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Autore: jackjackXD    30/04/2013    0 recensioni
"Alle mie spalle una città d'oro, ottone e bronzo, nei miei occhi un nulla che colma le distanze fra le fronde di un albero che geme e sanguina. Non avrò la forza di un dio, l'intellingenza di un genio, la destrezza di un'assassina... ma posso sentire il canto dei mondi. Una voce che sembra sorreggere la vita"
Il gruppo dei vendicatori è stato evocato da due figure: due giovani opposti che si lasciano trasportare dalla fluida linfa del destino
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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“Lei ti sta cercando...” una voce flautata e leggera, quasi aspirata aveva appena pronunciato quelle parole in un mondo verde.
Nell'aria si sentiva l'odore della vegetazione viva, dei fiori che sbocciavano felici e sani, legati artificialmente ad un ambiente meticolosamente controllato.
Due figure parlavano serene sotto un salice piangente sulla riva di un piccolo laghetto artificiale nel parchetto della corte.
Una grande e massiccia era coricata nell'erba fresca, la testa rialzata grazie alle mani intrecciate dietro la nuca, come una ciotola per dei fili d'oro liquido, gli occhi azzurri come lapislazzuli scintillavano nella luce calda del pomeriggio; appoggiato al tronco fresco dell'albero il ragazzo dai rossi capelli, il volto bianco che avrebbe riflesso la luce come fa la neve nei giorni di sole d'inverno.
Uno sbuffo profondo e Thor con uno scatto contrasse il busto e slanciò le braccia per alzarsi e fissare la figura vicino a lui.
“Non sei il primo che me lo dice...” sussurrò triste, il busto si era flesso in avanti, le mani sulle ginocchia e il volto puntava l'erba. Sembrava quasi si fosse contratto su se stesso, pressato da un pensiero troppo grande anche per la forza di un dio. Quelle spalle immense sembrano vetro schiacciato dall'ossessivo peso di una mancanza.
“Solo che...” provò a dire qualcosa di più, ma le parole morirono in gola, o forse non c'erano per uno che era dedito alla lotta: non un combattimento stupido e forsennato, svuotato di ogni utilità, avvinghiato alla mania dell'onore e dell'oppressione del debole; ma uno dedito alla fiera e strenua difesa di un bene superiore, cristallino e vivo, tanto puro da essere fragile.
“Solo che?” chiese dolcemente l'altro ragazzo.
“Sono un armadio, io non so come esprimermi... Servirebbe Loki, lui si che...” e altra tristezza calò in quei occhi puri, contaminandoli ed estinguendo la luce di cui brillavano.
“Tuo fratello. Direi di lasciarlo da parte ora. Thor lei ti sta cercando e ti troverà...”, il ragazzo provò a rincuorare il giovane dio, che con uno scatto posò i suoi occhi sul cielo.
“Dici?”
“Direi che sarebbe una stupida a non cercare uno come te” e si mise a sghignazzare. Le risa aprirono un sorriso flebile ma vero, increspando la bionda barba e partorendo fini rughe di gioia.
“Da quello che so eri una persona leggermente arrogante prima di conoscerla...”
“Si abbas... ma chi te lo ha detto?” e con uno scatto il dio si levò in piedi e scherzosamente mostrò un pugnò aggressivo al ragazzo.
“Bah, bah, principalmente i sogni...” tergiversò il più piccolo, sostenendo lo sguardo dell'interlocutore con due occhi nocciola pieni di serietà.
“Si certo i sogni...” disse con un sorriso sghembo il dio biondo.
“Te la cavi bene nel fango...” e questa frase spense il ghigno scherzoso dell'uomo, suscitando in lui una forte curiosità.
“Puoi come Haindall vedere tutto?” chiese interessato.
“Se mi paghi, certo...”
“Per tutti gli dei! Un favore puoi farmelo?”
“Ehm direi di no, ogni cosa che posso donare ha un prezzo... Un augurio però non costa nulla” e un sorriso timido si velò sul volto bianco ancora steso sotto l'ombra fresca dell'albero.
Il dio spento da quella rivelazione sbuffò e si lasciò cadere sull'erba a braccia aperte.
“Ventiquattro ore”, fu un sussurro che profumava di frutta matura, bella, succosa.
“Che?” borbottò il dio.
“Ti posso mandare da lei ventiquattro ore, naturalmente non è gratis”
“Il Bifrost è distrutto, non posso andare da lei...”
“Ma ci sono tante vie che collegano i mondi, e non è difficile aprirne una” furono parole dette col sorriso ma estremamente serie.
“Sarebbe un sogno... Lo farei a qualunque costo...” sussurrò il dio lasciandosi cullare dalla brezza fresca, il calore dei raggi e il profumo dell'estate di Asgard.
“Salutami Jane...” non sentì altro, a parte il frastuono delle macchine che strombazzavano ad un uomo steso in mezzo ad un incrocio di una cittadina sperduta nel polveroso Texas.
“Hei biondino, pensi di fare un pic nic sull'asfalto?” il grido di un guidatore trapanò il timpano del giovane che si ritrovò davanti allo spiazzo dove Jane viveva, prima di partire per cercare non un dio, ma l'uomo della sua vita. Era spaesato: nessuna roulotte, un edificio di trasparente vetro completamente spoglio e lei non era la sul tetto a fissare il cielo, a rendere compatibili i dati sulle particelle o solo a ridere con lui. Salì per la scaletta e si trovò su quel terrazzo pieno di ricordi, pieno di emozioni. Mentre fissava un sole che sorgeva, sentiva ancora il calore del fuoco sul volto, le scintille nei muscoli quando la pelle si increspava in un sorriso e viveva ancora quello sguardo pieno, curioso, che due occhi da cerbiatto, vivo, forte e coraggioso, avevano posato su di lui quella notte, mentre lui parlava, raccontava un modo nuovo di vedere le cose.
Quello sguardo, quegli occhi e la sua risata; la vedevi e pensavi ad una povera dama indifesa, invece sotto la pelle era un torrente in piena, potente, incontrollato che puntava solo a gettarsi nel mare. Lei non c'era più, ma lo stava cercando.
“Fortuna che mi stava cercando!” urlò in preda alla disperazione, le braccia spalancate al cielo. Forse si aspettava un tuono, un segno, qualcosa.
Una vecchietta di passaggio si fermò notando il bell'imbusto:”Cerchi qualcuno caro?” disse con una voce coriacea.
“Jane Foster, abita ancora qua?” urlo alla vecchia che guidava un enorme tir.
“Oh caro, quella ha fatto le valigie appena la città è stata rasa al suolo. Mica scema. Quel bel faccino non gira da queste parti da un bel po'”, la donna abbassò gli occhiali da sole e dopo un ammiccamento ingranò la marcia e partì.
“Fortuna che dovevo passare ventiquattro ore con lei!” tuonò il dio, fissando un cielo che si era scurito velocemente.
“Heimdall è più affidabile di te!” e così dicendo venne giù la pioggia.
“Grazie” sbuffò e saltò nel vuoto piombando nel parcheggio, non fece mai in tempo a mettere i piedi a terra che si trovò sbalzato di lato.
La macchina inchiodò, si aprì una portella e una vocina dolce iniziò a squittire:”Oddio scusa, scusa, scusa, non ti avevo...” e li si fermò. Una giovane castana era ferma davanti al cofano a fissare Thor steso a terra.
Non disse nulla. Il giovane si voltò, era steso a terra, un po' intontito, ma non avrebbe potuto non riconoscere quella voce. Rimase li a fissarla nella luce del sole che sorge, un nuovo giorno che nasce, una nuova gioia che cresce.
“Tutti mi dicevano che mi cercavi, ma penso volessero dire che volevi investirmi di nuovo” sussurrò con un ammaliante sorriso sghembo.
Lei era ancora li ferma, in piedi a fissarlo, a pregare che quello che la sua retina captava non fosse un miraggio della tequila, non fosse uno scherzo della sua mente.
Poi smise di vederlo: le lacrime si fecero talmente grandi e dense da offuscare e bruciare ogni immagine. Tutto divenne nebbia, un alone che imperla l'atmosfera celando e risucchiando ogni dettaglio. Oddio, lei pregava che quella nebbia coprisse tutto, divorasse ogni immagine, ricordo e ciò che aveva appena visto. Perché lui non poteva essere li; e invece sentì il suo respiro, le sue grandi mani prendere la sua fragile e il solletico della barba sulle nocche.
Le scappò un riso imperlato di acqua salata e il viso si contrasse; due morbidi polpastrelli, caldi come il sole, dissiparono quella nebbia e lo vide davanti a se. Era arrivato il suo arcobaleno.
“Jane...” sussurrò con la sua voce di miele, e non finì mai quella frase perché le labbra secche della donna che amava zittirono quelle inutili parole. Un bacio non sensuale, non erotico, ma un bacio di chi ha appena visto la propria disperazione colare via e scomparire.
Balzando lei aprì la portella della macchina e spintonandolo lo fece salire in macchina, corse al suo posto e ingranò la marcia. Le ruote sfrigolarono sull'asfalto fischiando di gioia e Jane partì. Uscì dal rudere di quella città a velocità folle con un sorriso idiota stampato in volto. Thor non disse nulla, la guardò solo sconvolto, tanto da rischiare una paresi di un sopracciglio che svettava sopra l'altro.
“Jane...” disse dolce.
“Io... Io... stavo, si” la ragazza parlava a scatti, presa da il sacro fuoco della passione, e ad ogni parola o sbatteva le mani sul volante o se le passava nei lunghi capelli.
“Si. Si... Dovevo passare a disdire una cosa, ma sai che ti dico?” e fissò con uno sguardo da spiritata Thor che per tutta la risposta lentamente le chiese:”Cosa?”.
E come una mina che brilla inchiodò la macchina, spalancò le braccia e urlò:”CHISSENEFREGA!”. A quel punto il dio si allacciò le cinture si sicurezza e con estrema lentezza parlò alla donna che ancora ansimava e lo folgorava con uno sguardo pieno di gioia:”Jane. Ho solo ventiquattro ore...” a sentire quelle parole, la poveretta si smontò come un soufflè.
Gli occhi si intristirono:”Vedi, il bifrost è andato distrutto. Tutto bene la, e ecco... Sono stato mandato qua solo per un tempo limitato, e penso ad un costo estremamente elevato”.
“Non potevi chiedergli di più? Uno sconto per pernottamento prolungato?” e il dio si mise a ridere a quella battuta di una donna che tornava ad essere disperata.
“Jane... Sai che darei tutto per stare qua. Abbiamo un intera giornata da passare assieme... dopo di questa troveremo il modo”.
La ragazza si fece forza, e il dio lo vide; osservò lo sforzo, la pazienza e il coraggio di una donna che non stava per dire di si, ma stava per ingoiare tutta la disperazione che poco prima aveva perso, acida e cristallina le avrebbe eroso, lacerato la gola, l'esofago e sarebbe fermentata nello stomaco. Non poteva rimetterla, doveva farla andare giù e custodirla per non rischiare di distruggere anche l'uomo che lei cercava disperatamente nel vuoto del cosmo.
“Quindi che facciamo oggi Jane?” rischiese il giovane scrutandola e regalandole un sorriso d'oro.
“Io ho qualcosa da mangiare dietro e qua vicino c'è una bella diga artificiale...”.

L'erba fresca cresceva attorno al bacino artificiale dalle acque profondissime e color verde acqua. Un albero creava un po' di ombra riparando dal sole cocente.
I due smontarono dalla macchina e la scienziata portò due coperte, le distese dolcemente all'ombra e fissò il biondo.
“Beh, il menù di oggi: bagno fuorilegge, pranzo, film. Ti va?” e il suo volto si illuminò di un immenso sorriso. Non fece in tempo a darle una risposta che la giovane scienziata si tolse maglietta e braghe e si lanciò in acqua. Gridava contenta e lo intimava a raggiungerla se non voleva trovarsi solo e sperduto in mezzo al nulla.
Anche lui così fece la stessa cosa e si trovarono a nuotare naso contro naso, sentendo solo il rumore dell'acqua e il loro respiro.
“Chi ti ha spedito in vacanza?” chiese Jane, rompendo il silenzio.
“Un ragazzo... Odino non sarà contento a meno che non” e si interruppe.
“Cosa, Thor?” chiese Jane preoccupata.
“Penso che mio padre non se ne sia accorto. Di magia ne so poco, ma sono certo che ogni arte lascia la sua traccia e per vederla bisogna avere un potere superiore...”
“Tuo padre può vederci?” chiese un po' imbarazzata Jane.
“Ehm, ha dato un occhio per l'onniscenza e possiede due corvi che gli riferiscono ogni cosa... E' un uomo curioso”.
“E io sono mezza nuda a nuotare con suo figlio in mutande!” strillò la ragazza.
“Beh, sa quando smettere...”
“E quando?”
“Ora” e sigillò quel sussurro con un bacio.
Passarono molto tempo a divertirsi in acqua e fecero una passeggiata. Si appisolarono al sole, stesi sulle coperte sotto l'albero ad ammirare prima la luce che penetrava le foglie, poi a parlare delle loro vite che si stavano intrecciando. Thor si assopì e iniziò a russare rumorosamente, fu così che Jane dovette svegliarlo a gomitate.
“Ora so perché sei il dio del tuono. Quando dormi rombi che fai spavento!”.
“Mi dicevi di quello che ti ha spedito qua...” era pomeriggio inoltrato e Jane era stesa vicino al biondo dio del tuono.
“Si... E' apparso un giorno e lui e mio padre non hanno avuto un dialogo molto amichevole...”
“Ma è un dio anche lui?”
“No no, assolutamente è un umano, ma... tutte le volte che gli parlo, lo guardo... beh...”
“Non ti sembra...”
“Sembra che scruti in profondità ogni cosa. I suoi occhi sono come il sole che sonda il mare profondo; solo che lui penetra con arguzia e con tanto silenzio che non lo noti. Tu lo fissi e bam”, il dio si era girato rapidamente verso la sua dolce metà e le aveva solleticato la vita facendola ridere.
“Dai, che stupido... Continua...” Jane si era rifatta seria.
“Lui sa cosa vuoi... e da quanto ho visto può dartela.”
“Pensi sia pericoloso?”
“Oh no. Potrei dire che ha due occhi soli e spenti... Penso non voglia che nessuno gli stia vicino”, nel dire quelle parole che gli frullavano nella testa Thor si sentì triste e ripensò al fratello perso, e segregato nell'ombra. Lui non poteva lasciare che qualcun altro si corrompesse sotto i suoi occhi come era successo a suo fratello. Poteva impedirlo, aveva avuto l'intuizione giusta questa volta.
“Mi dispiace... Cosa farai quindi?”
“Beh intanto lo ringrazierò prima di scoprire quanto è salato il suo conto e poi boh, penso che lo terrò sorvegliato, anche se ci pensa già il mio amico...”.
Thor si alzò e fissò Jane.
Il suo sguardo era raggelato, serio e teso.
“Tuo amico? Non dicevi che era solo?”
Jane notò il cambiamento d'umore dello spasimante e attese la risposta.
“Jane... Da chi sarà ucciso Odino?” e lo sguardo del giovane si fece di diamante: duro, spigoloso e terrificante.
“Fenrir divorerà Odino, quando la catena magica che lo segrega si romperà...”.
Jane era perplessa e sconvolta, vedeva nel volto dell'amato un forte rancore, una immensa devastazione: il dolore stava dilagando e non sapeva cosa fare, cosa dire per drenare quelle sensazioni.
“Perché mi dici queste cose, Thor?”
“Il ragazzo che scorta sempre chi mi ha mandato qua è Fenrir e il suo padrone ha sciolto le catene solo desiderandolo...”
Scese la sera e Jane estrasse il portatile, era l'ora del film.
“Così questo è quello che chiamata cinema?” chiese sbadatamente e goffamente Thor.
Jane scosse il capo e lo posò sulla spalla del ragazzo. Passarono il tempo così fissando le stelle nel cielo nero e limpido, stringendosi fino ad accendere il fuoco nei loro corpi, bruciandoli di passione e di desiderio. Il dio però scrutò gli occhi della giovane che già si spogliava e vide in lei un tormento infinito, pensate: l'illusione e il dolore sarebbero cresciuti come metastasi cancerose se lei si fosse concesso a lui, senza contare che un dio è dotato di una forza inumana e il rischio di lasciarsi andare era grande. Così dolcemente abbassò la maglia di Jane che lo fissò un po' tra il sollevato e l'afflitto. “Jane riposa...” gli disse Thor, ma lei non smetteva di guardarlo, penetrarlo con quegli occhi.
“Non voglio dormire... Io non ti attraggo?” disse timida.
“Jane, sei molto bella; ma eviterei di farlo per disperazione, perchè è quello che vedo in te ora”.
“Nei film sembra sempre il sesso migliore...” il dio rimase turbato e leggermente eccitato dalla l'uscita particolare della sua compagna.
“Se lo vuoi...”
“Sono laureata, con un PhD. So valutare quello che voglio” disse decisa, e il turbamento lasciò spazio negli occhi a coraggio e passione.
“Thor, io ti troverò!” e nel dirlo sfilò la maglietta dal busto muscoloso del dio. Le soffici mani accarezzarono la calda pelle bianca e un eccitato tremolio del partner accese la scintilla.
Non dormirono tutta la notte e alle prime luci dell'alba Jane crollò in un pianto disperato. Thor non provò a fermarla, era suo diritto dilaniare il cuore dell'uomo che ogni volta che la vedeva doveva abbandonarla. Mentre il sole sorgeva le prese fra le mani dolcemente il viso, rosso per il dolore, rigato da ruscelli di schietta realtà.
Un bacio leggero sulle sue labbra rosse, respirò a fondo il profumo dei suoi capelli e nella luce che si diffondeva portandolo via dalla braccia della sua amata le sussurrò poche parole:”Ti amo”.
Il dio si ritrovò sotto l'albero di salice nel parco di Asgard ad aspettarlo il giovane rosso con Fenrir al suo fianco.
“Odino non sa nulla” disse schietto il mercante di sogni.
“Ora devi fare qualcosa per me...”
  
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