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Autore: delilaah    28/04/2013    9 recensioni
Dietro ad un nome si possono nascondere molte cose: un viso, un carattere, un lavoro, un'anima. In questa storia tutto ruota intorno ad un nome elegante e aggraziato ed alla ragazza che porta quel nome. Ma in fin dei conti si può mentire su tutto, non trovate? Soprattutto quando quel nome nasconde dei segreti che non possono essere raccontati.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1. Isaac

 



“Tu vuoi una rivelazione, vuoi fare la cosa giusta, ma è una conversazione
che non posso affrontare questa sera. Vuoi una rivelazione, un
qualche tipo di risoluzione. Dimmi cosa vuoi che dica.”
(Florence & The Machine)

 





Non appena sentì lo scricchiolio della chiave che girava nella toppa, Ginevra si voltò e posò prima lo sguardo sulla maniglia della porta e poi su di Louis.
Si era limitata a fissare insistentemente il suo libro di fisiologia per due ore abbondanti, non volendo incappare in un’altra figuraccia come quella della sera precedente. Notare che Lydia stava finalmente rientrando la fece tranquillizzare, nella speranza che lei fosse in grado di gestire un più che mai adirato Louis Tomlinson.
Lydia chiuse la porta, sorridente, per poi incontrare lo sguardo dell’amica. Questa, a sua volta, le fece notare la sagoma poco lontana che sedeva sul letto e teneva lo sguardo fisso sulle mattonelle del pavimento e le braccia conserte.

«Mi dispiace...» bisbigliò visibilmente sconfortata, «Ho provato a parlargli ma lui ha voluto sedersi lì ed aspettarti, e poi non ha più aperto bocca. Volevo anche fare due chiacchiere, sai, per allentare la tensione, ma in questo momento parlare con lui è come parlare ad-»

«Un muro.» esordì Lydia, terminando la frase inconsciamente, «Grazie lo stesso, non avresti dovuto farlo rimanere. Adesso ci penso io, non preoccuparti.»

Ginevra annuì prima di avvicinarsi all’attaccapanni per indossare la sua giacca e imbracciare la borsa. Infatti, dopo aver raccattato cinque sterline di spicci da sopra la scrivania, esclamò a gran voce che sarebbe uscita per andare a comprare del latte di soia, spiegando anche che era costretta a bere quello per via della sua intolleranza al lattosio.
Non appena se ne andò, Louis voltò bruscamente la testa, cercando freneticamente con gli occhi la sagoma di Lydia.

«C’è qualcosa che non va?»

Seguendo la direzione della sua voce si voltò ancora di più, ritrovandola appoggiata alla scrivania con le braccia morbidamente incrociate al petto. Il suo viso era rilassato, nitido, tranquillo.

«Sono due ore che ti aspetto. Dove sei stata?»

«Mi dispiace, avevo delle commissioni da sbrigare. Ora sono qui.»

«Ora è troppo tardi.» avanzò il ragazzo di nuovo, con un tono di voce duro e intenso, «Avevo bisogno di te prima, in quel momento, ma tu non c’eri e non mi hai nemmeno richiamato per dirmi per quale stupida ragione te ne sei andata di casa come una ladra, stamattina.»

«Mi dispiace, non volevo che fraintendessi la cosa. Ti ho sentito uscire con Charlotte e ho pensato di togliere il disturbo. Ti avrei richiamato comunque, sai che l’avrei fatto.»

«Non mi hai ancora detto dove sei stata. Ti ho chiamata un sacco di volte e tu non hai mai risposto! Ma dov’eri? Con chi eri?»

«Mi dispiace, avevo il telefono staccato e a volte non prende, non è colpa mia.»

«Smettila di dire che ti dispiace! Voglio che tu mi risponda, adesso!» sbraitò a quel punto Louis, alzandosi improvvisamente in piedi. Aveva gli occhi sbarrati e i pugni chiusi, con una vibrante rabbia che gli scorreva nelle vene. L’aveva sentita crescere per tutto quel tempo e l’aveva covata in silenzio, lasciando che lo consumasse a poco a poco.

«Cosa vuoi che ti dica? Piombi qui senza motivo, per di più incazzato, e pretendi che sia io a darti delle spiegazioni? Senti, hai proprio sbagliato persona! Non ho intenzione di litigare con te, né adesso né mai, quindi sei hai qualche problema quella è la porta.»

Il tono di voce di Lydia si era fatto stridulo e tutta la sua calma era sparita in un secondo per lasciare spazio al nervosismo. Non aveva intenzione di urlargli addosso, non era nel suo stile, ma non poteva nemmeno starsene in silenzio e fingere di essere il suo personale sacco da prendere metaforicamente a pugni.
Louis a quel punto non disse niente, e continuò a fissarla impassibile, quasi come la stesse studiando nel tentativo di capire quale sarebbe stata la sua mossa successiva.

«Ah; ora ho capito.» esordì invece la ragazza, «Mi credevi con qualcun altro, non è vero?»

Il silenzio fu la risposta alla sua domanda.
Louis abbassò lo sguardo, ammettendo a sé stesso che nonostante avesse represso quell’idea per tutto questo tempo, questa era riuscita lo stesso a prendere il sopravvento su di lui. E poi era nata quella gelosia viscerale, ardente, che mai nella vita gli era appartenuta se non in questo momento.

«Sai, non mi stupisce per niente. Sei così diffidente e sospettoso che avrei dovuto immaginarlo, soprattutto dopo ierisera. Te l’ho ripeto per l’ultima volta: non esco con nessun’altro se non con te. Te l’ho promesso e sarà così fino alle fine dei due mesi, perché io mantengo la mia parola. Questo però non significa che sono roba tua. Ho una vita, delle cose da fare, e se queste esonerano la nostra relazione allora tu non sei tenuto a saperle. Vuoi sapere dov’ero? Ero con una persona molto importante per me ma di cui non devi preoccuparti. Era una faccenda di vitale importanza? Sì, lo era, e se vuoi sapere di chi si tratta prendi il giubbotto e seguimi, ma sappi che considero questo tuo comportamento inaccettabile e maleducato perché io, a differenza tua, di te mi fido.»

Per un’abbondante manciata di secondi Louis non seppe cosa fare, dubbioso se lei stesse mentendo o se stesse dicendo la verità. Dove l’avrebbe portato rimaneva comunque un’incognita, il punto interrogativo dell’intera questione, ma qualcosa nella sua testa gli diceva che quello poteva effettivamente essere il tassello mancante.

«Okay, andiamo. Voglio sapere chi era.» annunciò poi con un filo di voce, sentendosi già terribilmente in colpa.
 
 
 
 






«Ma... ma, Lydia cosa ci fai qui di nuovo?» chiese l’allegra signora seduta alla scrivania dopo aver liquidato il suo interlocutore al telefono con tono apatico.

«Lo so, Giuditte, non dovrei nemmeno pensare di essere ancora qui ma ho bisogno di rivederlo, solo per due minuti. Ho una questione da risolvere....» le spiegò la ragazza, accennando un piccolo spostamento del capo verso di Louis che era prudentemente rimasto qualche metro più indietro.

«Ma no, no, no! Lo sai che non posso! L’orario di visite è finito ormai, non mettermi in guai seri!»

«Ti prego, Giuditte. E’ una cosa importante; sai che non te lo chiederei altrimenti.»

La donna si guardò intorno con fare circospetto e poi lanciò un’occhiata fugace al giovane ragazzo che se n’era rimasto in silenzio vicino allo stipite della porta, con un’espressione a metà fra l’assorto, lo sconvolto e lo spaventato.
Dopo essersi accuratamente accertata che nei paraggi non ci fosse nessuno, li fece accomodare per qualche istante sulle poltroncine fin troppo piccole della sala d’attesa. Louis posò lo sguardo su Lydia ma lei continuò a fissare imperterrita l’angolo del muro, come se già sapesse che da un momento all’altro qualcosa o qualcuno sarebbe sbucato fuori di lì.
Se l’aspettava in fin dei conti, questa sua freddezza: era una reazione comprensibile, logica, adeguata. Non poteva biasimarla né rimproverarla per questo; anzi, si riteneva in qualche modo fortunato per via delle conseguenze piuttosto irrisorie. Gli era andata bene: lei non se n’era andata, era rimasta come promesso, nonostante tutto.

Mentre la ragazza tamburellava con le dita sulla sua borsa con fare isterico, Louis si prese qualche secondo per guardarsi intorno: quel posto sembrava uno studio dentistico ma era troppo grande per esserlo, e in più non c’erano quei strani cartonati appesi al muro che spiegano la struttura di un dente o illustrano i pericoli delle carie. Dava l’impressione di essere un unico, immenso appartamento ma con tantissime porte da quanto poteva vedere; come se dietro ad ogni porta ci fossero altre stanze che avevano altri scopi molto diversi da quello che suggeriva l’ambiente che lo circondava. Doveva ammettere, però, che il tutto risultava vagamente accogliente e piuttosto vissuto: dopo l’impatto iniziale ci si stava bene.
Quando notò una fugace occhiata di Lydia tornò subito composto, quasi temendo che lei potesse sparare a zero sul suo comportamento per poi lasciarlo li come un fesso. Ma lei rimase in silenzio, totalmente apatica.

Sentì il battito del suo cuore aumentare quando quella donna, Giuditte, sbucò fuori da quel famoso angolo seguita da un ragazzo che aveva tutta l’aria di essere un attore palestrato appena uscito da un remake australiano di Bay Watch o qualcosa del genere.
Non sapeva neanche perché, ma il battito del suo cuore aumentava ogni passo di più, mentre quella specie di adone si avvicinava pericolosamente a loro. Lo fissò da capo a piedi, intensamente, più del dovuto forse. Tutto quel fissare gli fece capire che era all’incirca una decina di centimetri più alto di lui, più bello, troppo biondo e probabilmente troppo muscoloso: nel complesso un gran figo, non c’era altro da dire.
Nel momento preciso in cui il ragazzo si fermò e allargò le braccia, vide gli occhi di Lydia illuminarsi improvvisamente e quasi gli parve di sentire l’eco del suo piccolo ego che si frantumava in mille pezzi.

«Piccola, che ci fai qua?» esordì il giovane, tenendo Lydia stretta fra le sue braccia.

«Vi prego ragazzi, fate veloce! Io vi adoro e lo sapete ma qui ci sono delle regole che non posso proprio ignorare! Vi do altri tre minuti, non uno di più!» bisbigliò Giuditte guardinga, mentre continuava a guardarsi intorno.

«Promesso Giuditte! Se solo Lydia mi dicesse perché è tornata e chi si è portata dietro...»

La ragazza sciolse l’abbraccio e poi sorrise, indietreggiando timidamente verso di Louis, quasi avesse realizzato solo ora che c’era anche lui e che non se n’era andato.

«Sei sempre stato un po’ troppo brusco. Difetto di famiglia, immagino.»

«Dai dai, non fare la fighetta e dimmi cosa sei venuta a fare! Ci siamo visti due ore fa, e non voglio mettere Giud nei pasticci.»

«Niente... volevo semplicemente presentarti una persona, e se ci pensi bene scommetto che capisci subito di chi sto parlando.»

«Del tipo dietro di te. O no?»

«Si, certo! Ma te ne ho parlato anche oggi, eddai.....»

Il ragazzo incrociò le braccia e incominciò a fissare Louis senza troppo imbarazzo: era come se stesse frugando nella sua memoria fotografica in cerca di una persona che gli somigliasse, e quando finalmente gli si accese una lampadina esitò qualche istante, convinto che la descrizione non combaciasse del tutto.

«Okay, ho capito... onestamente non me lo ricordavo così, ma come il tuo solito mi avrai mostrato una foto del Paleolitico, ci scommetterei!» disse il ragazzo abbozzando un sorriso, «Ma comunque, tu dovresti essere Louis, giusto? Louis Tomlinson. Quel Louis, il suo Louis.»

Louis annuì involontariamente con la testa rimanendo in silenzio, un po’ intimorito: con chi aveva il (dis)piacere di parlare? Qualcuno di sua conoscenza? Qualcuno di cui preoccuparsi? Un rivale, un nemico, un intruso, una spia?

«Bene... mi chiedevo quando Lydia si sarebbe decisa a presentarci. Ah, prima di andare avanti in chiacchiere, ci tengo a ringraziarti sinceramente per quello che stai facendo per lei; la stai praticamente salvando.»

A quel punto Lydia tirò uno spintone al ragazzo, indecisa se rimproverarlo perché aveva parlato troppo o biasimarlo per tutte le domande che le avrebbe rivolto Louis di lì a poco, cosciente della mezza rivelazione che gli era appena stata fatta.

«Dai, di questo ne parleremo un’altra volta, senza fretta. Nel frattempo: Isaac, ti presento Louis, il mio quasi ragazzo; Louis, ti presento Isaac, mio fratello. Gemello

Gli occhi di Louis sgranarono improvvisamente mentre si avvicinava alla mano del ragazzo per stringerla. Tutto adesso combaciava magicamente, e con suo grande stupore dovette persino ammettere che la somiglianza con Lydia non era palese ma decisamente visibile. E lui non se n’era nemmeno accorto; proprio lui che tra le altre cose aveva due sorelle gemelle, e che aveva saputo distinguerle dal primo giorno. Incredibile, impossibile, pazzesco quasi.
Isaac aveva una stretta forte, poderosa, quella che si dice appartenga ai veri uomini e non alle mezze pippe. Chissà com’era la sua di stretta, gli venne da pensare.
Quando la mano del ragazzo ritornò prudentemente nella tasca notò un qualcosa di familiare, qualcosa che fin dall’inizio l’aveva incuriosito: una stella tatuata all’interno del polso, proprio come Lydia, sullo stesso braccio e alla stessa altezza. Doveva avere un significato, una storia, un passato. Loro avevano un passato insieme e lui non era nemmeno il suo futuro. Si definiva uno scorcio di presente, una cosa momentanea, una fase passeggera, un niente praticamente. E in quel momento preciso realizzò che avrebbe tanto voluto essere di più: di più di tutto questo, di più di tutto quanto.

«Ragazzi, sono desolata ma devo davvero separarvi. Se tornate domani potrei addirittura farvi pranzare insieme ma adesso dovete andarvene, è tardi. Mi dispiace.»

Isaac alzò le spalle con fare rassegnato, mentre di nuovo allargava le braccia per stringere la sorella in un altro abbraccio. Louis invece infilò le mani in tasca, come era solito fare, e lasciò che la testa iniziasse a viaggiare per conto suo in cerca di domande a cui dare delle risposte.
Era già immerso nei meandri dei suoi pensieri quando sentì la mano calda di Lydia prenderlo sottobraccio per uscire insieme, subito dopo aver salutato il fratello con un gesto della mano.

Non sentiva freddo, ma non appena il tepore corporeo della ragazza lo raggiunse gli sembrò di stare meglio. Meglio in tutti i sensi; davvero meglio.
Si presero del tempo, fecero la strada a piedi, insieme, in silenzio. Non c’era molto altro da dire, nessuno voleva rischiare di rovinare quel qualcosa di particolare che stavano condividendo. Eppure stavano solo camminando verso casa, lenti ma inesorabili, lontani ma vicini; eppure sembrava qualcosa di più del semplice camminare. Era un’accompagnarsi a vicenda, un capirsi un po’ maldestro, un (forse) reciproco perdonarsi per il pessimo caratteraccio.

Qualunque cosa fosse, ad ogni modo, era qualcosa che non poteva esistere per una sola persona. Era qualcosa da fare in due, insieme.













































Mi scuso per il "capitolo" precendente che voi avete visitato in troppi; in realtà non era un aggiornamento, e non voleva essere nemmeno uno scherzo o altro. Semplicemente volevo avvisarvi che stavo per aggiornare e che non mi ero dimenticata della storia. Questo è il capitolo vero e proprio. 
Lascio a voi i commenti, e come potete notare ho cambiato qualche particolare del layout per rendere ancora più importante il passaggio tra la prima metà della storia e la seconda. Spero vi piaccia. 

A presto. 
  
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