ride, la sua risata
inizia a provocarmi effetti schizofrenici: da una parte la odio, da una
parte
inizia a piacermi.
Usciamo
dal Mac Donald e
torniamo a casa.
Alle
due telefono alla
madre di un compagno di Jack e mi faccio dare i compiti – il
signorino non ne
ha voglia – e poi lo metto sotto.
È
stato assente un giorno,
deve recuperare.
Tom
invece decide di
portare Ava e Jonas a fare un giro per Londra, io non ho nulla da
obbiettare
perché ho bisogno di stare da sola con mio figlio e di
pensare.
Chissà
se Mark vuole
davvero tornare da me?
Chissà
che forse non stia
meglio con Jen?
Poi
torno rapidamente in
me, Jen è una mangia uomini, Mark un romantico incallito:
insieme non possono
funzionare.
Mark
non è disposto a
essere trattato da zerbino, ma alla pari: Mark deve tornare da me e Jen
se ne
deve andare a fanculo.
Voglio
vederla mendicare
da qualche parte a San Diego, pentita delle sue azioni e senza la
possibilità
di porvi rimedio.
Ecco
quello che voglio:
Mark e un po’ di sana vendetta.
“Mamma?”
Jack
mi distoglie dai miei
pensieri, mi guarda con la penna a mezz’aria.
“Sì,
piccolo?”
“Ma
papà torna, vero?”
“Certo
che torna!”
“Non
è che ti innamori di
Tom?”
“Mannò,
piccolo!”
“Io
ho questa sensazione e
non voglio un nuovo papà!”
Inizio
a temere di avere
un figlio veggente, i brividi di stamattina mi indicano che qualcosa
non sarà
così semplice, che i miei istinti si sono risvegliati.
-Oh,
andiamo Skye! Hai
solo voglia di una scopata! Non ami Tom, scommetto che se ci scopassi
insieme
urleresti il nome di Mark quando vieni.-
La
mia coscienza forse ha
ragione, ma non sono molto sicura sull’ultima parte.
Dannazione,
alle pessime
idee di Tom!
Alle
sei i DeLonge
ritornano dal loro giro, Tom sembra stanco, Ava di pessimo umore, Jonas
dorme
tra le braccia di Tom.
“Beh,
che è successo?”
“Ci
ha portato a vedere
quadri in un museo e non al millenium eye!”
Strilla
Ava arrabbiata.
“Li
hai portati alla Tate?
Al loro secondo giorno e senza preparazione?
Tom…”
“Scusate,
se volevo un po’
acculturarvi!”
IO
mi metto a ridere e
vado a preparare la cena, Ava mi segue.
“Skye?”
“Sì?”
“Ci
porti stasera al
millenni eye?”
“Certo!”
Cucino
una pasta
all’italiana, lavo i piatti e poi ordino a tutti di
prepararsi, facendo
l’occhiolino ad Ava che lancia un urletto di gioia.
In
un quarto d’ora sono
tutti pronti e saliamo nella mia macchinetta diretti verso il Tamigi,
Tom
sembra imbronciato.
“Dai,
Tom, qualche errore
capita a tutti!”
Lui
sospira.
Parcheggio
e scendiamo
tutti, io ho una mano di Jack tra le mie, Tom ha sia Ava che Jonas per
mano. I bambini
urlano eccitati e chiedono zucchero
filato.
Richiesta
accordata.
Con
lo zucchero filato
saliamo su una cabina e ci godiamo il panorama di Londra, Ava lo guarda
incantata e anche JoJo sembra felice.
Jack
invece è felice
perché è con Ava, gli basta questo: beata
gioventù.
Durante
il giro sento
molto spesso lo sguardo di Tom su di me e brucia, sto diventando
ipersensibile
e non va bene.
Non
va per niente bene.
Scesi
dalla cabina
torniamo a casa e i bambini vanno a letto subito, noi invece rimaniamo
in piedi
ancora un po’ a guardare la tv.
Non
ci interessa
minimamente cosa trasmettano c’è un clima misto di
disagio e attrazione.
Merda.
All’improvviso
Tom spegne
la tv.
“Skye,
credo sia meglio
che io dorma qui stanotte.”
“Lo
credo anche io.”
Mi
alzo e mi chiudo in
camera mia, tirando un sospiro di sollievo, qui mi sento protetta.
Mi
stendo e per la prima
volta il letto matrimoniale non mi sembra né troppo grande,
né troppo vuoto.
Mi
sembra perfetto: in
attesa di qualcuno come lo sono io.