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Autore: G_wen    29/04/2013    0 recensioni
Tratto dalla storia:
"- Perchè non hai paura? Perchè non vai via? - domandò con un tono gelido.
Lui rimase immobile e in silenzio.- E perchè tu hai paura? - rispose.
Sgranò gli occhi sorpresa, ma allo stesso tempo infastidita. Strinse i denti per trattenere la sete, quella maledetta voglia di sangue.
- Io non ho paura! - urlò.
- Sento il tuo cuore battere violentemente da quì. Vuoi dirmi che non è paura? -"
[...]
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
 
 
 
 
 
Aprì gli occhi lentamente e iniziò a muovere le dita delle mani. Si sentiva come un masso pesante, bloccata, non riusciva quasi a respirare se non a tenere nei polmoni solo un briciolo d'aria.
Ancora non vedeva completamente cosa aveva attorno, ne chi la stesse osservando. Solo fasce di luce.
- Si sta svegliando! - esclamò il primo medico che la vide agitare le mani.
- Non riesce a muoversi, cosa le sta succedendo? - domandò agitato un'altro, mentre velocemente preparava una siringa.
- E'... è fredda... - balbetto la donna che cercava di tenerle ferme le mani. Anche i piedi cominciarono ad agitarsi, come in segno d'aiuto. Non riusciva a muovere ne il busto ne la testa, era come una crisi nervosa.
Il medico con la siringa tentò di ignettarli nel braccio un calmante, qualcosa che la aiutasse a rilassarsi, ma non riusciva a tenerla ferma.
- Dobbiamo portarla in un'altra stanza, quà non abbiamo abbastanza materiale e medicine. - detto questo corse a prendere un lettino mobile, seguito dall'altro medico.
La donna che le teneva le mani invece rimase lì, continuando a cercare in qualche modo di calmarla.
La ragazza, sdraiata sul lettino e ancora tremante e agitata, si voltò a osservarla. Gli occhi le erano diventati rossi ed era sempre più pallida.
La donna, spaventata, si allontanò appena dalla ragazza, che invece sembrava avvicinarsi.
Sì, infatti con grande sforzo la ragazza riuscì ad afferrare il polso della donna, che iniziò ad ansimare cercando di divincolarsi. Poi la morse, così la donna non potè non evitare un gemito straziante.
 
 
 
Si sporse appena dalla finestra della sua stanza. Sarà stato l'ottavo piano quello da cui stava per precipitarsi, ma non era certo quello a spaventarla, bensì la consapevolezza che il tutto sarebbe durato solo pochi istanti. Le bastò una leggera spinta e fù fuori, sospesa tra una barriera d'aria e il cielo. Una bella sensazione che terminò quando cadde con i piedi saldi a terra sull'asfalto dei parcheggi dell'ospedale.
Perchè l'aveva capito dov'era, adesso. Quegli uomini col camice bianco avevano cercato di salvarla, ma non sapevano che per lei era già finita da tempo.
Si incamminò verso l'uscita dei parcheggi, verso una strada su cui sfrecciavano auto a tutta velocità.
Inizialmente pensò di attraversare indifferente, poi si convinse che non sarebbe servito a nulla, che se voleva davvero che tutto finisse non lo avrebbe potuto fare uccidendosi. Lei non poteva morire, il suo corpo era più forte della morte.
Voltò a sinistra e cominciò a correre, più veloce di quanto le sue gambe riuscissero a resistere. Indossava ancora il camice bianco che le era stato messo in ospedale, un camice molto leggero. Il vento lo attraversava e nonstante fosse freddo, non faceva che dare piacere alla ragazza. I capelli neri svolazzavano eleganti dietro di lei e di tanto in tanto le accarezavano la schiena.
Le sembrava di volare, ma i piedi toccavano terra, anche se solo per brevi secondi.
Non ricordava nulla dei giorni precedenti, solo a momenti aveva alcuni flash-back di quel che era accaduto. Ricordava la vista del sangue sulle sue mani, il sapore pungente di quella sostanza. Ricordava il freddo e i fremiti, il cuore che le batteva all'impazzata. Queste immagini le turbavano la mente, ma sapeva che c'era qualcos'altro, sapeva che non era tutto quello che avrebbe dovuto ricordare.
Dopo chilometri e chilometri di strada, che a lei sembrarono durare ben poco, iniziò a intravvedere in lontananza le luci della città, all'imbrunire ancora più luminose.
Di fronte a se, solo un'enorme distesa di campagna. Profumava di erba e terra umida, sicuramente aveva piovuto, infatti il suolo era alquanto melmoso.
Faticava a camminare a piedi nudi in mezzo al fango, ma non fu questo a fermarla. D'un tratto posò la mano destra sulla fronte, come le fosse venuto un forte capogiro, con l'altra cercava di reggersi in equilibrio, non trovando però alcun appoggio cadde a terra. Le mani impiastricciate di quella schifosa sostanza densa su cui stava camminando, le ginocchia sfreggiate.
A quel punto ricordò.
Ero in piedi, in cerca di equilibrio. Non riuscivo a vedere chiaramente quel che mi circondava, d’un tratto qualcosa attirò la mia attenzione. C’era qualcosa nell’aria, un odore forse. Sì, uno strano odore pungente. Istintivamente osservai la mia mano, portandomela davanti al viso. Mi ero tagliata, sicuramente cadendo.
Non faceva male, ma potevo sentire l’aria fredda entrare nella ferita e raggelarmi. Un brivido mi percosse dal braccio alle spalle.
E quel brivido la attraversò nuovamente. Cosa era successo il giorno prima?
Si sentì invadere da un forte senso di colpa, ma non ne capì il motivo. Sapeva quello che era, questo non l'aveva certo dimenticato, ma non ricordava cosa era arrivata a fare.
Si sollevò con cautela da terra e indolenzita continuò a incamminarsi verso quella città che pian piano iniziava a spegnersi. Sarà stata mezza notte quando riuscì a raggiungere una piazza buia e deserta.
La parte centrale era circondata da alti lampioni e accanto a ognuno di essi vi era una panchina a due posti. Le mattonelle del terreno erano piuttosto fredde e rugose.
Nonostante il buio pesto che invadeva la città, la ragazza riusciva a vedere i particolari del luogo, riusciva a distinguere i negozi e le abitazioni. Sembrava un posto tranquillo, soprattutto perchè non c'era nessuno in giro, o almeno così credeva.
D'un tratto sentì scricchiolare una mattonella alle sue spalle e il movimento che fece per voltarsi fu più veloce del vento. Nessuno.
Non riusciva a spiegarsi il perchè quel posto avesse così tanto mistero attorno. Ogni singolo dettaglio era oscuro e nascosto. Tutto sembrava nascondere in se un segreto.
Era ferma sotto un lampione, spento proprio come tutti gli altri, quando avvertì un forte malditesta, strinse gli occhi dal dolore...
Mi diressi velocemente verso il casale, che era l'unico posto in cui mi sarei sentita al sicuro. Nella mente avevo impressa l'immagine dell'uomo che cadeva a terra poco prima di riuscire a raggiungere la propria casa, magari anche la propria famiglia.
Li riaprì. Un altro ricordo di quell'incomprensibile giorno. Un uomo? La prorpia famiglia? Niente di comprensibile, niente che le rendesse semplice capire cosa esattamente era successo quel giorno.
 
  
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