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Autore: jas_    27/04/2013    5 recensioni
«Ricordi il giardino di tua madre, te lo ricordi?»
Annuii, «come dimenticarselo» dissi acida, tirando su col naso.
Pierre mi asciugò una lacrima col pollice e mi accarezzò una guancia senza smettere di guardarmi.
«Tu sei come una di quelle primule che io ti ho aiutato a portare in casa quando ci siamo conosciuti, sei bellissima e hai tanto da dare se solo... Se solo riuscissi a tirare fuori il coraggio! Ti nascondi sempre dietro a questi occhi tristi, so che è difficile ma così non fai altro che renderti piccola. Io vedo cosa sei, so il tuo potenziale, sei come una primula in inverno. Fa' arrivare la primavera e sboccia, mostrando i tuoi colori veri.»
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Pierre Bouvier
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Endless love'
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Capitolo 14

 


«Lola, puoi farcela!» mi esortò Pierre dal fondo pista e cioè pochi metri sotto di me.
Osservai terrorizzata i bambini che scendevano con molta disinvoltura quella minuscola discesa e poi spostai lo sguardo sulla tavola attaccata ai miei piedi.
«Devo proprio?» domandai, tirando su col naso.
Maledetta io che mi ero lasciata abbindolare da Pierre, maledetto lui che era stato così insistente ma soprattutto, maledetta di nuovo io per non essermi vestita bene, il mio sedere ormai congelato appoggiato sulla neve fredda ne stava subendo le conseguenze così come il mio intero organismo perché eravamo fuori da nemmeno due ore e io mi ero già beccata il raffreddore.
«Dai, alzati!» gridò Pierre, «datti una spinta con le braccia!»
Presi un respiro profondo ed obbedii, senza molta fatica riuscii a mettermi in piedi ma prima che riuscissi a rendermene davvero conto, la tavola cominciò a scivolare sulla neve prendendo sempre più velocità.
«Pierre aiuto!» gridai terrorizzata, cercando tuttavia di mantenere l'equilibrio.
«Alza leggermente la tavola! Sposta il peso indietro così rallenti!» rispose lui, io lo guardai confusa, chiedendomi cosa stesse dicendo.
Non riuscivo a mettere in atto le sue istruzioni - sempre che fosse possibile farlo visto che non avevo ancora capito cosa intendesse - e intanto acquistavo sempre più velocità, e la fine della pista si faceva sempre più vicina.
«Lola rallenta! Andrai addosso a qualcuno così!» urlò Pierre, e in quel momento sentii nella sua voce un po' di preoccupazione.
«Non riesco!» ribattei io, nel panico totale.
Prima che riuscissi davvero a rendermene conto, andai addosso a qualcuno e caddi per terra, per fortuna sul morbido, ossia sul suo corpo.
«Lola mi stai schiacciando l'apparato genitale con un ginocchio, sai com'è» mormorò Pierre, con la voce strozzata.
Mi tirai leggermente su con la testa, il giusto per vedere il suo viso paonazzo a pochi centimetri dal mio, «non riesco a muovermi, ho la tavola incastrata» dissi io, senza riuscire a trattenere un sorriso per la sua espressione moribonda.
Lui mi guardò un secondo prima di darmi una spinta e farmi finire accanto a lui, con la schiena appoggiata per terra e il viso rivolto verso il cielo.
«Sei proprio impedita» aggiunse poi, guardandomi di sottecchi mentre si massaggiava molto poco educatamente le parti basse.
«Te l'ho detto io che sono negata negli sport!» gli rinfacciai, mettendomi seduta. «E per colpa tua ho preso pure il raffreddore!» aggiunsi, prima di starnutire.
«Non è colpa mia se vieni in montagna senza una tuta da sci» ribatté.
«Scusa ma non era mia intenzione sciare, sai com'è, non sono capace» dissi, stizzita.
«È uno snowboard quello che hai ai piedi» osservò Pierre, ridendo.
Gli tirai un colpo sul braccio ma lui non sembrò nemmeno sentirlo, «sei buffa» ammise poi.
Lo guardai confusa, «col naso rosso, tutta spettinata, la neve tra i capelli... Sei buffa» spiegò.
«E tu sei...» mi bloccai, lui era... Cosa?
«Bello? Sì lo so grazie, me l'hai già detto» concluse lui, con fare saccente.
«Io non l'ho mai detto!» mi difesi.
Pierre annuì, «sì invece che me lo dicevi, non facevi altro che ripeterlo, ed io ti rispondevo che anche tu eri bellissima.»
 
Socchiusi gli occhi ed osservai la fiamma nel camino muoversi lentamente, prima che il mio corpo fosse scosso dell'ennesimo starnuto.
Presi il fazzoletto che tenevo in mano e mi soffiai il naso, in quel momento qualcuno si sedette accanto a me.
«Ciao.»
Sorrisi lievemente, «ciao» risposi.
«Com'è?»
Mi strofinai un po' il naso, «come ti sembra?»
«Sembri malata, stasera non esci?»
Scossi la testa, «non credo sia una buona idea, passerò una deprimente serata chiusa in una splendida casa di montagna» spiegai.
«Se vuoi posso farti compagnia.»
Mi voltai di scatto nella direzione dalla quale era provenuta quella voce, «anzi, credo proprio che lo farò» aggiunse.
Chuck batté una mano sul divano prima di alzarsi, «allora sei in buone mani» bisbigliò, facendomi l'occhiolino.
Gli sorrisi, «non fartela scappare» dissi poi.
Lui mi guardò curioso prima di capire a cosa mi fossi riferita ed aprire la bocca senza però proferire parola, «vado a prepararmi» disse soltanto, prima di allontanarsi di lì e dare una pacca sulla spalla di Pierre quando gli passò davanti.
«Non sei obbligato a stare qua» dissi, tornando ad osservare il camino.
Sentii Pierre avvicinarsi fino a quando non si sedette accanto a me, «è colpa mia se sei malata» mi ricordò, «e poi non mi sento obbligato, io... Mi piace stare con te» concluse poi incerto.
In quel momento un caos proveniente dalle nostre spalle ci fece voltare di scatto, «noi stiamo uscendo!» esclamò David, mentre indossava un berretto di lana.
Alzai una mano in segno di saluto e guardai i ragazzi vestirsi per bene prima di salutarci ed uscire, facendo piombare la casa nel silenzio più assoluto.
Sospirai e tirai su le gambe, rannicchiandomi, continuando ad osservare la fiamma vivida davanti ai miei occhi che si muoveva quasi impercettibilmente.
Mi sentivo tesa, era Pierre che mi faceva quell'effetto, me l'aveva sempre fatto, infondo. Ci nascondevamo entrambi dietro a questa faccenda dell'amicizia ma sentivo che c'era qualcosa che non andava tra di noi, non mi sentivo spontanea - o almeno non pienamente - come se fossi legata ad una sedia ed avessi una mobilità limitata.
«Ti va una cioccolata?» chiese Pierre, interrompendo il flusso dei miei pensieri.
Mi voltai a guardarlo, i suoi occhi brillavano, sembravano così vivi a causa del riflesso delle fiamme e sentii una sensazione di improvviso calore pervadermi il corpo.
Non era amicizia quella.
Annuii lievemente, «va bene» dissi poi, facendo per alzarmi dal divano.
«No! Stai lì» mi bloccò Pierre, appoggiando una mano sulla mia gamba, «sei malata, faccio io» disse, prima di dirigersi in cucina.
Lo osservai allontanarsi, avvolto in quella tuta grigia sformata e una maglietta nera a maniche corte che metteva in mostra il suo complicato tatuaggio sul braccio sinistro.
Non sapevo ancora cosa significasse quel tatuaggio in realtà, o se ne avesse altri, però mi piaceva.
Mi piaceva la persona che Pierre era diventata in quegli anni, non che prima fosse male, ma era cresciuto, in meglio.
Si era dato una lieve calmata ma senza perdere il suo solito entusiasmo nelle cose e il suo solito senso dell'umorismo.
Senza rendermene conto, mi ritrovai a sorridere da sola al solo pensiero di alcuni episodi divertenti ai quali avevo assistito, mi resi conto che di cose ne avevamo combinate, sembrava che fossimo stati insieme una vita.
Un rumore metallico mi fece sussultare, mi alzai titubante e mi diressi in cucina dove vidi Pierre chinato per terra intento nel mettere a posto alcune pentole che erano cadute.
«Pensavo stessi facendo saltare in aria la casa» esordii, appoggiandomi col fianco destro allo stipite della porta.
Pierre si voltò di scatto, evidentemente sorpreso nel trovarmi lì.
«Non dovevi rimanere sul divano, tu?» mi riprese, alzandosi con in mano un pentolino di acciaio.
«Ho temuto seriamente per la mia incolumità fisica, scusa ma dovevo vedere cosa stavi combinando.»
Pierre annuì e si lasciò andare ad un sorriso, «hai fatto bene» mi concesse, mentre apriva il frigorifero e prendeva il latte.
Lo raggiunsi e lo osservai in silenzio mettersi all'opera, «ai fornelli non sei poi così male come ricordavo.»
«Devo rinfrescarti la memoria con quegli strepitosi pancakes che ti sei spazzata la settimana scorsa?»
Arricciai le labbra sentendomi colta in fallo e diedi un leggero colpo al braccio di Pierre, che stava mescolando la cioccolata sul fuoco.
«È un colpo basso questo» lo accusai.
Lui mi guardò per un istante e mi sorrise, «scusa» disse divertito, spegnendo il gas.
Cercai due tazze e le appoggiai sul tavolo, presi lo zucchero e due cucchiaini mentre Pierre versava la cioccolata.
«Spero per te che sia buona» lo avvertii, mentre prendevo in mano una tazza e ritornavo in salotto.
«Morirai dalla bontà.»
Mi voltai scioccata in direzione di Pierre prima di scoppiare a ridere, «sei patetico» dissi.
«È stato più forte di me.»
«Se muoio è colpa tua, lo sai?» gli rinfacciai, portandomi alle labbra il cucchiaio colmo di cioccolata.
Lui fece per ribattere ma in quel momento il mio cellulare squillò, sbuffai nel leggere il nome sul display.
«Non rispondi?» domandò Pierre curioso, bevendo un sorso di cioccolata.
«È mia madre» borbottai, cupa.
«Salutamela.»
Lanciai un'occhiata in tralice a Pierre prima di rispondere, «pronto?» borbottai.
«Ciao tesoro! Come stai?»
«Bene grazie, tu?»
«Anch'io grazie. Domani vieni a pranzo da me?»
«Non posso, sono in montagna.»
Mia madre fece uno strano verso, che stava ad indicare la sua sorpresa, «davvero? E con chi?»
Lanciai uno sguardo a Pierre che ascoltava in silenzio la mia conversazione, «sono con... Un amico» dissi incerta.
«E chi è? Will Smith? Quando me lo presenti?»
Mi irrigidii a quella proposta nonostante me la sarei dovuta aspettare, «no, ci... Siamo lasciati» buttai lì, «ora scusa ma inizia la maratona di Gilmore Girls e devo andare, ci sentiamo ciao mamma» dissi tutto d'un fiato prima di riattaccare.
«Come vanno le cose con tua mamma?» domandò Pierre, dopo un attimo di silenzio.
«Esattamente come dieci anni fa, anzi, molto peggio» ribattei stizzita, stringendo la tazza ancora colma di cioccolata tra le mani.
«Ahia, tasto dolente» mormorò lui, «scusa.»
«No figurati, è che...» sospirai, «io la odio» conclusi, dopo un attimo di silenzio, sintetizzando in sole tre parole quello che provavo nei confronti della donna che mi aveva messa al mondo.
«Cioè, non è che la odio nel senso che... La odio. Non me lo perdonerei mai se le succedesse qualcosa perché, diamine, è mia madre! Però non la sopporto, davvero. È così opprimente e invadente, cerca di mettere a posto la mia vita, di far sì che io diventi una copia di mia sorella quando non lo sono e, detto sinceramente, non lo voglio nemmeno essere. Gigì ha tutto, dei figli, un marito, un lavoro che la appaga però io non sono Gigì, non lo sono mai stata e mai lo sarò. Mia madre ha già una Gigì, perché vorrebbe averne un'altra? Che senso ha?» sbottai, sospirando pesantemente prima di lasciarmi andare sullo schienale del divano come se fossi reduce da una vera e propria fatica fisica.
«Tu sei Lola e sei molto meglio di Gigì» mormorò Pierre, sorridendomi rassicurante, «hai una marcia in più di tua sorella, l'hai sempre avuta.»
«Sì ma... Io non ho un bel lavoro, non ho un uomo, una famiglia, vivo circondata da degli scatoloni, la mia vita è uno schifo» borbottai.
«Almeno tu hai una casa» osservò Pierre, «io neanche quella.»
Sorrisi increspando a malapena le labbra, «bel tentativo per tirarmi su il morale» gli concessi, «c'è solo un lato positivo in tutta questa faccenda.»
Lui mi guardò confuso, «cioè? Me?»
Risi dandogli un colpo sulla spalla, «oltre a te, ce n'è un altro» spiegai. Rimasi in silenzio un secondo, guardando Pierre che mi guardava in attesa che parlassi.
«Mia sorella è cornuta» bisbigliai, nonostante non ce ne fosse il minimo bisogno visto che eravamo soli in quella casa.
«Stai scherzando?»
Scossi la testa e dovetti mordermi un labbro per non scoppiare a ridere, «no. Mia sorella è cornuta, Ryan la tradisce e la sua vita perfetta non è poi così perfetta.»
«Come hai fatto a scoprirlo?»
Pierre era palesemente scioccato, nonostante tutto conosceva mia sorella molto bene ed ero certa che avesse già capito com'era la situazione nella mia famiglia, non erano mai servite troppe parole tra di noi perché ci capissimo.
«È una sensazione da sorella» dissi soltanto, «non ho delle vere e proprie prove, lo so e basta.»
Pierre annuì, «e che hai intenzione di fare?»
Ci pensai su un attimo, in realtà non ci avevo ancora riflettuto sopra, «non lo so. Secondo te cosa dovrei fare?»
«Dovresti accertarti che questa sia la verità, secondo me. E poi... Poi si vedrà.»
Annuii, e mi lasciai scappare uno sbadiglio.
«Sei stanca?» chiese Pierre, stranamente premuroso.
«Un po'» ammisi, prima di essere interrotta da un inaspettato starnuto. «Forse è meglio che vada a dormire.»
Finii la cioccolata in un sorso e mi alzai dal divano, portando la tazza in cucina, quando tornai in salotto Pierre mi aspettava ai piedi delle scale.
«Che fai?»
«Ti... Ti accompagno» disse lui, incerto.
«Io... Okay» gli concessi con un sorriso nervoso prima di seguirlo su per le scale.
Quando arrivammo davanti alla porta socchiusa di camera mia un silenzio imbarazzante calò tra di noi, «allora buonanotte»  esordì lui ad un certo punto.
Annuii incerta ed istintivamente gli buttai le braccia al collo, stringendolo in un abbraccio.
«Grazie» sussurrai, col viso rivolto verso il suo collo.
Sentii un accenno di barba pizzicarmi la guancia e mi accorsi che aveva sorriso.
Mi staccai lievemente da lui senza tuttavia sciogliere quell'abbraccio, rimasi per alcuni secondi ad osservarlo sotto la lieve luce che penetrava dalla finestra del corridoio, col suo respiro caldo che mi solleticava la pelle.
«Non ho mai smesso di amarti, nemmeno per un istante» fu l'ultima cosa che sentii, prima che le labbra di Pierre incontrassero le mie.


 

-




Dopo essermi capacitata del fatto che molto probabilmente Pierre è sposato, eccomi qua con questo capitolo!
E' uno dei miei preferiti, lo ammetto. E indovinate perché? Esatto, il bacio (mi sento patetica, faccio domande e mi rispondo da sola ahahaha)
Comunque niente, spero vi sia piaciuto, e fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima,
Jas



 

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