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Autore: Midnighter    26/04/2013    0 recensioni
Vi siete mai chiesti cosa sarebbe successo se le vostre scelte fossero state diverse? Se quel giorno aveste deciso di prendere, semplicemente, una direzione diversa?
La vita cambia in un attimo, è così che va il mondo, fa parte del gioco..
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sophia partì, la spedirono a Kabul dove l'attendevano Sean, Frankie e Stephan. Almeno sapevo che loro l'avrebbero controllata. Io ero in fermento: per la prima volta nella mia vita non vedevo l'ora di partire.

"Leo." disse Philippe sedendosi al mio fianco, mentre ero intento a sorseggiare un caffè.

"Ehi, come stai?" gli chiesi.

"Tutto bene. Ho avuto una soffiata: oggi dovrebbero dare le nuove assegnazioni per le partenze."

"Senza nuove promozioni?"

"Evidentemente laggiù hanno bisogno di uomini."

La nostra discussione venne interrotta da un annuncio in filodiffusione: tutti i Sergenti e i Tenenti erano stati convocati dal Generale Rowen per parlare dei prossimi incarichi.

"In bocca al lupo, Leo." disse Philippe in seguito all'annuncio "Devo andare."

"Dove vai?"

"Voglio essere tra i primi a parlare col Generale. Non credo ci rivedremo in futuro."

"Ma cosa stai dicendo, Phil?" dissi, alzandomi di scatto e bloccandolo.

"Credo che abbandonerò questa vita, non ne posso più. Voglio trasferirmi in Francia."

"Come mai questa decisione improvvisa?"

"Ho scoperto di avere l'AIDS."

 

 

Fui uno degli ultimi a recarmi verso l'ufficio del Generale, trascorsi la maggior parte del tempo con Philippe. Non parlammo molto, ma volevo essergli vicino in un momento così delicato. Ci salutammo verso le 17 e sapevo che non l'avrei rivisto mai più. Fu destabilizzante, non il fatto di doverlo salutare, ma la consapevolezza che qualsiasi cosa può accaderci nei momenti meno opportuni. Fu assurda quella sensazione che, un giorno, sarebbe capitato anche a me.

Sgombrai la mente e mi preparai a parlare con Rowen.

Bussai alla porta e una voce profonda mi disse di entrare, era il Capitano Angel.

"Locket, ci stavamo chiedendo quando saresti arrivato."

"Scusi, Capitano."

"Accomodati." intervenne il Generale.

Mi sedetti senza proferir parola ed ascoltai Rowen che parlava delle varie missioni in giro per il mondo.

"So che la tua fidanzata è a Kabul." disse.

"Mia moglie, in realtà."

"Certo, certo. Strano il destino, no? Anche tu hai cominciato con quella meta."

"Già." dissi e pensai che sarebbe stato meglio non finire proprio lì.

"Sergente Locket, partirai anche tu per Kabul. Tra due mesi esatti." sancì il Generale.

Uscii dall'ufficio e ritornai verso la mia stanza che, ormai, ospitava solo me.

Mi misi al computer nella speranza di trovare Sophia collegata su Skype; i miei desideri furono esauditi e feci partire la chiamata.

"Leo!" disse.

"Ho delle novità. Mi mandano a Kabul. Parto tra due mesi." dissi.

"Così tanto?"

"Evidentemente non hanno ancora così tanto bisogno di rinforzi, è un bene."

"Proprio ieri abbiamo avuto una brutta emergenza."

"Del tipo?" dissi con tono preoccupato.

"Scontro a fuoco nel bel mezzo del deserto. È stato colpito anche Sean, ma sta bene, non preoccuparti, il proiettile l'ha preso solo di striscio. Purtroppo non abbiamo potuto salvare tre persone."

"Tu come stai?" chiesi.

"Sicuramente meglio di quei tre."

"No, davvero.. so quanto sia difficile tutto questo."

"L'ho scelto io, Leo. Ora devo proprio andare."

 

 

Quei due mesi passarono in fretta, partii alla volta di Kabul e pensai alle parole del Generale: tutto il mio percorso era incominciato proprio lì.

È strano. La vita è strana, è disarmante; a volte fa sì che il tuo percorso sia circolare, come un serpente che si morde la coda. L'inizio e la fine di un viaggio, spesso, coincidono.

Atterrati all'aeroporto, fummo scortati in un pullman blindato verso la Base, ma non riuscivo a stare seduto tranquillamente al mio posto, così mi recai ai posti anteriori per parlare con l'ufficiale che era venuto a prenderci, il Tenente Clarence.

"Posso sedermi?" gli chiesi.

"Certo. Locket, giusto?"

"Esatto."

"So che hai molti contatti nella Base di Kabul."

"Sì, molte mie conoscenze."

"Lei è il marito della dottoressa Johanness?"

"Così sembra."

"Non avrei mai permesso a mia moglie di fare questa vita dannata."

"Ma sua moglie le permette di farla." dissi con una punta di ostilità.

"È diverso, ma non ne parliamo. Evidentemente abbiamo punti di vista diversi. Solo una cosa, Locket: si prepari. Già domani è richiesto per una missione."

"Ma sono appena arrivato."

"Forse non è stato messo al corrente della reale situazione."

 

 

"Ecco l'uomo del momento!" disse Sean appena mi vide.

"Come stai? Mi hanno detto che la situazione qui non è molto felice."

"Caspita, Leo.. sei appena arrivato e già parli di guerra?!" disse sorridendo e abbracciandomi.

"Sai com'è, siamo nel bel mezzo della guerra." risposi.

"Appunto, non possiamo trivellarci il cervello in ogni secondo. Voi, laggiù: portate i bagagli del Sergente nella sua tenda, è la numero 7." aggiunse rivolgendosi a due soldati intenti ad accendersi una sigaretta.

"Vieni con me, credo che qualcuno abbia voglia di vederti."

"Sophia?"

"No, Stephan!"

"Credevo stesse con te." dissi seguendolo verso la tenda/ospedale.

"Il Sergente Locket è di nuovo tra noi!" disse Sean, annunciandomi a coloro che mi stavano aspettando.

"Chi non muore si rivede." disse Frankie voltandosi nella mia direzione.

Ma notai che mancava Sophia, così salutai tutti e chiesi loro dove fosse.

"Ha preso in cura un ragazzo che aspetta di essere rimandato a casa." disse Stephan "Il tipo ha avuto un brutto incidente con un carro armato, brutta giornata." sentenziò con un brivido che gli percorse la spina dorsale.

"Prova alla tenda 18." disse Frankie.

Mi recai subito verso il luogo che mi era stato indicato; mentre camminavo mi guardavo attorno in cerca di ricordi che mi legavano a quel posto. Tutto sembrava parlarmi della mia prima esperienza da militare. Ogni cosa evocava il dolore della perdita di persone a me care. Anche il più misero granello di sabbia portava alla mia mente ricordi ed emozioni.

Mi fermai all'esterno della tenda e cercai di carpire qualsiasi suono provenisse da essa. Sentii, quasi indistintamente, la voce di Sophia, così decisi di aspettarla lì fuori nonostante il caldo.

Uscii qualche minuto dopo e, appena mi vide, mi salto al collo, felice come non mai.

"Avevo tanto bisogno di te." mi sussurrò all'orecchio.

"Sono qui." dissi, cercando di confortarla.

Ci dirigemmo, mano nella mano, verso la mia tenda non curanti della gente che tentava di fermarci per scambiare un saluto con me o chiedere qualche consiglio medico a Sophia.

Come al solito, esistevamo solo noi due. Al di là di ogni barriera, di ogni situazione. L'amore è più forte della guerra. L'amore non si interessa a ciò che lo circonda. L'amore vince, su tutto. È questa la sua forza, è questo che spinge gli esseri umani a rincorrerlo, a cercarlo e a non lasciarlo andare una volta afferrato. Perché quando lo sfiori con un dito e poi lo lasci andare ti senti un po' come Lucifero: l'angelo più luminoso del Paradiso che cade nell'entroterra rimanendoci per sempre. E nessun'altra cosa più farti risalire a quell'altitudine, nulla può farti sentire così vivo. Nessuna cosa dovrebbe ledere l'amore. Ma la vita è crudele, è spietata.. Anzi, in quel caso, nel mio caso, lo fu la morte.

Sophia ed io uscimmo dalla mia tenda dopo esserci inebriati l'uno dell'altra. Eravamo insieme. Ci tenevamo per mano quando quella bomba fece crollare il terreno sotto di noi. La tenevo per mano mentre la vedevo guardarmi, da viva, per un'ultima volta. I suoi occhi, che tanto mi avevano ammaliato, mi scrutavano nel profondo. Il dorato degli occhi di Sophia si congiunse, un'ultima volta, con l'azzurro dei miei.

 

 

Non mi ripresi subito, anzi, non mi ripresi mai del tutto. Ma i primi giorni furono micidiali: ero in stato catatonico, non mangiavo, bevevo a stento e respiravo solo grazie alla maschera per l'ossigeno. La mia vita, ormai senza senso, era appesa ad un filo. Non piangevo, le lacrime non avrebbero risolto nulla; non urlavo, non avevo più voce. Non ero più io.

Mi rispedirono a casa.

Passarono mesi, passò il funerale di Sophia, arrivò il 4 luglio e arrivò anche la rabbia. Perché quella parata fu l'inizio di tutto.

La rabbia, poi, diventò rassegnazione e, un giorno come tanti, mi svegliai con la voglia di ricominciare.

Ricominciare.. Che parola assurda, avevo ricostruito così tante volte sulle macerie della mia esistenza che, in teoria, sarebbe dovuto essere facile.

Ricominciare.. Quando ogni cosa sembra essere perduta non si può fare altro. Di arrendersi non se ne parla, non sono mai stato tipo da gettare la spugna.

Ricominciare.. Solo perché Sophia non avrebbe mai voluto vedermi così.

E ricominciai. Tornai nell'esercito, feci carriera, ebbi qualche relazione sentimentale, ma nulla più. Il mio amore lo riversai nel bambino che adottai: Christian. Aveva poco più di tre mesi quando lo trovai tra le rovine di una casa, i suoi genitori erano stati uccisi davanti ai suoi occhi innocenti.

Sono passati 20 anni da quel giorno, da quando quel bambino mi ha fatto rinascere. 

Christian conosce la mia storia, conosce Sophia.

Non ho mai smesso di amarla e non ho smesso di vivere proprio in suo onore.

Christian somiglia un po' a Sophia, anche se, forse, è tutto frutto della mia suggestione.

  
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