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Autore: Jane41258    28/04/2013    5 recensioni
Distopia, ucronia.
La bomba atomica che esplode su Hiroshima nel 1945 uccide Rin Nohara e catapulta il tredicenne Obito Uchiha nel 2454: il Giappone non esiste più, inglobato nella Repubblica Nazionalcomunista Asiatica, nazione in cui la parola "libertà" è messa al bando e i cittadini sono ridotti a burattini compiacenti, senza cervello e senz'anima.
Obito viene salvato dal dottor Uchiha Madara, un medico sovversivo che convince il ragazzo ad aiutarlo nella sua causa.
Obito vuole salvare il mondo, ma più di tutto vuole salvare Rin per cui prova un amore immenso e ossessivo. Pianifica di tornare indietro nel 1941 e consegnare al governo giapponese informazioni complete sulla bomba atomica, affinché il Giappone sviluppi la bomba prima degli Stati Uniti, vinca la guerra e prevenga il disastro di Hiroshima.
Se il piano di Obito riuscisse la Germania Nazista e i suoi alleati vincerebbero la seconda guerra mondiale e conquisterebbero il mondo.
Fic partecipante al Matrioska Multicontest di Deidaradanna, 4° classificata su 6.
Vincitrice del Premio Trama e del Premio Filo di Pensieri [penso premi i temi e i modo in cui li si affronti]
ATTEZIONE, SPOILER!
Genere: Generale, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Akatsuki, Madara Uchiha, Obito Uchiha, Rin | Coppie: Obito/Rin
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Allora vi chiederete perchè, se la fic era già pronta, vi ho fatto aspettare tutto questo tempo.

Primo, non mi rendo conto del tempo che passa; due, ero bloccata dal giudizio negativissimo nella grammatica ed ero convinta di dover compiere un lavoro di revisione totale che non avevo mai voglia di fare. Poi ieri notte ho dovuto passare la notte in ospedale per assistere mia cugina (ora è a casa e sta relativamente bene) e avevo davvero tanto tempo così mi sono messa davanti a questo benedetto capitolo. Alla fine l'ho riletto e basta :rotfl: quindi non solo è in ritardo ma è ancora pieno di errori :asd:
Perdonatemi XD e se potete segnalatemeli, voglio sbattere a calci in culo errori grammaticali fuori da questa storia.
Ah se lo avessi scritto recentemente lo avrei imbottito di MadaHashi ♥ .
Il titolo del cap è ispirato a Brave New World di  Huxley, ma non c'entra nulla direttamente con quel romanzo, lo scopo è fare disincantata ironia sul mondo nel finale.
Mi hanno detto che dovrebbe essere ispirato da 1984 e mi fa molto onore questo fatto, ma in realtà non lo è perchè non ho ancora letto il libro. E' soltanto dello stesso genere, la distopia, che considero interessantissima in quanto antimodello.  

Anyway già soitamente sento la scrittura come forma di comunicazione, ma su questa storia sento un legame coi lettori più intenso (come è successo per Vivi per i Vivi), quindi vi auguro proprio sinceramente

            BUONA LETTURA!!

e ringrazio sentitamente chiunque abbia recensito o seguito o letto (a pari merito *_*, mi piacerebbe ricevere opinioni in merito ma già mi sento lusingata molto che la storia venga letta). Grazie a tutti quindi.



Brave New World



“E così gli ho detto “Ehi bella fai nuotare il mio pesce nella tua piscina?”, allora questa stronzetta fa “Oh come ti permetti, sei così lontano stai lontano da me!” e io ecco che mi calo i pantaloni e lei fa “Oh scusa potevi subito dire che era uno squalo e non un pesce normale!” E subito cambia idea e me la da ahahah! Ce l’aveva larghissima, chissà quanti pesci c’avevano nuotato lì dentro!”
Kisame alzò la bottiglia piena d’acqua e diede una pacca sulla spalla di Obito, cercando la sua complicità. Obito si rese conto che Tobi avrebbe dovuto spanciarsi dalle risate, ma se ne fregò e lanciò a Kisame una lunga occhiata fredda: trovava il racconto estremamente sgradevole, se qualcuno avesse osato fare qualcosa del genere con Rin lo avrebbe castrato e impiccato. La sfrontatezza sessuale, la mercificazione di sentimenti erano tra le cose che lo atterrivano maggiormente di quegli anni privi di luce in cui era capitato.
Obito ormai aveva diciannove anni, un corpo vigoroso e i capelli lunghi fino alla base del sedere ma non ancora avuto alcuna relazione né sentimentale, né sessuale, né fissa, né occasionale: in tutti quegli anni si era mantenuto senza sforzo fedele a Rin. L’unico accenno di ambiguità l’aveva avuto con Deidara, morto in un esplosione accidentale l’anno prima, durante una prova di volo spaziale.
Ma Obito non c’aveva mai creduto all’incidente, poiché Deidara prima di salire sulla navetta che sarebbe esplosa gli aveva detto: “Questo mondo è così poco artistico, bisogna proprio che qualcuno dia una dimostrazione imponente di sia la vera Arte e sono onorato di farlo io stesso. Meglio un attimo di infinita vita che una vita intera di morte. Scusa Tobi.” poi l’aveva baciato sulle labbra ed era corso raggiante di aspettativa alla navetta che pochi istanti dopo sarebbe esplosa in un’indimenticabile palla di fuoco.
Obito non aveva saputo come sentirsi, non gli importava niente di quel mondo perché tanto l’avrebbe cambiato completamente. Infatti non aveva versato una lacrima, ma aveva sentito le labbra di Deidara sulle proprie per settimane, per mesi aveva sentito una fitta alla gola a causa delle lacrime trattenute e aveva ragginto riguardo il mondo esterno un tale livello di apatia da fregarsene anche della maschera stessa e buttarla via con gran sollievo. Da quando Deidara si era suicidato -perché si era suicidato, ma siccome in quella cazzo di Repubblica non era manco permesso morire in santa pace, aveva dovuto inscenare un incidente- Obito aveva iniziato a comportarsi in maniera fredda e arrogante, così come gli veniva ormai naturale.
Kisame aveva interpretato quel cambiamento come una reazione emotiva alla morte del loro amico e non gli aveva dato troppa importanza.
Erano sempre stati sempre e solo loro tre, lui, Kisame e Deidara e ora erano solo lui e Kisame.
E a breve sarebbe stato solo Kisame, perché lui stava finalmente per sloggiare. Tra due giorni ci sarebbe stata un’esercitazione pratica di viaggio nel tempo, la prima senza la destinazione già programmata sul sistema operativo della navetta, e Obito avrebbe provato a tornare indietro.
Salutò Kisame come niente fosse e tornò per l’ultima volta a casa sua, anzi di Madara.
“Buonasera Obito” Madara lo salutò senza staccare gli occhi dal suo computer portatile “Stasera ceniamo insieme”
Obito trovò divertente l’idea che Madara si fosse affezionato un po’ a lui e volesse salutarlo, ma poco dopo l’uomo aggiunse “Devo ragguagliarti sugli ultimi dettagli e verificare che tu sia pronto”
“Va bene” farfugliò il ragazzo seguendolo in salone.
Madara l’aveva già informato nel dettaglio su come trovare Vladimir Kutnetsov, avrebbe dovuto sparargli alla testa mentre da bambino cantava per una manifestazione di Natale. gli aveva comunicato con precisione coordinate spazio-temporali e l’aveva allenato a uccidere senza pietà.
“Ripetimi la tua meta” disse ancora l’uomo senza alzare lo sguardo
“55° 45' 3.484''-N 37° 34' 17.200''-E, 5 gennaio 2049 ore 10.30 locali.”
Madara lo fissò per qualche secondo, indecifrabile mentre Obito si aspettava che succedesse qualcosa, una simulazione improvvisa, una domanda a trabocchetto, un richiamo. Non successe nulla. Gli androidi Zetsu portarono la cena a tavola sorridendo come al solito: a quanto pareva l’ultima cena non era composta da niente di più dei soliti biscotti energetici, acqua e sintetico succo d’arancia.
 Madara cenò senza degnarlo di uno sguardo, nel silenzio più assoluto.
Quando ebbe finito, il ragazzo si alzò da tavola senza permesso e si diresse verso uno degli cerchi per il teletrasporto, guardando con la coda dell’occhio cosa stesse facendo l’altro. Vide che l’uomo si era alzato e lo stava fissando, in piedi, con le braccia incrociate e il volto impassibile.
Obito si fermò e senza voltarsi chiese: “Perché hai aspettato che arrivassi io per mettere in atto il tuo piano?”
“Mi serviva qualcuno che non avesse subito condizionamento mentale, né che avesse un Angelo Custode” spiegò Madara tranquillo.
“E non avresti potuto prendere un bambino a caso e modificare l’Angelo Custode?”
“Mi avrebbero beccato non appena avessi messo una mano su questo potenziale bambino”
“E se non fossi arrivato io che avresti fatto?” Obito si voltò a guardarlo negli occhi.
“Ci avrei provato io stesso prima o poi”
“No, non ci avresti provato, anche tu sei troppo succube della cultura di quest’epoca” affermò il più giovane dei due, serio.
Madara non rispose e continuò a guardarlo con ostentata indifferenza.
L’altro tranquillamente si rigirò e raggiunse il cerchio.
“Ah un ultima cosa... chi ti ha modificato l’Angelo Custode?”
Madara ghignò beffardo.
“Cos’è hai voglia di chiacchierare stasera?”
Obito sussultò impercettibilmente, come se fosse stato punto da qualcosa. Era vero che stava parlando troppo; bastò un istante di riflessione per rendersi conto che stava temporeggiando senza nessuna giustificazione. Perché lo stava facendo? Non lo sapeva anzi forse sì, ma non poteva assolutamente permettersi di vacillare. Il silenzio caduto improvvisamente tra loro divenne troppo pesante così il giovane riprese a parlare con un volume appena più alto e una venatura di frustrazione.
“Stai evadendo una domanda con un’altra domanda, sei un ragazzino”
“Tu sei un ragazzino, Obito, un ragazzino che si sta perdendo in chiacchiere”
“No, è solo che prima di andarmene per sempre voglio togliermi ogni curiosità”
Madara sospirò e il ragazzo notò forse per la prima volta una profonda stanchezza sul suo viso.
“E’ stato mio fratello Izuna, ha modificato il suo e il mio Angelo Custode… prima che capissero cosa stesse succedendo si auto-infettò con l’ebola per distrarli e morire in maniera accidentale, insomma. La colpa fu data all’attacco chimico che fu scagliato dagli Stati Uniti d’Occidente in quel periodo. Sei soddisfatto?”
Raramente Obito aveva visto Madara con un’espressione tanto dura, non trasmetteva alcuna emozione particolare, solo gelo.
Restò a fissarlo per qualche secondo e Madara si sciolse nell’ennesimo sogghigno beffardo “Addio Obito-kun”
“Addio” Obito rivolse un’ultima occhiata torbida a Madara, poi ad alta voce enunciò “Stanza A2”
Preparò il solito zaino e scelse la tenuta più futuristica che aveva, doveva colpire forte l’attenzione dei giapponesi nel 1942 per farsi rintracciare dai piani alti, poi si mise a letto. Non riuscì a dormire per molto, si alzò alle cinque del mattino e restò a fissare il buio fino alle otto, dopodiché indossò la divisa scolastica, legandosi all’interno coscia la divisa e qualche arma e riempendo le tasche di biscotti energetici.
Si guardò intorno per l’ultima volta, strinse l’avambraccio di Zetsu pronunciando un insicuro “Ciao”, accarezzò la scrivania e se ne andò.
Mentre aspettava la fila per l’esercitazione guardò i suoi compagni di corso e si sentì come tra lori ci fosse un vetro. Li contò uno per uno ed ebbe la sensazione che ci mancasse qualcuno, qualcuno a parte Deidara, ma non riuscì a scavare oltre nel proprio presentimento. Appena prima di salire sulla navetta si girò verso Kisame, gli strinse una spalla “Questo è un mondo di bugie” disse e…
“Uchiha-kun, cosa sono tutti quei biscotti?” chiese severa Anko-sensei.
“Sa, nel caso rimango bloccato eheh e mi viene fame?” rispose Obito grattandosi la nuca indossando per l’ultima volta la maschera di Tobi “lo sa che per come sono io può succedere ehehe, ah e...”
“Sbrigati” tagliò corto l’insegnante con un sospiro esasperato.
Obito salì sulla navetta.
Si guardò brevemente intorno per orientarsi, indossò gli occhiali per schermare gli occhi e, aveva le mani sudate, scrisse velocemente sul touchscreen la sua meta.
Sentì il solito rumore di accensione, come di un secchio d’acqua che versato a terra, gli mancò il respiro e ebbe un senso acutissimo di nausea, tanto che se non fosse stato assicurato allo schienale si sarebbe piegato in avanti e avrebbe vomitato l’anima. Chiuse gli occhi, come da procedura e quando li riaprì si trovava in un campo agricolo, sotto un cielo vero.
Obito aprì il tetto della navetta e respirò aria vera, guardando il celeste intenso del cielo di Hiroshima.
Non provò niente di particolare, era stato rigidamente addestrato a scacciare ogni distrazione quando aveva una missione da svolgere. Iniziò a camminare verso la città con l’intenzione di dirigersi alla stazione treni e raggiungere Tokyo, dove avrebbe diffuso tutto ciò che aveva.
Guardando il mondo attorno a sé non si sentì a casa ma provò un forte senso di estraneità, come se non avesse mai visto la città in cui era cresciuto. Incrociò la sua maestra delle elementari che lo guardò come fosse un alieno e doveva sembrarlo con quella strana divisa scolastica. Transitò l’incrocio che conduceva alla casa di Kakashi e fu quasi tentavo di imboccare quella via, fu quasi tentato di andare da Kakashi e abbracciarlo, poi andare da Rin e baciarla dieci, cento volte sulla bocca. Il cuore iniziò a battergli forte, ma distolse lo sguardo e affrettò il passo, ingoiando un boccone che sentì amarissimo sul fondo della bocca.
Raggiunse la stazione: era affollatissima, caotica, l’aria quasi mancava tante erano le bocche che l’aspiravano. Il rumore del treno, il puzzo della sporcizia, il fumo, le voci aggredirono Obito e lo lasciarono stordito, camminava tra la folla cercando di non riconoscere nessuno, di non farsi riconoscere, camminò come se fosse intangibile e invisibile. Riuscì a comprare il biglietto e notò che l’operatore lo guardava come fosse un fenomeno da baraccone, d’altra parte Obito trovò il suo accento sgradevole. Salì, quasi a spallate su un vagone di un treno per Tokyo, un vagone dove non c’erano sedili, solo un marcio pavimento il legno e pareti che secondo Obito avrebbero potuto trasmettere il vaiolo.
Il viaggio durò cinque ore e quando Obito scese da treno, sotto il cielo plumbeo di Tokyo si sentì anche peggio.
Quel cielo così scuro era reale ma non altrettanto bello e perfetto di quello illusorio che aveva fissato negli ultimi sei anni.
Aveva progettato di rivelare tutto a tutti, ma non riusciva a trovare nessuno adatto, nessuno degno, per accogliere quelle informazioni, gli sembravano come formiche, stupidi e anonimi. Infine dopo quasi un’ora di vagabondaggio, notò una caserma della polizia imperiale: ottimo! In caso estremo avrebbe vuotato il sacco con loro.
Non era più abituato a camminare così tanto, gli facevano male le gambe e l’aria gli sembrava sporca, inquinata.
Camminò ancora un po’ fino a una locanda ma non vi entrò bensì s’infilò nello spazio angusto e maleodorante che divideva con un alto palazzo che scoppiava di famiglie e lì si cambiò indossando la tenuta, ultima moda 2454.
Infilò anche un paio di anelli bellici e uscì allo scoperto, urlando e allargando le braccia come per attirare l’attenzione.
“L’AMERICA STA SVILUPPANDO UNA BOMBA ATOMICA CON CUI DISTRUGGERA’ IL GIAPPONE!” scelse parole ad effetto per attirare l’attenzione e cavolo se non ci riuscì “SIAMO IN PERICOLO! SIAMO IN PERICOLO!”
La gente gli si strinse intorno, correndo da lontano, mantenendo al contempo una certa distanza da quel ragazzo che quasi non sembrava umano.
“Lei come fa a saperlo?” chiese un signore basso e tarchiato, uno dei pochi che non era impallidito, anzi appariva tanto calmo da sembrare quasi scettico.
“Signore, io vengo dal futuro”
A quell’affermazione assurda si scatenò un vociare assordante, quasi copriva le urla di Obito.
“Non ho tempo da perdere” sbottò un domestico con le braccia stracolme di borse di carne e frutta, andandosene. Però oltre lui ben pochi se ne andarono, alcuni iniziarono a fare le domande più disparate, urlando tutti contemporaneamente tanto che Obito non ne colse nemmeno una; la maggior parte prese a gridare insulti come “Pazzo!” o “Idiota!” senza tuttavia muoversi da lì, come in attesa di altre informazioni su quell’argomento che, non volevano ammetterlo, terrorizzava le loro notti semi-insonni.
Qualcuno fendette la folla.
“Mi dispiace ragazzo, ma devi venire con noi”
Obito si lasciò portare via, a fatica perché la sua platea non voleva lasciarlo andare, verso la caserma che aveva adocchiato a una ventina di metri. Quei poliziotti premevano le loro dita rozze sulle braccia del ragazzo trascinandolo tanto bruscamente che nemmeno riusciva a camminare normalmente. Avrebbe potuto ucciderli in un attimo spargendo le loro membra per tutta la piazza ma si trattenne perché quei bifolchi sarebbero potuti essere la via per i piani alti. Facendogli sbattere i talloni contro le scalette lo portarono dentro l’ufficio del sovrintendente, lo spinsero con violenza su una sedia di ferro e gli ammanettarono i polsi dietro la schiena e le caviglie alle gambe della sedia stessa, al ragazzo bastò un’occhiata per confermare che la sedia era imbullonata al pavimento.
“Questo teppista stava creando disordini tra la folla affermando insensatezze” disse uno degli agenti profondendosi intanto in un adulante inchino.
“Qual è il tuo problema, ragazzo?” chiese il sovrintendente poggiando il suo mento grasso sulle mani.
“Vengo dal futuro...”
I poliziotti iniziarono a ridere e persino il loro capo dietro la scrivania si tradì con un sorrisetto ironico.
“Il 6 agosto 1945 un aereo statunitense sgancerà una bomba atomica su Hiroshima e la raderà al suolo”
I poliziotti smisero immediatamente di ridere e l’uomo che lo stava interrogando si alzò, ora seccato.
“Cos’è questa bomba atomica?” chiese, torturandosi nervosamente i baffi, Obito lo guardò negli occhi tradendo l’impazienza con un sospiro e rispose “Una nuova arma che al momento già stanno costruendo, la cui energia distruttiva è scatenata dalla reazione a catena incontrollata di una fissione nucleare. Quando cadrà su Hiroshima ucciderà sul colpo almeno settantamila persone”
“E tu come fai a saperlo?” chiese uno degli agenti palesando una vena isterica nella sua voce.
“Perché vengo dal futuro” rispose semplicemente Uchiha.
Un altro degli uomini nella stanza estrasse una pistola Nambu 8mm premendo forte la bocca di fuoco sulla tempia del ragazzo “Basta giochetti! Chi cazzo sei tu?”
Obito lo guardò impassibile e rispose: “Non è importante chi io sia, anzi in questo momento tutto ciò che sono è Nessuno, chiamatemi così se volete perché adesso io non dovrei esistere”
“Smettila di prenderci per il culo” sbottò un altro e con il calcio della pistola gli colpì la testa.
“Va bene, potete chiamarmi...” Obito sputò il primo nome che gli era venuto in mente “Uchiha Madara”
“Allora Madara, riiniziamo daccapo”
“L’11 ottobre 1929 Albert Einstein scrisse una lettera al presidente Roosevelt sollecitandolo a sviluppare un armamento atomico per prevenire un potenziale uso del arma di distruzione di massa che Hit1er stava mettendo a punto. Pochi mesi dopo negli Stati Uniti nasce i progetto Manhattan, nel 1941 quando voi genii avete attaccato Pearl Harbour già diversi progetti erano in corso sulla fissione dell’uranio 238 e sulla produzione di pile e esplosioni nucleari. La direzione scientifica è stata appena affidata a Robert Oppenheimer e quella militare al generale Leslie Groves e quest’estate in California ci sarà un meeting con i più grandi...”
“Fermatelo, fermatelo” farfugiò il sovrintendente baffuto agitando una mano “Senti, Uchiha Madara, non so ci tu sia o come faccia a sapere queste cose ma se quello che dici non è vero ti impiccherò nella piazza centrale di Tokyo e andrò a cercare la tua famiglia per far fare loro la stessa fine. Portatelo via”
Gli agenti liberarono le sue caviglie e lo trascinarono attraverso una porticina in un corridoio quasi del tutto privo di luce e poi in una cella, lo gettarono sul pavimento senza alcun riguardo e sbatterono a porta, stizziti. Là dentro non c’era nulla, nemmeno un tavolaccio di legno o una finestra, pavimento e pareti erano dello stesso colore, un grigio tanto scuro da tendere al nero: probabilmente lì dentro c’era più sporcizia che in tutta la Repubblica Nazionalcomunista Asiatica. Obito restò in piedi con le braccia incrociate per ore, aspettando pazientemente che lo venissero a prendere e infatti, com’era ampiamente prevedibile, qualcuno, verso sera, ficcò una chiave di ferro nella serratura piena di ruggine e aprì la porta. In meno di un istante Obito fu afferrato, gli furono avvolte catene attorno al corpo e un sacco nero fu infilato violentemente sulla sua testa.
“Qualcuno ha creduto alle tue malate fantasie” gli sussurrò uno nell’orecchio e venne trascinato ancora, per l’ennesima volta, per una cinquantina di metri. Percorsero tutto il corridoio, girarono a destra, poi a sinistra e poi di nuovo a destra, entrarono in una stanza e nuovamente il ragazzo fu spinto a sedere e incatenato su una sedia fissata al pavimento. Il cappuccio gli fu tolto e si ritrovò davanti, seduto dal’altra parte del tavolo di ferro, un uomo biondo, dagli occhi azzurri e il viso dolce.  Dalla divisa e dal ciondolo a forma di croce celtica Obito dedusse che quell’uomo era tedesco.
Il ragazzo esitò, davanti alla natura occidentale del suo interlocutore, ma in un attimo realizzò che avrebbe parlato anche con il diavolo in persona se il diavolo avesse avuto interesse nel distruggere gli Stati Uniti.
“Sono il colonnello Mendel Neomann” si presentò sorridendo, “lei è Margareta Braun e prenderà un po’ di appunti.           Ti dispiace? Mi hanno detto che hai qualcosa di interessante da dire. Come e ti chiami?”
“Mi chiamo Uchiha Madara e vengo dal futuro”
“Interessante.’’
Neomann non mostrò reazioni particolari alla rivelazione, appariva tranquillo e rassicurante.
 E in questo futuro hai scoperto qualcosa che vorresti dirci?”
“Hitler sta mettendo a appunto un’arma di distruzione di massa, vero?”
Il colonnello non si scompose, si limitò a non rispondere, scrutando il ragazzo con i suoi occhi di ghiaccio e dopo qualche secondo sorrise.
“Bene, lo stesso stanno facendo gli americani e stanno molto più avanti di voi. Posso dirvi come procedono, posso dirvi esattamente come questa bomba sia costruita e come farla funzionare prima che lo facciano loro e… posso anche rivelarvi tutto quello che so sui viaggi nel tempo”
“Bene... voi, voi lì, portateci da mangiare qualcosa di decente e slegatelo, bene, Madara-kun, veniamo a noi, sono tutto orecchie.”
                                                                                ***
“Obito-kun? Obito-kun, per favore cerca di aprire gli occhi.”
Confuso, Obito sbatté le palpebre e una luce forte lo accecò e sentì una voce femminile, dolcissima in sottofondo. Mise a fuoco la realtà intorno a lui. Era sdraiato a terra, con la testa su qualcosa di morbido... erano le gambe di Rin, sì erano le gambe di Rin. La ragazza era china su di lui, con l’espressione preoccupata, gli occhi spalancati e la lingua stretta tra i denti.
“Rin...”
Pronunciò il nome di lei senza rendersi veramente conto di ciò che stava succedendo.
“Che cosa...?”
Guardò di lato, un mazzo di fiori era abbandonato a terra, a circa un metro da lui... doveva essere a Hiroshima...
All’improvviso ricordò ogni cosa, la bomba maledetta, il 2454, tutti quegli anni senza di lei, Madara e la sua missione, il ritorno nel 1942, Mendel Neomann e i suoi occhi di ghiaccio…
Quando Rin preoccupata gli tastò le guance, Obito sentì esplodere qualcosa dentro: la consapevolezza che finalmente era a casa sua, che Rin era viva e nuovo con lui lo travolse come una cascata e allagò la sua mente.
Gli era mancata tanto che ora non gli sembrava vero poter sentire di nuovo il tocco delle sue mani e quel sorriso su cui era rimasto a tormentarsi per anni.
Si mise seduto di scatto, posandole una mano sul viso per sentire concretamente la sua presenza.
Ed era a casa, era a casa, nella sua Hiroshima, nel 1945, sotto il suo cielo e sotto la mano sinistra aveva la sua terra, la sua vera terra.
Si lasciò andare ad un urlo liberatorio, puntando gli occhi sul sole caldo e benevolo, ma spaventò Rin che gli si avvicinò con un enfatico “Stai bene?”
“Che ore sono?” chiese, il suo cuore batteva tanto forte da assordarlo mentre il timore di rivivere la bomba lo assalì.
Sentì la sua voce suonare infantile, era in tutto e per tutto l’Obito tredicenne che il sei agosto stava chiacchierando con la sua amata Rin, in tutto e per tutto tranne sei anni di ricordi nella sua testa che tecnicamente non aveva mai vissuto. Era riuscito a cambiare...?
“Non lo so... saranno le otto e mezzo” rispose lei “Senti Obito-kun, hai la febbre altissima, dobbiamo subito andare a casa, la mia è più vicina e...”
Obito non la lasciò terminare e le scoccò un bacio sulle labbra, premendo forte. Per troppo tempo aveva aspettavo il momento di rivederla e troppo aveva sofferto la sua morte per avere paura di ciò che sarebbe potuto succedere, aveva imparato che rimandare solo di secondo qualcosa di importante poteva significare perdere l’occasione per sempre.
Fece schioccare le labbra due tre volte su quella di lei, prima che la ragazza si allontanasse di pochissimo, mantenendo la propria fronte su quella del ragazzo.
“La febbre deve averti confuso” bisbigliò, ma erano entrambi ad avere le guance rossissime e lei aggiunse “Hai la fronte caldissima, andiamo...”
“Ti amo” la interruppe lui senza la minima esitazione, la baciò di nuovo e sentì Rin trattenere il respiro, giustamente sconvolta.
Obito spezzò il bacio e le chiese “Come stai Rin? Sconvolta?”
“Un po’, ma sto bene, sto benissimo, tu come stai Obito-kun?”
“Mai stato meglio” rispose lui e la baciò ancora.
                                                                       ***
Obito sorrise radioso, prima guardando Kakashi e poi Rin, strinse una mano della moglie tra le sue  e la portò alle labbra per baciare dolcemente la pelle del dorso.
“Di quanti mesi è?” chiese Kakashi sorridendo da dietro il suo inseparabile libro porno.
“Due” rispose Rin radiosa, guardando Obito negli occhi, sembrava quasi senza fiato per quanto era felice.
“Kakashi-ji, oji!” una bambina dai capelli castani e gli occhi neri raggiunse i tre adulti e si caracollò sul divano, arrampicandosi sulle gambe di Kakashi.
Obito e Rin erano sposati da dieci anni e vivevano in un attico lussuosissimo al centro di Kyoto, avevano una bellissima bambina di nome Tsukiyoko Uchiha e Rin aspettava un altro bambino, il cui sesso era ignoto, ma maschio o femmina che fosse la creatura, Obito e Rin erano comunque al settimo cielo.
Certo, Obito doveva prendere tutte le mattine alle sei un aereo privato per la regione dell’Hokkaido dove si trovava il centro di ricerca del progetto Kamui. Stava lavorando sulla fusione di atomo di elio, sulla costruzione di una nuova bomba studiandone le eventuali deformazioni sullo spazio-tempo.
“Kakashi-ji, Kakashi-ji, Sakura-neechan mi ha detto che Sasuke-niichan è stato arrestato dalla Tokko, è vero?”
La Tokko, la Polizia Superiore Speciale, si occupava di eliminare tutti quelle disarmonie che potevano turbare la società, come dissidenti politici, comunisti, socialisti, occidentali, gay e lesbiche, handicappati e tutte quelle persone indicate come anormali dagli dei: pazzi, vagabondi e gruppi religiosi che in qualche modo minacciavano l’autorità dell’Imperatore.
Obito guardò Kakashi appena interessato, Sasuke non gli era mai stato davvero simpatico, l’aveva sempre giudicato un poppante privo di intelligenza costantemente appeso alle caviglie del fratello maggiore Itachi e in fondo era solo un cugino di secondo grado. Ma Rin posò la mano sull’avambraccio di Hatake e si fece più avanti. Si era presa a cuore ogni membro della famiglia del marito.
Kakashi era un ufficiale della Tokko, quindi se c’era qualcuno che fosse informato, quello era lui.
“Si mi dispiace tanto per Sasuke, ma perfino io non posso fare niente per lui, l’ha fatta troppo grossa stavolta. Abbiamo scoperto che stava nascondendo in soffitta un ragazzo ibrido di nome Naruto Uzumaki. Uzumaki è di madre giapponese ma suo padre è occidentale, Sasuke si è messo in guai grossi proteggendolo, può essere accusato di fraternizzare con quelle bestie. Inoltre, quello che è più grave è Sasuke intratteneva con questo Naruto... avete capito, no? Non voglio scendere nei dettagli davanti a Tsukiyoko.”
Rin si portò le mani alla bocca scandalizzata.
“Sembrava un ragazzo così sano...”
“Quell’Uzumaki verrà deportato in Vietnam dove la Tokko gestisce dei recinti appositi per gli ibridi come lui, mentre Sasuke temo dovrà passare per tempo nel Centro per la Cura dei Disturbi della Condotta Sessuale a Osaka” continuò Kakashi, nascondendo un forte dispiacere dietro una maschera di freddezza.
Obito sapeva che nessuno passava “del tempo” nei centri di cura per l’omosessualità e ne usciva eterosessuale, anzi nessuno ne usciva vivo.
Se tutti sapevano e approvavano che i lager in Indonesia erano costruiti apposta per sopprimere gli occidentali in massa, per i Centri per la Cura dei Disturbi della Condotta Sessuale la faccenda era più complicata, perché in fondo si trattava sempre di giapponesi, sudditi dell’Imperatore, quindi era spiacevole pensare che lì dentro gli esseri umani venivano usati da cavie di laboratorio, uccisi o portati alla pazzia per i puro divertimento delle guardie; quindi s’era preferito credere che lì dentro i gay venissero curati e, una volta guariti, fossero liberi di uscire. Nessuno aveva osato porre domande sul perché i propri cari non tornavano più, bastava che ogni tanto apparisse in TV qualche attore a raccontare le meraviglie della guarigione dall’omosessualità.
Obito non aveva più trovato la navetta, Madara gli aveva mentito quando gli aveva detto che la navetta sarebbe rimasta a sua disposizione dopo aver cambiato il temo. Beh, pensò Uchiha stringendosi nelle spalle mentre perdeva il filo del discorso pro-lager in cui erano impegnati Rin e Kakashi, Madara gli aveva mentito e lui lo aveva tradito, erano pari.
Sicuramente non solo aveva salvato Rin, aveva ribaltato veramente le sorti del mondo. Germania e Giappone avevano sviluppato l’atomica prima della fine del ‘43 e avevano bombardato New York, Washington e Londra, vincendo la seconda guerra mondiale.
Le Potenze dell’Asse avevano espanso i loro confini a dismisura, la Germania aveva preso la Russia e l’intera Europa, eccezion fatta per la Spagna e l’Italia, quest’ultima aveva conquistato tutta l’Africa, arricchendosi a dismisura con le risorse del sottosuolo africano e rifondando ufficialmente l’Impero Romano e il Giappone aveva annesso Cina e aveva colonizzato sud est asiatico, Hawaii e Australia.
Con il mondo in mano, il patto d’acciaio si sciolse, perché i progetti nazisti di imporre la razza superiore ariana come unica razza umana sulla Terra si erano duramente scontrati con i progetti dell’Imperatore nipponico di imporre la razza superiore asiatica come unica razza sulla Terra.
Gran parte del mondo era tiranneggiato da regimi autocratici di estrema destra, che sopprimevano chiunque fosse diverso in qualsiasi cosa, razza, religione, orientamento sessuale o politico e a nessuno era permesso provare a salire la scala della vita, le classi sociali erano divise da muri invalicabili.
In Giappone, dopo che la Germania e l’Italia avevano stretto un nuovo Patto e dichiarato guerra all’impero nipponico, si era scatenata la caccia all’occidentale e di occidentali ce n’erano parecchi dall’inizio della seconda guerra mondiale.
Obito non pensava che questo mondo era molto meglio di quello che aveva lasciato nel 2454, anzi pensava che fosse esattamente lo stesso, le dittature di estrema destra e di estrema sinistra si somigliavano in maniera sorprendente, tanto che l’uomo non riusciva a coglierne le differenze. L’unica cosa che Obito riteneva di aver combinato era affrettare i tempi della fine del libero pensiero.
Si chiese se dovesse fare qualcosa per tentare di nuovo di salvare il mondo, magari azzardare una reazione nucleare in laboratorio e tentando di infilarsi in uno strappo spaziotemporale magari tornare indietro a cambiare ancora le cose, ma si rispose che no, non doveva fare nulla. Rin era viva, felice e al suo fianco e di tutto il resto a Obito non gli importava nulla.
Forse non aveva mai voluto veramente salvare il mondo.
   
 
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