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Autore: Ammie    27/04/2013    3 recensioni
Rebecca, una diciassettenne che vive da sola, ha paura di essere ferita dalle persone e perciò si isola dal resto del mondo. Non fa amicizia con nessuno, non vuole rischiare di essere abbandonata di nuovo.
All'improvviso però, arriva qualcuno che entra impetuosamente nella sua vita.
E che forse sarà in grado di farle cambiare idea.
La vita di due adolescenti fatta di amore, lacrime, risate e dolore raccontata con un pizzico d'ironia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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LA SCOMMESSA.
 
Capitolo due: Rebecca Bennet.
 
 
 
“È passabile, ma non così bella da sedurmi.”
Scusa Mr. Darcy, ma sei un gran bastardo. Essere solamente altezzoso non ti bastava?
Sospirando, sposto lo sguardo sulla piccola sveglia: le quattro.
Meglio uscire, non vorrei passare un’altra settimana con la febbre a trentotto a causa di una buona oretta di bagnoschiuma e Inghilterra dell’Ottocento.
Prendo l’asciugamano mentre la mia mente inizia a viaggiare per i fatti suoi, un po’ come sempre d’altronde.
Come mi sarebbe piaciuto vivere nelle contee inglesi, a sorseggiare amabilmente il thè o a occupare il tempo in qualche attività mentre i miei genitori sono impegnati a scrivere sui muri cittadini “AAA Cercasi marito per Rebecca Bennet.”
Come suona bene!
Probabilmente sarei rimasta tutto il giorno a leggere o passeggiare per le campagne, dato che non ho nessuna particolare inclinazione artistica o musicale.
E probabilmente sarei rimasta a casa a fissare il cielo annuvolarsi pian piano, pur di evitare uno di quei balli di società. Certo, una serie di attività piuttosto limitate, ma sarei stata felice.
All’epoca l’unico grande affronto che un uomo poteva recare a una donna era rifiutare un ballo in sua compagnia, altro che i giovani d’oggi.
Vado in camera da letto con una certa velocità, sperando di non aver bagnato dappertutto con i mei lunghi capelli zuppi d’acqua.
Davanti al grande specchio osservo con attenzione la ragazza riflessa: slanciata, con abbastanza curve da essere definita in un modo che personalmente ritengo volgare, ma che per i maschi della mia scuola abbia, a quanto pare, il significato di bello. Lunghi capelli castani scendono lungo la mia schiena formando ai miei piedi una pozza sempre più grande.
La frangetta, che di solito è perfetta, appare arruffata e a malapena copre i mei occhi verdi come due smeraldi.
Posso essere definita una bella ragazza, questo non posso negarlo.
Ma non solo: ho anche un cervello, e sempre più spesso la gente se ne dimentica.
Piuttosto, è meglio asciugarsi i capelli prima che diventino indomiti come una tigre. Prendo quindi l’ipod e scorro tra i mei amatissimi brani anni settanta e ottanta mentre accendo il phon.
Le parole di “Holding out for a hero” mi rimbombano nelle orecchie e mi lascio prendere dal momento, decidendo di trasformarmi in una cantante impazzita che fa mosse strane davanti al suo pubblico.
 
 
Emettendo un suono grottesco lancio per l’ennesima volta la matita dall’altra parte della stanza.
Perché esiste la matematica? I numeri sono sempre stati un mistero per me.
Va bene che ho un cervello che funziona, ma fino a un certo punto!
“Due tassi, relativi a due diversi periodi di capitalizzazione, sono equivalenti quando conducono, a parità di capitale e di tempo, a uguali montanti. Se indichiamo con i il tasso annuo e con ik il tasso relativo a un periodo di 1/k di anno, in regime composto, l’equivalenza tra i e ik è data dall’equazione: 1 + i = (1 + ik)k.
Ma mentre rileggo ad alta voce per più di mezz’ora lo stesso paragrafo, mi accorgo che sono quasi le sei e non ho ancora aperto il libro di storia.
Abbasso lo sguardo sul quaderno di matematica e mi rendo conto che è tutto inutile.
Lo chiudo con gioia, benché non sia riuscita a fare neanche uno degli esercizi, quando mi accorgo che il mio cellulare sta vibrando.
“Oh no…”
Non ne ho voglia, eppure so che prima lo faccio fuori meglio è.
Emetto un lungo sospiro, sibilo tra i denti qualche imprecazione e rispondo alla persona che in questo momento potrei definire mio arci nemico.
“Cosa c’è ancora, Daniele?”
“Piccola, lo so che-”
“Non sono la tua piccola!” urlo innervosita.
“Va bene, va bene. Puoi starmi a sentire cinque minuti?”
“No.”
“No? Come sarebbe a dire no?”
Alza la voce, si sta alterando anche lui.
“Non c’è niente da dire. Se siamo arrivati a questo punto, non è di certo colpa mia!”
“Te l’ho detto: ero ubriaco marcio e tu di certo non miglioravi la situazione!”
Vuole proprio che io lo insulti, a quanto pare.
“Ah, quindi sono la fidanzata cattiva perché non ho aperto le gambe allo schiocco delle tue dita? Interessante.”
“Rebecca…”
Ed eccolo che riparte come un disco rotto. È stato un periodo difficile per me, il capo è stato più duro del solito, bla bla bla.
Non ho più voglia di lui. Non ho più voglia di parlare, né tantomeno di ascoltarlo.
Mi ha fatto troppo male perdere una persona come lui, forse l’unica che avevo iniziato a trovare piacevole in diciassette anni di vita.
Detta così sembra peggio di Alcatraz.
“Ascolta.” dico bloccandolo.
“Daniele, mi rendo conto che se ora sto soffrendo è anche per causa mia. Non avrei dovuto mettermi con te sin dall’inizio.”
“Ma che stai dicendo?” continua.
“Non lo so, saranno state le frasi a effetto che mi facevano cadere come una stupida ai tuoi piedi. Ma credevo davvero che tu potessi capirmi. Solo ora mi rendo conto che tu, Daniele, non sei altro che un ottuso ventiduenne che non ha avuto voglia di finire gli studi e che consuma i suoi risparmi in alcol e tabacco.”
“Come diavolo mi hai chiamato?” urla dall’altro capo della linea.
“E che oltretutto puzza!”
“Scusami?” risponde stizzito.
“L’ho detto! Finalmente, non ce la facevo più!”
Sospirando, penso a quanto sia stato liberatorio ammetterlo.
“Stai scherzando, vero? Credi di potermi insultare in questo modo?”
“Non preoccuparti, Daniele. In fondo ilare il biasmo.”
“Rebecca, non ho tempo per i tuoi stupidi giochetti di parole.”
“Se avessi studiato, lo sapresti, cretinetto. Bon voyage.”
“Aspetta-”
Dopo una conversazione del genere, solo un pensiero mi vaga per la testa: sto diventando brava a insultare le persone.
Pregando qualunque divinità di qualunque religione che non mi richiami, accendo il televisore.
Rimango di stucco quando leggo sullo schermo “Domani sciopero generale dei mezzi pubblici” ed esulto a gran voce quando realizzo che il bus è un mezzo pubblico.
Devo smetterla di avere contatti con Daniele, il mio cervello lavora già in modo più lento.
Nonostante possa percorrere la strada a piedi, non mi avrebbe fatto male allontanarmi dalla barbie per un venerdì, un sabato e un’intera domenica.
Metto via il libro di storia salutando mentalmente Camillo Benso conte di Cavour e mentre il meteo annuncia pioggia per la prossima settimana, il mio stomaco dà inizio a un concerto.
Apro il frigo, ma invano.
Per fortuna esiste la consegna a domicilio. Ordino riso thai e gamberetti fritti, ma sono indecisa tra Midnight in Paris e Departures.
Dopo alcuni attimi di conflitti interiori, mi ricordo che il primo l’ho visto solo altre due volte, mentre il secondo tre.
E vada per la Parigi degli anni Venti.

 
 
 
 
 
Ho appena sfornato il secondo capitolo. Come vi sembra la storia finora?
E il mio stile di scrittura?
Aspetto recensioni, perciò non esitate!
Rebecca, come avrete notato, ha gusti particolari in fatto musica e film ed è proprio un peperino.
Spero abbiate apprezzato il capitolo!
Un saluto a chi segue la mia storia e un bacio alle cinque persone che hanno inserito “La Scommessa” tra le seguite o addirittura preferite. Grazie mille!
Vostra,
Maddie.
  
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