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Autore: Shirangel    30/04/2013    7 recensioni
Comincia tutto da una crepa che poi diventa fessura, si apre la voragine e la morte vince sulla vita.
Una notte troppo buia e un’auto troppo veloce.
Crash.
Neanche l’amore basta più.
[Sasuke x Naruto]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
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Ombre che non dormono mai

- Tre passi per volta, fermati e poi ricomincia. Non smettere mai, se vuoi sopravvivere. –

 

 

Strano se tutto non fosse naufragio, se tutto non fosse travolto, soffocato, consumato dal tempo.
[G. Ungaretti, Vita d’un Uomo]

 

 

[1] Non al denaro, non all'amore né al cielo.
 
Il corridoio era vuoto e l’odore di disinfettante a buon mercato pizzicava le narici. Il carrello dell’inserviente con il turno di notte doveva essere appena passato, lasciando dietro di sé quel pulito innaturale tipico degli ospedali.
Naruto si mosse sul sedile di plastica, a disagio, incapace di trovare una posizione confortevole. I tre bicchierini di caffè che si era costretto a ingurgitare per restare sveglio contribuivano ad accelerare i battiti del suo cuore in subbuglio, eppure cominciava a sentire le palpebre sempre più pesanti. La stanchezza di una giornata passata a lavorare si ripercuoteva tutta sulle sue ossa.
Quando finalmente comprese che stare seduto non avrebbe placato né il dolore né il sonno, si alzò e si trascinò verso il distributore automatico più vicino. Inserì qualche moneta nella bocca aperta del macchinario, spinse un pulsante sbiadito dal tempo e dalla luce debole, e per qualche secondo un ronzio riempì il vuoto del corridoio e della sua testa. Il pulsare costante dell’emicrania non produceva nessun rumore: era solo con se stesso. Aveva cominciato a credere di essere diventato sordo, tanto lo innervosiva l’innaturale silenzio di quel posto.
Si riscosse dal colpo di sonno che lo aveva spinto ad appoggiare la nuca alla macchinetta quando il bip metallico del distributore lo avvertì che la sua dose di caffeina era pronta. La mandò giù bollente, senza aspettare che si raffreddasse, senza aggiungere nessuna dose di zucchero. A lui il caffè nemmeno piaceva, ma punirsi faceva bene. Il calore ustionante lungo la gola e il sapore amaro erano un toccasana pungente per il suo senso di colpa.
Sentiva freddo. Strisciò lungo il muro fino ad arrivare davanti al termosifone, vi appoggiò le mani e chiuse gli occhi; ora il silenzio era turbato. Le voci tornavano a farsi sentire, le luci si accendevano di nuovo; ricominciava lo spettacolo sul palco della sua vita. Tremava, Naruto, di fronte all’immensità della morte che striscia.
Decesso. Menomazione a vita. Degenerazione psichica. Danni mentali. Non toccava a lui decidere, ma non avrebbe potuto farlo comunque. Cosa sarebbe stato meglio? Cosa avrebbe scelto lui?
Naruto si prese la testa tra le mani e appoggiò le spalle al muro. Scivolò con la schiena lungo la parete fino a trovarsi seduto per terra, senza far caso alle piastrelle gelide che gli pungevano la carne attraverso il tessuto dei jeans, strappato e insanguinato. Aveva respinto le infermiere che volevano applicargli qualche punto di sutura senza nemmeno rendersene conto.
Aveva cambiato idea. Voleva dormire, ‘fanculo quello che sarebbe successo mentre lui era privo di sensi: tanto non poteva fare nulla. Quel senso d’impotenza lo spinse a prendere a pugni il muro; dal taglio che gli sfregiava le nocche sprizzò sangue dappertutto. Lasciò la sua impronta sulle pareti, ma non se ne curò.
I pensieri gli facevano male alla testa. Dormendo li avrebbe lasciati da parte, ma riposarsi sembrava un tradimento verso la persona che, in quello stesso momento, in quello stesso ospedale, lottava per non addormentarsi per sempre.
Spinse la nuca all’indietro, in uno scatto improvviso, e il dolore auto inflitto gli schiarì le idee già annebbiate dal sonno. Doveva restare sveglio. Doveva capire.
Cosa aveva sbagliato? Cosa avrebbe potuto fare per cambiare le cose?
Guardare in altro non serviva a niente. Non c’era nulla che lenisse almeno un po’ quel bruciore al petto che – ne era sicuro – forse non se ne sarebbe andato mai.
 
~°~
 
- Una vita prima -
La musica era alta. La radio, sintonizzata su un canale a caso, continuava a gracchiare storie d’amore d’altri tempi in versi, sebbene nessuno l’ascoltasse. Naruto era costretto a gridare per farsi sentire sopra le note ululanti, ma non gli venne in mente di abbassare il volume per concedere un po’ di riposo alle corde vocali ormai in fiamme. Aveva le gote rosse per la stizza e stringeva i pugni da così tanto tempo che le sue mani erano indolenzite. Non ci faceva caso.
Alla guida c’era Sasuke. Inspiegabilmente, lui non aveva bisogno di alzare la voce; quando parlava, con quella sua tonalità bassa e roca, lo stesso mondo si zittiva per starlo ad ascoltare. Anche Naruto si acquietava per sentire le sue parole.
Stavano litigando. La strada nera scorreva fuori dai finestrini, illuminata solo da qualche lampione occasionarlo, e la pioggia battente ticchettava senza tregua sui finestrini; i tergicristalli si muovevano freneticamente per stare al passo con le gocce che continuavano a ricoprire il parabrezza.
«Tu non capisci!»
A posteriori, Naruto rammentò di aver pronunciato quella frase almeno cinque volte. Era l’unica che ricordava; perfino il motivo del loro battibecco era svanito in una nuvola di fumo. Probabilmente era un pretesto stupido, infantile, come sempre.
Il tachimetro segnava una velocità eccessiva, molto al di sopra del limite imposto per una strada del genere, ma nessuno dei due sembrava farci caso. Sasuke teneva gli occhi sul percorso e pareva non ascoltare i suoi lamenti, eppure approfittava dei rari momenti di silenzio per rispondere a tono. Sempre con quella sua voce bassa.
Naruto ricordava benissimo quello che era successo, ma in sottofondo sentiva solo il battere incessante del suo cuore. Sembrava di guardare un film senza volume; ecco che afferra la spalla di Sasuke per scuoterlo e indurlo a rispondere alla sua domanda, ecco lui che si gira infastidito ed eccolo fissare un punto indistinto dietro alle spalle di Naruto, con due occhi vuoti da far paura, il volto illuminato dai fari di un’auto in avvicinamento.
Sasuke, forse per la prima volta in vita sua, non aveva controllato l’incrocio.
Naruto si era voltato appena in tempo per vedere la spider che si schiantava contro il loro SUV.
Dopo quello, il caos. Sasuke lo aveva afferrato per i capelli biondi, costringendolo ad abbassarsi, e aveva cercato di proteggerlo con il suo corpo, per quanto la cintura di sicurezza allacciata glielo permettesse. Il rumore ce lo aveva ancora in testa: roboante, minaccioso e incredibilmente crudele.
Naruto ricordava benissimo il momento in cui era svenuto; il suo ultimo pensiero, lucido anche a distanza di ore, era una preghiera. A chi fosse rivolta, non lo sapeva nemmeno lui. Non conosceva nessuna entità abbastanza potente da salvarlo dal mondo.
Sasuke, Sasuke, Sasuke. Non gli importava davvero di morire, l’unica cosa che chiedeva era Sasuke. Forse era stato quello a fargli perdere i sensi, pensare che sarebbe potuto accadere qualcosa a Sasuke. Era talmente straziante da togliergli l’aria, e un cervello senza ossigeno si scollega in fretta.
Lo sentiva sopra di sé, caldo e freddo allo stesso tempo, con il cuore che batteva così forte da trapassare tutti i vestiti e arrivare al suo.
Sasuke. L’aveva perfino sillabato senza voce, appena prima che il mondo sbiadisse nell’oscurità.
“Non morire.”
 
[2] Aspettiamo la fine del mondo.
 
Quello che era successo dopo gliel’avevano raccontato i medici, grazie al resoconto sputato a monosillabi dalla donna seduta nella spider.
Si era risvegliato fuori dall’auto, accasciato lungo la strada; Sasuke l’aveva trascinato fuori e poi era tornato indietro per soccorrere i passeggeri dell’auto coinvolta nell’incidente, ma quando Naruto aveva ripreso i sensi la strada era ancora buia. Una crescente sensazione di panico, acida e dagli angoli taglienti. C’erano voluti un paio di secondi per la deflagrazione che aveva rischiarato incredibilmente l’intero incrocio, e l’urlo di Naruto che squarciava l’aria era venuto subito dopo. L’incubo nasceva dalle corde vocali e non moriva mai: perfino la paura si era accasciata su se stessa, mentre la disperazione si erigeva dalle sue ceneri.
«No!»
Insieme a lui, strillava la donna portata in salvo da Sasuke appena un minuto prima. Il guidatore – suo marito – era ancora troppo vicino alla macchina per non rimanere coinvolto nell’esplosione del serbatoio.
Anche Sasuke lo era, ma a Naruto non importava. Non poteva essergli successo nulla di male, non poteva perché non era giusto. Voleva scappare il più lontano possibile. Non voleva tornare. Voleva solo smettere di ascoltare il cuore che batteva troppo forte, così tanto da fare male.
“È colpa mia”, pensò mentre correva verso le auto. Si sfilò il giubbotto e lo sbatté più volte sul corpo disteso a terra, in preda alle fiamme, tentando disperatamente di spegnere il fuoco, ma la posizione innaturale del collo toglieva il fiato. Era morto e lo aveva capito ancora prima di arrivare accanto a lui. Morto. Ucciso da lui, in fin dei conti. Lui che si ostinava a scuotere il braccio di Sasuke mentre guidava, anche se si era beccato un buon numero di rimproveri a causa di quel suo comportamento infantile.
“È colpa mia”, ripeté più volte, come un mantra, e le vampe avevano cominciato a divorare il tessuto di pelle e a scottargli le mani. Sentiva le dita bruciare e non riusciva a interessarsene. Voleva salvare quel corpo, perché non poteva essere morto.
“È colpa mia”, e intanto continuava a cercare di spegnere il fuoco, rischiando la vita per un cadavere.
Non si fermò fino a che due braccia lo strinsero da dietro, costringendolo a lasciare la presa sul giubbotto ormai in fiamme.
«Basta! È inutile ormai, non puoi fare più niente. Vieni via da qui!»
Si era allontanato solo perché era stato trascinato con la forza. Non riusciva a pensare a nulla, solo a quel nome che continuava a occupargli il cuore, la testa, tutto. Scalciava e urlava parole che non ricordava, forse erano solo contenitori casuali di dolore.
Sasuke.
“Che cosa ho fatto?”

~°~

 
Seduto sul pavimento di quel corridoio d’ospedale, Naruto interruppe il suo ciclo di ricordi con un sussulto. Fisicamente era quasi illeso, dal punto di vista psicologico si sentiva come se quella spider lo avesse investito più e più volte. Gettò lo sguardo lontano, fuori dalla finestra, dove il buio era ancora buio, ma le stelle accennavano a scomparire. Era quasi mattina, eppure il nero pennellava tutti i colori e li storpiava nell’oscurità più assoluta, o forse era colpa sua che filtrava la realtà con il cuore.
Lo fecero entrare in una stanza bianca, asettica, identica a centinaia di altre stanze d’ospedale. Si lasciò cadere sulla sedia che trovò accanto al letto con un sospiro, senza preoccuparsi di mantenere il silenzio. Lo voleva rompere, voleva assolutamente sentire qualcosa che non fosse la folla di voci nella sua testa. La sirena dell’ambulanza, le grida straziate, il dolore che cantava una canzone di morte.­­­
Naruto prese la mano bianca, ancora più chiara delle lenzuola, e ne baciò ogni nocca, piano, accorgendosi a malapena delle lacrime che scorrevano tra le dita.
Sasuke lo lasciò fare, esausto sebbene fosse stato privo di sensi fino ad allora.
Nessuno dei due parlò.
Non si capivano con uno sguardo, come invece professavano tante di quelle coppiette della loro età. Non bastava toccarsi per riversarsi l’uno nell’altro. Per capirsi avevano bisogno di parlare, a volte nemmeno quello era sufficiente, semplicemente perché erano solo troppo diversi.
In quel momento erano estranei provenienti da due mondi agli antipodi. Naruto lo toccava e gli sembrava di sfiorare la lastra di vetro che li separava.
«Come stai?»
Perché Naruto quel silenzio non lo sopportava, pesava troppo sulle spalle. Aveva bisogno di qualcosa – di qualsiasi cosa.
«Come uno su un letto d’ospedale.» bofonchiò Sasuke, accigliato. La voce roca era il risultato delle tante ore in cui era stato privo di conoscenza. «Vammi a comprare le sigarette.»
Naruto sospirò e si impose di controllare i battiti del cuore.
Vivo. Vivo. Vivo. È vivo.
Sentirlo respirare, sebbene a fatica, vederlo muoversi al ritmo dell’aria che gli scorreva nei polmoni, era tutto ciò che Naruto riusciva a desiderare. Lo faceva sentire in colpa pensare che quella donna bramasse la stessa cosa per suo marito, ma comprese a pieno la sua mostruosità quando la felicità che su quel letto ci fosse Sasuke, e non l’uomo ancora in sala operatoria, lo travolse come un fiume in piena.
«Non puoi fumare qui.» indicò con un cenno del capo l’allarme antincendio sopra la finestra. «E non puoi alzarti.» non riusciva a lasciare la sua mano. Separare le loro dita poteva significare solo perdere quella sensazione di ritrovata tranquillità. A stento riusciva a credere che davvero fosse vivo, dopo le ore di strazio passare nella sala d’attesa; quel corpo in fiamme, nella tragica confusione dell’incidente, gli era parso essere proprio quello che aveva stretto a sé in infinite notti durate troppo poco.
«Aumenta la dose di morfina, allora. Voglio dormire.»
«Non posso.»
«Fallo.»
«No.»
Come poteva spiegargli di essere egoista? Aveva bisogno di tenerlo sveglio con sé, di vegliare con lui sull’uomo che insieme avevano forse ucciso. Non ce la faceva da solo.
Sasuke spinse il pulsante per chiamare l’infermiera. La ragazza trafelata e assonnata che arrivò oppose una fiacca protesta prima di soccombere alle sue pretese. Armeggiò con il morsetto della flebo e Sasuke si assopì in una manciata di minuti.
Naruto rimase solo con il suo dolore. Ancora una volta. Non ebbe il coraggio di chiedere informazioni su uno dei pazienti che quella notte stavano rischiando la vita.
 
[3] Arriverò quando non avrai più bisogno di me.
 
Sentimi.
Amava costringerlo a farlo, proprio perché da solo Sasuke non era in grado di capire quel bisogno di essere il riflesso del suo specchio. Non si sentiva presuntuoso o arrogante, forse solo un bambino che pretendeva amore incondizionato. Lo voleva perché Sasuke non era in grado di darglielo, e impiegare tutte le sue energie per ottenerlo lo faceva sentire proprietario di una vita completa. Era solo un frammento monco di sogno, ma a lui piaceva così.
Nella stanza d’ospedale numero quattrocentoottantatrè qualcosa di tutto questo si era rotto. Somigliava al filo che esce dalla cucitura e minaccia di sfaldare tutto il ricamo, la tessera del puzzle rovinata a un’estremità che non combacia più con la sua vicina. Era Sasuke che si rifiutava di condividere con Naruto il momento più difficile della sua vita.
Non era una relazione facile, ma l’amore non lo è mai. Nel mondo segreto dei quasi adulti sopravviveva tra alti e bassi, ma nella realtà più crudele era destinata a incrinarsi al primo impatto. In un incidente non aveva possibilità: la crepa diventa fessura e la fessura diventa voragine.
Naruto uscì dalla stanza dopo che Sasuke si fu addormentato; forse la vedeva come una risposta a quel comportamento ancora più egoista del suo, magari pensava che non si meritasse di vedere un volto conosciuto al suo risveglio. Non quando si era rifiutato di accettare la sua metà delle colpe, scaricandole tutte sulle spalle di Naruto.
La sala d’aspetto tornò ad accoglierlo tra le sue sedie scomode e il caffè scadente del distributore. Gli occhi azzurri si erano venati di rosso. Lacrime o stanchezza, non faceva più differenza; tutto si sommava in un crescendo che, presto o tardi, sarebbe esploso.
A lui non servì la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso, né arrivò il momento in cui una sola molecola in più di quell’aria viziata lo avrebbe fatto soffocare. Fu una decisione sofferta, di quelle in cui il piede pesta più volte la soglia della porta senza attraversarla del tutto. Naruto uscì e rientrò nella sala d’aspetto almeno tre volte, prima di andarsene definitivamente.
Non sapeva nemmeno in quale reparto cercare. La donna alla reception lo indirizzò verso neurochirurgia con un gesto della mano, mentre tra la spalla e l’orecchio il telefono minacciava di scivolare alla minima distrazione. Le unghie smaltate di rosso non erano uscite da una manicure recente e i capelli in disordine sicuramente avevano bisogno di un parrucchiere. A Naruto servivano una doccia e almeno dodici ore di sonno: con vena malinconica si ritrovò a pensare che dalla vita non si salva nessuno.
Riconobbe la donna dalla postura delle spalle. Sebbene ci fossero decine di sedie vuote accanto a lei, era accasciata a terra, con la schiena sostenuta dalla parete, nella stessa posizione che Naruto aveva fatto sua appena poche ore prima.
Mentre si avvicinava i suoi occhi furono catturati da quella figura piccola, quasi insignificante, ma non riuscì a vederla davvero. Si limitava a riconoscere i sintomi del dolore dopo averli assaggiati sulla propria pelle, eppure quelle cicatrici invisibili alla vista e non al cuore erano ancora più profonde delle sue. Quasi si vergognava a soffrire così poco, in confronto a lei.
Non sapeva cosa dire. I piedi andavano avanti e la testa restava indietro. Le labbra secche e la voce sparita nel nulla: in che modo avrebbe potuto scusarsi?
«Vattene.»
Naruto continuò a camminare.
«Assassino. Vattene.»
Naruto si fermò.
«È morto. È questo che volevi sapere? La risposta è no. Non puoi pulire la tua coscienza commiserando gli altri.»
Le lacrime spezzavano le frasi e i singhiozzi causavano degli strappi allo stomaco troppo dolorosi da sopportare. Il bruciore saliva sempre più in alto, dalla pancia al petto agli occhi. Piangere sarebbe stato offensivo, non meritava di esorcizzare il dolore con lacrime che non gli spettavano.
Naruto si odiò, tornando indietro. Ma l’uomo è egoista. L’uomo è cenere nel vento. L’uomo scappa di continuo e nemmeno quando manca il fiato può fermarsi.
Naruto camminò fino a uscire dall’ospedale. Andò a comprare le sigarette per Sasuke, perché tutte le ragioni che si era dato per non farlo quando lui glielo aveva chiesto ormai non importavano più. Insieme dovevano punirsi fino a pulirsi, perché doveva per forza esserci il modo per farlo. Non poteva sopportare il peso di quella colpa per tutta la vita.
La sua colpa era ancora quella di aver provocato l’incidente. Non di aver ucciso una persona, perché quell’uomo non era morto. Non era vero. Si rilassò e si concesse anche un sorriso, pensando che c’era ancora la speranza di non essere un assassino.
Il cellulare squillò mentre stava per rientrare nell’ospedale. Rispose senza pensarci.
«Dove sei?»
Si era svegliato. Con un’occhiata all’orologio Naruto si accorse di aver girovagato senza meta per ore. Chissà da quanto aveva ripreso conoscenza.
«Come stai?»
«Ancora su un letto d’ospedale, idiota. Ti ho chiesto dove sei.»
«Ti serve qualcosa?»
Sentì la voce irritata di Sasuke sbuffare e allontanò l’orecchio dal cellulare. Coprì il microfono per nascondere un singhiozzo.
Non sembrava straziato dal senso di colpa quanto lui. Non sembrava un ragazzo che aveva appena messo a rischio la vita di un’altra persona. Non sembrava capire il suo dolore.
«Sono sveglio. Se proprio vuoi, puoi venire qui.»
Non “Ho bisogno di vederti”, né “Voglio condividere questo peso con te”.
A Naruto non importava, in realtà: era abituato al carattere schivo del suo ragazzo e aveva imparato a decifrare le sue frasi per capire il vero messaggio che Sasuke cercava di inviargli tramite il suo tono scontroso, quasi annoiato.
“Non voglio stare da solo.”
Nemmeno Naruto lo voleva. Voleva andare da lui, tentare di abbracciarlo, magari, forse perfino riuscire a sorridere del suo caratteraccio.
Eppure le parole uscirono da sole, senza che lui potesse in qualche modo controllarle.
«Sono già andato a casa, in realtà. Ero veramente a pezzi e avevo bisogno di una doccia. Ci vediamo domani.»
Sasuke non rispose subito, forse spiazzato da quella risposta, basito nell’apprendere che non era stato messo al primo posto.
Naruto aspettò qualche secondo di sentirsi dire “Non me ne frega niente, idiota, alza il culo e torna qui, ho bisogno di averti con me”.
Poi si diede dello stupido e chiuse la conversazione. Si fumò l’intero pacchetto di sigarette e camminò verso il loro appartamento.
La prima crepa si riconosce solo con il senno del poi.
 
[1] Solo ore, solo minuti, solo tempo. Quanto manca?
 
Naruto il giorno dopo non andò da Sasuke. Si trascinò fino all’ospedale, alzandosi dal letto senza nemmeno sapere come, ma si tenne lontano dalla stanza quattrocentoottantatrè. La notte era stata crudele, con lui, e sul quel materasso troppo vuoto non era quasi riuscito a chiudere occhio. Ogni tanto aveva allungato la mano verso destra, dove di solito le sue dita incontravano i fianchi nudi di Sasuke, ma non aveva trovato altro che aria fredda. Il suo profumo era ovunque, sul cuscino, sulle coperte, su di lui. Visse di lui per tutta la notte.
La mattina dopo, all’ospedale, aveva inseguito medici troppo occupati a lottare contro il tempo per dargli retta. Solo dopo essersi trovato sull’orlo di una crisi di nervi una dottoressa aveva avuto pietà di lui, e gli aveva offerto un caffè annacquato alla mensa del piano terra.
Era stata gentile con lui. Aveva raccontato, con termini semplici e innocui, quello che era successo agli organi del pover’uomo e perché il cuore aveva smesso di funzionare. Non lo aveva accusato di nulla, anche se ogni volta che Naruto abbassava lo sguardo si vedeva, riflessa nella sua colpa, la parola “assassino” impressa sulla fronte come un tatuaggio.
«Quando ci sarà il funerale?»
La dottoressa aveva fatto un sorriso triste.
«Non credo sia una buona idea.»
Non lo credeva nemmeno lui.
Una volta che la donna se ne fu andata, le sue mani si mossero da sole per andare a cercare il cellulare.
Sasuke rispose al secondo squillo.
«Mi dimettono domani.»
Non “Ciao”. “Come stai?” o “Sono felice di sentirti”. Andava bene così. Andava bene? Sì.
E allora perché non era riuscito a rispondere come voleva davvero?
“Ti porterò a casa io. Sarà tutto come prima.”
«Dovrai chiamare un taxi. Non posso venire a prenderti, mi dispiace.»
La voce di Sasuke sembrava infastidita.
«Cos’hai da fare di tanto importante?»
«Vado al suo funerale.»
«Di chi?»
Solo ora se ne rendeva conto: non sapeva nemmeno il suo nome. Sentì il desiderio di esplodere in quel momento, in tanti piccoli pezzi di quello schifo che era.
«Dell’uomo che abbiamo ucciso.»
Silenzio dall’altra parte.
«È morto?»
Non glielo aveva detto. Se ne ricordava solo adesso. Dove aveva la testa?
Meglio così. L’ho preso alla sprovvista. Non farà in tempo a nascondere il dolore.
«Sì.»
«Non lo sapevo.»
Nient’altro. Doveva chiudere la telefonata prima di morire dentro.
«Ci vediamo a casa.»
Pigiò il tasto di fine chiamata senza aspettare nulla, stavolta.
 
~°~
 
Al funerale non ci era andato. Non era andato nemmeno a prendere Sasuke. Il telefono squillava di continuo, ormai da giorni, ma non rispondeva mai. Tanto non era mai Sasuke, a chiamarlo.
Quel pomeriggio era andato in riva al fiume a pensare, steso sull’erba ancora umida per la pioggia della sera prima, e il tempo si era portato via tutte le ore di luce prima ancora che fosse riuscito a formulare un pensiero coerente. Quando ne cominciava uno, immagini e flash di sangue e luci abbaglianti gli apparivano a intermittenza, e la mente s’ingarbugliava. Sarebbe mai tornato normale? Le gambe si erano mosse fino a trasportarlo sul luogo dell’incidente.
Era solo sera, ma lui vedeva la notte. L’incrocio era vuoto, ma gli abbaglianti della spider gli ferivano gli occhi. Alzò le mani e le vide incrostate di sangue. Vomitò tra i cespugli e si accoccolò nel punto preciso in cui si era svegliato dopo aver perso conoscenza.
Averlo detto a Sasuke lo rendeva vero. Non c’erano più scuse: era morto davvero.
E la colpa era sua.
L’unica parola che gli lampeggiava davanti era il nome di Sasuke. Era ancora tutto. Era lui a non essere più niente.
Finalmente riuscì a piangere, singhiozzando fino a quando i polmoni non iniziarono a pulsare affannosamente. Il dolore, invece di uscire insieme alle lacrime, si ingrossò fino ad occupargli tutto il cuore. Sentiva il sapore salato che gli inumidiva le labbra e si asciugò le guance graffiandosi la pelle. “Assassino”, intonavano i gufi nel linguaggio della notte.
Il cellulare suonò per l’ennesima volta. Naruto zittì la suoneria e ignorò la telefonata. Era stupido, ma controllò se il display portasse il nome di Sasuke sopra all’immagine standard per le chiamate in entrata. Non era lui, non lo era mai.
Ormai si era fatto buio. Qualcun altro si sarebbe preoccupato per il fidanzato in ritardo. Non lui.
Naruto tornò a casa e vide la luce accesa in camera da letto. Aspettò che si spegnesse prima di entrare, poi cercò una coperta nel guardaroba e si addormentò sul divano. Stavolta non c’era nemmeno il profumo di Sasuke, ma pensò che non sarebbe riuscito a sopportare il contrario.
Perché devo soffrire solo io?
Se lo chiese tutta la notte. Si alzò più volte per raggiungere il frigorifero, aprirlo, richiuderlo e poi tornare sul divano. Verso le tre del mattino Sasuke aveva acceso la luce del salotto e l’aveva trovato lì. Naruto aveva finto di dormire e aveva aspettato per qualche minuto che il ragazzo se ne tornasse in camera. Dopo essere rimasto di nuovo solo, si era alzato e aveva raggiunto la credenza degli alcolici.
Svuotò una bottiglia di vodka e poi la vomitò interamente nel lavandino della cucina.
La mattina dopo Sasuke scese a preparare qualcosa di caldo per entrambi. Posò una tazza di latte sul tavolo davanti al divano e si sedette accanto a lui, che era ancora steso sotto la coperta, spostandogli le gambe in malo modo. Sorseggiò il suo caffè senza una parola, aspettando che Naruto uscisse dal suo antro e consumasse la sua colazione.
«Grazie.»
«Mh.» un’alzata di spalle. Tutto quello che poteva aspettarsi da lui.
Naruto non si era nemmeno preparato una storia per nascondergli che non era andato al funerale. Non ce n’era bisogno, perché tanto era sicuro che Sasuke non gli avrebbe chiesto niente.
Infatti non lo fece.
«Ti ho sentito camminare mentre scendevi a preparare il caffè. Zoppichi.»
Sasuke notò che il suo tono era completamente indifferente. E che non gli aveva chiesto come stava. Fece finta di nulla perché non ammetterlo era facile. Accettare di avere un problema, invece, era scomodo. E lui era stanco.
«Ho una caviglia slogata.»
«Ah. Mi dispiace.»
«Non è niente.»
Silenzio. Sarebbero state così le settimane seguenti? E i mesi? Gli anni?
Naruto non poteva sopportarlo. Ignorarlo in quel modo non faceva parte del suo carattere, non avrebbe resistito fino a quando Sasuke non si fosse deciso ad aprirsi con lui. E aveva perfino paura che lo facesse, terrorizzato dallo scoprirlo vuoto come il ragazzo freddo che continuava a fingersi.
«Abbiamo ucciso una persona.»
Sasuke non parve preso alla sprovvista, ma se Naruto avesse osservato meglio, guardando i suoi occhi invece di concentrarsi sulle proprie unghie conficcate nella pelle, forse avrebbe visto qualche pezzo dell’armatura di ghiaccio che scivolava via dal suo corpo.
«È morta una persona. Io non c’entro nulla. Tu compatisciti pure quanto ti pare.»
«Si sono schiantati contro la nostra auto!»
Sasuke si alzò dal divano e lanciò la tazza contro il muro. La porcellana esplose e i rimasugli di caffè macchiarono le pareti bianche.
«Non si è fermato allo stop. Non mi ha dato la precedenza.»
Naruto strinse i denti e guardò le lacrime di liquido scuro che gocciolavano a terra come sangue da una ferita.
«Eri cinquanta chilometri sopra il limite di velocità.»
Non più “Noi abbiamo ucciso”, non più “la nostra macchina”, ma “Tu eri sopra il limite”. Se Sasuke non era intenzionato a dividere le colpe, lui non avrebbe condiviso nemmeno l’assoluzione.
Il ragazzo lo fissò. Forse si aspettava una fedeltà senza vacillamenti, una totale e incondizionata protezione. Forse era solo così sicuro di sé da non tollerare accuse di quel genere. Forse si sentiva così in colpa da aver bisogno di negare tutto e soffocare il suo dolore sotto l’alterigia.
Naruto tutto questo non lo capiva, perché aveva il suo strazio a cui pensare, così non lo fermò mentre se ne andava sbattendo la porta. Aspettò di sentire il rombo della moto che usciva dal garage prima di andare in camera a fare i bagagli. Mentre usciva fissò i pezzi della tazza ancora a terra e pensò di raccoglierli.
Prese una scheggia tra le mani e la strinse fino a farsi sanguinare il palmo, poi la gettò a terra.
Sasuke non aveva nemmeno provato a raccattare i cocci del suo cuore.
Lasciò un post-it sul frigorifero dicendo che se ne andava qualche giorno da Sakura per pensare. Giorni, settimane, mesi, che importa?
È solo tempo. E Sasuke se ne frega, no?
 
[2] Fitte acute come spilli, ma non così sottili.
 
Sakura l’aveva accolto volentieri, malgrado lo scarso preavviso, e lo aveva sistemato in una camera degli ospiti improvvisata. Era felice di vederlo dopo non essere riuscita a contattarlo in seguito all’incidente, ma i suoi occhi non riuscivano a nascondere del tutto la preoccupazione dietro al sollievo.
«Sei sicuro che vada tutto bene, Naruto?»
«Certo che sì.» il sorriso più finto che aveva. «Mi conosci, no? Tempo un paio di settimane e sarò come nuovo.»
La ragazza aveva sospirato, poggiandosi le mani in grembo. Sembrava pallida e stanca e lo conosceva troppo bene per lasciarsi ingannare da quel surrogato di vita.
«Non sai quanto mi avete fatto preoccupare. Ho cercato di chiamarvi centinaia di volte e non mi avete mai risposto. Ho davvero temuto il peggio.»
Il viso di Naruto si rabbuiò e le ombre tornarono di colpo a coprire la luce del suo sguardo. Non sopravviveva tanto a lungo, ormai, sotto il peso del buio.
«Scusami. È solo che è stato molto difficile.»
Sakura gli prese la mano e la strinse, forte.
«Andrà tutto bene. Ne uscirai.»
Fortunatamente aveva evitato di fargli domande su Sasuke. Naruto non avrebbe retto. Le ore erano passate e si erano trasformate in un giorno, poi in due. Nessun segno di vita. Nessuna chiamata. Nessun gesto a indicargli che lo voleva ancora.
Alla fine fu lui a telefonargli, sotto le pressioni di Sakura che lo vedeva perdere colore dal viso e forza vitale. Lontano da lui non aveva più speranze di sopravvivere di una pianta recisa.
Il cellulare non era raggiungibile. Riprovò al telefono di casa.
«Pronto?»
La sua voce sembrava seccata e Naruto si chiese se non avesse spento l’iPhone proprio per evitarlo.
«Sono io.»
«Lo so.»
Silenzio. Cominciava a far male tutta quell’assenza di parole. Non erano mai state indispensabili, ma ora che non potevano toccarsi parlare era l’unico modo per capirsi.
«Volevo solo dirti che penso di rimanere da Sakura ancora per un po’.»
«Come vuoi.»
«Sasuke…»
Lui non aspettò che completasse la frase.
«Che c’è?» chiese, rabbioso, forse solo per esprimere un po’ di tutta quell’energia repressa.
«Vuoi che torni?»
«Te l’ho già detto. Fai come vuoi.»
Naruto non aspettò di sentire il rumore della linea libera. Chiuse la chiamata prima che potesse farlo lui e lanciò il telefono sul divano. Il cellulare rimbalzò e scivolò a terra, aprendosi in due. Naruto scivolò a terra e cercò, inutilmente, di piangere.
Il dolore ormai era troppo grande per lasciarlo colare fuori da sé insieme alle lacrime. Bisognava tenerselo dentro e inghiottirlo. Le mani di Sasuke erano sempre state brave a strapparglielo di dosso, ma in quel momento Naruto non poteva nemmeno immaginare l’ipotesi di rivederlo.
Abbiamo ucciso una persona e non gli interessa. Ho ucciso una persona e non vuole salvarmi. Ha ucciso una persona e non vuole essere salvato.
Sakura rimase a guardarlo dalla soglia. Impiegò alcuni minuti per convincere i suoi occhi a non piangere, poi entrò e si andò a sedere a terra, accanto a lui.
«Richiamalo» disse dolcemente. «Richiamalo e aggiusta le cose. Puoi farlo.»
Naruto scosse la testa. Coltelli nel cuore lo trafiggevano da parte a parte. Stringere i denti e serrare le palpebre erano le uniche cose che servivano a sopravvivere.
«No.» mormorò. «Fa troppo male. Di solito riesco a gestirlo, lo accetto, ma ora no. Fa troppo male per riuscire a sopportare anche la sua indifferenza.»
La ragazza si alzò e raccolse il cellulare dal pavimento. Rimontò lo sportello che celava la batteria, saltato a causa dell’impatto, e lo riportò all’amico.
«Non perdere l’ultima cosa bella che ti è rimasta.»
Lo lasciò solo. Naruto guardò il graffio sul display e poi chiuse gli occhi. La figura di Sasuke si stagliò di fronte a lui.
L’ultima cosa bella.
Ma se la meritava?
Lasciò il cellulare sul pavimento e andò a farsi una doccia.
No.
 
~°~
 
«Sai che puoi restare quanto vuoi. Vorrei solo che tu fossi felice.»
«Lo sono.»
«Davvero?»
“No. Ma stando qui, almeno, sarò meno triste.”
«Certo.»
«Bugiardo.»
Sbatté la porta e se ne andò, Sakura, perché non poteva permettersi di guardare uno dei suoi migliori amici distruggersi in quel modo.
Si attaccò al campanello per cinque minuti buoni, prima che Sasuke venisse ad aprirle la porta.
«Cosa vuoi?»
Gentile come sempre. E aveva la stessa tenuta di Naruto, a quanto poteva vedere: boxer e t-shirt scolorita. Solo che il suo fiato puzzava di birra tanto da farle arricciare il naso.
«Cosa aspetti a venire a riprenderti Naruto?»
Sasuke si lasciò andare a un gemito di esasperazione. Tentò di chiudere la porta, ma lei fu più veloce e infilò una scarpa da ginnastica tra lo stipite e il bordo.
«Se non vuole tornare sono affari suoi.» sbottò, irritato, ma la lasciò entrare. La precedette e si gettò sul divano, nascondendo il viso tra le pieghe di un cuscino. Diverse lattine vuote di Sapporo giacevano rovesciate sul tappeto.
«Siete uno più testardo dell’altro. State rovinando tutto.»
Sasuke si voltò verso di lei e le gettò uno sguardo astioso.
«Lo so benissimo, Sakura. Adesso che hai detto la tua, vattene.»
La ragazza se ne andò senza degnarlo di uno sguardo.
«Almeno abbi le palle di chiamarlo, prima che sia troppo tardi!» gli gridò dall’ingresso.
Sasuke guardò il cellulare abbandonato sul pavimento. Poi si girò dall’altra parte e si addormentò.
Fu Naruto a svegliarlo, mentre entrava in casa in punta di piedi. Urtò il portaombrelli e la sua imprecazione soffocata lo raggiunse nel momento in cui aprì gli occhi.
«Oh» disse quando lo vide. «Pensavo fossi al lavoro.»
«Sono in ferie.»
“E allora perché ti muovevi come un ladro?” avrebbe voluto chiedere Sasuke. Non lo fece perché sapeva la risposta che lui non avrebbe avuto il coraggio di dargli.
“Perché nel caso in cui fossi stato in casa, non avrei voluto incontrarti.”
L’Uchiha notò lo zaino sulle sue spalle. Naruto non si mosse né aggiunse altro.
«Torni a casa?» gli chiese, alzando un sopracciglio.
Lui abbassò lo sguardo.
«Sono venuto a prendere qualche cambio di vestiti puliti.»
Una settimana. Due settimane. Quanto era passato? Naruto non era in grado di quantificarlo in tempo, ma in dolore. Ed era tanto.
E ora era ancora di più. Sasuke stravolto, visibilmente ubriaco, con due scatole di pizza semivuote sul tavolo e circondato da lattine di birra. Seminudo, e anche quello aveva il suo effetto.
Non riuscì a resistere. Scavalcò lo schienale del divano e si lasciò cadere su di lui, intrappolandolo in un abbraccio che aveva il sapore della disperazione. Inspirò a pieni polmoni l’odore di Sasuke sotto la puzza d’alcool. Era lui casa sua.
«Mi manchi.» confessò. Dovette cavarselo fuori dalla gola a forza. Mandare giù l’orgoglio e riemergere con quel pizzico di umiltà necessario a riaggiustare tutto. Mancava solo il collante per rimettere ogni cosa al suo posto, ma a quello serviva Sasuke.
Sarebbe bastato poco, davvero. Ricambiare l’abbraccio, dire “Anche tu”. Chiedergli di tornare a casa. Baciarlo e fare l’amore. Perfino una carezza sui capelli sarebbe bastata, a Naruto, per mettere una pietra sopra a tutto.
Eppure non ebbe niente. Rimase lì per minuti interminabili ad aspettare una qualsiasi reazione. Non accadde nulla. Sasuke si lasciò stringere senza mostrare niente di ciò che lo rendeva umano.
Naruto andò di sopra, pigiò qualche maglietta e un paio di jeans nello zaino e se ne andò senza aggiungere una parola.
I coltelli affondavano sempre di più ad ogni passo. Presto del suo cuore non sarebbe rimasto più nulla.
 
[3] L’ultimo ballo: provaci, ma la morte non si lascia ingannare.
 
Tempo. Ancora più tempo. Ancora più dolore.
Ormai Naruto lo chiamava tutti i giorni. L’astinenza da lui era insopportabile, aveva bisogno almeno di sentire la sua voce. Le telefonate duravano poco, recise a metà dalle loro parole sempre più apatiche giorno dopo giorno.
Dopo ogni chiamata Naruto piangeva. Chiudeva il collegamento telefonico quando sentiva che non sarebbe più riuscito a trattenere a lungo le lacrime. Sakura lo guardava sfiorire con il dolore di una madre.
Naruto non si accorgeva che Sasuke non interrompeva mai le telefonate. Stava in silenzio per minuti interi, ignorandolo, ma non riattaccava. Lo ascoltava respirare trattenendo il fiato, beandosi della vita che trascorreva lontano da lui.
Il fantasma dell’uomo morto tornava ogni notte. Lo indicava e basta, perché era sufficiente. Era il suo assassino, ma non serviva designarlo come tale: lo sapeva da solo. Si chiedeva tutti i giorni perché Sasuke non soffrisse del suo male, perché lui non avesse i suoi incubi. Fantasticava su come sarebbe stato dividere il peso fino a farlo sparire. Tornare a essere una persona sola, come una volta. Invecchiare insieme.
 
«Oggi è il compleanno di Sakura. Magari puoi venire a farle gli auguri.»
«Le manderò un messaggio più tardi.»
Silenzio. Groppo in gola. Puoi resistere, Naruto.
«Non ti va di vedermi?»
«Ho del lavoro da sbrigare.»
«Capisco. Sarà per un’altra volta.»
Batti sul tempo le lacrime, Naruto. Riattacca prima che arrivino.
Ce la fa sempre. Forse, se per una volta, una soltanto, non ci riuscisse, se Sasuke sentisse cosa significa stare lontano da lui, allora…
Naruto scuote la testa.
Tanto non succede mai.
 
«Cosa fai stasera?»
«Nulla.»
«Nemmeno io.»
 Il cuore di Naruto batte inutilmente: Sasuke non gli chiederà di vedersi.
«Pensi mai a me?» domanda allora.
Silenzio. Deve inventare una bugia o sforzarsi di celare la verità?
«Dipende.»
«Da cosa?»
«Non ho tempo per parlare, ora. Sono in ufficio.»
«Oh, scusami. Ti richiamerò stasera, allora.»
Riattacca. Non lo richiamerà.
 
~°~
 
Accadde una sera di fine aprile. Sakura era uscita con Ino e la casa, oltre a lui, era vuota.
Il campanello suonò alle nove e mezzo, troppo presto per pensare che la ragazza fosse già tornata. Naruto andò ad aprire con il cuore che batteva esageratamente forte; posò una mano sul petto per convincerlo a rallentare. Galoppava come quello di chi sa di essere appena stato condannato a morte.
Era lui. Lo sapeva.
Sasuke era sulla porta. Con due valigie in mano.
«Ciao.» mormorò Naruto, troppo scioccato per riuscire a invitarlo in casa.
«Ciao.» biascicò lui. Fece un passo avanti, costringendolo a farne uno indietro per lasciarlo passare. Si sfiorarono e l’elettricità li accese in ogni anfratto di anima.
«Che ci fai qui?»
Sasuke lo fissò dritto negli occhi, prima di passargli una delle valigie.
«Ti ho portato le tue cose. Tutte. Vestiti, CD, documenti, libri. C’è tutto.»
Un colpo al cuore per Naruto. Immaginava che ne fossero arrivati altri prima della fine della serata e si chiese se sarebbe riuscito a sopportarli senza morirne.
«Perché?»
Non riuscì a chiedere altro, e per di più gli tremava la voce. Si diede dello stupido.
«Quest’altra, invece, è vuota. Puoi metterci le cose che hai portato qui.» continuò lui, senza rispondere. «E poi… tornare a casa.» distolse lo sguardo mentre completava la frase.
Andarsene o tornare. Entrambe per sempre.
Cosa sceglierai, Naruto? Te stesso o lui?
«Hai capito perché sono venuto a vivere qui?»
Aveva bisogno di saperlo. Di sapere se sarebbe stato tutto inutile o se c’era una minima speranza di aggiustare le cose. Doveva saperlo, perché gli sarebbe bastata una scintilla di comprensione da parte di Sasuke per perdonarlo di tutto.
«No.»
Almeno provaci, testa di cazzo. Inventa. Qualsiasi cosa…
«Sasuke.»
…andrebbe bene qualsiasi cosa.
«Dimmi che ti senti in colpa per quell’uomo. Che soffri. Che hai bisogno di me per superarlo, come io ho bisogno di te.»
Ormai stava implorando.
Sasuke si avvicinò a lui. Era poco più alto e le sue labbra potevano rispondere direttamente sussurrando all’orecchio di Naruto.
«Tutto questo per me è insignificante.»
Naruto lo baciò. A lungo e intensamente. Lo spogliò e sentì sotto le dita la pelle bruciare mano a mano che la denudava. Gli leccò il collo e poi il petto, lo assaggiò dovunque. Lo toccò e lo strinse forte a sé, cercando di fondersi con lui, ma era un incontro impossibile. Si erano allontanati così tanto nelle ultime settimane che il suo corpo era come quello di un estraneo, eppure era ancor Sasuke. Solo un po’ più freddo del solito.
Fece l’amore con lui sul pavimento. Gridò il suo nome e pianse dentro ad ogni spinta. Le lacrime uscirono solo quando Sasuke si svuotò dentro di lui. Lo aveva a malapena accarezzato, ma la disperazione nei suoi gesti era palpabile. Solo Naruto non poteva vederla, coperto dal suo stesso dolore come circondato da un muro invalicabile. L’orgasmo fu doloroso, una pioggia di acido sulla sua anima rovinata.
Si alzò e si rivestì appena finito. La mano di Sasuke rimase sollevata verso di lui per qualche secondo per cercare di trattenerlo, ma Naruto non la vide perché era girato di spalle. O forse perché Sasuke non era in grado di essere umano e si era solo immaginato di fare qualcosa per riattaccare i cocci.
La parete era stata pulita, ma la tazza era ancora in pezzi sul pavimento.
Naruto non sapeva cosa dire.
Come si chiude un amore? Quando finisce, è facile. Quando si ama ancora, ma è impossibile farlo senza soffrire, è impossibile. Naruto però voleva scegliere se stesso.
«Grazie per avermi portato le mie cose.» mormorò, senza girarsi. Continuò a dargli le spalle perché guardarlo negli occhi avrebbe significato cedere.
Non serviva altro. Sasuke capì immediatamente. Si rivestì con calma e si alzò.
«D’accordo.» disse solo. Si lasciò accompagnare alla porta senza una parola, sebbene il desiderio di prendere Naruto per le spalle scuoterlo fino a costringerlo a guardarlo si fosse fatto impellente.
Il ragazzo spostò il peso da un piede all’altro, a disagio. Aveva aperto la porta, ma l’Uchiha non accennava ad andarsene. Sapeva che ancora qualche minuto a così poca distanza dal suo corpo gli avrebbe impedito di mantenersi fermo nella sua decisione.
«Allora… ci si vede.»
Sasuke lo guardò ancora per qualche secondo. Poi, inspiegabilmente, sorrise.
«Non credo.»
Il suo tono non era né risentito né amareggiato. Solo un po’ triste e venato da rimpianti. Si chinò, forse per baciarlo, poi sembrò ricordarsi che le cose non erano più come prima e si limitò a sfiorargli i capelli. Se ne andò con la valigia vuota.
Naruto chiuse la porta.
Poi la riaprì.
«Sasuke!»
Lui si fermò.
«Aspetta.»
Non si voltò.
«Volevo solo…»
Dannate parole che non arrivano mai.
«Grazie di tutto.»
Sasuke alzò una mano in segno di saluto. Poi scomparve nel buio e Naruto non lo vide più.
Se n’era andato davvero. Per sempre. La consapevolezza era pesante come un macigno. Capì solo in quel momento di aver voluto fare l’amore perché, in qualche angolo nascosto della sua testa, sperava che in una situazione del genere la vicinanza avrebbe fatto cadere tutti i veli.
Non era stato così. Sasuke non era tornato a essere Sasuke e la loro storia non era rinata dalle ceneri. Ogni speranza se n’era andata insieme alla porta che si chiudeva.
Naruto si appoggiò al muro e pianse in silenzio fino a non poterne più. Poi ricordò il sorriso dell’Uchiha e sorrise anche lui. Andò a letto con il cuore più leggero e si addormentò pensando a tutte le cose che avrebbe cominciato il giorno dopo.
In realtà, non ne fece nessuna. Riflettere però lo aiutò a superare la notte, e quando incontrò Sakura davanti a una dose di caffè riuscì perfino a replicare il sorriso della sera prima.
Si sentiva libero, in qualche modo. Non doveva litigare con se stesso per decidere se chiamare Sasuke o aspettare. Non doveva piangere. Non doveva imporsi di scegliere. Non doveva sopportare la sua colpa tutto da solo.
Già, la sua colpa.
Per la prima volta dopo tanto tempo, non aveva sognato l’uomo dell’incidente.
Naruto sorrise ancora, senza riuscire a trattenersi.
Era un nuovo inizio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

- Questa storia partecipa al “Sensation Contest” indetto da La Lolly Dolly sul forum di EFP;

- “Non al denaro, non all'amore né al cielo” è il titolo delle edizioni successive dell’omonimo album di Fabrizio De André (“Non al denaro non all’amore nè al cielo);

- La Sapporo è una birra giapponese

 

Note dell’autrice:

È passato qualche mese, ma sono di nuovo qua. Speravo di tornare con qualcosa di meglio, e non nego che questa storia sia una delusione per me, ma ormai è andata così XD Mi aspettavo grandi cose dall’idea originale, ma si sa, non sempre le aspettative vengono rispettate. Andrà meglio la prossima volta (quando non sarò con l’alito della maturità sul collo, magari u.u). Un commento mi farebbe piacere, quindi se avete tempo che ne dite di lasciarmi due righe?

A presto, si spera!

 

shirangel

   
 
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