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Autore: Welle    27/04/2013    1 recensioni
Londra. Cittā bellissima e piena di vita. Una cittā in cui magia e mistero si fondono assieme creando una nube che cela terra e cielo. La nostra storia inizia qui, in una cittā come le altre, con una ragazza come tante... O almeno, questo č quello che saremmo portati a pensare.
Genere: Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un mattino insolitamente soleggiato per la primavera londinese: gli uccellini cinguettavano e la sveglia continuava ad emettere quel “bip” ripetitivo e snervante. Una mano candida e dalle lunghe unghie verdi afferrò il macchinario e con molta eleganza lo lasciò cadere dal comodino. Controvoglia, la ragazza scese dal letto e si guardò allo specchio: la folta chioma nera aveva perso la piega sinuosa della sera precedente, segni di trucco erano ancora visibili sul volto assonnato e gli occhi grigi erano totalmente inespressivi. Dopo una veloce doccia rigenerante, Ella -così si chiamava-, poté riacquisire sembianze umane: i capelli neri ancora umidi incorniciavano il viso limpido, illuminato dal colore dei suoi occhi.

« Ella! E' pronta la colazione!»

Questo l'urlo che sua madre le lanciò dal piano inferiore, invitandola dolcemente a bere la solita spremuta d'arancia accompagnata da due biscotti -talvolta tre se c'era tempo- al cacao.

« Arrivo!»

Urlò lei di tutta risposta. Dopo aver preparato la borsa ed aver indossato camicia, jeans e un paio di scarpe a caso, scese giù e si sedette al tavolo con sua madre e sua zia.

La madre di Ella, ovvero Agnes, era una donna rotonda, dai capelli neri e boccolosi, rigorosamente tenuti sempre legati in un'ampia coda di cavallo. Gli occhi grigi e le labbra carnose la rendevano molto simile alla figlia, sebbene quei chili in più rendessero meno immediato il paragone fra le due.

Sua zia, invece, era una donna molto alta e longilinea, aveva i capelli ramati e gli occhi castani. Viveva con loro da quando un misterioso incendio aveva carbonizzato la villa in cui viveva col suo ultraottantenne quarto marito. Il poveretto non resse lo shok, così, affranta dal dolore e schiacciata da una grandissima somma di denaro ereditato, Melanie preferì la compagnia di sua sorella a quella di un possibile quinto marito.

« Farai tardi al colloquio, Ella»

Fece notare col suo tono noioso e grave la zia. Un'alzata al cielo degli occhi della ragazza fece capire che anche quella mattina i biscotti destinati ad essere divorati sarebbero stati due.

« Tu sì che sai come tranquillizzarmi»

Ironizzò la nipote per poi buttare giù l'ultima sorsata della spremuta. Un rapido bacio alle due donne di casa e finalmente l'aria primaverile poté investire il viso della giovane.

Quel giorno doveva recarsi presso la biblioteca statale, in quanto erano in cerca di una nuova bibliotecaria. La ragazza che gestiva prima il traffico di libri si era convertita a chissà quale religione e aveva deciso di mollare tutto per andare a vivere in Mongolia. Arrivata dinnanzi l'imponente struttura tipica del periodo vittoriano, prese un bel respire ed entrò. La prima cosa che notò fu uno strano odore. Non era puzza, ma nemmeno profumo. Era un odore che conosceva bene: carta. Un sorriso vispo le affiorò sul viso e con passo fermo si diresse al bancone.

« Le serve qualcosa?»

Chiese una voce nasale.

« Sono qui per il colloquio, a dire il vero...»

Rispose lei guardandosi attorno, non capendo da dove provenisse la domanda.

« Ah, lei deve essere la signorina Noore»

Un signore di mezzetà, alto forse fino alle spalle della ragazza, sbucò da dietro al bancone di mogano. Somigliava ad una talpa, con quegli occhiali grandi e tondi, quel grosso naso rosso e quei denti da roditore. Il fatto che fosse apparso in quel modo rendeva la somiglianza ancora più evidente.

« Sì, esatto. Piacere, Ella Noore. Ci siamo sentiti via email. Lei è il signor Smith, immagino!»

L'entusiasmo della venticinquenne esplose come una bomba puzzolente davanti all'uomo-talpa che arricciò il naso.

« Esatto, sono io. Dal momento che lei è stata l'unica a rispondere all'annuncio, il posto è suo. Voglia seguirmi»

L'ometto uscì da dietro al bancone e cominciò a camminare ad una velocità notevole date le sue tozze gambe. Si destreggiava tra i primi clienti con molta leggerezza, come se quel posto potesse far svanire tutto il suo peso. Ella ammirava i numerosi libri che uscivano da ogni scaffale: copertine di mille colori rendevano l'interno dell'edificio più luminoso che mai, come se non servisse alcuna finestra a far entrare i raggi pigri del sole.

« Comincerà alle otto di mattina e finirà alle cinque dal lunedì al venerdì, il weekend siamo chiusi. Non cediamo libri a persone che non si sono iscritti e non accettiamo libri oltre il termine di scadenza senza una piccola multa: la SPSP -Signora/a, poteva svegliarsi prima!-. I libri che diamo ai clienti devono sempre essere segnati nel registro. Si ricordi di dare da mangiare a Bernoccolo verso mezzoggiorno, le scatolette sono sotto al bancone. E se se lo stesse chiedendo, sto parlando un gatto nero che ha deciso di alloggiare qui tre anni fa. Inoltre, dovrà catalogare tutto questi libri.>

Concluse il signor Smith fermandosi davanti ad una porta bianca. La aprì e un odore di chiuso si intrufolò su per le narici di Ella, che prontamente si coprì la bocca per evitare di esalare quintali di polvere. Tantissimi libri, buttati a casaccio, riempivano quella stanza.

« Tutti?»

Chiese lei abbozzando un sorriso incredulo.

« Sì, tutti. E' assunta. La paga è quella che è, non si lamenti. Io sarò in negozio dalle otto di mattina per due ore, in modo che lei possa sbrigare questa faccenda.»

Rapido e deciso, se ne andò, lasciandola lì alle prese con migliaia di libri.

Senza fare troppo la schizzinosa, si tolse la giacca di pelle e, dopo averla poggiata accanto all'entrata della stanzetta, accese la luce. Si poteva vedere la polvere volteggiare, simile a quei pattinatori su ghiaccio che non si sa come riescono a risultare leggeri nonostante la forza di gravità.

L'occhio di Ella cadde su un libro privo di titolo, dalla copertina di tela nera. Lo prese e, fatto un bel respiro polveroso, ci soffiò sopra: colpi di tosse cominciarono a risuonare nella stanzetta. Gli occhi cominciavano a lacrimarle: aveva alzato ancora più polvere di quanta non ce ne fosse già. Uscita, si sedette su una poltroncina di pelle che era proprio accanto alla porta bianca. Spinta più da curiosità che altro, lo aprì e subito capì che la sua vita non sarebbe stata più la stessa.

Le pagine erano giallastre e sottilissime: un movimento troppo brusco avrebbe sicuramente causato uno strappo. La prima pagina mostrava dei simboli strani, mentre tutte le altre erano vuote. Con aria perplessa, Ella lo richiuse e cercò sul dorso del libro un titolo o un nome, ma era privo di qualsiasi segno di riconoscimento. Con disinvoltura lo lasciò sul piccolo tavolino in legno nella oasi di poltrone, promettendosi che l'avrebbe portato al signor Smith per sapere come poterlo catalogare. Le prime due ore della mattina passarono abbastanza lente e dopo aver catalogato 86 romanzi di vecchia data, dovette chiudere lo stanzino per andare a sostituire il capo al bancone.

« Il libro»

Si ricordò prontamente. Lo afferrò e si diresse all'entrata.

« Il mio turno è finito»

Disse il tono strascicante dell'uomo.

« Lo so, ma prima volevo chiederle cosa devo fare con questo! Non so come catalogarlo... Non c'è né autore, né titolo, né casa editrice... E poi ha solo la prima pagina scritta»

Di tutta risposta, il signor Smith inarcò il sopracciglio.

« Te lo regalo. Consideralo un anticipo dello stipendio»

Prima che la giovane potesse aggiungere altro rimase da sola, alle prese col suo primo giorno di lavoro. La cosa strana era che non appena il propretario della biblioteca uscì, cominciarono ad arrivare molti clienti. Ella aveva come l'impressione che la maggior parte delle persone che frequentavano quella miniera di carta non sopportasse l'uomo-talpa e che quindi preferivano non avere a che fare con lui.

“Tempus Fugit” dicevano i latini. Il primo giorno lavorativo finì subito ed Ella così cominciò a spegnere luci, chiudere finestre e a indossare la giacca di palle. Soppesò il piccolo libro nero, pensando se fosse davvero il caso di portarselo a casa. Scrollò le spalle e lo ficcò dentro la borsa. Trovò un mazzo di chiavi dentro il registro dei clienti e supponendo fosse quello della porta principale uscì fuori e proprio come aveva previsto la serratura scattò.

« Potevi almeno avvisarmi che non tornavi per pranzo!»

Disse sua madre mentre Ella si toglieva le scarpe nell'atrio della sua piccola villetta.

« Scusa, è che ho avuto il posto e non volevo farmi beccare al cellulare da subito!»

Si giustifò la giovane, arrivando in salotto dove sua madre -stranamente- stava rammendando un paio di pantaloni e buttandosi sul divano accompagnata da un profondo sospiro. Per un attimo si lasciò cullare dalla morbida pelle del divano. La mente cominciò a svuotarsi da tutte quelle voci che quel giorno aveva sentito nella biblioteca. Una cosa, però, continuava a tormentarla: il libro nero.

« Vado su a prepararmi che tra poco devo vedermi con Bonnie»

Appena arrivata in camera sua aprì la borsa e tirò fuori l'oggetto. Era piccolo ed insignificante a prima vista, ma sapeva che qualcosa la attraeva e non riusciva a farselo uscire dai pensieri. Decisa lo aprì e accadde qualcosa di strano, veramente strano. I segni confusi che c'erano cominciarono a brillare, come se le lettere fossero infuocate e la carta stesse pian piano bruciando. Si mischiarono fino a formare una nuova parola, che Ella non conosceva: “Persefone”. La parola cominciò lentamente a diventare sempre più luminosa fino a staccarsi letteralmente dal libro. Gli occhi grigi della giovane erano impauriti. Inizialmente li richiuse e li riaprì, nella speranza che fosse solo un effetto collaterale dato dal primo giorno di lavoro. Le lettere incantate iniziarono a vorticare nell'aria attorno alla giovane, che per la paura cadde a terra sul tappeto. La velocità di queste divenne così elevata che attorno a sé Ella vedeva solo un grande fascio di luce. Poi all'improvviso, il nulla.

Gli occhi ancora sgranati mostravano paura e stupore. Nulla di ciò che era accaduto aveva una spiegazione razionale o logica. Rimase seduta a terra, respirando profondamente per un paio di minuti. Con molta cautela si alzò e prese in mano il libro. La prima pagina era vuota, mentre la seconda adesso presentava strani simboli, diversi da quelli che Ella aveva visto sulla precedente.

“Meglio se esco a farmi un giro...”

Pensò mettendo il libro nel comodino. Dopo essersi data una rinfrescata, prese le chiavi del suo fidato scooter e si diresse verso il bar “Loquum”, dove era solita incontrarsi con la sua amica Bonnie. Arrivata a destinazione decise di archiviare ciò che aveva vissuto in camera sua e di limitarsi a dire quanto l'uomo-talpa fosse fastidioso e burbero.

La sua amica era una ragazza molto eccentrica. I capelli rosso fuoco le arrivavano poco più giù delle spalle e la frangia sottolineava gli occhi vispi e verdi. La carnagione chiara e la statura minuta l'avevano sempre fatta sembrare una fata.

« Ehilà bellezza! Tutto bene?»

Chiese Bonnie abbracciando l'amica, mettendosi sulle punte per raggiungerla.

« Ciao Bonnie!»

Le due chiacchierarono per molto tempo, sedute sotto il portico del bar bevendo una CocaCola. La rossa a quanto pare aveva appena conosciuto un ragazzo di cui si era follemente innamorata, peccato che ancora non ne conoscesse il nome.

« Ci sposeremo!»

Aveva detto con espressione sognate, tipico da Bonnie.

L'orologio continuava a muovere le proprie lancette, finché non si fece ora di cena e le due si salutarono. Salita sullo scooter, la sera stava ormai già calando e il cielo assumeva sfumature rosee. Il vento scompigliava i capelli non vincolati dal casco ed Ella, stranamente, si sentiva viva, piena di forze ed energie. Una volta giunta di fronte casa, parcheggiò lo scooter, ma prima di entrare si accostò all'aiuola che, in teoria, avrebbe dovuto curare lei. I fiori che sua madre aveva piantato alcune settimane prima erano germogliati, ma stavano già appassendo. Ella si inginocchiò e come istintivamente li accarezzò. Entrò poi in casa, affamata e capace di divorare l'intera cena che sua madre le aveva preparato. Intanto, fuori, l'aiuola aveva nuovamente acquistato colore.

  
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