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Autore: fri rapace    27/04/2013    5 recensioni
E' l'inizio di un nuovo anno scolastico a Hogwarts, inaugurato, come al solito, da una nuova insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Un ragazzo smunto dai poco curati capelli chiari osservava Tonks a pugni serrati, lo sguardo indignato.

“Io volevo stare con te e il bambino,” le urlò contro, facendo scattare un braccio in direzione dell'uscita dell'abitazione di lei. “Sei stata tu a cacciarmi via!”

Il ragazzo le voltò la schiena e imboccò il corridoio, dirigendosi velocemente verso la porta.

Tonks sentì il cuore precipitarle nello stomaco e, presa dal panico, lo inseguì: sapeva di fare la cosa sbagliata, ma non poteva accettare di venire, ancora una volta, abbandonata.

“No, io voglio che resti!” lo supplicò. L'umiliazione suscitata dalla propria mancanza di controllo l'accompagnò oltre il sogno.

Tonks si destò in lacrime, abbracciata al cuscino del marito. La federa umida di pianto e sudore le si era incollata a una guancia.

Aveva sognato d'inseguire il Remus diciassettenne del ricordo che li aveva recentemente vomitati, restituendoli al loro presente. Quel Remus che tanto aveva lottato per starle accanto, all'opposto del suo corrispettivo adulto che, dopo aver cercato in ogni maniera di tenerla lontana da lui, alla fine se n'era andato per sempre.

Esausta e addolorata, scivolò fuori dalle lenzuola madide di sudore e prese rovistare furiosamente tra i pochi averi di Remus, alla disperata ricerca della boccetta contenente il ricordo. Per quanto la imbarazzasse, non poteva ignorare il desiderio di potersi tuffare nuovamente in esso.

Svuotò le tasche dei pantaloni del marito, quelle del mantello estivo e rovesciò a terra la sua valigia, ma senza successo. Remus le aveva portato via anche il suo io adolescente.

Tonks, sconfitta, si sedette sui vestiti dell'uomo, stringendo le gambe al petto: aveva toccato il fondo, rifletté amaramente, asciugandosi la fronte contro un ginocchio. Il caldo, in quei giorni, era soffocante.

Quando Tonks sentì la porta d'ingresso della propria abitazione aprirsi con un cigolio, aveva ormai perso la nozione del tempo, tanto che non si era neppure accorta del sopraggiungere della sera.

Apatica, sciolse lentamente l'abbraccio alle gambe e raggiunse con la mano la propria bacchetta, sfilandola da sotto il cuscino di Remus.

La casa era protetta dall'Incanto Fidelius, perciò l'ospite poteva essere solo uno dei suoi genitori o un membro dell'Ordine della Fenice. Tutte persone che preferivano bussare, anziché introdursi in casa sua come un ladro come stava facendo il misterioso visitatore. Illudersi di aver indovinato il viso che avrebbe presto avuto sotto tiro avrebbe distrutto Tonks, ma lei sotto sotto sapeva e se aveva affrontato lo sforzo di armarsi era stato solo per accogliere lui.

Come aveva previsto, fu lo stupido idiota che aveva sposato ad affacciarsi cautamente nella stanza.

Tonks rimase immobile, la bacchetta puntata al cavallo dei pantaloni di Remus, gli occhi assottigliati in uno sguardo truce, anche se una parte di sé urlava di gioia e avrebbe voluto correre ad abbracciarlo.

Lui, che non osava guardarla in faccia, puntò lo sguardo sui miseri vestiti su cui era ancora seduta.

“C - cosa stai...?” balbettò confusamente.

“Cos'è, sei cieco oltre che stupido?” lo aggredì Tonks, rinvigorita da un'improvvisa quanto violenta sferzata d'energia. “Ti sto stirando le camice con le chiappe!” glielo dimostrò, strofinando il fondoschiena sugli abiti, infischiandosene dell'ineleganza del gesto.

Remus incassò lo sfogo con un piccolo sussulto.

“Mi meriterei ben di peggio...” mormorò, incurvando la schiena, le mani aggrappate alla veste all'altezza dello stomaco.

“Sono assolutamente d'accordo con te!” convenne Tonks, che interruppe l'atto di grattarsi il sedere, guardandosi attorno colta da un'improvvisa ispirazione. Aveva molti oggetti a portata di mano e le parve un'ottima idea scegliere i più contundenti ed usarli per bersagliarlo. La fotografia incorniciata del loro matrimonio colpì Remus su un ginocchio, l'Abat Jour dritto allo stomaco. Lui non cercò di evitare gli oggetti né parve soffrire particolarmente quando essi lo colpirono, così Tonks, insoddisfatta, decise di affatturare il comodino, riuscendo finalmente a smuovere il marito, mandandolo a gambe all'aria.

“Ti ho fatto male?” s'informò dopo che il mobile, precipitato sul petto dell'uomo, ebbe sputato sulla sua testaccia dura i tre cassetti che accoglieva e buona parte del loro contenuto.

“Un po',” soffiò lui da sotto il comodino.

“Mai quanto tu ne hai fatto a me,” ritenne necessario spiegargli Tonks. Se Remus avesse capito quanto dolore le avrebbe procurato con la sua infantile fuga dalle responsabilità, era certa che non sarebbe scappato. “Per pareggiare i conti, sto pensando di lanciarti addosso anche il letto.”

“Se può servire a farti sentir meglio...” mormorò Remus, accomodante.

Tonks saltò in piedi, la calma e la rassegnazione del marito erano carburante per la sua rabbia.

“Ho avuto discussione più soddisfacenti con la mia scopa che con te!” lo accusò.

“Sono... sono schiacciato sotto a un comodino...” fu l'unica, penosa giustificazione che Remus riuscì a trovare.

“Non mi riferisco a questo momento in particolare, ma a tutta la nostra relazione!” urlò Tonks, liberandolo con un gesto rabbioso della bacchetta. Il comodino si rovesciò su un lato e lei vide veramente Remus per la prima volta da che era entrato nella loro stanza.

Pur sospettando di essere malconcia quasi quanto lui, sbottò:

“Per Merlino, hai un aspetto tremendo... E perché diavolo hai addosso il mantello invernale? Ci saranno quaranta gradi!”

Remus si strinse nell'abito, come se temesse che lei volesse portarglielo via.

“Non ne faccio una giusta,” fece ammenda, con un tono umile e sottomesso che Tonks detestò: cosa c'era di peggio di chi si ostinava a sbagliare pur essendone cosciente?

“Puoi dirlo forte!” concordò lei, avanzando minacciosa. Notò che Remus aveva un livido sullo zigomo e che la fronte gli sanguinava dove l'angolo di un cassetto l'aveva colpito. “Allora?” lo spronò, zittendo risolutamente l'istinto ad aiutarlo e il senso di colpa per averlo ferito.

“Mi spiace,” mormorò Remus, rotolando su un fianco, le mani nuovamente schiacciate sullo stomaco, come se temesse che il ventre gli si potesse aprire e rovesciare il suo contenuto sul pavimento. “Ho avuto paura.”

Tonks strinse i pugni, conficcandosi le unghie rosicchiate nei palmi.

“Ti avrei aiutato se me ne avessi parlato! Invece hai preferito scappare!”

“Io... io mi vergognavo a chiedere aiuto,” si forzò ad ammettere Remus.

Tonks era combattuta tra il desiderio di prenderlo a sberle e quello di abbracciarlo forte. Li soppresse entrambi: non intendeva avvicinarsi tanto a lui, non voleva toccarlo.

“Ti vergogni delle cose sbagliate!”

“Mi vergogno di averti abbandonata. Immensamente.”

Tonks scosse la testa, pensava davvero che sarebbe stato sufficiente vergognarsi? Lui, che possedeva l'irritante dono di complicare anche la cosa più semplice, ora pensava di risolvere tutto mostrando vergogna e permettendole di picchiarlo?

“E adesso cosa avresti intenzione di fare?” lo interrogò, di nuovo esausta.

“Vorrei restare.”

“E per quanto tempo, stavolta? un mese? un anno?” gli chiese stancamente Tonks, con la vista che si faceva liquida.

Remus le rispose con un sospiro tremulo.

“Alla prima difficoltà te ne andrai di nuovo, prova a negarlo!” lo accusò lei, le lacrime che premevano ai lati degli occhi. Aveva pianto tanto, negli ultimi giorni, che sperava di aver esaurito la sua scorta di lacrime ma, evidentemente, non era così. “Dove hai nascosto la boccetta con il ricordo?” aggiunse con voce malferma.

“Perché?” le chiese Remus, mettendosi a sedere con la schiena contro la porta.

“Vorrei spupazzarmi il Remus diciassettenne,” Tonks si nascose il viso tra le mani, la voce che scemava. “Lui mi voleva...”

Un muscolo si contrasse appena sopra la mascella di Remus, inclinandogli i lati della bocca verso il basso.

“Anche io ti voglio,” ebbe il coraggio di dire, anche se le sue azioni dimostravano il contrario.

“Non è vero!” gemette Tonks e si lasciò cadere in ginocchio, singhiozzando convulsamente.

Attraverso le lacrime, vide Remus sfregarsi gli occhi con i palmi, senza emettere un suono.

Piangevano soli, inchiodati nel punto in cui erano caduti, e mai a Tonks la distanza che li separava era parsa tanto incolmabile.

Dopo un lasso di tempo indefinibile, Remus si asciugò i palmi sul pavimento e rimase un lungo istante a quattro zampe.

Tonks fu certa che avrebbe indietreggiato e pensò di stare di nuovo sognando quando, per la prima volta nella loro relazione, capì che invece le sarebbe andato incontro.

Remus gattonò fino a lei e quando l'ebbe raggiunta esitò ancora e ancora, ma Tonks non cedette, così lui le posò il viso in grembo, aggrappandosi alle sue gambe.

“Mi dispiace...” disse, sopraffatto dal dolore. “Per essere scappato... per il bambino...”

“No, per il bambino no...” lo supplicò Tonks. “Io sono felice che ci sia, ci porterà solo cose buone...” tirò su rumorosamente con il naso. “Le mie tette, ad esempio, hanno già guadagnato qualche etto grazie a lui,” si lasciò scappare una risatina fuori luogo. “Lo so, è un'assurdità da dire in un momento come questo. Forse sono impazzita per il dolore.”

Remus alzò il viso. La sua testa ciondolò un po', come se fosse ubriaco.

“Non sei impazzita, sei tu, semplicemente tu,” la guardò finalmente negli occhi e lo fece con uno sguardo innamorato, di pura adorazione. “Sei così bella...

“Sì, come un fazzoletto pieno di moccio di Troll, dannato lupo mannaro...” borbottò lei, con un groppo in gola non più di infelicità, ma di commozione e affetto. Era contrariata dalla facilità con cui Remus l'aveva, nuovamente, conquistata. “Che ne hai fatto del ricordo?” lo pungolò per vendicarsi.

“Stai pensando ancora a lui?” si rabbuiò Remus.

“Sei sempre tu, non è come tradirti,” gli ricordò Tonks.

Lui non sembrava convinto, ma non osò dir nulla. Il suo senso di colpa le avrebbe assicurato un buon numero di facili vittorie, gongolò l'Auror.

“Allora?” lo spronò.

“L'ho dato a Harry... ho pensato che, se avrà l'occasione di guardarlo, rivedere i suoi genitori gli darà forza.”

Tonks tornò seria, non aveva riflettuto su quanto sarebbe potuto essere importante il ricordo per Harry.

“Allora l'hai trovato? E hai scoperto cosa sta combinando?”

“Harry non mi ha voluto dire niente. Ma è grazie a lui se sono qui.”

“Tutto è successo grazie a lui,” rifletté Tonks. “E' per cercare di scoprire la missione che Silente gli aveva affidato che siamo stati inghiottiti dal Pensatoio Carnivoro. La boccetta con il ricordo gli appartiene,” sospirò, si sentiva stanchissima. “Chissà come si è evoluto il ricordo, dopo che ci abbiamo pasticciato dentro.”

Remus le appoggiò una mano sulla guancia, osservandola con uno sguardo colmo di speranza.

“Harry ce lo racconterà, dopo che avremo vinto questa guerra.”

   
 
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