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Autore: Shark Attack    01/05/2013    5 recensioni
Prendete una classica storia fantasy e buttatela via: il protagonista cade dalle nuvole e si ritrova a dover salvare il mondo come dice una profezia sbucata da chissà dove, giusto? No, non qui.
Lei è Savannah, lui è Nehroi: sono fratelli senza fissa dimora, senza passato, senza futuro ma con un presente che vogliono vivere a cavallo tra il loro mondo e il nostro seguendo solamente quattro regole: non ci si abbandona, si restituiscono i favori, non si prendono ordini e non si dimentica.
Sfidano antiche leggende, rubano amuleti e armi magiche di ogni genere per il solo fine di diventare più forti e usano i poteri per vivere da nababbi a NewYork. Il resto non conta. (... o almeno, così credono!)
[Grazie anticipate a chiunque vorrà essere così gentile da leggere e lasciare due parole di commento! ^-^]
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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29
Piani



Helea si rimise composta e sorrise allo sguardo perplesso del marito, tranquillizzandolo abbastanza da farlo tornare alle sue chiacchiere con Silar. Quella frase aveva graffiato il ragazzo quanto sperato e la donna si beò nel vederlo con le labbra schiuse e lo sguardo vacuo.
Il cielo nero si stagliava sopra tutte le teste come un mantello oscuro e protettivo, privato delle sue stelle argentee da una luna prepotente che rischiarava con forza bianca ed ammaliante tutta la volta e pure la terra. Le montagne erano contornate di luce e così anche i boschi, gli alberi, l'erba, il palazzo, le persone. Tutti erano avvolti da una doppia luce, quella calda delle fiamme danzanti e quella fresca della luna imponente.
Nehroi se ne accorse mentre si guardava attorno alla ricerca della sorella, scorgendo la dualità luminosa su ogni cosa. C'era chi era rivolto verso l'una o l'altra fonte e agli occhi del ragazzo sembrava che indossassero tutti una maschera, senza riuscire a capire se il vero volto fosse illuminato dal cielo o dal fuoco. Scorse Savannah mentre si allontanava, troppo lontana e nascosta per poter essere illuminata distintamente da qualcosa, e scorse anche Phil, ancora seduto al suo posto oltre il falò, che lo fissava senza espressioni, lasciando che fossero i suoi occhi giallognoli e più accesi del solito a parlare per lui.
Non ingannerete mai me”, aveva detto la donna di Bastreth. Nehroi si domandò quanta verità potesse effettivamente circondarlo.
Tra chi si alzava per andarsene e chi si muoveva per parlare con altri, le due luci illuminavano alternativamente ed in maniera indistinta tutti quanti, in un gioco bianco e arancione che divenne subito molto confuso.
Il brehkisth abbassò lo sguardo su di sé e provò una strana sensazione quando notò che lui stesso era illuminato perfettamente per metà dalle fiamme e per metà dalla luna.
Le persone attorno a lui si agitavano come demoni infuocati o angeli candidi, ma non se ne curò più e li lasciò alle loro nature ed intenzioni.
Si allontanò dal gruppo e rincorse Savannah.

«Fermati!», urlò affannato sugli scalini.
La jiin era già dall'altra parte del salone vuoto e non accennò minimamente a rallentare il passo marziale con cui metteva in fretta e furia parecchi metri tra loro due. Pestava i piedi a terra come quando era bambina, pensò lui, e il suo vestito ondeggiava come mare in tempesta.
Nehroi si allargò il colletto della camicia con un dito e riprese la corsa senza scoraggiarsi, accompagnato solamente dal rumore dei loro passi che rimbombava sulle pareti spoglie come proiettili.
Savannah stava per salire la rampa di scale che portava ai piani superiori, diretta verso la sua stanza, quando le venne afferrato l'orlo della gonna e perse l'equilibrio.
Cadde all'indietro, ma suo fratello la prese al volo e se la caricò su una spalla come un sacco di patate senza alcuna cerimonia.
«E adesso noi due... dobbiamo parlare», disse mentre cingeva le gambe di Savannah con un braccio per evitare i calci che la ragazza stava cercando di dargli.
«Mollami!», sibilò irritata agitando i pugni. «La maledizione, mi fai male!»
Nehroi se la issò meglio in spalla facendole fare un saltino e, ignorando completamente le sue proteste («Brucia!», «Ho appena mangiato!»), varcò il portone d'ingresso con la tranquillità di chi fa quattro passi per sgranchirsi le gambe dopo la lunga cena. Camminò sull'erba fresca e scura, all'ombra dell'enorme palazzo, svicolando con calma tra i carri fluttuanti dei Capi e di tutti gli ospiti di Tolakireth, fino ad arrivare in un punto abbastanza lontano da orecchie non desiderate. Non erano troppo lontani dal punto in cui si erano fermati con i mal'Kee un paio di notti prima e fu solo allora che mise Savannah a terra.
La ragazza aveva un'espressione furibonda, innervosita da capo a piedi, e le mani le fremevano vistosamente. «Questo è uno di quei momenti in cui adoro essere maledetto», commentò Nehroi ringraziando lo scudo che lo proteggeva da anni dagli attacchi d'ira della sorella e che non gli impediva di finire arrosto un giorno sì e l'altro pure.
«Tranquillo, conserverò il rancore per quando ti sigillerò di nuovo», ribatté la jiin con un ghigno malefico.
Nehroi si lasciò cadere a terra con un piccolo tonfo e i fili d'erba gli solleticarono i palmi delle mani, i polsi e le caviglie scoperte. Alzò lo sguardo sulla sorella, ancora in piedi come un soldato, e sospirò mentre la invitava a sedersi a sua volta con un cenno della testa.
Savannah corrucciò le labbra ed assottigliò lo sguardo. «No», si impuntò mettendo il broncio.
«Sei arrabbiata?», domandò il brehkisth dopo aver fatto spallucce.
«E perché mai», sbottò la ragazza incrociando le braccia, «In fondo io pensavo che saresti andato a dormire e invece hai avuto il tempo di andare da Heim e Nekkis ad accettare la proposta senza dirmi nulla. Oh, dimenticavo la figura da imbecille che mi hai fatto fare stasera, grazie davvero. Poi te ne esci con un bel “fidati di me”, molto teatrale e convincente, sì, anche se non so bene come potrei effettivamente fidarmi di chi fa tutto alle mie spalle. Per non parlare dello spettacolo con la maledizione, non credo di aver mai assistito a nulla di tanto patetico ed irritante ma, chissà perché, la parte del buffone ti è riuscita in pieno.»
Le parole scivolarono fuori dalla sua bocca ancor prima che il cervello potesse sistemarle o approvarle; scapparono dalla sua presa come acido, esplodendo nell'aria quieta più di una bomba innescata da un timer al termine del conteggio.
Nehroi non replicò né sembrò particolarmente offeso o colpito da quella sfuriata velenosa. Lasciò scivolare gli arti e si sdraiò completamente sull'erba, confermando a sé stesso che quella era proprio una notte senza stelle.
Savannah sciolse l'incrocio delle braccia e le tese lungo i fianchi con rigidità. «Non dici nulla?», domandò inquisitoria senza togliersi quell'aria arcigna dal viso.
«Sei tu che mi devi dire un po' di cose», si limitò a dire il ragazzo.
La jiin rimase per qualche istante immobile, incredula. Poi, come un palloncino, la sua tensione scoppiò e si trasformò in ilarità tramite una risata nervosa. «Io?», scandì ironica. «Adesso sono io quella che deve dire un po' di cose?»
«Tu e Decra avete parlato un sacco.»
Savannah sentì i polmoni rimanere vuoti per un attimo, poi si riprese come se qualcuno l'avesse punta sul viso. «E questo che c'entra, stavamo parlando di te», ribatté con meno determinazione ma più nervosismo.
Nehroi le fece nuovamente cenno di sedersi accanto a lui e stavolta obbedì.
«Allora è come avevo immaginato», commentò la ragazza non appena ebbe finito di sistemarsi la gonna in modo da coprirsi le gambe dal contatto con l'erba fredda. Alzò la testa e si guardò attorno con sospetto, socchiudendo gli occhi per vedere meglio al buio eventuali spioni e ficcanaso. A causa della prospettiva, una parete del palazzo si stagliava più in alto delle altre nel cielo nero e copriva la luna, rendendo quel fazzoletto di terra particolarmente oscuro e vanificando il tentativo di Savannah. Chiuse gli occhi ed ampliò i sensi come aveva fatto a Bastreth per ispezionare la grotta finta e cercò di individuare degli intrusi, ma incappò nel muro eretto dalla maledizione del fratello e la sua mente venne allontanata come se qualcuno le avesse colpito la testa con una mazza da baseball.
Cadde confusa e dolorante con la faccia sul terreno mentre si portava le mani sulle tempie pulsanti e le sfuggiva un gemito soffocato. Nehroi scattò a sedere come una molla e fu tentato di precipitarsi su di lei per aiutarla, ma dovette invece allontanarsi, ricordandosi con un istante di ritardo che avrebbe peggiorato le sue condizioni.
«Scusa», soffiò dispiaciuto.
Savannah digrignò i denti ed inspirò profondamente tra sibili e gemiti ma non rispose nulla. Rimase sdraiata immobile per un po', le mani sempre alla testa, e ciò fece sentire il fratello ancora peggio.
«Era da tanto che non ci succedeva, eh?», tentò di spezzare la tensione con una battuta.
La jiin non disse ancora nulla e il tentativo fu effettivo quanto un buco nell'acqua.
«Mi dispiace», sussurrò affranto.
«Non è... è colpa mia, ho sbagliato io...», pigolò la ragazza.
Savannah si rimise a sedere faticosamente, sentendo la testa girare e pulsare come se stesse affrontando una sbornia. Abbozzò un sorriso e calmò il respiro. «Hai ragione, era da un po' che non facevo l'errore di sottovalutare o dimenticare la tua maledizione», ammise.
Nehroi sorrise a sua volta e si sentì molto sollevato. Si lasciò di nuovo andare sull'erba e distese gambe e braccia come un gatto pigro e un po' assonnato. «Anti-magia allo stato puro, baby, solo roba buona!», disse imitando una voce pubblicitaria.
La jiin ridacchiò del tono di voce buffo che aveva appena utilizzato, poi sbadigliò e si sdraiò anche lei. Rotolò su un fianco, senza badare ai pizzichi dell'erba sulle sue gambe e braccia nude, e posò una mano sul torace del fratello. Da fuori non si notò la differenza, ma sotto quella camicia chiara si stava disegnando un tatuaggio rossastro senza un motivo o un disegno preciso, accozzaglia di vari simboli e forme senza uno schema logico, ma molto lineare per la mente di Savannah.
Quando il sigillo fu terminato, la ragazza si avvicinò ancora di più al fratello, incastrandosi tra il suo busto e il braccio ancora alzato.
«Dov'eravamo rimasti...», chiese Nehroi mentre cingeva la sorella. «Decra, giusto?»
Savannah si inumidì le labbra. «Immagino che mi abbia parlato solo perché tu stavi collaborando con le guardie», ipotizzò.
«Eccellente, Watson.»
«Hai davvero intenzione di diventare una guardia?»
Nehroi rise e Savannah sentì le vibrazioni di quel suono pervadergli il petto e scuoterle in viso, fino ad entrare in lei come se fossero sue.
«Un bravo soldatino, votato al “bene”, armato di Vaìn, che vive in attesa degli ordini di qualche pallone gonfiato che abbiamo già preso a calci...? No, non credo che faccia per me.»
«Stai giocando col fuoco», commentò la jiin con serietà. Il suo tono era piatto ma preoccupato e al brehkisth non sfuggì.
«Sì», ammise con rammarico. «Ma non sarei mai riuscito ad andarmene di qui senza... sapere. E questo mi sembrava l'unico modo.»
Savannah non disse nulla. Rimase ad ascoltare il respiro di suo fratello con l'orecchio premuto sul suo torace, trovandolo rilassante.
«Tu non sei d'accordo», disse Nehroi.
«No.»
Il respiro del ragazzo divenne più frenetico e il petto iniziò a sollevarsi ed abbassarsi più spesso.
Savannah mantenne il suo tono calmo e controllato e proseguì. «Questo però lo sapevi già, o non avresti fatto tutto tenendomi all'oscuro fino all'ultimo...»
«Finché non pronuncio il giuramento non sarò altro che parole, non sarò legato da alcun vincolo contrattuale», obbiettò Nehroi con convinzione.
«E ti lasceranno andare via prima di allora? Non hai pensato che potrebbero trovare il modo di trattenerti fino a quel momento? Poi saresti loro per sempre, ricordatelo.»
«Lo so bene!», sbottò a denti stretti. «Lo so», aggiunse poco dopo, con una calma nervosa, finta.
Savannah strinse un pezzo di tessuto tra le dita, la sua gonna, ed iniziò a stropicciarlo nervosamente. Non c'era più il cielo nero di fronte ai suoi occhi, né l'erba ormai gelida sotto di loro. Solo le conseguenze di quelle scelte avventate popolavano la loro mente, nient'altro contava o era degno di essere visto.
«Almeno ti ha detto qualcosa di interessante?», domandò Nehroi con un velo di speranza.
Savannah annuì e lui si sentì tranquillizzato.
«Però adesso non è una priorità, Neh, dobbiamo trovare il modo di...»
Il brehkisth strinse la presa su di lei, sul suo braccio nudo e freddo, interrompendola. «Scappiamo adesso», propose.
La ragazza non rispose subito. Sbatté le palpebre perplessa, aprendo e richiudendo la bocca più volte, senza riuscire a trovare una risposta adatta. «Adesso?», domandò dopo un po'.
«Ti dispiace?»
Savannah si tirò su, puntellandosi su un gomito per vedere il fratello in viso. «Qual era il tuo piano, esattamente?», domandò aggrottando le sopracciglia scure e senza preoccuparsi di nascondere il suo scetticismo.
Il ragazzo sbuffò annoiato e la guardò obliquo. «Non avevamo superato quel passaggio?», sbadigliò contrariato.
«Promettere di entrare nel corpo di guardia a patto che mi rivelassero un tassello delle nostre origini, poi lasciarli a bocca asciutta e andarcene come se nulla fosse?», ipotizzò lei.
Nehroi si grattò la nuca e si guardò attorno nervosamente. «... ehm, può darsi?»
Savannah parve trattenersi con estrema difficoltà dall'alzare gli occhi al cielo o dal tirare uno schiaffo al fratello. «Passando il resto dei nostri giorni come ricercati di livello massimo in ogni regione? Neh, lo sai che quelli hanno un codice d'onore severissimo e che non tollerano i tradimenti della loro gente! Se se la prendono sul personale... al confronto adesso non siamo altro che due ragazzini che hanno giocato un po' troppo! Non potremo più mettere piede ad Ataklur, capisci?»
«Io non sono ancora dei “loro”, non possono considerarlo un tradimento!», replicò vigorosamente lui.
Savannah però non smise di guardarlo con ferocia.
«... possono?», pigolò il ragazzo con una nota di angoscia.
Un vociare lieve ed indistinto li distrasse dalle elucubrazioni sull'onore del corpo di guardia ed entrambi ruotarono la testa come girasoli verso la fonte di quel suono mentre si appiattivano al terreno imitando felini pronti all'agguato.
Erano due le sagome che scorsero vicino alle pareti esterne del palazzo, molto vicine tra loro ed evidentemente agitate. Parlavano velocemente ed in maniera molto concitata, ma non riuscivano a distinguere neanche una parola nitidamente.
«Riesci a vedere chi sono?», domandò Nehroi con curiosità.
Prima che Savannah potesse rispondere di no, una delle due persone si allontanò dalle mura abbastanza da essere illuminata per un istante dalla luna bianca e una folta chioma bionda rese inconfondibile la sua proprietaria.
«Deiry», sibilarono all'unisono i Fratelli del Deserto.
«Scommetto una gamba che l'altro è Silar», aggiunse Savannah con astio.
Nehroi annuì convinto. «Quanto ti fidi della sincerità del suo aiuto di oggi per sigillare quell'oca manipolatrice?», domandò pensieroso.
Savannah ridacchiò brevemente e il suo sguardo si assottigliò. «Zero.»
Appoggiò entrambe le mani sul terreno ed inspirò lentamente mentre lasciava che parte della sua magia fluisse dai polpastrelli come piccoli fiumi. Si stavano per unire tra loro intrecciandosi come fili di una maglia ed ergendosi formando un muro tra le due coppie quando Nehroi afferrò la sorella per i polsi e la distrasse, rompendo quella costruzione fluida sul nascere. Il muro non ancora formato scoppiò nell'erba come una bollicina.
«Che fai?», le sibilò preoccupato. «Quello è uno jiin viola, ricordi? Non riuscirai mai a fregarlo con un trucchetto così banale!»
Il suo sguardo continuava a rimbalzare da Savannah a Silar, sperando che non li avesse notati, e l'ansia aumentava ad ogni occhiata.
«Quanti scudi camaleontici credi che abbia visto nel suo ufficio? E poi è una mia invenzione, non lo scoprirà mai», ribatté infastidita la jiin.
«E se invece lo facesse?»
«Lo affronterò.»
«Usa il plurale, genia, ricordati che anche Deiry è una jiin...»
Savannah lo guardò storto ed incrinò le labbra in una smorfia contrariata. «Un attimo fa stavi progettando di peggio», gli fece notare.
Nehroi lasciò la presa sulle sue braccia ed imprecò. «Fa' come ti pare!», si arrese esasperato.
La jiin annuì soddisfatta e gli fece cenno di seguirla tra i carri fluttuanti parcheggiati alle loro spalle.
Come ninja esperti, si mimetizzarono nella notte e nelle loro ombre, scivolando dietro l'uno e dietro l'altro, correndo silenziosi e rapidi come il vento, fino ad arrivare al più vicino alle mura del palazzo. Non riuscivano ancora a distinguere bene ciò che i due si stavano dicendo, così Savannah ricominciò a tessere il suo muro magico, filo dopo filo, con cura e precisione: un solo punto sbagliato e non sarebbero più stati protetti e nascosti.
Lo fece largo e alto abbastanza da potervisi nascondere dietro entrambi rannicchiati, poi costruì due maniglie verticali al centro del muro e fece un cenno con la testa al fratello quando ebbe finito il tutto.
Non era la prima volta che usavano uno scudo simile per passare inosservati, sebbene non fosse il metodo migliore: essendo costruito interamente utilizzando la magia di Savannah, alimentarlo e mantenerlo attivo era molto difficile e dispendioso, rendendolo di breve durata. Per quanto riguardava il suo funzionamento, era molto semplice: come i camaleonti sono in grado di mimetizzarsi con l'ambiente, così quello scudo avrebbe fatto con loro, nascondendoli a sguardi indiscreti ed indesiderati.
Si rannicchiarono dietro il muro appena costruito ed afferrarono una maniglia a testa, poi sollevarono di poco lo scudo e si avvicinarono a piccoli passi ai due confabulanti. Si fermarono solo quando arrivarono anche loro alle pareti esterne del palazzo, ad una buona distanza per origliare indisturbati.
Eppure non riuscivano ancora a capire cosa si stessero dicendo.
«Credi che abbia fatto un incantesimo per far sentire agli altri qualcosa di sbagliato?», ipotizzò Savannah scervellandosi per trovare una soluzione a quel problema. Deiry e Silar -da quella distanza si vedeva bene che era lui- erano stati troppo viscidi e strani in quei giorni per poter ignorare cosa si stessero dicendo con così tanta urgenza.
«No», disse Nehroi con certezza. «So che cos'è. L'ho sentito da Phil, oggi pomeriggio.»
La ragazza lo guardò stupita e lui si beò della sensazione di esserle un passo avanti. Un'occhiataccia lo fece tornare coi piedi per terra. «È una lingua strana che parlava con Heim, non l'ho mai sentita ma loro la parlavano con naturalezza senza curarsi di chi ci fosse attorno...»
«Quindi erano tranquilli e sicuri che nessuno li avrebbe capiti?», ipotizzò Savannah con sorpresa. «Se non è madrelingua la magia non ci aiuta a capirli... Ingegnoso.»
Nehroi annuì e sospirò contrariato. «Ci serve Mayson per tradurre», commentò.
La jiin si abbatté di meno: strinse una mano a pugno e si concentrò per qualche istante, poi schiuse le dita ed una piccola farfalla completamente azzurra si librò dal suo palmo steso.
La piccola creatura svolazzò per qualche decina di centimetri avanti e indietro, con un moto confuso, come se stesse cercando di capire come si muovessero le ali o dove si trovasse; poi, tutto ad un tratto, varcò la soglia del palazzo di Tolakireth con decisione e sparì al suo interno.
Savannah fece un cenno del capo a Nehroi ed entrambi imitarono la farfalla, svicolando tra i battenti aperti ed intrufolandosi in un corridoio del piano terra, oltre le scale che li avrebbe condotti alle loro stanze. Si affacciarono con attenzione e cautela ad ogni finestra, fino alla dodicesima: era lì sotto che Silar e Deiry stavano parlando animatamente e, con solamente il vetro a separarli, ogni parola era perfettamente comprensibile.
«Quanto ci mette?», borbottò Nehroi con nervosismo strizzando gli occhi nel corridoio buio. «Se non arriva in fretta finiranno di parlare!»
Savannah si passò stancamente una mano sul viso e lo guardò storto. «Vuoi darti una calmata?», sibilò.
Il fratello però non la considerò minimamente. «E come faremo a sapere che non ci sta riferendo cose a caso ma la traduzione esatta?», protestò.
Un rumore di passi, dapprima tanto lieve e distante da sembrare un'illusione, tranquillizzò entrambi.
Phil comparve alla base della scalinata bianca, vagamente spaesato, poi si accorse dei due ragazzi in fondo al corridoio, alla sua sinistra, e li raggiunse con ampie falcate.
«Era ora!», esclamò sottovoce il brehkisth indicandogli la finestra. «Ci servi per qualche minuto, c'è un...»
Il consigliere però non lo ascoltò e fissò Savannah con severità. Alzò una mano e le indicò il dorso. «Non sei simpatica», soffiò contrariato.
Sulla sua pelle erano stati scritti dei simboli in parte rotondi e in parte squadrati, una composizione che ricordava la struttura di una parola.
La jiin fece spallucce con candore. «Credevo che sapessi leggere la nostra lingua», si scusò senza convinzione.
«Questo è il dialetto del deserto, io non lo capisco!»
Savannah alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. «Scusa, conosco solo quello. Ora vieni qui e tendi le orecchie, ci serve un traduttore simultaneo e alla svelta.»
Afferrò l'umano per la mano piena di pastrocchi e lo avvicinò alla finestra con mal grazia. Entrambi i fratelli si zittirono e crearono un silenzio a dir poco tombale attorno all'umano, rimasto solo con i bisbigli di Silar e Deiry da decifrare.
«Non sono il vostro giocattolino», brontolò contrariato, «... e poi avevate promesso che vi sareste comportati bene», capitolò in un sospiro affranto sotto lo sguardo fermo della jiin.
Nehroi fece spallucce. «È quello che stanno dicendo loro? Se no non ci interessa.»
«Scusaci Phil», disse Savannah con serietà, anche se al consigliere sembrò solo un modo per ottenere più in fretta ciò che voleva da lui.
«Allora, riesci a capire cosa si stanno dicendo?», disse la ragazza un istante dopo, come se non dovesse fare altro che confermare la teoria di Phil.
L'umano annuì e i ragazzi sembrarono contenti.
«Stanno parlando di patti, di piani riusciti a metà», comunicò sottovoce. «Deiry si lamenta che non è riuscita a fare tutto ciò che voleva e accusa Silar di averla abbandonata.»
I Fratelli del Deserto erano in religioso silenzio alle sue spalle, attenti a non perdersi neanche una parola come se ne dipendesse della loro vita.
Phil sorrise e sentì un briciolo di potere scorrergli sottopelle mentre rifletteva sull'importanza del suo ruolo in quel momento.
Le lingue straniere erano sempre state il suo forte, aiutandolo a qualificarsi molto bene nel mondo del lavoro sulla Terra. Nello studio legale di suo padre arrivavano in cerca di aiuto moltissime persone di svariate etnie e quella sua piccola arma in più si era spesso dimostrata utile.
Approdando ad Ataklur, quell'abilità era rimasta importante, per aiutare creature capaci di intendere e farsi intendere da tutti a mantenere un po' più private le loro conversazioni. La prima volta che aveva sentito parlare di jiin intenzionati ad imparare le lingue umane era rimasto decisamente sorpreso.
Phil aveva imparato il francese dalle scuole primarie e non aveva alcuna difficoltà nel comprendere cosa si stessero dicendo quelle due persone oltre il vetro, sebbene non si sentisse totalmente a suo agio in quel ruolo da spia improvvisata.
Vide con la coda dell'occhio Nehroi impallidire e lanciare uno sguardo allarmato alla sorella, ma lei non ebbe reazioni e Phil continuò a tradurre. «Sta parlando di una gravidanza», comunicò.
«Chi?»
«Deiry. Da come ne parla sembra pure imminente...»
Si voltò verso i ragazzi e li scoprì con le fronti corrugate e gli sguardi cupi. «Cosa?», domandò loro. Nehroi sbiancò e si ritrovò due paia di occhi curiosi a fissarlo.
«Neh», lo chiamò la sorella con voce ferma e seria. «Tu sai a cosa si sta riferendo?»
Il ragazzo ridacchiò nervosamente e si passò le mani sul volto. «Pensa a cosa mi ha fatto fare Deiry quando ero posseduto e vedrai che non è difficile da immaginare...», commentò desolato con lo sguardo spento e un'espressione abbattuta sul viso.
Silar si allontanò dalla ragazza e scomparve dietro l'angolo, tornando al tavolo della cena, e Deiry andò dalla parte opposta, verso l'ingresso del palazzo. Udirono il suo lieve scalpicciare sui gradini e anche lei scomparve dalla vista, salendo ai piani superiori senza accorgersi delle tre persone nascoste nell'ombra in fondo al corridoio.
«Una sola domanda: perché?», domandò l'umano, corrugando la fronte tanto da striarla con profonde rughe.
«Dato che lei ha una maledizione...», esordì la ragazza con aria ancora più corrucciata di lui. «E che anche tu sei maledetto... cosa si aspetta che succeda?»
«Un bambino doppiamente maledetto, direi», suggerì Phil con crescente angoscia. Quel discorso iniziava ad essere terribilmente inquietante, e non era nemmeno sicuro di poterne comprendere ogni sfaccettatura.
Nehroi sembrava in preda ad un attacco d'ansia: si portò le mani tra i capelli, imprecò ed iniziò ad agitarsi, mentre nella sua mente iniziavano ad affacciarsi decine di scenari di possibili conseguenze, uno peggiore dell'altro. Un figlio capace di respingere la magia e di manipolare le menti delle persone? Decisamente l'incubo più brutto che avrebbe mai potuto immaginare. Una persona con quelle capacità non sarebbe potuta essere altro che un mostro crudele e devastante, la rovina di ogni mondo e società, magica e non.
Savannah gli afferrò un braccio e gli intimò di tranquillizzarsi. «Adesso non ci pensare», suggerì pacata, «Fino a prova contraria non può succedere nulla nell'immediato, no?»
Il brehkisth annuì vigorosamente ma l'angoscia non smise di avvinghiarlo nella sua morsa.
«Bene. Andiamo ad escogitare qualcosa.»
Le mani di Phil scattarono in avanti come se fosse stato morso da un insetto e il consigliere indietreggiò di qualche passo. «Non coinvolgetemi in nessun piano», intimò serio ai ragazzi. «Non voglio saperne, tiratemene fuori.»
Savannah annuì e l'umano si sentì vagamente sollevato ma non fece in tempo ad allontanarsi di un paio di metri che la ragazza gli immobilizzò completamente il corpo, una mossa simile a quella che gli aveva riservato a New York durante il loro primo incontro, e non poté più muovere neanche un muscolo.
«Per essere chiari», la sentì dire alle sue spalle con voce grave. «Tu ci hai riferito ciò che loro stavano realmente dicendo, vero?»
Phil cercò di annuire, ma anche il collo era paralizzato. «Sì», ansimò.
I passi della ragazza si avvicinarono lenti ed inesorabili, rimbombando nel corridoio spoglio come colpi di cannone.
«Ci saranno delle conseguenze», lo informò non appena gli entrò nel campo visivo. Il suo sguardo aveva qualcosa di diabolico e Phil sudò freddo quando se ne accorse. «Se ci hai mentito, dillo ora prima che ti veniamo a cercare qui, a Norreth, a Londra o ovunque tu vorrai andare a nasconderti. Perché ti troveremo, umano, e non ci metteremo neanche molto tempo.»
Phil inspirò lentamente e sostenne il suo sguardo, sebbene in quegli occhi viola così glaciali e duri non ci fosse neanche un barlume della profondità e dello spirito che lei gli aveva mostrato nei giorni scorsi. «Non ce n'è bisogno», disse faticosamente. «Non ti ho mentito. Mai.»
Savannah piegò un angolo della bocca verso l'alto ma sul suo viso non si addolcì nient'altro.
La paralisi che intrappolava l'umano svanì come nebbia diradata dal vento e la ragazza si allontanò da lui soddisfatta.
Sebbene fosse immersa in un bell'abito, indossasse scarpe eleganti e sembrasse a tutti gli effetti una delicata e giovane miss, Phil dovette suo malgrado constatare che il carattere di una persona rimaneva la cosa meno lucidabile del mondo.
Osservò i fratelli percorrere il corridoio in silenzio, l'uno accanto all'altra, ed ebbe l'impressione che nessuno dei due avesse mai avuto intenzione di togliersi neanche una sola macchia di dosso.
Erano ormai arrivati al salone quando un'idea colse il brehkisth all'improvviso. Afferrò il braccio della sorella un attimo prima che mettesse un piede sul primo scalino e la costrinse a voltarsi verso di lui.
«Helea, prima... mi ha detto che noi siamo degli assassini e che non saremo mai nient'altro», sussurrò Nehroi quasi impercettibilmente. I suoi occhi brillavano di una luce che Savannah aveva sempre trovato adorabile e lei sorrise di rimando.
«Pensi anche tu quello che penso io?»
La jiin si voltò verso l'ingresso del giardino, dove il falò era nascosto dagli alberi variopinti e il vociare dei Capi riempiva l'aria senza preoccupazioni.
«Nove mesi sono decisamente tanti», constatò lei con un ghigno. Adorava la sensazione di essere sulla stessa lunghezza d'onda del fratello e, senza bisogno di aggiungere altro, un piano venne ideato e costruito tra i loro sguardi d'intesa. «E poi non sarebbe terribilmente scortese deluderla?»



*-*-*-*



Avrei dovuto postare questo capitolo sabato scorso e invece ci ho messo un sacco a terminarlo... perché in realtà era già scritto, ma improvvisamente mi ha fatto schifo xD
Grazie infinite a tutte le anime pie che seguono le vicende di questi due ragazzacci! <3
Alla prossima!
Ciao!

Shark
   
 
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