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Autore: Frytty    29/04/2013    5 recensioni
Solephine non ha mai smesso di credere nel futuro.
Quando la incontra, Robert capisce che il suo futuro è lei.
Stanno per coronare il loro primo anno di matrimonio con la nascita di un bambino, quando Solephine rimane coinvolta in un incidente stradale, entrando in coma.
Robert si trova in una situazione in cui non ha mai pensato di potersi trovare: solo, costretto a crescere un bambino che non sa se vedrà mai la mamma, ossessionato dal pensiero che Sole possa non svegliarsi più, troppe cose da fare, mille altre da gestire, emozioni da tenere a freno.
Dal Prologo
Non potevo sapere che avrei fatto bene ad essere spaventato; non sapevo che, quando il telefono era squillato ed io avevo letto il nome di mia madre, la mia vita non sarebbe stata più la stessa. D’altronde, come potevo?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon salve a tutte!

Scusate il misunderstanding di venerdì, ma pensavo davvero di riuscire ad aggiornare; poi, al solito, mi sono lasciata risucchiare dagli eventi della vita vera e ho dovuto dire addio alla pubblicazione -.-"

Comunque, eccomi qui :) Sono indietro con un mucchio di cose, in quest'ultimo periodo, specialmente se penso alle serie TV, avrò, come minimo, venti puntate da recuperare tra tutte le serie che seguo, ma spero di non rimanere indietro con la Ff, perché vorrei portare avanti il progetto del pubblico un capitolo, ma ho già pronto quello successivo, in modo da non trovarmi sempre all'ultimo secondo a fare le cose. Vero è che l'ispirazione, purtroppo, non sempre c'è e che gli impegni universitari sono sempre in agguato, anche se questo è il mio ultimo anno, perciò, dato che i corsi stanno finendo, avrò solo molto da studiare e scartoffie da preparare per la futura tesi; comunque, spero di riuscire a far tutto, anche perché questa Ff non è semplicissima da scrivere e i sentimenti, si sa, spesso rimangono intrappolati nella gola e sulle dita e non vogliono uscire e, visto che devo attingere a molti di essi per la storia di Rob e Solephine, ho bisogno di essere nel mood giusto.

In ogni caso, la mia pagina Facebook, che ricordo essere You thought you know me, è sempre lì per chiunque volesse conoscere in tempo reale aggiornamenti, status delle mie Ff, work in progress e chi più ne ha più ne metta. Ricordo che il gruppo è privato e che per accedervi, dovete inviarmi una richiesta tramite messaggio privato direttamente su Facebook (trovate il mio profilo nella mia pagina autore, in alto), in modo tale che possa accettare la vostra amicizia e poi inserirvi nel gruppo :)

Tornando al capitolo, che dirvi? Qui conoscerete un po' meglio la relazione tra Rob e Candice e leggerete un primo ricordo di Robert sul loro primo incontro. Proprio per quanto riguarda i ricordi, volevo portarvi a conoscenza del perché ho deciso per la terza persona e non per la prima come per il resto della storia: innanzitutto, perché così posso immedesimarmi in ogni personaggio coinvolto; e poi perché posso raccontarvi di tutti quei dettagli che a me sembrano assolutamente necessari per rendere il ricordo più vivido, lasciandovi immergere in quell'atmosfera. Mi sembrava giusto che lo sapeste, altrimenti avreste potuto reputarmi una mezza pazzoide :P

Detto ciò, ringrazio, come sempre, tutte le persone che si sono fermate a commentare lo scorso capitolo, o semplicemente a leggerlo, e tutti coloro che hanno inserito la Ff tra le preferite, seguite, da ricordare: GRAZIE <3

 

Vi auguro una buona continuazione di settimana e una...

 

 

 

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mad World-Gary Jules

 

 

 

 

2. I'm not sure I can make it

 

 

 

 

 

 

Quando il telefono squilla, annunciandomi l'arrivo di una chiamata, apro gli occhi di scatto; in realtà, non ho dormito affatto: sono scivolato in un dormiveglia vigile, come se, da un momento all'altro, mi aspettassi la visita di un ladro, desideroso di fare scorta di tutti gli aggeggi tecnologici sparsi per casa. Solephine, da brava giornalista che si rispetti, era riuscita a ricavare uno spazio per sé e per il suo lavoro in salotto, di fronte all'enorme parete di vetro da cui si poteva godere la vista spettacolare dei grattacieli di New York. Aveva trascinato dal suo vecchio appartamento il computer portatile e la stampante e poi, senza badare a spese, aveva pensato di arricchire il suo armamentario con uno scanner, un fax, una macchina fotografica professionale e un computer fisso. In realtà, quest'ultimo lo usavamo entrambi, ma se io, per la maggior parte del tempo, non facevo altro che curiosare su Youtube e visitare siti di vendita di libri on-line, alla ricerca di qualche nuovo titolo interessante, lei non faceva altro che controllare la posta elettronica, scrivere, tenersi continuamente aggiornata sulle ultime news e lavorare.

Dò un'occhiata allo schermo del cellulare, rendendomi conto che sono già le sette e un quarto di una giornata grigia e umida, preludio autunnale, sorridendo appena alla vista del nome di Tom.

< Ehi. > Rispondo senza entusiasmo, scostando le coperte per alzarmi.

< Rob! Sono in aeroporto, mi sono precipitato a New York appena ricevuta la notizia. Mi ha telefonato tua madre, ieri mattina e credevo di essere finalmente diventato zio, invece... > Lascia la frase in sospeso, ma non c'è bisogno che la continui, perché so cosa vorrebbe dirmi e so che le parole, adesso, non sono quello di cui ho bisogno.

< In effetti, lo sei, di un bellissimo bambino. Ho pensato di chiamarlo James, sai, a Sole piaceva molto, così... > Mi stropiccio gli occhi e i capelli, lo stomaco che si chiude in una morsa piacevole al solo nominare mio figlio, il bambino che mi sta aspettando, che, anche se solo nella mia immaginazione,  non vede l'ora di ammirare la sua stanza, di ricevere i regali, di essere coccolato da tutti e, mentre attendo la risposta di Tom, mi volto ad osservare l'altra metà del letto, intatta e fredda, vuota.

< Sì, Lizzie mi ha mandato un messaggio mentre ero in partenza. Senti, so che probabilmente non è il momento migliore per te e so che non vuoi altri problemi, ma... > Lo interrompo, completando la frase per lui.

< Non dovresti neanche chiedermelo, Tom. Casa nostra è anche casa tua. > Infilo i piedi nelle pantofole, rabbrividendo per lo sbalzo di temperatura improvviso: devo aver dimenticato di regolare il condizionatore, un'altra delle cose a cui pensava lei. 

< Ok, d'accordo allora. Sarò da te tra mezz'ora. > Mi informa, mentre il rumore dei clacson sovrasta già la sua voce.

< Perfetto. A più tardi. > Riaggancio e raggiungo il bagno, aprendo il rubinetto della doccia, posizionandolo sulla striscia rossa, mentre mi sciacquo il viso, osservandomi allo specchio, stanco e vuoto.

Non avevamo fatto altro che progettare la nostra vita insieme, io e Solephine, persino durante il nostro primo appuntamento. Lei era in vacanza in Inghilterra, a Londra, ed io, per puro caso, proprio in quei giorni dovevo promuovere uno dei miei ultimi lavori. Fu allora che constatai che era proprio vero che l'amore, meno lo si cercava, e più ce lo si trovava davanti agli occhi. Non avevo voluto più saperne di storie serie, e le avventure di una notte non facevano per me, così mi accontentavo del mio lavoro e degli amici, senza nessuna aspettativa, fin quando mia sorella Lizzie, al party che era seguito dopo la visione del film in anteprima, non mi aveva presentato questa splendida ragazza dai capelli scuri e gli occhi verdi, qualche lentiggine appena accennata sul naso e sulle gote e un fisico minuto e proporzionato. Credevo di sognare, di aver atteso per così tanto tempo qualcuna che fosse in grado di farmi battere davvero il cuore, che avevo addirittura cominciato ad immaginarmela; invece, era davvero lì, davanti a me, un sorriso aperto e sincero e la mano tesa in segno di saluto.

 

< Robert, lei è Solephine; Sole, lui è Robert, mio fratello, la stella più luminosa di Hollywood. > Lizzie si prende gioco di lui con facilità, senza offenderlo, facendo sorridere la cerchia di amici che li circonda, Solephine compresa.

< Wow, non credevo di poter incontrare delle vere star, qui. > Solephine tese la mano, sorridente, mano che Robert strinse con qualche secondo di ritardo, troppo impegnato a studiare i suoi capelli spettinati dal vento leggero, gli occhi verdi messi in risalto da un filo di matita nera, il vestito elegante e leggero che la faceva assomigliare ad una fata dei boschi.

< E io non credevo di incontrare una giornalista giovane come lei. > Le rispose lui, cortese, offrendole un flute di champagne, indicando il pass che le penzolava dalla piccola borsa che la sua coinquilina aveva insistito nel prestarle, altrimenti, dove l'avrebbe messo il cellulare? e un assorbente d'emergenza? e il biglietto da visita di qualcuno di importante? e le chiavi? e la tessera dell'autobus?

< Oh, beh, quella... in realtà, sono in vacanza qui con un'amica e ne ho approfittato. > Rispose impacciata, giocherellando con un anello d'argento che portava all'anulare della mano destra.

< Lavora per un giornale importante? > Robert sorseggiò il suo champagne, infilando una mano in tasca con non-chalance, gli occhi stretti per colpa del vento.

< Dovresti darmi del tu, sai? Ho la tua stessa età e darmi del "lei" mi fa sentire... vecchia. > Rise, contagiandolo. < Comunque, sto ancora cercando un posto che mi soddisfi presso un giornale che abbia una certa influenza, perciò mi accontento di lavorare come giornalista free-lance nella sezione "Moda e Spettacolo" di un piccolo quotidiano di quartiere, niente di eclatante... > Continuò, guardandosi attorno.

< Lo è. Interessante, intendo. Come hai trovato il film? > Non sapeva neanche perché gliel'aveva chiesto. Forse, soltanto perché aveva bisogno di trovare un argomento di cui discutere, forse perché era il solito paranoico e non voleva altro che rassicurazioni, forse perché il suo parere gli interessava davvero.

< Ben strutturato, scenografia eccellente, musiche superbe, recitazione splendida... > Si fermò di colpo, come se avesse capito solo allora cosa, in realtà, Robert aveva voluto chiederle. < Vuoi sapere cosa ne penso della tua parte, vero? > Continuò, assottigliando lo sguardo, indicandolo.

Robert arrossì. Arrossì come non gli capitava più da anni, ormai.

< Io... cioè, se... insomma... mi piacerebbe sapere cosa... > Ma lei lo interruppe.

< Dovresti sottovalutarti di meno, sai? Hai talento, una bellissima famiglia che ti sostiene, dei fan che ti adorano e che mostrano interesse per qualsiasi tuo progetto, anche non commerciale e hai la straordinaria capacità di immedesimarti in qualsiasi personaggio. Un attore non potrebbe chiedere di meglio. > Osservò con praticità e intelligenza, lasciandolo di stucco.

Rimasero qualche istante in silenzio, circondati dal chiacchiericcio degli invitati e dalla musica gradevole.

< Erano dei complimenti, se non te ne fossi accorto. > Sorrise, cercando il suo sguardo.

< Sì, sì, lo so... ti ringrazio, è solo che... non mi era mai successo prima. > Aggrottò le sopracciglia, confuso.

< Cosa? Che qualcuno ti adulasse così spudoratamente? > Rise.

< Che lo facesse una giornalista. > Chiarì, sorridendo.

Solephine agitò la mano, come a voler scacciare una mosca fastidiosa, sorseggiando dal bicchiere che ancora reggeva in mano.

 

Da quella sera, il passo che ci aveva portati a cenare insieme una, due, tre volte e poi a voler approfondire la nostra conoscenza, fu breve, brevissimo.

Volevo sapere tutto di lei, conoscerla in tutti i modi in cui un essere umano può conoscere un suo simile.

Quando il getto d'acqua calda mi scivola sulla testa e sul viso, rilassandomi improvvisamente, anche i ricordi scivolano via, risucchiati dal sifone, dal gorgogliare dell'acqua nei tubi.

Perché era dovuto accadere a noi? Perché proprio quando eravamo così felici?

 

Accolgo Tom in casa già vestito di tutto punto, due caffè ad attenderci sul bancone della cucina.

Lo abbraccio fraternamente e nella sua stretta riconosco molto di più di semplice affetto, molto di più di un semplice e scontato saluto. E' qui per sostenermi, per farmi forza, come solo un buon amico potrebbe e saprebbe fare e neanche ho la forza di meravigliarmi quando gli occhi mi si inumidiscono di lacrime trattenute.

< Ho preparato del caffè. > Annuncio, tirando su col naso, raggiungendo le tazze sul bancone, porgendogli la sua.

Lui si libera della giacca ancora leggera e mi raggiunge, ringraziandomi, cominciando a sorseggiare il liquido amaro. Io ho solo la forza di ingoiarne un sorso, poi non faccio altro che reggere la tazza in mano, lasciando che il suo calore si trasferisca alle mie mani.

< Quando potrai portare il bambino a casa? > Mi domanda a bassa voce, incerto su come affrontare l'argomento.

< Oggi stesso. Volevano solo accertarsi che stesse definitivamente bene. > Rispondo laconico, fissando il legno del tavolo con indifferenza, senza in realtà vederlo davvero.

< Lizzie mi ha inviato una sua foto. > Lo osservo armeggiare con i jeans per estrarre il cellulare, premere qualche tasto e mostrarmi, dopo qualche istante, una foto sfocata che ritrae me con in braccio James. La mia espressione confusa e smarrita, per un istante, mi fa sorridere.

< Solephine sarebbe felicissima. > Sorride anche lui, di tenerezza e non lo biasimo affatto per questa frase, perché ne sono convinto anch'io. Era così elettrizzata all'idea di diventare mamma, che, durante tutta la durata della gravidanza, avevo sempre pensato che proprio la sua impazienza l'avrebbe portata a partorire in anticipo. Mi aveva quasi costretto a partecipare ad un corso pre-parto che le avevano consigliato alcune sue colleghe, aveva comprato ogni libro esistente sull'argomento bambini, registrava ogni singolo episodio di qualsivoglia programma televisivo riguardante i neonati e si era documentata su Internet circa le varie poppate, le possibili malattie, i farmaci da utilizzare e a poco era valsa la mia constatazione sul fatto che queste informazioni avrebbe potuto richiederle in ospedale, al momento della nascita.

Come potevo immaginare che non ne avrebbe avuto modo?

< Già. > Mi limito a rispondere all'affermazione di Tom.

 

In ospedale sono già accorsi i miei genitori e Sofia, quasi avessero paura di non poter vedere più James, dopo che avevo comunicato loro che sarei ritornato l'indomani.

Il reparto Maternità ha un'atmosfera diversa, rispetto a quello di Chirurgia d'urgenza. Nelle stanze riesco a scorgere neo-mamme pronte ad allattare il proprio bambino, padri sorridenti e fratellini e sorelline esaltati alla vista del nuovo arrivato in famiglia. Sorridono tutti.

Mia madre abbraccia Tom con gratitudine, a me non riesce a rivolgere uno sguardo asciutto, così abbassa lo sguardo e mi stringe la mano per qualche istante a mo' di sostegno.  Sofia sorride appena; è un sorriso che non raggiunge gli occhi, ma c'è e mi rincuora. La invito ad accompagnarmi al banco informazioni e lei non se lo fa ripetere due volte, mi segue, aggrappandosi al mio braccio.

< Salve, sono qui per mio figlio, James Pattinson; sa dirmi dov'è? > L'infermiera mi scruta con attenzione, sorridendo. Sono sicuro che sappia esattamente chi sono, ma, nonostante la sua occhiata ammirata, non fa cenno di essersene accorta. Digita velocemente qualcosa al computer, poi solleva la cornetta del telefono al suo fianco e scambia qualche parola concitata.

< Lo stanno preparando; guardi, se vuole, può vederlo da lì. > Mi indica la vetrata di una stanza rettangolare ed io e Sophia, ringraziandola, ci avviciniamo, curiosi.

I neonati che si agitano o dormono nelle loro culle, sono almeno una decina e riconosco subito la culla vuota su cui campeggia il cartellino riportante il nome James.

Sposto lo sguardo al di là delle culle e dei neonati che sembrano osservarci curiosi e noto un'infermiera dai capelli rossi alle prese con la vestizione dell'unico neonato che non si trova nella sua culla: mio figlio.

Ogni tanto si agita e sembra voglia impedire all'infermiera di infilargli un minuscolo cappellino di lana, ma, per il resto, sembra abbastanza tranquillo ed io lo osservo affascinato, come se fosse l'ottava meraviglia del mondo. Forse lo è davvero, per me.

La porta si apre e l'infermiera-lo sguardo amorevole e un sorriso dolce sul viso-sembra riconoscermi.

< Lei è il padre di James, vero? > Mi si avvicina ed io non faccio altro che annuire e spostare lo sguardo sul fagottino tra le sue braccia.

< E' in perfetta salute e le somiglia molto. > Continua. < Vuole prenderlo in braccio? > Mi domanda.

< Ehm... in realtà... non sono sicuro di riuscire a non farlo cadere... > Balbetto, poi, però, Sofia prende in mano la situazione, sottraendo il fagottino azzurro dalle braccia dell'infermiera.

< Oh, ma certo che ne sei in grado, Robert! E' solo questione di abitudine. > Mi fa cenno di imitare la posizione delle sue braccia ed io eseguo, anche se mi sento uno stupido, anche se, solo la sera prima, sembrava non avessi avuto difficoltà alcuna.

Tempo qualche istante, e James è tra le mie braccia, che mi studia curioso, portandosi le mani alla bocca.

< Ehi... > Gli sorrido e allungo un dito, carezzandogli appena la porzione di pelle lasciata scoperta dalla tutina di pile che indossa.

E' così piccolo, che ho paura di poterlo rompere e mi sento così impacciato con lui in braccio, che temo di non riuscire ad arrivare alla macchina sano e salvo, ma l'infermiera sembra soddisfatta e sorride felice, mentre mi porge un foglio con tutte le indicazione sulla nutrizione e sulle marche di latte da prendere in considerazione per l'acquisto.

< Non credo di riuscire a camminare e, contemporaneamente, tenerlo in braccio. > Borbotto, mentre ritorniamo sui nostri passi, in direzione della mia famiglia e di Tom.

< Stai andando benissimo, non devi preoccuparti. > Mi incoraggia Sofia.

< Sei già andata da... da Sole? > Le domando preoccupato. Probabilmente non può sentirci, probabilmente non serve a niente sederle vicino e parlarle, ma non voglio rimanga troppo tempo da sola.

< Per qualche minuto, prima che arrivassi. I medici dicono che è stazionaria e che l'unica cosa che possiamo fare è aspettare. > Sospira, lo sguardo perso nel vuoto.

< Posso chiederti di badare a James, mentre sono da lei? > Le porgo il bambino con attenzione, prima di dirigermi verso l'ascensore del piano.

< Dove scappi? > Tom mi raggiunge proprio mentre l'ascensore annuncia il suo arrivo con un debole plin.

< Voglio andare da Solephine. > Rispondo atono.

< Vengo con te. > Quasi mi anticipa, risoluto. Sto per ribattere che posso farlo benissimo da solo, ma lui mi anticipa. < So che vuoi stare da solo con lei, ma voglio accompagnarti lo stesso. E' la mia migliore amica e voglio che sappia che sono qui. >

Ha ragione, è giusto, non posso avere l'esclusiva. Tom le vuole bene ed è normale che voglia vederla, parlarle.

Annuisco, precedendolo all'interno dell'ascensore.

Questa volta, mi mantengo in disparte e lascio che sia Tom ad indossare il camice verde, la mascherina e il copri-scarpe e a sederle accanto. Io osservo tutto dalla vetrata, anche se non mi basta e vorrei stringerle la mano, accarezzarle i capelli e dirle che l'amo.

Tom non le parla; la osserva paziente, come se aspettasse di vederla aprire gli occhi da un momento all'altro. Non la sfiora neanche; osserva i fili e i tubi collegati alle varie macchine e, forse, ha paura di farle male, anche con una semplice carezza. Quando l'infermiere gli annuncia che i cinque minuti sono scaduti, Tom si alza, la guarda ancora qualche istante, poi le accarezza la fronte, scostandole qualche capello fastidioso.

Quando mi raggiunge ha gli occhi lucidi, anche se lo maschera piuttosto bene, e tira su col naso.

< E' strano vederla lì. E' come se non ci fosse. > Mormora, mentre riprendiamo l'ascensore per tornare al nono piano.

< Si sistemerà tutto. James ha bisogno anche di lei. > Rispondo.

 

Tom mi ha aiutato ad assicurare il seggiolino da auto prima di andare in ospedale, così il viaggio verso casa è tranquillo. James sembra essersi addormentato ed io, nonostante tutto, mi sento sollevato.

< Sai, ho sentito Kristen... prima di arrivare qui, intendo. Voleva sapere se Sole avesse già partorito, se stavi bene e le ho raccontato dell'incidente. > Comincia Tom, in mano la borsa del bambino e le chiavi di casa.

< Mm. > Mugugno, impegnato a non svegliare James e a fare attenzione alle scale.

< Ecco... voleva che ti chiedessi se ti andava di vederla, sai, per un aiuto... > Tituba sull'ultima parola e a me non viene voglia di urlare, soltanto perché so di avere un neonato tra le braccia.

< Vederla? Non credo proprio, no. > Mi faccio da parte, affinché Tom possa aprire la porta di casa, dopodiché, lo seguo nell'ingresso.

< Tra voi è acqua passata, no? Insomma, ti ha fatto del male, ti ha tradito, ma questo non vuol dire che non potreste essere amici. > Cerca di farmi ragionare, ma sulla questione Kristen sono categorico: non ho nessuna intenzione di avere a che fare con lei. Aiuto? Non ho bisogno d'aiuto, sono in grado di cavarmela benissimo anche da solo.

< Non ho nessuna voglia di approfondire questo discorso, Tom. > La stanza di James è calda e la sua culla è pronta. Ve lo adagio con attenzione, svestendolo del cappellino e della coperta con cui mia madre mi ha suggerito di avvolgerlo. Mi rendo conto di aver trattenuto il fiato durante tutta l'operazione, soltanto quando, tornando a respirare, mi sembra di essere appena emerso da una lezione di apnea. Posiziono accanto a lui il walkie-talkie che mi consentirà di sentirlo una volta sveglio, e porto con me la sua copia gemella, socchiudendo la porta.

< Sai che è pentita per ciò che ha fatto. > Continua quello che, fino a due minuti fa, avrei definito migliore amico. 

< A dir la verità, no, non lo so. L'unica cosa che so è che non sono riuscito più a fidarmi di una donna per mesi, dopo il suo tradimento. Anche con Solephine è stato difficile, specialmente per via del vostro rapporto. > Sottolineo, in bilico sulla linea che mi sono imposto di non oltrepassare per non andare su tutte le furie.

Solephine aveva conosciuto Tom qualche mese prima di me, in occasione di un'intervista su uno dei suoi ultimi progetti cinematografici e, quando avevamo cominciato a frequentarci, nonostante mi avesse assicurato che tra loro non c'era altro che una buona amicizia, io avevo faticato non poco per non essere ossessivamente geloso di lei. La maggior parte delle volte, quando riceveva una telefonata ed io assumevo il mio classico sguardo da furioso indifferente come lo definiva lei, mi mostrava lo schermo del suo cellulare perché verificassi chi, effettivamente, fosse. A volte rifiutavo, le dicevo che non avevo intenzione di invadere la sua privacy e che non era costretta a rendermi conto di tutte le sue azioni o telefonate, ma lei insisteva e allora io venivo a conoscenza che non era altro che una sua collega di lavoro che voleva incontrarla durante la pausa pranzo il giorno successivo. Non potevo fare a meno di sentirmi in colpa, in quei momenti, ma lei mi capiva e, piano piano, avevo smesso di preoccuparmi, di essere geloso di lei o del suo rapporto con Tom e con i colleghi di lavoro, dimenticandomi di Kristen e di tutto quello che avevo dovuto subire dopo la nostra separazione.

< Siamo sempre stati solo amici, lo sai bene. > Obietta.

< Lo so, non era un'accusa, volevo solo rammentarti quanto sia stata dura, per me, riacquistare fiducia negli altri, in un altro rapporto. > Mi servo un bicchiere d'acqua dal rubinetto e sorseggio lentamente, calmandomi.

< Anche per lei è stato difficile. I giornali non hanno fatto altro che sputarle addosso veleno e fango e tutte le sue relazioni successive sono naufragate per colpa di sospetti infondati. Tu sei sposato, hai un bambino... non pensi che debba sentirsi sola? > Se la sua tattica è commuovermi, non credo di riuscire ad abboccare, non questa volta. L'unica cosa per cui potrei mai commuovermi, adesso, in questo istante, sarebbe ricevere una telefonata dall'ospedale e sentirmi dire che Sole è sveglia, che sta bene e che vuole vedermi, che vuole conoscere James e vuole tornare al più presto a casa.

Scoppierei a piangere come un bambino, ne sono sicuro e non proverei neanche vergogna.

< Pensaci. > E' l'ultima parola di Tom prima di dirigersi verso il bagno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


   
 
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