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Autore: CAMM    28/04/2013    1 recensioni
La verità?
Tom era un emerito coglione, in tutto e per tutto, un ragazzo cresciuto in fretta, troppo preso dal suo ego, fin troppo spavaldo ed estroverso, che amava scherzare con la vita.
Connie era tutto il contrario, aveva paura della vita, lei.
Connie non era stupida e quando ripensò ai loro mondi opposti le venne istintivo alzarsi dalla sedia, congedarsi sbrigativamente con l’amica e infilare in quattro e quattr’otto la porta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mark Hoppus, Nuovo personaggio, Tom DeLonge, Travis Barker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHAPTER FOUR

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Connie guardava il cielo e sentiva l’intenso profumo dei fiori azzurri solleticarle le narici. Quel giorno era tutto azzurro, il cielo, i fiori, persino le sue iridi erano più azzurre di sempre.
Aveva sempre amato la cima di quella collina, era un luogo in cui si rifugiava a volte, un luogo dove il tempo si fermava, dove esisteva solamente lei.
Spesso ascoltava la musica quando sedeva nel prato verde della collina e cantava senza vergogna, sapeva che nessuno sarebbe mai passato di lì e la sua voce ogni volta intonava delle tristi canzoni leggere, di quelle che ti accarezzano il viso mentre le lacrime scorrono.
Connie non piangeva, ma cantava.
Alzò il volume quando passò una delle sue canzoni preferite, quelle note, quelle parole le ricordavano sempre Tom e chiudendo gli occhi si lasciò andare la testa in dietro per assaporare fino in fondo quella sensazione che le inebriava tutto il corpo. Le note delicate uscivano dalle sue labbra senza fatica.
Il ragazzo con il cappello col frontino girato all’indietro, arrivò in cima alla collina sentendo quella voce quasi familiare che, soave, cantava una musica soffice, come le nuvole nel cielo.
Riconobbe senza fatica la sagoma della ragazza distesa nel prato, ma rimase nascosto dietro ad un albero ad osservarla.
 
Connie prese quasi un infarto, quando si sentì punzecchiare la spalla da un indice indiscreto. Si girò di scatto, sorpresa dal viso che ritrovò a pochi centimetri dal suo. Le sue guancie si tinse istintivamente d’un rosso scarlatto.
-Che cazzo, m’hai fatto prendere una paura del cazzo- Connie, ancora ansimante dallo spavento, sistemò la forcina che impediva al suo ciuffo di ricadere sulla sua fronte.
Tom sorrise alla sua reazione, si sedette affianco a lei senza proferire parola, la vista mozzafiato sopra la loro città era ancora più bella condivisa con lei. Appena si rese conto di ciò che aveva pensato, si alzò di scatto corrugando la fronte.
-Come fai a sapere di questo posto, tu?- Chiese allora minaccioso.
-Ci sono tante cose che non sai di me, DeLonge- Sorrise amorevolmente, senza farsi vedere dal ragazzo.
Tom cominciò a camminare, per raggiungere la quercia nel mezzo del prato, come consueto si lasciò andare, sedendosi ai piedi dell’enorme pianta. Connie si alzò d’istinto per raggiungerlo, lasciò le sue cose incustodite e una volta giunta di fronte a lui affermò: -Possiamo conoscerci, però-
Tom lasciò spazio per un largo sorriso tra tutte le sue insicurezze, Connie era semplice e lo faceva sorridere. Lei si sedette al lato sinistro del ragazzo, guardava l’erba imbarazzata, le sue guancie divampavano ancora una volta e si sentiva talmente stupida ad aver detto quelle poche parole che avrebbe voluto rialzarsi e cominciare a correre, come sempre. Impose a se stessa di rimanere ferma, ad aspettare.
-Credo tu sia la ragazza più strana che io abbia mai conosciuto-
-Dovrei prenderlo come un complimento?-
Tom scrutò a fondo il viso pallido di Connie accendersi d’un pudico rossore, i suoi occhi grandi si abbassarono ancora una volta, quella situazione era talmente imbarazzante che nemmeno Tom sapeva bene come comportarsi.
Fortunatamente, il cellulare di Connie cominciò rumorosamente a squillare.
Nello schermo appariva in sovrimpressione il nome di Demetra.
-E’ tua sorella… Dovrei risponderle?-
Tom, a quel punto, non esitò un momento di più e strappò di mano il cellulare della ragazza, per poi premere il tasto rosso.
-Adesso mi ammazza- Continuò a dire la ragazza, tentando di estorcere qualche parola al ragazzo apparentemente muto.
Dopo quasi un minuto il cellulare vibrò, segnalando un nuovo messaggio non letto.  Tom con molta nonchalance aprì il contenuto, leggendo e ripetendo il contenuto ad alta voce: -Dove cazzo sei? E’ sparito di nuovo Tom e ora sei sparita anche tu, dove cazzo siete tutti? Chiamami appena puoi, ho bisogno di voi!-
Connie s’allarmò immediatamente e ordinò a Tom di restituirle il cellulare.
Il ragazzo osservò le mosse di lei, prima di infilare il suo cellulare in una tasca dei pantaloni ed alzarsi in piedi per poi urlare: -VIENI A PRENDERLO-
Connie si chiese di quali disiagi mentali soffrisse quel ragazzo, malauguratamente si alzò anche lei in piedi e cominciò a rincorrerlo svogliata.
-TOM, davvero, ridammi il cellulare, non fare il coglione-
Tom le fece il verso, continuando a correre per il campo.
Cercò più di una volta di placcarlo, ma lui era rapido e sfuggiva dalle sue minute mani, Tom cominciò ad addentrarsi in una piccola boscaglia, urlando alla ragazza insulti senza cattiveria. Le loro risate gioiose colmavano il silenzio spaventoso che li circondava.
La voce di Tom sparì d’un tratto e solamente dopo alcuni passi Connie capì il perché.
La veduta da quel piccolo spiazzo era mozzafiato, si poteva vedere tutta la città e le colline affianco; si poteva perfino intravedere le macchine che correvano nella strada.
Tom non riusciva a parlare, quella vista gli aveva tolto le parole di bocca e pensò che, forse, non era un caso l’averla scoperta assieme a Connie.
La ragazza, da parte sua, aveva lo sguardo perso, sognante. Pensò a tutte le persone che stavano conducendo una vita frenetica e piena d’impegni, sotto la sua attenta visione e si promise di non diventare come tutta quella gente là fuori, si annotò mentalmente che la sua vita aveva molto più gusto lì sopra, assieme a Tom.
Il colpo di tosse del ragazzo fece spezzare i pensieri intrecciati di Connie e le ricordò che il vero panorama in quel momento, era il sorriso spontaneo di Tom.
Il corpo massiccio di Tom si sedette a terra precipitosamente, i suoi occhi color nocciola si volsero ad indagare il cielo cercando invano una nuvola bianca. Connie lo imitò, sedendosi però a debita distanza.
-E’ decisamente un tuo capello- Mentre la ragazza si era persa nuovamente a guardare le colline, Tom stringeva tra l’indice e il pollice un corto capello verde.
Connie ridacchio, chiedendogli: -E con ciò?-
-Di solito mi capita solamente dopo aver portato a letto le ragazze, di trovarmi i loro capelli addosso- E per lui era sempre stato un fatto quasi d’orgoglio, ma con Connie era tutto diverso, poteva pure far sprofondare negli oscuri meandri di se stesso l’orgoglio, perché lo sapeva bene, lei era diversa.
Il solito rossore comparse nelle guancie timide di Connie, rimase in silenzio, non trovava parole adatte a replicare ciò che aveva appena detto il ragazzo di fianco a lei.
-Tom, ti ricordi cosa mi hai detto al capannone, riguardo al cielo?-
Il ragazzo esitò: -Sì, vagamente. Perché?-
-Perché l’hai detto proprio a me?-
-Non lo so, sembra che le cose siano più facili quando ci sei te-
Connie accennò un sorriso.
Tom si spostò pericolosamente vicino alla ragazza dai verdi capelli ed istintivamente, i battiti cardiaci di quest’ultima cominciarono a spiccare il volo.
-Non trovi che tutte quelle persone- indicò con l’indice la città sotto i loro piedi –siano talmente complicate da far spavento?-
La ragazza non aveva mai fatto caso a quello che diceva Tom, semplicemente non c’aveva mai pensato. Eppure era totalmente, assolutamente vero. Tom, pensò Connie, aveva la capacità di esternare tutto ciò che la sua timidezza le impediva di farlo, era una sensazione strana. Come se lei fosse la fonte e lui la foce, due estremi opposti, ma entrambi bisognosi l’uno dell’altro.
-Hai proprio ragione- Sorrise lui dolcemente.
I loro occhi si incontrarono, forse per la prima volta nel corso del loro pomeriggio inaspettato e fu l’incontro che pose fine a tutti i loro pensieri e rivelò loro quanto semplice fosse scrutare a fondo le anime altrui.
Era come se tutto fosse già scritto nei loro occhi.
Tom avvicinò il suo volto a quello della timida ragazza che si immobilizzò subito, gli occhi grandi di Connie erano persuasi da una grande ansia che si polverizzò appena le loro labbra finirono malauguratamente a contatto.
Malauguratamente perché, dopo quel bacio, Connie si sarebbe illusa.
Le loro labbra si muovevano in sincronia, come se si fossero conosciute da così tanto tempo che quel gesto fosse ormai un’abitudine per loro.
Le loro lingue erano così insieme che fu difficile lasciare il vuoto, alla fine.
Un vuoto che fece arrossire immediatamente le gote di Connie e fece abbassare lo sguardo a Tom. Erano entrambi imbarazzati dalla situazione, non potevano credere che fosse davvero successo.
Quel malaugurato bacio avrebbe cambiato tutto il loro rapporto.
In bene?
O in male?
Tom si alzò velocemente, fissò la ragazza minuta che abbracciava le sue ginocchia, le porse una mano delicatamente.
-Torniamo giù?- Propose allora. Connie non aveva la minima voglia di tornare alla normalità, a quella quotidianità che le toglieva le energie e sopra ogni cosa non voleva tornare a casa, dai suoi genitori.
Connie accettò la mano del ragazzo, alzandosi osservò il tatuaggio che gli ricopriva tutto il braccio, era un tatuaggio ben fatto e gli si addiceva, alzò gli occhi fino a incontrare il suo viso sghembo con impresso un sorrisetto a mezz’aria. Cercò di regolarizzare il fiato prima di chiedergli indietro il telefono, a quel punto Tom ridacchiò e controllò un’ultima volta lo sfondo del cellulare per poi porgerlelo.
I due s’incamminarono silenziosi, dopo aver raccattato le loro attrezzature. Silenziosi come la notte, quando tutto si ferma e i nostri cervelli rimangono spenti, ad assaporare il silenzio.
Un silenzio buono, spontaneo.
Finita il rapido sentiero sassoso, i due ragazzi si fissarono rapidamente, timidamente.
-Ci si vede allora- Riuscì a pronunciare flebile Connie, che aveva voglia di sfuggire da quella situazione d’imbarazzo che si era creata.
La ragazza dopo alcuni secondi, senza aver trovato una risposta, si voltò per proseguire la sua strada. Venne bloccata dalla mano arrogante di Tom che le afferrò il polso, facendola girare.
-Ehi, quello che è successo lassù rimane lassù- Il carattere forte e determinato, era riapparso nelle parole scontrose del ragazzo, Connie abbassò lo sguardo verso il marciapiede asfaltato sotto i suoi piedi. Annuì timidamente.
Le dita di Tom afferravano ancora prepotenti il piccolo polso della ragazza, con la mano sinistra Tom raggiunse il volto di lei per poi farlo alzare, premendo sotto il mento con l’indice ed il pollice.
Connie distoglieva lo sguardo dagli occhi nocciola di lui, non sarebbe riuscita a reggere ancora una volta quel contatto visivo.
-Guardami, Connie- La ragazza si morse il labbro inferiore, per poi posare le sue iridi chiare su quelle nocciola di lui.
-Sono sempre il fratello di Demetra- tentennò un paio di secondi, volgendo gli occhi al cielo -sarebbe tutto troppo difficile-
Connie non era affatto d’accordo con le sue parole, ma annuì timidamente ancora una volta.
Le braccia muscolose di Tom cinsero d’un tratto la stretta vita di Connie in un abbraccio, la ragazzo legò le sue braccia al collo di lui sospirando profondamente. L’amaro che le giunse alla bocca non riuscì a giustificarlo, ma le lasciò la bocca impastata.
Sciolto l’abbraccio, la ragazza si girò di scatto per poi continuare il suo cammino verso casa, senza salutare Tom.
 
Entrò in casa, ritrovandosi i suoi genitori seduti nel divano scarlatto della sala che guardavano la televisione. Pregò mentalmente tutti i Santi del Paradiso che i suoi genitori non le facessero il solito interrogatorio, cercò di sgattaiolare in silenzio per le scale, ma appena tentò di salire il primo scalino, la voce autoritaria del padre le ordinò di presentarsi di fronte a lui.
-Che c’è, papà?- Gli rispose, avvicinandosi al tavolino di vetro al centro del salotto.
-Connie, ha chiamato il preside poco fa- Gli occhi della ragazza si allargarono, stupita.
-Ci ha raccontato cos’è successo due giorni fa-
In effetti Connie non se l’era scordato, dopotutto scappare da scuola non era cosa da nulla; cercò di massaggiarsi la testa contraendo i muscoli facciali.
-Io mi chiedo cosa ti salta in testa ogni tanto, sei per caso fuori di testa, Connie?- La timida ragazza abbassò istintivamente lo sguardo al pavimento e tentò di soffocare le lacrime, mordendosi le guancie internamente.
-Sei la mia più grande delusione, perché non sei nata come tuo fratello?- Connie chiuse le mani a pungo, sentendo le unghie premere contro i palmi.
-Il preside ci ha anche riferito di tutte le assenza che continui a fare- La frase lasciata a mezz’aria fu pronunciata flebilmente dalla madre, mentre accavallò le gambe per darsi un’aria più autoritaria.
-M-mi dispiace- Riuscì a sussurrare la ragazza, tentando di respirare a fondo per non farsi sopraffare dalle lacrime.
-Ormai non ce ne facciamo più nulla delle tue scuse, Connie- Il padre riprese la parola, Connie alzò solamente allora lo sguardo ed incontrò gli occhi del padre colmi di delusione.
Il cellulare della ragazza vibrò a lungo nella tasca, qualcuno la stava chiamando. Ignorò la chiamata, lasciando squillare il telefono.
Suo padre si avvicinò al corpo minuto della figlia, portò la mano grande sotto il mento di lei, per indirizzarle lo sguardo diritto nei suoi occhi.
-Tua madre ed io siamo giunti perciò ad una conclusione- La presa sotto il mento diventò più arrogante, le guancie della ragazza si colmarono di quelle lacrime che aveva cercato di reprimere.
-Da ora fino alla fine della scuola non esci più e se cerci di prenderci in giro ancora una volta, cara la mia principessina, oltre a non rivedere più la luce del sole per il resto della tua esistenza, ti ritireremo da scuola e comincerai a lavorare per me, perché io non ti ho cresciuta nullafacente!- L’irriverenza del suo tono, fece aumentare le lacrime sul volto di Connie che tentò di liberarsi di scatto. La mano pesante del padre colpì con un sordo schiaffo il piccolo viso della ragazza che, esterrefatta dal gesto, si coprì la guancia dolorante con le mani.
-Sei un padre di merda, ti odio, cazzo, ti odioo!- Urlò la ragazza, per la prima volta da quando aveva ricordo alzò la voce con suo padre, aveva sempre abbassato la testa e chiesto scusa ogni volta prima d’allora, ma quelle parole erano troppo pesanti per una ragazza così fragile.
Chiuse le mani a pugno, socchiuse le palpebre e serrò le labbra in una dura linea.
-Fila in camera, signorina! E non osare mai più!-
Connie, con ancora le lacrime agli occhi ed il cuore in subbuglio, scappò per le scale fino a raggiungere la porta della sua camera e sbatterla dietro di sé. Si accasciò a terra, con la schiena appoggiata alla porta e tenendosi il viso tra le mani.
Dopo alcuni istanti, una mano violenta picchiò tre volte alla porta della ragazza che lestamente si asciugò le lacrime ed aprì lentamente la porta per rivelare dietro di essa l’alta figura del fratello.
-Tutto ok, Connie?- Gli occhi chiari che avevano in comune si fissarono a lungo, prima che la sorella riuscì a spiaccicare parola: -S-sì, sì!- Riuscì a pronunciare balbettando.
Le braccia grandi del fratello le cinsero le spalle. Loro due erano talmente differenti che più volte Connie s’era chiesta se fossero davvero fratelli di sangue. Erano agli antipodi, lei piccola e fragile, lui grande e tenace.
Fu il primo abbraccio che poteva ricordare la ragazza, non erano abituati a quel tipo di effusioni.
Le lacrime della ragazza ricominciarono a sgorgare, bagnando la T-shirt celeste di Greg.
-Greg..-
-Sì?!-
-Mi ha baciata-
-Chi?-
-Tom-
Gregory sciolse subito l’abbraccio, pressando le grandi mani attorno alle braccia della sorella. Le portò due dita sotto il mento, facendole alzare il capo come aveva fatto il padre pochi minuti prima.
-Dio, Connie, sai che c’è?-
La ragazza, inerme, scosse la testa.
-C’è che ha ragione papà, come fai ad essere così stupida?- Imprecò –Smettila di fare la vittima da consolare, il male lo vuoi solamente tu se continui a fare queste cazzate-
Un momento di silenzio, le dita del fratello premevano ancora sotto il mento di Connie.
-Va al diavolo, Gregory- Spinse la figura davanti a lei con tutta la forza che aveva in corpo. Che sciocca! Per un attimo si era illusa che qualcuno, in quella famiglia, le volesse ancora bene. Povera illusa.
Connie era proprio quello.
Un’illusa.
Il fratello uscì da quella camera, sbattendo la porta dietro di sé.
Connie, a quel punto, non ci pensò un minuto di più, aprì la porta-finestra della sua camera e la richiuse lentamente dietro di sé, strinse forte la grondaia vicino al suo petto, scavalcò piano la ringhiera grigia del balcone e lentamente scivolò giù, fino a toccare terra.
Scavalcò cercando di non far rumore il cancello d’entrata.
Cominciò a correre, le sue gambe si susseguivano veloci, il respiro sempre più affannoso e il cielo sempre più scuro. Arrivò all’angolo della strada che portava a casa DeLonge.
Corse fino a raggiungere l’entrata dell’abitazione, ricordò che il venerdì sera la madre ed il patrigno di Demetra e Thomas andavano sempre al cinema.
Rimase immobile, davanti al cancello s’entrata di quella casa, prima di suonare il citofono.
Si affacciò dalla porta di casa Demetra, con i capelli arruffati e una canotta semi-trasparente.
-Aprimi, Deme-
-Connie, non posso farti entrare, che ci fai in giro a queste ore?- Non che l’amica fosse veramente sorpresa al vederla a quell’ora, Connie si presentava a casa sua sempre ad ore improponibili.
-Perché non mi puoi far entrare? Ho bisogno di dirti delle cose-
-Scusa Connie, ma stasera non posso, tornatene a casa- E detto questo, persino la sua migliore amica sbattè l’ennesima porta della serata.
La minuta ragazza, scavalcò quel cancello con più agilità di quello di casa sua, entrò nel vialetto e scappò nel retro.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans scoloriti e compose un messaggio:
 
A: Tom
Sono nel giardino di casa tua, raggiungimi.
Connie
 
Da: Tom
Non sono a casa, Connie. Sono al parco, raggiungimi.
Tom
 
A: Tom
Arrivo tra cinque minuto
C.
 
La ragazza scavalcò nuovamente il cancello di casa DeLonge per poi ricominciare la sua corsa, le metteva sicurezza correre.
La sua mente si spense e le gambe l’accompagnavano frenetiche.
Il parco era deserto, il cancello verde scuro era ancora aperto. Entrò correndo, riconoscendo la sagoma robusta di Tom ed affondando il volto bagnato dalle lacrime, sul suo petto.
Poteva sentire il suo respiro regolare, la sua cassa toracica che si alzava ed abbassava costante ed il suo battito cardiaco leggermente accelerato.

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Spazio autrice
Ciaooo!
Sono desolata, mortificata,tristemente sconfortata e tutti gli aggettivi negativi che possano esitere. E' da tantissimo tempo che non aggiorno e fate bene ad odiarmi, ma il liceo mi porta via un sacco di tempo e non riuscivo più a scrivere questo capitolo. E' stato veramente un parto... Spero dunque vi piaccia, lasciate una recensione se vi va. Prometto di aggiornare (si spera) più velocemente d'ora in poi.
Much love, Cami :)
  
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