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Autore: xbiebersvoice    26/04/2013    4 recensioni
Sarei dovuto divenire un angelo custode.
Quelli erano stati i miei programmi: completare la preparazione, aspettare che mi venisse affidata un’anima da proteggere e successivamente sorvegliarla dall’alto, dal mio posto nel Paradiso.
E invece cos’ero finito a fare?
Mi avevano spedito giù sulla Terra, a ricoprire un ruolo secondario che sarebbe dovuto invece spettare ad un principiante. Non ad uno come me.
E tutto questo per cosa? Per lei.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3.
 
 
 
Portai una mano a coprirmi gli occhi, contrastando così la forte luce del sole che cadeva perpendicolare al suolo. Assottigliai le palpebre, lanciando uno sguardo a quanto avevo davanti in quel preciso istante, squadrandolo da capo a piedi.
«Un bel gioiellino, eh?» esclamò la voce di Mihael, con un tono estremamente esaltato ed elettrizzato, permettendo ai suoi occhi azzurri di imprimersi in egual maniera di quell’entusiasmo che lo aveva colto all’improvviso.
Non dissi una parola. Mantenni invece l’attenzione su quanto lui stava elogiando.
Davanti a noi, una bella macchina bianca e sfavillante luccicava sotto i raggi solari, sicuramente in grado di attirare anche lo sguardo del passante più distratto. Al primo acchito, dava subito l’idea di essere appena uscita dalla concessionaria. Un’auto sportiva senza ombra di dubbio molto bella, ma non capivo per quale motivo Mihael dovesse esaltarsi tanto.
«Sbaglio o ci era stato insegnato di non dare importanza alle cose materiali?» gli feci notare, inarcando un sopracciglio, prima di fare un veloce cenno avanti a me. «Anche perché “su ai piani alti”, cose simili non si trovano né potrebbero mai essere utili.»
L’uomo –anche se sarebbe stato più il caso di aggiungere ‘il giovane’ davanti, poiché il suo aspetto fisico non rispecchiava affatto i numerosi secoli che invece aveva– alzò gli occhi al cielo, come se avessi detto la cosa più irrilevante che avesse mai sentito.
«Sì, ma è anche vero che non siamo lassù, ma siamo sulla Terra, quindi non c’è assolutamente nulla di male!» mi ricordò in seguito, con un tono superbo e orgoglioso, e si allontanò dal mio fianco per poter raggiungere l’autovettura di fronte a noi.
Serviva che me lo ricordasse ogni secondo in più che passavo quaggiù?
Come se non lo sapessi già di mio dove mi trovassi all’istante, a dispetto di ogni mio principio e delle mie precedenti intenzioni. Sì, perché alla fine avevo accettato, mi ero lasciato impietosire dai suoi occhi terribilmente preoccupanti e in cerca d’aiuto, e mi ero lasciato trascinare giù al pianoterra.
Il pianoterra a tutti gli effetti, perché ero entrato a diretto contatto con il mondo sottostante per la prima volta, dopo tutto quel tempo di attesa e di sguardi curiosi inviati dal Cielo.
Su un lato, non potevo dire che fosse un brutto posto. Qui c’erano un mucchio di colori.
Ma dall’altro, non sarebbe mai potuto essere comparato al Paradiso, ma alla fine dei conti non c’era da stupirsene. 
Dopo un paio di giorni –terrestri– Mihael era venuto a suonarmi alla porta e mi aveva trascinato fuori dal mio appartamento, per mostrarmi quel regalo che mi aveva appena portato sotto casa.
Sì, perché ora avevo un appartamento.
Faceva tutto parte del piano d’integrazione nel mondo degli umani, ovviamente.
Nulla di ciò che conteneva mi sarebbe servito davvero, nel mio soggiorno qui, perché noi angeli non necessitavamo di niente in particolare. Però i superiori sostenevano che avessi bisogno di un luogo sicuro nel quale poter stare da solo, anche se più che altro era volto a formare la mia falsa immagine da innocente umano.
Comunque, non si erano nemmeno sprecati a farmi trovare tutto pronto. Ero dovuto scendere io, e trovarmi un abitazione decente che avrei potuto definire la mia casa sulla Terra. Questo significava che avevo dovuto contattare un’agente immobiliare e farmi proporre ciò che pensasse fosse meglio per me.
Era stato il mio primo contatto con una persona umana, quindi fu un po’ anche una prova per provare ad interagire senza dare sospetti che mi avrebbero fatto apparire diverso ai suoi occhi.
Onestamente, non so come fosse andata. Però, lasciandomi andare un po’ all’emozione di avere davanti il primo ‘esemplare’ terreno della mia esistenza, dovevo certamente aver compiuto qualche errore.
Non avevo potuto fare a meno di guardarla assiduamente –sì, era stata una donna, quindi con facilità potrebbe aver frainteso il mio interesse– e osservare ogni movimento che aveva compiuto nel presentarmi l’appartamento. Era stato interessante studiarla da vicino, ma non deve essere stato altrettanto curioso e piacevole per lei. 
I suoi occhi erano parsi piuttosto allarmati. Gli umani avevano così tanta paura di essere guardati da un estraneo? Non pensavo che uno sguardo incuriosito potesse essere così strano e insolito per loro.
Ad ogni modo, non avevo prestato poi tanta attenzione alle stanze che mi aveva mostrato. Non mi importavano le condizioni di quel posto. Perché avrebbero dovuto, se tanto ci sarei stato solo per poco tempo? O meglio, questo era quello che speravo.
Al termine della visita, mi aveva chiesto gentilmente se ero interessato all’abitazione e quindi se avevo intenzione di prenderla in affitto. Avevo annuito senza troppi ripensamenti. Quel mio disinteresse l’aveva sorpresa, difatti mi aveva dedicato uno sguardo quasi infinito, prima di sbattere più volte le palpebre e dedicarsi poi ad altro, prendendo a cercare nervosamente delle carte all’interno della cartelletta che teneva fra le braccia.
Da quello, dedussi che gli umani erano anche giudiziosi, oltre che riservati.
Erano soliti valutare tutto ciò che capitava loro nella vita con attenzione, ponderati e cauti, e non a prendere tutto alla leggera come invece stavo facendo io. Mi appurai di tenerlo a mente.
Qualche giorno dopo avevo ottenuto l’appartamento, perché era prima stato richiesto un tot di tempo per accertarsi di questo e di quell’altro (cose che non mi ero interessato di ascoltare), ma alla fine mi fu finalmente permesso di spostarmi sulla Terra. 
Quindi ora ero qui, in un mondo che non era il mio, per portare a termine un compito che mi era stato assegnato da forze superiori. Però avevo un appartamento... e ora pure un auto.
«Non credi che questa attirerà un po’ troppo l’attenzione?» gli domandai, tornando alla realtà, riservando un ennesimo sguardo dubbioso a quanto Mihael sembrava star elogiando a bassa voce. Non avrei mai pensato che lui, il mio tutore nonché mio maestro, potesse essere così soggetto all’attrazione materiale di una macchina. 
Comunque, quanto gli avevo fatto notare era effettivamente vero.
Un’auto del genere avrebbe senza dubbio attirato molti sguardi e, dato che io qui ero solo di passaggio, sarebbe stato meglio se avessi lasciato la più minima traccia possibile. E girare per la città con una delle vetture più appariscenti mai create non mi pareva il modo migliore per non dare nell’occhio.
«Oh, tranquillo, anche senza questa attorno attireresti l’attenzione» ridacchiò lui, senza però portare lo sguardo su di me. Se ad orecchie estranee quello sarebbe potuto parere un segno di apprezzamento, una sorta di complimento, e quindi risultare equivoco, per me non fu così. Compresi subito ciò che intendesse dire. «Lo sai, gli umani subiscono una particolare attrazione verso di noi.»
Nulla di nuovo, ma effettivamente dovevo averlo scordato.
Con la macchina o senza la macchina, avrei comunque avuto una particolare attenzione concentrata sulla mia figura. Era dato per scontato che noi angeli avessimo un aspetto piacente, ma la realtà era che non era propriamente questo che affascinava i terreni.
Si trattava più che altro della nostra aura. Nulla di fisico che la vista potesse vedere, ma più che altro un qualcosa di sensoriale che le loro anime riuscivano a percepire, restandone attratte.
Annuii, dandogli ragione, poi feci qualche passo per avvicinarmi all’auto.
Era vero che non ero andato fuori di testa come Mihael trovandomela davanti, ma tutto sommato non potevo negare che fosse un qualcosa di... facile da apprezzare. Era... era bella? Poteva un oggetto materiale essere bello? Gli umani erano soliti utilizzare questo aggettivo per indicare un qualcosa che giudicavano gradevole, fatto bene.
«Okay, ma io non ho la patente» sottolineai quel particolare decisamente rilevante.
L’angelo non parve turbato da quella constatazione, mantenne semplicemente il sorriso sul suo volto. «Sì che l’hai, come hai una carta d’identità e un passaporto.»
Oh, certo. Ovviamente, sempre per la mia integrazione, si erano premuniti di farmi entrare regolarmente in quella dimensione, per risolvere prematuramente ogni possibile ostacolo avrei potuto incontrare.
«Oh, buono a sapersi» biascicai appena, tirando le labbra in una smorfia. «Ma questo non significa che io la sappia guidare.»
Ancora una volta, Mihael non si sorprese delle mie parole né tantomeno queste influirono sul suo animo. Dedicandomi finalmente un filo di attenzione, portò le sue iridi sul mio viso.
«Certo che la sai guidare!» esclamò, come se la cosa fosse ovvia, e rise un poco. «Solo che ancora non lo sai.»
Mmh... eh? Mi stava dicendo che ero in grado di usare quella macchina, ma che ancora non sapevo di avere questa capacità, perché non avevo mai avuto modo di sperimentarla?
«Dai, sali, ti faccio vedere» proruppe poi e, allungando una mano verso la maniglia dello sportello, la tirò per poterlo aprire, facendomi poi segno di entrare.
Sì, direi che prima aveva voluto intendere proprio questo.
 
 
*
 
 
Girando la chiave nel quadro dell’auto, spensi il motore rapidamente. Lasciai quindi che il suono a circondarmi non fosse più il suo frastornante rumore, ma anzi il vociferare confuso della folla che assediava l’entrata dell’edificio poco distante a me.
Una scuola. La ‘mia’ scuola.
Ovviamente, se dovevo entrare a contatto con la ragazza che dovevo proteggere, dovevo farlo nel modo più naturale e semplice possibile. Non avrei saputo da dove cominciare, da solo, ma gli angeli a me superiori avevano fortunatamente già ideato tutto, con una gran dose di aiuto da parte di Mihael.
E cosa c’era di più ordinario, sul pianeta Terra, di un adolescente che incontrava un altro adolescente fra le quattro mura di quel luogo dove passava ben o male cinque giorni su sette? Perciò, tutto quello che dovevo fare, era trovare quella ragazza e divenire suo amico, ma non dovevo essere frettoloso, dovevo procedere passo per passo.
Mi era stato anche affibbiato un cognome, e come se questo per me non fosse già strano, mi avevano assegnato pure un secondo nome. Il motivo di quest’ultimo non lo sapevo proprio, però sostenevano che facesse tutto parte della mia integrazione, quindi io non avevo obiettato.
Comunque, non potevo lamentarmene. Il cognome suonava bene con il mio nome, e quello intermedio trovava compostamente il suo spazio fra i due.
L’unico problema, probabilmente, sarebbe stato ricordarli. 
«Mi chiamo Justin Drew Bieber. Sono Justin Drew Bieber. Piacere, Justin Drew Bieber» bisbigliai concentrato fra me e me, con i palmi racchiusi attorno al volante, mentre gli occhi fissavano un punto indefinito oltre il parabrezza.
Era solo un esercizio di preparazione, in modo che se avessi avuto da presentarmi o qualcuno mi avesse rivolto domande sulla mia identità, la risposta sarebbe stata rapida e scattante, com’era normale che fosse.
Non intendevo dare l’idea di essere un tipo strano e farmi già da subito affibbiare l’etichetta di svitato. Volevo solo entrare in quell’istituto e passare il più inosservato possibile, anche se dubitavo fortemente che questo sarebbe successo.
Comunque, se davvero non volevo pensassero avessi qualche rotella fuori posto, forse era meglio che la smettessi di muovere le labbra e ripetere assiduamente il mio nome, altrimenti l’idea che giungeva agli spettatori esterni era quella che stessi parlando da solo. E parlare da solo era qualcosa di decisamente bizzarro.
Ero ancora chiuso dentro la mia macchina, come se questa potesse essere uno schermo di protezione, ma la realtà era che non avevo paura di quella marmaglia di umani che mi circondava. Forse avevo semplicemente paura di non riuscire a portare a termine il mio compito, l’unico che mi era mai stato assegnato. Ma quanto difficile sarebbe poi dovuto essere?
Una ragazza era sotto la minaccia di una forza malevola e presto questa si sarebbe verificata, raggiungendola. Tutto quello che dovevo fare era conoscere questa terrena, divenire suo amico, starle accanto e proteggerla finché non avrei individuato la minaccia che tanto terrorizzava il Cielo.
Una volta fatto questo, sarei potuto  tornare su ad esercitarmi per divenire ciò che volevo davvero.
Tutto qui.
Presi un grosso respiro, immagazzinando quanta più aria potessi, poi estrassi le chiavi dall’auto e le lasciai cadere nella tasca della mia giacca. 
Alla fine Mihael aveva avuto ragione: mi era bastato sedermi al posto del guidatore, accendere la macchina e subito le mie mani avevano viaggiato di per loro, posizionandosi dove dovevano senza che io per davvero sapessi cosa stavano facendo. Era come se loro sapessero come muoversi, come se fossero una parte distaccata del mio corpo. All’inizio, ero andato un po’ a tentoni. Però, dopo qualche giro per l’isolato, sapevo già maneggiare quell’autovettura come se fosse ciò che facevo ormai da tutta la vita. Era stato un po’ strano.
Aprii lo sportello della macchina e abbassai davanti al mio sguardo gli occhiali che avevo precedentemente posato sulla testa, fra i capelli.
Mihael diceva che se davvero non volevo attirare troppo l’attenzione, nascondere i miei occhi sarebbe stato un vantaggio. Sosteneva che le nostre iridi fossero lo strato più fine e trasparente fra tutti a proteggere la nostra aura, e che quindi queste fossero le uniche in grado di mostrare –anche se dando solo un assaggio– ad un umano la nostra vera natura sovrannaturale.
Non che in tal modo non avrebbero percepito ugualmente la mia aura, quindi, ma era sempre un qualcosa.
Mi chiusi l’auto alle spalle e stirai la maglia con entrambi i palmi delle mani, lisciandone il suo tessuto bianco.
Una volta che sollevai l’attenzione e la puntai davanti a me, mi bloccai sul posto e dischiusi le labbra per impulso.
Decine e decine di sguardi erano già puntati su di me, intenti ad esaminarmi da capo a piedi.
Qualcosa mi dava a pensare che tutta la scuola si fosse accorta del nuovo arrivato.
Fantastico. 

 
 
 

 
 
Tamburellai l’indice contro la copertina dell’ingombrante volume di storia posato sul tavolo della mensa, attendendo che il posto in fronte a me venisse occupato dalla mia migliore amica, ancora in fila per prendere la sua razione quotidiana di cibo.
Sarei dovuta essere con lei, teoricamente, ma avevo invece optato per attenderla al nostro solito tavolo. Il motivo era che quel giorno avevo fatto un’abbondante colazione e nel mio stomaco c’era spazio unicamente per quella salutare mela che presto sarebbe arrivata fra le mie mani. Anche perché, al di fuori di quella, nulla di ciò che girava in questo postaccio pareva commestibile.
Sistemai meglio i molteplici libri davanti a me, disponendoli in una colonna ordinata, e mi lasciai andare ad una veloce smorfia. Mi sarei dovuta perdere almeno dieci minuti della pausa pranzo per andare a riportarli nella biblioteca dell’istituto. E la cosa ironica era che mi ero pure proposta io, di farlo!
Ma la signora Morgan era una donna così amabile che mi era stato impossibile non accettare la sua richiesta di aiuto, quando passando per i corridoi mi aveva domandato se prima del suono della campanella le avrei fatto quel favore.
Ero passata dalla segreteria, dove quella pila di libri era rimasta posizionata per gli ultimi giorni senza che nessuno trovasse la voglia di riportarla nel suo posto originario, e me l’ero trascinata dietro fino alla mensa. La mia intenzione era quella di pranzare (sempre se si sarebbe potuto definire tale) e poi correre in biblioteca poco prima che suonasse la campanella.
«Ecco a te!» esclamò di colpo la voce squillante di Blythe, lasciando cadere malamente il vassoio sulla superficie del tavolo, emettendo un suono sordo. 
Afferrò rapidamente la mela che si era proposta di prendere per me, poi distese il braccio per allungarmela, infilandosi al contempo nella panca.
Blythe era una tipa un po’ stravagante, come probabilmente il suo nome bizzarro poteva dar ad intendere. Era sempre stata una tipa vivace ed esuberante, quel genere di persona che quando l’hai intorno, non può far a meno di trasmetterti una sensazione positiva.
Aveva la dolce quanto strana abitudine di combinare un guaio qualsiasi cosa facesse. Ovviamente non lo faceva apposta, era lei ad essere maldestra di suo, e questo rendeva sempre ogni sua sventura ancora più divertente.
La conoscevo dal tempo della scuola elementare. Il primo giorno di scuola ero stata abbastanza nervosa, poiché sono sempre stata una persona abbastanza riservata a timida, e quando avevo scoperto che la maestra mi aveva messo nel banco affianco a lei, ero stata un po’ spaventata. Un terremoto vivente, con due codini già scomposti a causa della sua vivacità ad incorniciarle il viso, si era subito voltata verso di me e mi aveva sorriso, con qualche buchetto nella sua dentatura.
Durante la ricreazione, aveva estratto un succo di frutta in brik. Aveva infilato la cannuccia, ma aveva tenuto premuto contro le estremità per riuscire a perforare la fessura di carta, così quando era riuscita a farla filare dentro, tutto il contenuto si era riversato sulla sua maglietta rosa con un paio di elefantini disegnati ai lati.
Ero scoppiata a ridere per impulso, ma subito mi ero coperta la bocca nel timore di essere risultata offensiva e inappropriata. Ma lei aveva invece preso a ridere più di me e si era girata nella mia direzione, con quel sorriso sdentato stampato sulle labbra. “Mamma mi ritirerà il libro delle fate per questo!” aveva affermato, scherzosa, come se quel pensiero non le dispiacesse per nulla. Quella sua leggerezza mi aveva colpito. 
Da quel giorno in poi, eravamo sempre state insieme.
«Grazie, Blys» le risposi, scendendo dalle nuvole, utilizzando quel nomignolo che lei stessa si era affibbiata, come se il suo nome di nascita non fosse già strano di suo.
Lei alzò le spalle e si sistemò al suo posto, scostandosi i lunghi capelli biondi dal viso. 
Ebbi appena il tempo di addentare la mia mela, che lei prese a parlarmi dell’ennesima discussione che aveva avuto con la madre il pomeriggio precedente. Blythe discuteva sempre con tutti e per niente, ma non riusciva comunque mai a farsi andare in odio da nessuno. Probabilmente era merito del suo visetto angelico e dolce, che spesso faceva pensare alla gente che avesse molto meno dei suoi anni.
Quando terminò di sfogarsi e soffiò via un ciuffo di capelli che le era ricaduto davanti agli occhi, ormai avevo finito il mio pranzo già da un paio di minuti. Quando Blys iniziava a parlare, era peggio di una macchinetta.
Prese un grosso respiro, abbassando le palpebre, poi le riaprì e distese le labbra in un luminoso sorriso.
Era sempre così. Gesticolava agitata per decine di minuti, poi inspirava profondamente e la pace più completa tornava ad occupare il suo corpo. Era sorprendente.
«Qualche novità, te, invece?» mi domandò successivamente, svitando il tappo della sua bottiglietta d’acqua.
Sollevai un poco il labbro inferiore per assumere un’aria pensierosa, ma quasi subito scossi la testa in negazione. Ero quasi sul punto di riferirle del piccolo intoppo che mi ero creata da sola con la storia della biblioteca, quando di colpo una seconda persona si sedé al nostro tavolo, posizionandosi al suo fianco.
Una folta chioma di capelli corvini ed un dinamismo che riconobbi subito, appartenenti ad una sola persona di mia conoscenza.
Audrey.
Difficile non riconoscerla, perché la sua energia e la sua esuberanza svettavano notevolmente nella massa di studenti annoiati dalla solita monotona giornata scolastica.
Audrey era la terza ragazza di quello che poteva definirsi il ‘nostro gruppo’. La conoscevo da meno tempo di Blys, ma era comunque riuscita subito ad integrarsi con facilità e l’avevamo accettata senza problemi. Chiunque lo faceva, soprattutto i maschi che non potevano fare a meno che rimanere attratti dalla sua bellezza.
In tutta onestà, non sapevo nemmeno per quale motivo io fossi parte di quel trio. 
Loro erano il mio opposto, anche se neanche loro se messe a confronto presentavano proprio gli stessi tratti. Ma erano tutte e due vivaci, estroverse e disinvolte. Ovvero tutto quello che io non ero.
«Ma ciao, Aud» sbottò la bionda al suo fianco, scostandosi un poco di lato siccome la classica dirompenza della mora si era rivelata eccessivamente energica. L’aveva praticamente travolta con la sua figura, colpendole sbadatamente un braccio e rischiando di farle scivolare la bottiglietta d’acqua dalle mani, quando si era seduta accanto a lei.
La nuova arrivata la fulminò con lo sguardo, nel sentire il nomignolo con il quale l’aveva chiamata, ma successivamente decise di lasciare perdere con un veloce gesto della mano. A differenza della bionda, Audrey detestava qualsiasi tipo di soprannome.
«Che si dice, ragazze?» domandò successivamente, distendendo le mani davanti a sé, sul tavolo, come a stiracchiarsi. Guardò storto l’enorme pila di libri che mi affiancava, ma non disse nulla.
«Niente, stavo appunto domandando ad Helena se c’era qualcosa di nuovo, ma come sempre in questa città dimenticata dal mondo non succede mai nulla» mugugnò Blythe, mettendo su un lieve broncio.
Portando gli occhi su Audrey, mi accorsi di come invece i suoi luccicavano, come se fosse estremamente ansiosa per qualche motivo. Non era poi così facile trovare qualcosa che la entusiasmasse per davvero, quindi mi sorpresi.
«Beh, di solito, ma da oggi non più, a quanto pare» buttò lì elettrizzata, apposta per suscitare il nostro interesse, e mantenne quel sorrisetto saccente da chi sapeva qualcosa di estremamente intrigante sul viso, alternando lo sguardo da me alla ragazza alla sua destra. Non servì che le chiedessimo di più, fu lei a spiegarsi, probabilmente troppo entusiasta per potersi trattenere ancora a lungo. «Amber mi ha detto di aver adocchiato un tipo estremamente carino oggi, all’entrata.»
Tutto qui? Era così esaltata solo perché una delle sue tante amiche le aveva detto di aver visto un bel ragazzo? C’era qualcosa che non andava se era così esagitata solo per una cosa del genere.
«Impossibile. Di tipi estremamente carini non ce ne sono in questa scuola, fatta esclusione per Tyler e qualche suo amico, ma sono così privi di cervello che il loro aspetto non compensa» le fece notare disinteressata la bionda, accompagnando il suo commento con una smorfia di disprezzo.
Condividevo pienamente ogni sua singola parola.
Era la triste verità di quella scuola. Non che di fatto fossi quel genere di ragazza che era pronta ad inginocchiarsi davanti all’altro sesso. Non avevo molte esperienze a riguardo, e non intendevo comunque approfondire l’argomento.
«Esatto» proruppe semplicemente Audrey, e i suoi occhi si accesero ancora di più. «Quindi, questo può significare solamente che abbiamo un nuovo arrivo. Carne fresca!»
Alzai gli occhi al cielo, approfittando del fatto di non avere lo sguardo di nessuna delle due puntato contro, e mi mossi un poco al mio posto, estremamente disinteressata della piega che stava assumendo la conversazione.
Non che fossi quel tipo di ragazza che schifava l’intero genere maschile, ma al momento avevo altri interessi che preferivo coltivare, quindi facevo sempre in modo di tirarmi fuori da argomenti simili. Fingere che mi interessassero mi veniva estremamente faticoso e, comunque, non vedevo per quale motivo avrei dovuto farlo. 
Lanciai un’occhiata all’orologio appeso sulla parete e, fortunatamente, notai che non mancasse molto al suono della campanella. Improvvisamente, l’idea di portare quella pila di libri in biblioteca non mi dispiaceva più poi così tanto.
Alzandomi velocemente, tirai verso di me la colonna di volumi.
«Hels, dove vai?» mi domandò Blythe, interrompendo momentaneamente l’accesa discussione che stava avendo con la sua compare affianco, estremamente scettica riguardo quanto aveva detto poiché, a suo parere, era impossibile che avessimo un nuovo arrivato così, a scuola già iniziata.
Feci un rapido cenno in direzione dei libri. «Commissione.»
La bionda corrugò un poco la fronte, ma successivamente non si dedicò più a me, perché la mora attirò nuovamente la sua attenzione, tornando a parlare della novità della giornata. «Comunque, ti stavo dicendo...»
Non riuscì a trattenermi dal portare nuovamente lo sguardo al soffitto, ma in seguito lasciai perdere e scavalcai la panca dietro le mie ginocchia, per potermene andare prima che per qualche ragione una delle due trovasse un motivo per trattenermi. Anche se, così prese dall’argomento, difficilmente si sarebbero distratte se non per il suono della campana.
Mi portai al petto quei cinque o sei libri, cercando di non farne precipitare nessuno a terra, poi indietreggiai senza salutarle. Tanto non se ne sarebbero nemmeno accorte.
Feci appena in tempo a dare loro le spalle, che la voce di Audrey mi arrivò chiara e netta alle orecchie. «Il tipo in questione è... Oh, cavolo
Trattenni un sorriso divertito, ma non mi girai nemmeno per vedere cos’era successo.
Probabilmente le era arrivato un improvviso sms, con un contenuto ricco di dettagli riguardo questo presunto nuovo studente. Un po’ mi dispiaceva per lui.
Se davvero era così carino come le voci che giravano parevano sostenere, allora non avrebbe avuto vita facile all’interno di quella scuola. Conoscevo il genere di ragazze che la frequentava ed ero pronta a scommettere che sarebbero state pronte a sbranarsi per lui, e questo avrebbe potuto spaventarlo.
A meno che non fosse il classico belloccio in stile Tyler e company.  In questo caso, sarebbe stato a guardare lasciando che il suo ego salisse.
Mi auguravo non fosse nulla di simile. C’era bisogno di una ventata di aria fresca in questa scuola.
 
 


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Lo so, questo capitolo è lungo.
Il fatto è che io non sono affatto abituata a farne di corti, perché se non scrivo quello che voglio il capitolo tratti, allora lo trovo vuoto ed incompleto e assolutamente non mi piace.
E questo capitolo doveva parlare di questo.
Però, se è troppo lungo ed è faticoso da leggere, basta che lo diciate. In tal caso, vedrei di scrivere meno o spezzarlo!
Per questo, per favore, fatemi sapere.

Btw... Giustino è finalmente giunto sulla Terra (con tanto di regalo di benvenuto, swaggy) e il personaggio femminile, aka Helena, è stato introdotto.
Sono consapevole che sia tutto ancora molto vago, ma non potevo ammassarvi di dettagli così, subito cwc
Piuuù, vengono presentate anche le sue due amiche.
I know, I know: Blythe è un nome assurdo. Però esiste! E mi piaceva per lei, per rispecchiare il suo carattere.
Poi non vorrei piombare nei classici e ordinali nomi, anche se è difficile.



PRECISAZIONE:
Justin non si comporterà da 'figo della situazione' ed Helena non sarà la classica superficiale che gli va dietro né tantomeno quella scettica che lo detesta per nulla.
La mia intenzione è quella di fare qualcosa di più calcolato e pensato, cercare di ridurre al minimo le banalità.
Ma immagino capirete di più con il seguito della storia lol

Ok, penso di aver detto tutto. 
[Non è vero, avrei altre 1000 cose da dire ma sssh.]



Come sempre ci terrei a ringraziare chiunque ha recensito.
Grazie, grazie, grazie.
11 recensioni? Siete pazze ajkda
Sapere il vostro parere è importantissimo per me perché, in tal maniera, capisco se vale la pena che io continui questa ff e in più, certamente, se sono critiche costruttive non possono far altro che aiutarmi a migliorare.
Perciò: ricevere una vostra recensione mi renderebbe davvero felice.
Per il resto ringrazio ovviamente anche chi legge solamente o chi ha messo la storia in una delle varie sezioni.
GRAZIE.

Alla prossima spero! :)

@_xbiebersvoice
   
 
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