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Autore: bowiess    26/04/2013    1 recensioni
La sua vita era su quella copertina, quella copertina su cui aveva pianto, sudato e sperato. 
Quella copertina era la causa della sua gioia, ma non capiva che quella copertina sarebbe stata anche la causa della sua fine.
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«E quale sarebbe il tuo sogno?» si avvicina a me e riesco a vedere la rabbia nei suoi occhi, pronta a scatenarsi su di me. «Camminare davanti ad un gruppo di tossicodipendenti con la speranza di finire di qualche rivista da quattro soldi? Oppure quello di morire di bulimia a vent'anni?»
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Vogue è tutto quello che desidero.
Vogue è tutto quello che voglio essere.
Vogue è tutto quello che sarò.

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Nessuno dei protagonisti è famoso in campo musicale, spero che la storia vi piaccia!
Buona lettura dolcezze, 
-a.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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 The last vogue. 



L’ho fatto davvero? Non posso crederci. Mi sento così lontana dal mio mondo, il mio vero mondo, mi sento lontana da tutti, da mamma, da papà, da Nick, Demi, anche se mi trovo nella loro stessa città. Mi sento lontana, mi sento in colpa. Dovrei essere nel mio letto, a lottare contro la voglia di buttare la testa sul cuscino anziché affrontare un altro giorno di università. Già, è quello che adesso desidero. Non avrei mai voluto ritrovarmi a letto con un maniaco, ricattatore, o peggio, uno stilista, solo per essere lasciata in pace. Punto lo sguardo su Eric, che dorme tranquillo a pochi centimetri di distanza da me. Mi allontano, lasciando cadere la cenere della sigaretta sul pavimento, come se bastasse per farlo innervosire. Perché è quello che voglio: farlo incazzare, come lui ha fatto incazzare me, toccandomi dappertutto.
Stringendo i denti dalla rabbia, butto fuori il fumo dalla bocca, accorgendomi che i suoi occhi sono già fissi sui miei.
«Che vuoi?» sbotto infuriata stringendo nuovamente la sigaretta tra le labbra.
«Sei minorenne?» chiede.
No. Tranquillo. Non andrai in galera, stronzo.
«No. Sono arrabbiata.»
«Miley, non fare la stronza.» sospira annoiato, facendomi innervosire sempre di più.
«No!» urlo. «Ho ventun anni!»
Nemmeno il tempo di chiudere bocca, e la sua mano si schianta sulla mia guancia destra. Va in fiamme, brucia, porto una mano su di essa e mi alzo dal letto di scatto.
«Non permetterti mai più di urlare con me, hai capito?» sussurra minacciosamente. Tengo la bocca chiusa, implorandolo con lo sguardo di non toccarmi più. Ho paura. Spengo la sigaretta nel posa cenere e, in silenzio, inizio a vestirmi, senza pensare troppo a quello che è appena successo, non vorrei ritrovarmi in lacrime davanti a lui.
Mi infilo le scarpe ed esco dalla stanza, senza rivolgergli parola. Mi sento uno schifo. Cosa sono diventata? Che mi sta succedendo? Non c’è più nulla di buono nella mia vita. Ricatti, droga, anoressia. È davvero questo tutto quello che ho desiderato per vent’anni? Ho davvero rischiato di finire in ospedale per questo? Ho davvero perso le persone migliori del mondo per queste cose?
Negozio dopo negozio, entro in un bar. Non che abbia voglia di cibo, anzi, non ne voglio nemmeno sentir parlare, solo che un po’ di “normalità” potrebbe farmi bene. Cerco un tavolo appartato e mi affretto a raggiungerlo. Spogliandomi, vedo un gruppo entrare rumorosamente. Voci troppo riconoscibili, facce troppo famigliari. Mamma, papà, Nick, Demi, Joe. Famiglia. Li vedo attraversare il bar fermandosi poi ad un tavolo centrale, sono felici e sorridono. Mi avvicino alla parete e mi copro bene col cappotto, se mi vedessero morirei, così mi limito a guardarli sorridere, come avrei potuto fare io, ma il mio sogno ha praticamente ucciso ogni tipo di felicità. Vedo Demi giocare divertita con Joe e Nick parlare con mamma. Non li ho mai visti così felici in vita mia. Quella è la mia famiglia, quello è il mio mondo, perché non sono con loro? Perché non mi trovo nel loro stesso tavolo? Perché sono stata così stupida? Ho preferito il lavoro a quella meraviglia. Demi è più bella che mai e Nick non è cambiato per niente, il solito bambino che ruba il cibo al fratello. Joe, si vede che sta con Demi, continuano a lanciarsi sguardi dolci e non l’ho mai visto così innamorato. Sono contenta per loro, anche tra mamma e papà sembra andare tutto bene, di solito non si scambiano segni d’affetto ma stavolta è diverso. Sento come se la mia assenza avesse messo tutto a posto, come se fosse destino. Ma fa male sapere che senza di te è tutto okay, che ormai non servi più a nulla, che adesso devi cavartela da sola in un pianeta sconosciuto pieno di inside e cattiverie, in cui l’unica cosa che conta è ciò che hai e se non hai niente, non sei niente. Se non ti lasci ricattare, verrai schiacciato come un insetto, perché gente bella come te c’è sempre, tu passi di moda, tu sei solo qualcuno che adesso va bene, domani no. Invece, quando le persone con cui vivi hanno un cuore, hanno un’anima e non sono venuti al mondo per essere ciò che vogliono gli altri, tu vai bene sempre. Andrai bene oggi, domani, per sempre. Perché l’ho capito solo ora? Ora che loro sono felici e di me non ne ricordano l’esistenza?
«Signorina, è tutto okay?» mi volto di scatto verso il cameriere, l’uomo che ha avuto il coraggio di chiedermi come sto.
«Si, mi scusi…» cerco una scusa valida asciugandomi le lacrime.
«Troppi ricordi?» chiede sorridente.
«Già, capita.» gli sorrido.
«Non si preoccupi, se ha bisogno di me io sono al bancone.» gli rivolgo un sorriso e lo guardo andarsene. Preferisco di gran lunga uno sconosciuto come lui a certe persone.
Avvicinandomi sempre di più all’angolo, mi copro la faccia con il menù, alzando di tanto in tanto gli occhi per ammirare ciò che un tempo era la mia famiglia.
 
Premo il campanello con l’indice, producendo il tipico suono acuto. Dopo qualche secondo, la porta si spalanca e ad accogliermi sono due sguardi spaventati: uno di Jessie, l’altro della madre.
«Merda, merda, merda!» urla Jessie venendomi in contro e stringendomi a sé. Almeno qualcuno che ci tiene. «Brutta stronza! Dov’eri finita?»
«Ho dormito da una mia amica, un’altra modella, non è stata molto bene.» non posso dirle che ho scopato con uno stilista, no.
«Miley, ci hai fatto spaventare, abbiamo provato a chiamarti ma il cellulare era sempre spento.» aggiunge la mamma.
«Si è scaricato.» tiro fuori l’iPhone dalla tasca e lo poggio sul mobile. «Comunque mi dispiace, è tutto okay adesso.»
Lei si avvicina a me e mi stampa un bacio sulla fronte, come solo una madre sa fare, mi sorride e mi indica le scale. «Andate a dormire, non pensiamoci più.»
«Certo…» sussurro salendo le scale.
 
«A me puoi dirmi dove sei stata, sai?» chiede Jessie, per l’ennesima volta. Per quanto Jessie possa essere interessante e tutta da scoprire, devo ammettere che è abbastanza fastidiosa da poterti mandare al manicomio. Adoro Jessie perché è una bambina, una diciottenne ribelle, rimasta intrappolata nell’eterna adolescenza, un’innocenza da dodicenne. Nessuno potrebbe mai immaginare che una ragazza tanto graziosa possa spacciare droga.
«Ho sfilato. E basta. Adesso smettila, ho sonno.» sbotto coprendomi il volto con le coperte, sperando di aver concluso la discussione.
«Vuoi la droga?»
Sobbalzo.
«Cosa?»
«Hai capito. Ne vuoi un po’?» chiede come se mi stesse offrendo del cioccolato.
«Sta zitta Jessie, non accetto droga da una ragazzina.» con i miei modi di fare, mi rendo conto di essere la prima ragazzina.
«Se spaccio droga non sono di certo una ragazzina, puttanella.» azzarda, spiazzandomi con la sua parola.
«Ripeti.»
«Cosa c’è? Le ragazzine non parlano così?» cerca di provocarmi, l’ho capito.
«Non permetterti mai più di chiamarmi in quel modo.» la minaccio, mentre lei mi guarda con aria dispettosa.
«E tu non permetterti di chiamarmi ragazzina.» risponde seria, fingendosi adulta. Si infila una mano in tasca e ne trae un sacchetto trasparente, abbastanza da lasciarne intravedere il contenuto. «Tieni.» me lo lancia. Lo afferro al volo. «Non abusarne, sennò diventi dipendente.» dice ironicamente, prendendo per il culo una situazione tecnicamente grave. Ha una tossicodipendente in casa e tutto quello che fa è offrirle altra droga? È così strano. Nascondo la bustina nella tasca del cappotto, in modo che nessuno possa vederla. Ne sento davvero il bisogno, ma stasera devo resistere. Devo resistere.
 
Apro gli occhi, lentamente. Non riesco a fare più veloce, sento le palpebre cadermi, come le braccia e le gambe.
Che succede?
Prendo il telefono, sblocco lo schermo, lasciando che la luce accecante del display penetri nelle mie pupille. Quattro e trentasei. Perché sono sveglia?
La testa inizia a girarmi e adesso, davvero, non so cosa stia succedendo. Lascio cadere il telefono a terra, buttandomi all’indietro e finendo dritta sul cuscino. Non sento più niente. Il corpo continua a non dare alcun segno di vita, come se mille coltelli mi stessero traforando lo stomaco e qualcosa mi stia martellando il cervello. Non so come, riesco a riprendere la forza e nel giro di pochi secondi, mi ritrovo in piedi, barcollante. Mi avvicino allo specchio, che, a differenza di quello di casa mia, lascia intravedere l’intera me. Chiudo gli occhi, per poi riaprirli velocemente e rendermi conto che davanti a me, c’è la morte. Non mi sono mai vista così.
Il panico mi assale, non riesco a vede nient’altro che orrore. L’aria inizia a mancarmi, gli occhi bruciano. Affannata, infilo la mano sotto la maglia. Ossa. La stessa mano, la porto dietro la schiena, sfiorando ogni vertebra. Punto lo sguardo sulla mia faccia. Sono terribile. Due profonde fosse viola circondano i miei occhi e altre due sono fisse sotto gli zigomi.
Urlo.
È raccapricciante. È un incubo. Ho paura, ho seriamente paura. Porto le mani nei capelli, stringendoli, desiderando di strapparli uno ad uno e senza rendermi conto che questo non è più un semplice desiderio, apro la mano, il mio palmo ne è pieno. Tocco di nuovo la testa per verificare. I miei capelli stanno sul serio cadendo. Guardo a terra, dove una cascata di fili ramati circonda i miei piedi.
Lancio un altro urlo. Nessuno mi sente. Sto sparendo. Lo sento. Sento il mio respiro farsi sempre più pesante e infine, il pavimento gelido a contatto con la mia pelle. E poi, niente.  

«Miley…»
Dove sono?
«Miley!» qualcuno continua a chiamarmi. Apro gli occhi, intravedendo un uomo e una donna. Non riconosco nessuno dei due per adesso. Chiudo gli occhi per poi riaprirli di nuovo. Mamma di Jessie. Dottore.
«Dove siamo?» chiedo a bassa voce.
«Ti abbiamo sentita urlare stanotte, siamo corsi su ed eri a terra.» cerco di mantenere la calma, ma mi risulta difficile, lo sguardo della madre di Jessie non è per niente rassicurante. «Ti abbiamo portata in ospedale, come vedi.» quindi è lì che sono, in ospedale. Perfetto, ci mancava solo questa. Ma in fondo era ovvio, dove credevo di andare? Non mangio da una settimana, è ovvio che finisco in ospedale.
«Miley, dobbiamo parlarti.» aggiunge il dottore dispiaciuto. «Ma credo che certe cose le sai meglio di me.» prende un respiro profondo e ricomincia a parlare, «Hai digiunato per più di cinque giorni, questo ha fatto molto male al tuo organismo ma la cosa peggiore è stata l’incredibile quantità di cocaina che abbiamo trovato nel sangue.» ogni parola, un pugno al petto. Credo di non essere mai stata peggio di ora. La mamma di Jessie abbassa lo sguardo, immaginando sua figlia al mio posto. Non è bello. «Devi rimanere per qualche settimana qui, dobbiamo risolvere alcune cose e poi andrai in un centro di riabilitazione mentale per tossicodipendenza.»
«Cosa?» sussurro, facendo attenzione agli aghi conficcati nei gomiti. «Io…sto benissimo, davvero, smetterò.»
«E questa?» interviene la mamma, tenendo tra le mani la bustina, quella che avevo nel cappotto. Si alza, avvicinandosi al cesto della spazzatura. Conosco le sue intenzioni. Non deve farlo.
«No!» sbotto, dimenandomi, ma dimenticavo, non ho forza nemmeno per muovermi. «No! Non farlo!»
Lo fa, ed io affondo la testa sul cuscino, sconfitta.
Ho perso.
È finita.
 
  
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