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Autore: CowgirlSara    19/11/2007    11 recensioni
Non era per la scena in se, perché non era certo la prima volta che sorprendeva suo fratello in atteggiamenti compromettenti con qualche ragazza. Ma lui sapeva chi era lei e capiva che una relazione con Tom era potenzialmente pericolosa. Così lo aveva detto al fratello. Era la reazione di Tom che non aveva previsto. NO twincest.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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bleeding
È finita. Eh, sì, un’altra storia è giunta al termine. È stato impegnativo scrivere questa cosa, perché di solito io preferisco la commedia come genere e una storia come questa richiede uno sforzo anche emotivo. Sono felice che abbiate apprezzato questo lavoro, perché ci sono state davvero tante letture (anche se un po’ meno commenti, eh eh, non si fa, impegnatevi!).
Adesso vi lascio alla lettura, perché il capitolo è lungo e denso.
Saluti e ringraziamenti alla fine!

Un bacio a tutti!
Sara

5 – The best times are coming

La saletta era accogliente e luminosa, con la grande finestra che buttava dentro la tenue luce di quella mattina autunnale. Su un tavolo coperto da una tovaglia bianca erano disposte le migliori cose che qualcuno poteva desiderare per fare colazione: brioches calde, ripiene e non, frutta di ogni tipo, cereali e latte, caffè e cioccolata calda. Se uno avesse avuto fame sarebbe stato perfetto. Appunto, se.
Bill guardava fuori dalla finestra e si sentiva come se avesse un pallone da rugby piantato alla bocca dello stomaco. Appetito zero e anche un po’ di nausea. Niente era andato per il verso giusto dopo la sua conversazione con Tom: era tornato in camera e non aveva trovato Andreas, aveva dormito pochissimo e malissimo, si era svegliato con delle occhiaie degne della sposa di Frankenstein e si era pure beccato una ramanzina da parte di David per aver fatto restare Andi con se… e di Tom nessuna traccia… Chissà come se la passava quello zuccone.
Una mano si posò leggera sulla sua spalla, facendolo sobbalzare, tanto era distratto. Il cantante si girò e vide Andreas sorridergli.
“Mangi niente?” Gli chiese l’amico, lui si limitò a scuotere il capo. “Nemmeno un muffin o un po’ di frutta?” Insisté il ragazzo biondo.
“No, davvero.” Rispose allora Bill. “Se metto in bocca qualcosa vomito.” Precisò poi, stringendo appena la mano di Andreas ancora posata sulla sua spalla.
“Come vuoi.” Si arrese l’altro, lasciandolo e dirigendosi verso i thermos del caffè. Lì scambiò un’occhiata eloquente con Georg e scosse la testa.
Bill aveva parlato con Gustav e Georg della sua conversazione con Tom e gli altri due membri del gruppo erano stati concordi con lui, rassicurandolo e dicendogli che non era stato troppo duro.
I ragazzi, poi, avevano parlato di cosa li aspettava quel giorno: da lì a pochi minuti sarebbero stati davanti alla stampa e sapevano perfettamente che qualcosa, di tutto il movimento di quei giorni, doveva essere trapelato. Era impossibile il contrario, del resto, con tutti i potenziali testimoni che c’erano in giro e il comportamento non proprio esemplare di Tom. Adesso c’era solo da sperare che le domande dei giornalisti non fossero troppo imbarazzanti. David li aveva già messi in guardia, specie Bill, durante la famosa ramanzina; anche se sapeva perfettamente che il cantante non era tipo da farsi mettere in mezzo dai giornalisti, il suo stato emotivo preoccupava un po’ il manager e preferiva di gran lunga un silenzio a qualche battuta di sfuggita su Tom, o peggio, su Andreas.
“Allora, ragazzi, ormai manca poco!” Annunciò proprio David entrando nella stanza e battendo le mani. “Siete pronti?” Georg, Bill e Gustav risposero annuendo. “Tom dov’è?” Domandò poi il manager.
I tre musicisti si guardarono intorno perplessi, quindi si scambiarono occhiate allarmate. Bill si rivolse ad Andreas con uno sguardo preoccupato, come se rischiasse la condanna a morte.
“Non ditemi che nessuno di voi lo ha chiamato…” Fece David, mani ai fianchi ed espressione severa.
“Ehm… temo di no…” Mormorò Gustav, l’unico che ebbe fiato per parlare.
“Ma che cazzo sta succedendo a questa band?!” Sbottò l’uomo; Bill chinò gli occhi, cominciando a tormentarsi le unghie dei pollici. “Adesso vado io a tirarlo fuori dal letto…”
“David!” Lo fermò però il cantante, prima che infilasse la porta, lui si girò. “Ieri sera, io e Tom… abbiamo… parlato…” Aggiunse Bill incerto, evitando il suo sguardo.
David lo fissò per un istante, sorpreso, poi roteò gli occhi sbuffando. “Quando prendi queste cazzo d’iniziative, io lo voglio sapere, perdio!” Lo rimproverò quindi, alzando la voce.
“Ma David, è mio fratello!” Protestò Bill stringendo i pugni.
“Non me ne importa una sega! Per me potete anche sbattervelo nel culo a vicenda, basta che me lo dici prima!” Replicò il manager rabbioso, quindi gli diede le spalle ed uscì dalla stanza seguito dalla sua assistente, mentre Bill fissava indignato la sua schiena.

David piombò sulla porta di Tom come un uragano di massimo livello, cominciando a bussare con forza, ma nessuno rispose. L’uomo cominciò anche ad urlare.
“Tom, apri questa porta, porca puttana!”
“Oddio, ma non gli sarà mica successo qualcosa?” Mormorò allarmata la ragazza che lo aveva accompagnato, girandosi appena verso di lui.
David, che fino a quel momento non aveva pensato ad un’eventualità simile, si accigliò. Era vero, lui non sapeva cosa si erano detti i gemelli, né che sconvolgimento emotivo potesse aver portato quel confronto. Il manager si ritrovò molto preoccupato.
“Non dire queste cose, Johanna…” Soffiò con espressione sofferta.
In quel momento, accanto a loro, passò il carrello del servizio camere, spinto da una giovane donna dall’aria seria. David lasciò perdere il discorso che stava per fare e la seguì con lo sguardo, mentre lei tirava fuori il passpartout per aprire una stanza.
“Mi dia immediatamente quel passpartout!” Le ordinò correndo nella sua direzione.
La donna, un po’ spaventata, strinse la tessera magnetica al petto. “Mi scusi, ma… non sono autorizzata a fornire ai clienti…”
“Senta, sono il manager dei Tokio Hotel…” Affermò l’uomo, dando per scontato che lei sapesse di che si trattava. “…potrebbe essere successo qualcosa al mio chitarrista, quindi mi dia il passpartout, parlerò io con il direttore!”
“Guardi, io non credo…” Tentò la donna, ma mentre parlava una porta si aprì.
Johanna, a quel rumore, si voltò, smettendo di seguire la discussione tra David e la cameriera. La stanza di Tom si era aperta ed il ragazzo era sulla soglia con un’aria perplessa.
“Che cos’è questo casino?” Domandò quindi, guardando prima Johanna e poi David e la donna.
Tom non sembrava molto in forma. Tralasciando il colorito degno della buccia del Brie, i capelli ancora sciolti e gli abiti stropicciati come se ci avesse dormito dentro, aveva due occhi stanchi, arrossati e cerchiati da occhiaie ciclopiche. Sembrava passato attraverso un uragano.
“Tom!” Esclamò David, lasciando immediatamente perdere la cameriera e correndo verso di lui. “Maledetto imbecille!” Aggiunse, mentre gli dava una spinta per mandarlo dentro. Johanna li seguì, chiudendosi con precauzione la porta alle spalle.
“Ma si può sapere che cazzo vuoi?!” Sbottava nel frattempo Tom, liberatosi dal manager.
“Lo hai visto che ore sono, eh?” Replicò David, mani ai fianchi. “Tra meno di dieci minuti inizia la conferenza stampa!”
Il ragazzo spalancò gli occhi, poi cercò con lo sguardo la sveglia sul comodino, quindi tornò a guardare l’uomo con espressione confusa. “Scusa, me n’ero dimenticato…” Mormorò quindi.
“Le scuse non valgono nulla!” Ribatté David. “Il tuo comportamento, di recente, si meriterebbe una scarica di calci in culo, invece di tanti discorsi. Tuo fratello è anche troppo buono!”
Gli occhi di Tom, al solo sentir menzionare Bill, si fecero grandi e lucidi. “Che cosa c’entra lui, adesso?” Domandò con voce tremante.
“Niente.” Rispose l’uomo, resosi conto di aver esagerato. “Vai a cambiarti adesso, ti do cinque minuti.” Aggiunse poi, dandogli una pacca amichevole sulla spalla.
Johanna, nel frattempo, si era avvicinata al letto sfatto ed aveva preso in mano la fotografia dei gemelli che Tom aveva lasciato lì. Il ragazzo, ormai, era entrato in bagno. Lei si rivolse a David.
“Non avevo mai visto Tom in questo stato.” Affermò la ragazza a bassa voce. “Hai pensato che magari sta male sul serio?”
David incrociò le braccia, fissando assorto la porta chiusa del bagno. “Certo che l’ho pensato…” Dichiarò serio.

Il gruppo si presentò alla conferenza stampa solo con qualche minuto di ritardo. Prima di entrare nella sala predisposta, Bill osservò di sottecchi il fratello, sperando di cogliere uno sguardo di rimando, ma Tom non alzò mai gli occhi.
Venne, quindi, il momento di affrontare gli squali. I quattro ragazzi si sedettero dietro al lungo tavolo coperto da un telo con il logo e il nome della band. I musicisti salutarono, cercando di sorridere in modo convincente, mentre David si scusava per il ritardo.
“Adesso…” Dichiarò poi il manager. “…possiamo iniziare con le dichiarazioni relative al concerto di domani ed ai nuovi progetti.”
I ragazzi parlarono, con il solito entusiasmo, seppur vagamente falso, della loro prossima esibizione dal vivo, delle sorprese che avevano in serbo per il pubblico e delle canzoni nuove che avrebbero suonato in anteprima; quindi passarono a parlare del progetto per il disco in preparazione.
Finite le dichiarazioni dei Tokio Hotel, i giornalisti già fremevano, ma prima dovettero assolvere al dovere delle domande relative agli argomenti trattati.
Mancavano poco più di dieci minuti al termine del tempo a disposizione, quando la giornalista di un tabloid si alzò con un sorriso poco rassicurante.
“A questo punto possiamo osare qualche domanda un po’ più personale?” Fece la donna. I ragazzi si scambiarono un’occhiata veloce, poi Bill annuì.
“Sono vere alcune voci che circolano a proposito di una crisi del gruppo?” Domandò la giornalista a bruciapelo.
Tom, che fino ad allora, si era ben guardato dal calcolare il parterre di scribacchini che aveva davanti, limitandosi a guardarsi intorno con aria scazzata, alzò gli occhi di scatto. Bill spalancò la bocca, ma non disse nulla e cercò di recuperare subito il controllo. Gustav si trincerò dietro la sua classica espressione impenetrabile. Fu Georg, con sorpresa di tutti, a rispondere.
“Non c’è nessuna crisi nella band.” Dichiarò sicuro, sporgendosi verso il microfono davanti a lui. “Noi quattro siamo in armonia come sempre.”
“Confermo in pieno le parole di Georg.” L’appoggiò subito Bill sorridente, cogliendo la palla al balzo. I due si scambiarono uno sguardo complice.
“E come spiegate, allora, la notizia secondo la quale un paio di giorni fa, in una sala prove, è avvenuto un violento litigio tra i membri della band?” Riprese la giornalista serafica.
Bill dovette mettere in atto un complicato meccanismo di autocontrollo per non cedere all’emozione che stava provando. Somigliava alla paura. Se qualcuno aveva visto lui e Andreas erano perduti. Incrocio mentalmente le dita e pregò che non scavassero di più, mentre cercava le parole per rispondere alla domanda. Un aiuto del tutto insperato gli venne in soccorso.
Tom si schiarì la voce, poi si raddrizzò sulla sedia, lasciando la sua posizione abbandonata contro lo schienale della poltroncina e si sporse verso il microfono.
“Non c’è stato nessun violento litigio.” Affermò serio, poi lanciò un’occhiata al viso preoccupato di suo fratello. “Solo un piccolo diverbio per questioni di… divergenze artistiche.” Aggiunse, tornando a guardare la giornalista.
“Sarà…” Fece la donna, con tono scettico. “…ma alcuni testimoni dichiarano di aver sentito grida, parole grosse e sembra che tu, Tom, te ne sia andato di corsa prima della fine delle prove e che Bill si sia allontanato in lacrime…”
Lo sguardo allarmato che passò tra i componenti del gruppo le diede notevole soddisfazione, ma prima che potesse infierire ulteriormente, Bill riprese il controllo delle sue azioni, bloccandola prima che aprisse di nuovo la sua boccaccia.
“Qualunque cosa sia accaduta in sala prove…” Affermò senza tentennamenti il cantante. “…è una questione completamente risolta.” Aggiunse, quindi si voltò verso Tom. “Completamente.”
I due gemelli si fissarono negl’occhi per un interminabile istante e Tom capì cosa voleva dire Bill: gli stava facendo capire che metteva in atto i suoi propositi, passava su ogni cosa, compresi i discorsi orrendi di quel maledetto giorno in sala prove. Il chitarrista non annuì, ne disse nulla, ma il fratello comprese che aveva capito, quindi tornò a sfidare la giornalista con uno sguardo altezzoso dei suoi: bello e dignitoso come una sfinge egizia.
“Se la faccenda è risolta, mi piacerebbe sapere perché Tom ha lasciato la camera che divideva con Bill.” Insisté però la donna, confermando di avere delle ottime fonti.
Il cantante stava per rispondere, ma fu interrotto dal gemello, che si sporse sul suo microfono, schiacciandosi contro il suo fianco. Bill lo guardò, stranito per attimo; era tanto che non aveva suo fratello così vicino, si accorse che gli mancava il suo calore. Ascoltò serio quello che aveva da dire.
“Questo posso spiegarlo tranquillamente io.” Esordì il chitarrista, mettendo su uno dei suoi sorrisi sornioni. “Si tratta di una mera questione di privacy.”
“Privacy?” Soggiunse dubbiosa la donna.
“Beh, sì.” Continuò il ragazzo con sguardo malizioso, sempre appoggiato al fianco di Bill, che si concesse un sorrisetto. “Come sapete bene, spesso mi capita di non essere solo, la notte e non mi va di passare per infantile perché divido la camera con mio fratello…” Alcuni dei presenti risero, al suo tono divertito.
“E io non voglio dormire con i tappi nelle orecchie!” Si affrettò a dichiarare Bill, sporgendosi a sua volta sul microfono. La sua affermazione strappò altre risate.
“Questa spiegazione non mi convince affatto…” Tentò la donna, con espressione perplessa.
“Non credo che su questo argomento ci sia nient’altro da aggiungere.” Intervenne però Tom a muso duro, interrompendola, poi si allontanò dal microfono come a dimostrare di non voler parlare oltre.
Bill lo guardò con gli occhi pieni d’orgoglio e un mezzo sorriso soddisfatto; avrebbe desiderato abbracciarlo, per il modo in cui aveva reagito a quell’attacco. Il cantante tornò quindi a fissare i giornalisti, ma stavolta la sicurezza che mostrava era vera.
“Ho io, un’ultima cosa da dire.” Dichiarò calmo, attirando l’attenzione di tutti i presenti. “Vorrei che fosse chiara una cosa, per tutti voi.” Continuò, quasi glaciale. “Questo non è un gruppo messo in piedi dai produttori, noi quattro, prima di essere dei musicisti che collaborano, siamo amici. Veramente amici.” Concluse con piglio quasi autoritario.
“Ben detto!” Lo appoggiò subito Georg, dandogli una pacca sulle spalle magre.  
“Sante parole.” Sentenziò nello stesso momento Gustav, dal suo angolo.
“E questo è tutto.” Affermò Bill, con ancora il braccio del bassista sulle spalle, quindi si girò a guardare il fratello. Tom, espressione severa, annuì.
“Ma ci sarebbero altre domande da…” Tentò qualcuno tra i giornalisti.
“Mi dispiace, signori.” Intervenne David, prendendo possesso di uno dei microfoni. “Il tempo che potevamo concedervi è terminato, adesso potete fare le foto.” E questo mise definitivamente fine alla conferenza stampa dei Tokio Hotel.

Tornati nella stanza posteriore, i ragazzi si fermarono, creando una specie di cerchio involontario intorno a David, il quale li studiò per qualche secondo. Andreas si avvicinò subito.
“È andata meno peggio del previsto.” Sentenziò il manager.
“Sapevano un sacco di cose, David.” Commentò preoccupato Bill, mentre prendeva dalle mani di Andi una tazza di caffè fumante, ringraziandolo con un cenno.
“Sì, ma non sapevano quelle che era importante non sapessero.” Replicò l’uomo, senza far mancare un’occhiata di rimprovero ai due ragazzi. “Se avessero visto quello che ho visto io…” Bill e Andreas si scambiarono un’occhiata e il biondo si lasciò sfuggire in sorrisino divertito.
“Certo.” Intervenne però Georg. “Ma scriveranno un articolaccio lo stesso.”
“È sicuro che lo faranno.” Affermò David annuendo. “E noi smentiremo. Siete stati bravi, non sarà difficile.” Aggiunse sicuro, poi si girò verso il bassista. “Sei stato grande Georg.”
“Grazie.” Rispose il ragazzo con un gesto del capo.
“Tom.” Chiamò poi il manager, voltandosi verso il chitarrista.
Lui, mani in tasca e cappello calato sugl’occhi, alzò la testa. “Hey.” Fece con un cenno.
“Grande anche tu.” Gli disse l’uomo con un sorriso sbieco. Tom rispose con un’altra mossa scazzata della testa, poi gli diede le spalle. “Bene, adesso andate a pranzo, ma ricordatevi che dopo c’è la sessione autografi, poi avete il resto del pomeriggio libero.”
“Come no.” Commentò Georg, dirigendosi all’uscita. “Sempre che le ragazze non siano così tante da non farci scollare il culo dalla sedia fino all’ora di cena…”
“E ricordatevi…” Gli gridò dietro il manager. “…di essere gentili, sorridenti e sdolcinati!”
“Tranquillo, David, saremo come meringhe rosa.” Gli rispose solo Gustav, ultimo rimasto dentro la stanza, salutandolo con la mano.

Era ormai sera. La sessione autografi, alla fine, li aveva impegnati fin quasi alle sei del pomeriggio. Tom era seduto al bar e sorseggiava apparentemente annoiato una birra. In sottofondo c’era una canzone cupa e intensa; al momento gli sfuggiva chi la cantasse, ma il testo aveva catturato la sua attenzione. Sembrava scritta per lui, per il momento che viveva.
«Non posso scrivere una canzone d’amore come mi sento oggi» (*) - già, lui si sentiva di merda da settimane e non aveva più scritto nulla.
«Non posso cantare una canzone di speranza. Non ho niente da dire» - e poi le parole, di solito, le scriveva Bill. Le cantava lui, con quella sua voce struggente.
«La vita è un po’ strana, da quando sei lontano» - troppo strana senza Bill, le sue risate, i suoi rimproveri, il suo non fermarsi mai, le sue scene da diva…
«Canto questa canzone per te ovunque tu sia» - sentimi Bill, ti prego. «Mentre la mia chitarra mente sanguinando tra le mie braccia…» - che cazzo di testo emo e dire che li odiava…
Posò il bicchiere sul tavolino, con un sorriso amaramente ironico, quindi appoggiò i gomiti sulle ginocchia, fissando il vuoto nella penombra davanti a se. Qualcuno gli mise una mano sulla spalla, mentre si sedeva accanto a lui sul divanetto di velluto. Tom alzò gli occhi e vide David, con in mano un cocktail colorato.
“Aperitivo?” Gli domandò l’uomo, indicando con un cenno del capo la birra abbandonata.
“Una specie.” Rispose serafico il chitarrista.
“Oggi sei stato bravo nella conferenza stampa.” Affermò l’uomo, dopo aver preso un sorso della sua bibita.
“Me lo hai già detto.” Replicò Tom senza guardarlo.
“Ma, correggimi se sbaglio...” Continuò David, ignorando la risposta. “…non mi sembra un bel periodo per te.” Quindi, aspettando la reazione del giovane, prese e mangiò qualche nocciolina.
Tom lo guardò con la coda dell’occhio. David sembrava tranquillissimo e non c’era motivo per cui il ragazzo non si dovesse fidare di lui.
“Senti, se vuoi farmi la filippica…” Reagì però, cercando di evitare una delle paternali infinite stile David Jost, che quando voleva sapeva essere più peso di Bill e mamma Simone messi insieme.
“No. “ Rispose però l’uomo, sorprendendolo. “Volevo solo sapere se stai bene.”
Tom alzò veloce gli occhi su di lui, che si era girato in direzione del ragazzo. Lo sguardo che David si trovò davanti, però, non se lo sarebbe aspettato: era triste, spento, lucido, non erano i soliti occhi pieni di sfida o di malizia.
“Non sto bene, David.” Ammise infine il chitarrista, dopo un lungo attimo di silenzio; si era finalmente deciso a confessare a qualcuno il suo disagio.
Il manager lo fissò serio, poi gli posò una mano sulla spalla con una presa decisa. “Dimmi che non c’entra la droga, Tom.” Gli chiese.
Lui negò fermamente col capo. “Ammetto che qualche canna l’ho anche fumata e che una volta una tipa mi ha rifilato un intruglio a suo dire afrodisiaco, ma che mi ha fatto solo vomitare come un vulcano in eruzione, però giuro che…”
“Basta, basta, ho capito!” Si arrese David, interrompendolo e alzando le mani. “Che succede allora?” Domandò poi.
“Io… io non lo so…” Balbettò Tom, guardandosi le mani. “Sono confuso…” Aggiunse, prima di alzare di nuovo gli occhi in quelli dell’uomo.
“Sai cosa penso io?” Fece l’altro, passandogli un braccio intorno alle spalle, Tom negò col capo e sembrava proprio quel bimbo che ormai non era più da troppo tempo. “Secondo me hai solo bisogno di fare un po’ di pulizia nel tuo cuore.”
“Pulizia?!” Ribatté perplesso il ragazzo.
“Sì.” Annuì il manager. “Devi buttare via un po’ di cose inutili e superflue, togliere la polvere e le ragnatele e ricominciare da quella cosa ingombrante e luccicosa che ci troverai sotto.” Tom spalancò gli occhi con espressione molto interrogativa. “Bill.” Gli disse David, intuendo la domanda.
Tom ridacchiò. “Ingombrante e luccicoso…” Mormorò divertito.
“Che non gli si addice?”
“Eccome!” Confermò il chitarrista ridendo, poi chinò di nuovo il capo, ma senza perdere il sorriso. “Credo che tu abbia ragione.”
“Certo che ce l’ho!” Esclamò David, mentre gli dava una pacca sulla spalla. “E poi…” Continuò con tono più complice. “…se questo non bastasse, vieni da me, conosco un paio di persone che ci sanno fare nel campo.”
“Mi vuoi mandare dallo strizzacervelli?!” Chiese offeso Tom.
“Tu e Bill avreste dovuto andarci anni fa, mi sarei risparmiato un sacco di fatica!” Replicò l’uomo ridendo; anche l’altro lo fece.
“Grazie David, sei un amico.” Affermò quindi il ragazzo, riconoscente.
“Hey, non t’allargare!” Sbottò subito l’uomo, allontanandosi un po’ da lui. “Tu sei fondamentale per il gruppo, devo preservarvi, sennò come cazzo lo pago il mutuo della villa?”
“Dannata sanguisuga!” L’insultò Tom alzandosi con un sorriso.
“E adesso dove vai?” Gli domandò l’uomo che ancora rideva.
“A buttare via un po’ di spazzatura.” Rispose serio il chitarrista, poi portò la mano alla tesa del cappello salutando, lui rispose con un’alzata del bicchiere a mo’ di brindisi.  

Il ragazzo bussò con energia alla porta. Era di legno chiaro, come tutte quelle del grande albergo dove soggiornavano, anche se qui non si era al piano delle suite.
Paula venne ad aprire con addosso un paio di jeans talmente bassi che sarebbe stato impossibile portarci sotto un qualsiasi paio di mutande ed una canottiera finissima da cui trasparivano chiaramente i suoi capezzoli scuri. Capelli sciolti, labbra turgide e atteggiamento sempre pronto. Appena lo vide fece un’espressione stupita, poi sorrise compiaciuta.
“Sapevo che saresti tornato.” Gli disse soddisfatta.
“Non cantare vittoria.” La gelò subito Tom, senza accennare a voler entrare. “Sono solo venuto a dirti che è finita.”
“Finita?” Fece lei scettica, alzando un sopracciglio.
“Sì.” Ribadì lui, privo di tentennamenti.
“Bambino, scusami se dubito che tu sia capace di finirla con me…” Ironizzò la ragazza, incrociando le braccia e mettendo così in evidenza il suo seno prosperoso.
“Beh, mia cara, i tuoi dubbi puoi anche ficcarteli da qualche parte, perché quando decido una cosa io non torno indietro.” Replicò calmo Tom. “Non voglio più avere nulla a che fare con te, non voglio più vederti, o parlarti, o sentire la tua voce, non voglio che mi tocchi, che mi vieni vicino, anzi, accetta un consiglio spassionato: cambia lavoro.”
Paula spalancò la bocca, indignata, poi trasformò l’espressione in un sorrisetto sbieco e maligno. “Ma senti senti il bamboccio! Ha anche delle pretese!” Sbottò acida. “Non saranno richieste un po’ troppo esigenti, da parte di uno che fino a ieri mi scopava alla prima occasione e godendoci anche parecchio?” Gli chiese quindi.
“Non m’importa un accidente di quello che pensi. Io non ti voglio più vedere, mi dai fastidio, non ti voglio intorno. Vedi un po’ tu qual è la soluzione migliore.” Affermò il ragazzo deciso.
“Ah!” Esclamò lei con alzata della fronte. “Ma non ti davo tanto fastidio, quando ti succhiavo l’uccello nel gabinetto del tour bus!”
“Era solo sesso.” Ribatté lui glaciale. “Non mi sei mai interessata per nient’altro che quello ed ora che è finita anche l’attrazione, preferisco che tu sparisca.” Aggiunse impassibile. “Ti lascio libera di scegliere di andartene, ma se preferisci parlerò con David…”
“E che cosa credi che possa fare il tuo David? È stato Werner a mettermi qui!” Intervenne lei rabbiosa, stava decisamente perdendo la pazienza.
Tom si lasciò andare ad uno dei suoi sorrisetti sarcastici. “Vedremo quanto gradirà il tuo Herr Velbaum di sapere che mi facevi pompini dietro le quinte…” Minacciò poi.
“Sei un bastardo Tom.” Affermò lei, abbassando i pugni che aveva alzato nella concitazione. “Sei un piccolo bastardo presuntuoso e arrogante.”
“Se questo serve a liberarmi di te, allora sì, lo sono.” Affermò duro il ragazzo. “Buonanotte.” Le augurò atono, prima di darle le spalle e allontanarsi nel corridoio.
“Tornerai strisciando, Tom Kaulitz! Non la troverai un’altra come me!” Gli gridò dietro la donna, inviperita. Non sopportava che lui la liquidasse in quel modo.
Tom si voltò verso di lei e la fissò con uno sguardo freddo e tagliente come un iceberg. “Tu non lo hai capito chi sono io.” Le disse secco. “C’è una sola persona per cui sarei disposto a strisciare e decisamente non sei te.” Quindi riprese a camminare, ignorando l’urlo soffocato di Paula.

Bill e Andreas erano fermi davanti alla porta della camera del cantante. Si guardavano negli occhi in silenzio. Sapevano che dovevano salutarsi, un altro sgarro come quello della sera prima non sarebbe stato tollerato. Ma erano lì, immobili che si fissavano, entrambi incapaci di fare il primo passo. Avrebbero solo desiderato abbracciarsi e restare così tutta la notte, anche senza fare l’amore.
“Allora, a domani…” Mormorò infine Bill, abbassando lo sguardo.
“Sì, a domani…” Replicò mesto Andreas, mascherandosi con un sorriso finto; poi fece per allontanarsi, ma Bill gli afferrò la mano impedendogli di andare via.
David li vide così, cristallizzati in quella posa, quando girò l’angolo per raggiungere la sua stanza. Si fermò osservandoli, per vedere come sarebbe andata a finire, ma i due ragazzi non si mossero, continuando a guardarsi con aria triste. L’uomo si sentì vagamente in colpa. In fondo Bill e Andi erano stati attenti, la loro storia non era venuta fuori. E sembrava proprio una cosa seria, si volevano bene davvero. Forse, si meritavano un po’ più di fiducia.
“Ragazzi.” Fece, con un cenno di saluto.
Loro si voltarono di scatto e Bill mollò velocemente la mano di Andreas. Entrambi fissarono il manager, leggermente allarmati. David sorrise avvicinandosi.
“Ci stavamo solo salutando, David.” Si affrettò a dire il cantante.
“Sì, stavo andando in camera mia.” Rincarò Andreas passandosi una mano tra i capelli.
L’uomo si fermò davanti a loro, mani in tasca e li studiò ancora per un attimo, poi sorrise sereno. “Tranquilli.” Gli disse. “Non volevo rimproverarvi.”
I due ragazzi si guardarono increduli e sospettosi, quindi tornarono a rivolgersi al manager con espressione interrogativa.
“Riflettevo su una cosa.” Affermò David, grattandosi la nuca. “Questa è, a tutti gli effetti, l’ultima notte che passiamo qui, perché domani c’è il concerto e, tra after show e tutto, non avremo molto tempo visto che partiamo presto la mattina dopo…”
“Che vuoi dire?” L’interrogò Bill, intuendo che l’altro stava girando intorno a qualcosa.
“So che voi due non potrete rivedervi presto, poi.” Tentò di spiegare l’uomo. “Tu torni in Germania, vero Andreas?” Domandò poi.
“Sì.” Rispose il ragazzo biondo.
“E noi dobbiamo finire il tour qui in Francia e poi spostarci in Italia, prima di un mese non torneremo in patria.” Dichiarò il manager.
“Grazie David.” Intervenne Bill sconsolato. “Ora che me l’hai ricordato mi sento proprio meglio…”
“Scusa, ma vedi…” Riprese David, con un sorrisino. “…sono qui per rimediare almeno un po’…” Bill e Andi si guardarono di nuovo, stupiti. “Credo di essere stato un po’ troppo rigido con voi.”
“Che vuol dire, scusa?” Domandò il cantante perplesso.
“Che forse dovreste stare insieme, stanotte.” Rispose David con un lieve imbarazzo. Un altro sguardo incredulo passò tra i due ragazzi.
“Ci prendi in giro?” Fece Andreas, tornando a guardarlo.
“No.” Disse l’uomo, negando col capo; stavolta Bill sorrise apertamente, guardando di nuovo Andi. “Vi lascio liberi, solo… non fate casino e, per sicurezza, disfate anche l’altro letto, così se passa qualcosa, lui ha dormito nell’altra camera.” Concluse, facendogli l’occhiolino.
Bill e Andreas sorrisero all’unisono, troppo contenti per dire qualsiasi cosa, mentre si scambiavano occhiate felici e incredule.
“Allora, buonanotte.” Li salutò l’uomo, quando loro stavano ancora cercando le parole.
Bill si girò verso di lui, con un sorriso pieno di gratitudine. “Grazie David, faremo i bravi.” Il manager annuì, salutandoli con la mano, mentre raggiungeva la sua camera.
Quando David fu sparito dietro la sua porta, gli occhi di Bill si piantarono in quelli di Andreas, l’espressione già maliziosa. Il cantante sollevò il suo famoso sopracciglio piercingato, mentre scorreva la tessera magnetica per aprire la porta, poi afferrò la mano di Andi e lo tirò dentro.
Si ritrovarono nell’ingresso della stanza. Bill appoggiato alla porta già chiusa e Andreas davanti a lui. Si scrutarono per un lungo istante.
“Abbiamo tutta la notte.” Affermò Andi, quasi incredulo.
“A quanto pare…” Replicò Bill con un’espressione fin troppo provocante.
“Che facciamo?” Chiese allora il ragazzo biondo.
Domanda retorica, per Bill, che sorrise come un gatto pronto ad afferrare il pesciolino. “Beh, David ha detto di disfare anche l’altro letto…”
“Cominciamo da lì?” Suggerì Andreas.
Il ragazzo non ebbe una risposta, perché Bill, senza dire una parola, gli arrivò addosso e lo baciò intensamente. Andi abbassò le mani e le strinse sulle natiche di Bill, come non aveva mai fatto e il cantante sorrise compiaciuto, prima di mordergli il collo. Così avvinghiati raggiunsero la camera.

Era notte fonda, quando Andreas si svegliò di soprassalto chiamato da Bill, che lo scuoteva anche per le spalle. Il ragazzo si stropicciò gli occhi confuso.
“Che c’è?” Domandò biascicando per il sonno.
“La senti?” Fece Bill stringendogli le braccia, sollevato su di lui.
“Cosa?” Replicò Andi; lui non sentiva niente, se non il respiro del compagno.
“La musica!” Esclamò però il cantante, indicandogli la finestra da cui filtrava la luce della luna.
“Quale musica?”
Bill roteò gli occhi esasperato. “Quella che viene da fuori.” Affermò poi, continuando ad indicare la finestra. “È una chitarra, potrebbe essere Tom!”
“Bill, io… non sento… niente…” Fu costretto ad ammettere l’altro, rilasciandosi contro i cuscini.
“Non è possibile!” Proclamò Bill, mentre usciva dal letto.
“Ma dove vai?! Sei nudo!” Gli ricordò il biondo. Il cantante sbuffò e acchiappò un lembo di trapunta portandoselo dietro.
Si diresse alla porta finestra che conduceva sul balcone, avvolto malamente nella coperta, mentre Andreas, rimasto col solo lenzuolo addosso, rabbrividiva. Bill aprì l’anta e mise la testa fuori, cercando di captare un qualsiasi suono che somigliasse a quello di una chitarra. Gli sembrò si sentire un paio di accordi piuttosto dolci, ma poi non arrivò più niente.
“Dai Bill, vieni a letto.” Lo supplicò Andreas. “Fa freddo…”
“Eppure…” Mormorò Bill, ora voltato verso l’interno con la trapunta messa addosso stile tunica greca. “…sono sicuro di aver sentito qualcosa…”
“Bill, ascolta.” Disse Andi, ormai seduto sul letto. “Puoi parlare domani con Tom, se veramente stava suonando te lo dirà…”
“Tu credi?” Chiese l’altro, sollevando finalmente gli occhi su di lui; Andreas annuì.
“Torna a letto, adesso, su.”
Bill fece una smorfia un po’ scettica, poi si tolse la coperta dalle spalle e la rimise sopra le lenzuola, con grande gioia dell’altro ragazzo, quindi si strinse nelle spalle e si rimise a letto, accoccolandosi accanto ad Andreas, che lo strinse a se. Ma quella musica continuò a tormentarlo tutta la notte. Sperava con tutto il cuore che fosse la prova della rinata ispirazione di Tom.

La mattina successiva trascorse abbastanza tranquilla e subito dopo pranzo i ragazzi salirono sul pullman diretti al luogo del concerto. Vi arrivarono verso le tre del pomeriggio e già c’erano moltissime ragazze in fila davanti ai cancelli.
Tom era parso a tutti particolarmente di buon umore, a paragone del recente passato. Bill, vedendolo così, non poté fare altro che gioirne, speranzoso di nuovi sviluppi. Il chitarrista salutò perfino con fervore le fans urlanti, quando scese dal bus.
Georg e Gustav, che lo seguivano, si scambiarono un’occhiata perplessa, mentre lui improvvisava un mini show davanti alla pesante rete metallica che li separava dal serpentone in attesa.
“Ma che succede oggi?” Fece Gustav allarmato. “Sembra il vecchio Tom…”
“Già…” Replicò incredulo il bassista.
Entrambi, poi, sentirono una presenza incombente alle loro spalle e si girarono piano, alzando un poco la testa. Sul gradino precedente c’era Bill che osservava il fratello con uno dei suoi sorrisi migliori: a tutti i denti e scuotendo allegramente la testa.
I due ragazzi, ormai certi della follia dilagante in casa Kaulitz, si strinsero nelle spalle rassegnati, scendendo l’ultimo gradino e dirigendosi nel palazzetto.
Il sound check iniziò puntuale alle sedici. L’arena era grande, ma appena ebbe messo piede sul palco, Bill manifestò di avere le idee chiare su luci e riflettori, quindi le prove dell’illuminazione furono abbastanza veloci. Fu poi la volta del suono e dei microfoni, la solita routine un po’ uggiosa dell’accordatura degli strumenti e, infine, l’aggiustamento della scaletta.
Iniziarono quindi le prove delle canzoni, che andarono avanti per un paio d’ore buone. Durante tutto questo tempo ai presenti non sfuggirono gli sguardi che Tom e Bill si scambiavano, uno all’insaputa dell’altro, come se avessero reciprocamente qualcosa da dirsi.
Bill avrebbe voluto chiedere al gemello se era veramente lui a suonare, la notte prima, oppure se se l’era sognato. Sapeva solo che quelle note ce le aveva ancora in testa.
Tom, invece, aveva ben chiaro in mente quel che doveva fare. Aspettava solo il momento giusto. E, nel frattempo, studiava Bill per capire o solo intuire i suoi pensieri, come succedeva una volta.
Alla fine delle prove, però, il cantante, dopo aver ricevuto i complimenti di tutti ed aver ricambiato con incoraggiamenti per i compagni, si girò verso il fratello. Tom stava ancora sistemando le corde della chitarra, a testa bassa, leggermente voltato di lato.
“Tom…” Lo chiamò Bill.
Lui alzò il capo, sorpreso dall’essere stato chiamato proprio da lui. “Dimmi…” Replicò poi, un po’ confuso, stringendo le mani sullo strumento.
“Ecco, io…” Riprese il gemello, titubante.
“Che cosa c’è?” Lo spronò Tom aggrottando la fronte; il cuore gli batteva a mille, forse questo era il contatto che aspettava.
“No, niente.” Rispose però Bill, prima di abbassare gli occhi. “Volevo solo dirti che sei stato grande nelle prove…” Affermò poi, rinunciando a chiedergli della musica notturna.
“Ah, grazie…” Fece l’altro un po’ deluso. “Anche tu.”
“Grazie.”
Bill, quindi, un po’ scontento di se stesso, prese il suo microfono dall’asta, diede le spalle al fratello e si diresse dietro le quinte. Tom, ormai solo, rimase immobile, con la chitarra tra le braccia e chinò il capo, respirando profondamente. Doveva farlo, era pronto ora.

Il ragazzo si guardò nel grande specchio illuminato, trovandosi estraneo perfino a se stesso, mentre le persone intorno a lui sembravano muoversi solo nel riflesso e non nello spazio reale. Era una sensazione stranissima. Eppure la sua immagine era sempre la stessa, quasi immutabile.
I capelli puntavano al soffitto come se il suo corpo fosse stato percorso da una scarica ad alto voltaggio. Il viso liscio, bianco e fin troppo perfetto. Gli occhi limpidi e un po’ tristi, resi ancora più profondi da quel pesante trucco nero. Le labbra, appena rosate, atteggiate in una piega drammatica. Ma sono io questo? si domandò Bill, alzando interrogativo un sopracciglio, poi chinò il capo.
Quando il via vai di persone fu scemato e anche l’ultimo truccatore, o parrucchiere, se ne fu andato, il cantante rialzò gli occhi sullo specchio. Lo vide subito, lo guardava attraverso il riflesso. Era vicino alla porta, appoggiato contro il muro. Bill si girò lentamente, insieme alla poltrona; aveva un’espressione sorpresa.
“Tomi…” Mormorò, artigliando i braccioli della sedia.
Il suo gemello si staccò dal muro, ficcando le mani in tasca e distogliendo lo sguardo. “Ce li hai due minuti per me?” Gli chiese poi.
“Certo.” Rispose Bill alzandosi.
Tom fece qualche passo alla sua sinistra, tolse le mani di tasca e si aggiusto il cappello. Sembrava molto indeciso, quasi preoccupato.
“Ieri… ieri sera ho scaricato Paula.” Esordì infine, continuando però a non guardare il fratello.
“Oh…” Fu tutto ciò che riuscì a dire Bill, troppo sorpreso.
“Ti domanderai perché sono qui.” Fece poi Tom, alzando finalmente gli occhi. Bill annuì. “Ecco io… io… la verità è che…” Balbettava, ma si mise davanti al fratello. “Sono venuto a chiederti scusa.” Dichiarò alla fine, puntando gli occhi in quelli dell’altro.
Bill spalancò la bocca ed i suoi occhi si fecero lucidi, quindi prese un lungo respiro e fece per dire qualcosa, ma Tom lo bloccò alzando una mano.
“Ti prego, non dire nulla.” Gli disse. “Io… non sono come te, lo sai, non sono buono a parlare, non so fare i discorsi seri, quindi… non m’interrompere, per favore.” Lo supplicò, continuando a fissarlo. Il fratello ubbidì. “Ho fatto un sacco di casini negli ultimi tempi e non… non so perché…” Continuò impacciato, movendo le mani in quel modo così suo che faceva sciogliere di tenerezza il cuore di Bill. “…e mi devi perdonare, perché sono stato cattivo con te e con Andreas e gli altri, con tutti, ma…”
A Bill questo bastava. Gli aveva già perdonato ogni cosa. Ora voleva solo abbracciarlo. Allungò una mano, per afferrare Tom e stringerlo a se, ma il fratello si sottrasse.
“Ho sbagliato tutto.” Affermò il chitarrista, continuando il discorso. “Mi sono allontanato da te, credendo che mi avrebbe fatto bene, ma sono solo stato peggio. Avevi ragione, sarei dovuto venire da te e dirti che… che sto male, Bill.”
Il cantante corrugò la fronte, dispiaciuto che il gemello soffrisse, ma anche in un certo senso contento che alla fine lo avesse ammesso. Era il primo passo per uscirne.
“Non so cosa sia, questa cosa che ho.” Dichiarò Tom. “So soltanto che sono insoddisfatto, niente riesce ad aiutarmi e tu, invece, continuavi come sempre, sembravi così felice che… che quasi t’invidiavo. Poi è arrivato Andreas, voi siete innamorati ed io… lo so, sono uno stupido, ma ho pensato che vi avrei persi entrambi!”
“Oh, Tomi…” Commentò Bill rammaricato. “…non dovevi.”
“Lo so.” Ammise lui. “Adesso l’ho capito, tu me lo hai fatto capire. È per questo che ora io ti chiedo perdono, per ogni cosa. E anche ad Andi…” Tom alzò di nuovo gli occhi in quelli del fratello. “Non devi rispondermi subito, so che l’ho fatta grossa, pensaci, ok?”
“Tom…” Fece Bill, cercando di parlare e dire che non aveva bisogno di pensarci.
“No, dai.” Lo bloccò l’altro. “Volevo solo che sapessi che sono pentito, hai tutto il tempo che vuoi. Puoi anche non perdonarmi, l’importante è che te ne abbia parlato.”
“Tomi…” Tentò ancora Bill, ma Tom era già sulla porta.
“Adesso vado, manca poco ormai…” Riprese però il chitarrista, uscendo nel corridoio. “Ci vediamo sul palco.” Aggiunse allontanandosi.
“Tom, aspetta…” Bill si slanciò per fermarlo, ma il fratello era già sparito in un’altra stanza; il ragazzo si fermò sulla soglia del camerino, con le braccia lungo i fianchi, ancora incredulo.

Bill attraversò la penombra del backstage, dopo aver individuato gli altri membri della band che parlavano con David proprio dietro l’entrata del palco.
“Ah, Bill! Finalmente!” Esclamò il manager, quando lo vide. Lui rispose annuendo.
“Siete pronti, ragazzi?” Domandò poi il cantante, mentre si fermava accanto a loro e posava una mano sulla spalla di Georg. Tutti risposero sì.
Bill quindi scambiò un lungo sguardo con Tom, poi annuì e il fratello fece altrettanto. Un segno d’accordo che mancava da un po’ e che fece piacere ad entrambi. Il cantante, infine, si rivolse a David con espressione determinata.
“Vado sul palco con loro.” Dichiarò deciso.
“Come?!” Fece l’uomo stupito.
“Saliamo sul palco tutti insieme.” Precisò Bill. “Oggi mi va così.”
“Ma Bill, di solito…” Intervenne Gustav perplesso.
“Già.” Rincarò Georg, scrutandolo sospettoso.
“Oggi non è di solito.” Precisò il cantante quasi solenne, poi lanciò un’occhiata a Tom, che lo fissava con la fronte aggrottata. Bill tornò quindi a guardare David. “Ci pensi tu ad avvertire quelli delle luci?” Gli chiese.
“Sì, ma…” Rispose l’uomo, che aveva intuito qualcosa in quella strana richiesta. “…che cosa hai in mente?” Gli domandò, infatti.
“Non ti preoccupare.” Lo rassicurò Bill e all’uomo bastò guardarlo un attimo negl’occhi, per sapere che non avrebbe combinato guai.
“Ok, ci penso io.” Annuì allora David. “Voi adesso andate, è tardi.” L’incitò quindi, spingendoli verso l’entrata del palco. Lui e Bill si scambiarono un cenno d’intesa.

Un oceano di persone che si condensa in un grido solo, quando le luci rischiarano il palco. Un brivido lunghissimo, quasi un tremito, che ti percorre dalla punta dei piedi fino a quella dei capelli. Una sensazione particolarissima, quasi un’ondata di adrenalina che ti fa barcollare e ti fa capire che sì, sei vivo davvero. E la senti, è viva anche lei, la vibrazione che il pubblico ti trasmette. Ora sei pronto per cominciare.
Ma Bill quella sera aveva qualcosa da fare, prima di regalare l’anima ai suoi fans. C’era un pezzettino di quell’anima che era stato staccato ed aspettava di tornare nel suo caldo posticino, nel punto più prezioso e sicuro del suo cuore.
Gustav, ignorando quel che passava per la testa dell’amico, cominciò a battere le sue bacchette per dare il tempo, ma quando Tom suonò le prime note e Georg stava per unirsi, creando infine la melodia, il cantante alzò una mano bloccandoli tutti e tre.
Sguardi terribilmente allarmati saettarono tra i membri della band, mentre lo staff, dietro le quinte, si animava come un formicaio calpestato, tra i vari «Oddio!», «Che cazzo succede?» e «E ora?!».
Bill, però, afferrò il microfono con l’aria serafica di un maestro yoga e parlò tranquillo alla folla ammutolita, mentre Georg e Gustav erano diventati due statue di sale cui si muovevano solo gli occhi. Tom era di pietra e fissava il fratello senza muovere un muscolo, stringendo la chitarra tanto forte da frantumarla.
“Mi dispiace ritardare l’inizio del concerto.” Esordì nel frattempo Bill, parlando al pubblico. “Ma devo assolutamente fare una cosa, non posso aspettare e spero che capirete.”
Detto questo sistemò il microfono sull’asta e si girò verso Georg, che aveva un’espressione a dir poco sconvolta. Il bassista gli chiese cosa stava facendo, solo muovendo le labbra. Lui gli rispose di stare tranquillo, poi gli diede le spalle e si diresse verso Tom.
Il chitarrista cominciò a guardarsi intorno quasi spaventato, cercando appiglio da qualche parte, ma intorno a lui c’era solo una fossa di ragazzine con gli occhi spalancati e più sconvolte di lui e un ammasso di strumenti in cui avrebbe solo potuto inciampare scappando. E scappare perché, poi?
Alzò allora gli occhi in quelli del gemello, che non aveva mai visto così intensi da tanto, tanto, tempo. Il suo bellissimo, adorato, meraviglioso fratello. E Tom non poté fare a meno di sentire qualcosa di liquido scendergli nel cuore, quando Bill gli sorrise con tutta la dolcezza di cui era capace, fermandosi ad un passo da lui e piegandosi verso il suo orecchio. Quindi sussurrò una frase.
“Non devo pensarci.” Mormorò Bill, perché solo Tom lo sentisse. “Ti ho già perdonato tutto.” Aggiunse con gli occhi lucidi. “Ti voglio bene, fratellino.”
E concluse la frase dandogli un lento e tenero bacio sulla guancia, che fece singhiozzare palesemente Tom… e venire giù il teatro.
L’applauso fu lunghissimo e le urla devastanti, mentre Bill si allontanava da Tom e quest’ultimo si asciugava furtivamente una lacrima, mormorando «Cazzo!».
Bill, raggiunta nuovamente la sua postazione davanti al microfono, lo prese, dopo essersi a sua volta asciugato le lacrime, e disse: “Ne è valsa la pena, vero?” Gli rispose un assurdo grido di approvazione. “E adesso è ora di cominciare!!!!” Aggiunse, alzando poi il braccio in aria, come era solito fare per incitare il pubblico. E la musica prese il via.

Durante lo spettacolo ci fu almeno un altro momento che mise a dura prova tutte le fan e in particolare quelle dal cuore tenero: quando i gemelli suonarono «In die nacht».
Bill la interpretò con un’intensità se possibile più profonda del solito e Tom suonò con passione e impegno. E non smisero di guardarsi negl’occhi per un solo istante della canzone, abbracciandosi brevemente alla fine. Tom invitò le fans a godere del gesto in quel momento, perché non li avrebbero visti farlo tanto spesso. Bill sorrise della storica ritrosia del fratello.
Quando il concerto finì, i quattro musicisti salutarono il pubblico tutti insieme, tenendosi reciprocamente per le spalle, come se la pace finalmente ritrovata tra i gemelli avesse rinsaldato il legame tra tutti loro. David e Andreas li osservavano soddisfatti da dietro le quinte.
Bill e Tom rientrarono nel backstage per ultimi e, mentre gli altri prendevano da bere, o gli asciugamani e ricevevano i complimenti dello staff, si guardarono negl’occhi. Fu un lungo sguardo pieno di significati e, quando gli occhi divennero lucidi, si abbracciarono con tutta la forza che avevano.
Era un abbraccio caldo, familiare come nient’altro può essere, perché è qualcosa che esiste da sempre, da ancora prima di nascere. Qualcosa che era mancato disperatamente ad entrambi.
Quella notte i gemelli la passarono a parlare, a tirare fuori ciò che non si erano detti in settimane di silenzi, tutti i dubbi, le paure, le incertezze, le piccole gioie e le soddisfazioni. Un dialogo totalmente aperto, non privo di risate, lacrime, tensioni, richieste d’aiuto. Aprirono all’altro il proprio cuore come non succedeva probabilmente da anni e questo li riavvicinò molto più di quanto avevano fatto le scuse. Alla fine si addormentarono uno davanti all’altro, le fronti che si sfioravano ed il pollice di Tom nella mano di Bill, come quando erano bambini.

Era una mattina limpida e la stanza era illuminata chiaramente in ogni angolo, elegante, linda e un po’ anonima, come tutte la camere d’albergo. Bill era appoggiato con i fianchi al piano della specchiera ed osservava i raggi del sole disegnare ombre sulla moquette. Sorrideva tranquillo.
“Hey.” Fece Andreas affacciandosi alla porta che dava su un altrettanto illuminato soggiorno. Bill si girò e gli sorrise con calore. “Che fai?” Gli domandò l’altro.
“Pensavo.” Rispose lui; Andi si avvicinò con espressione interrogativa. “Riflettevo sul fatto che, nonostante tutto, avrò dei bei ricordi di questa stanza.” Gli spiegò quindi Bill.
“Beh, anche io.” Confermò il ragazzo biondo, condividendo quella convinzione.
Bill sollevò una mano gli carezzò il viso con dolcezza, mentre Andreas lo guardava negl’occhi, un po’ triste perché partiva, un po’ allegro perché i suoi migliori amici avevano fatto pace. E, come sempre, uno si perse nello sguardo dell’altro.
“Hanno già portato giù le tue valige.” Affermò però Andi, rompendo l’atmosfera. “E se vuoi che a David non parta un embolo, dovresti scendere anche tu.”
Bill rise allegramente, poi si scostò dal mobile, mettendosi davanti all’altro ragazzo. “Prima dammi un bacio.” Gli ordinò. “Fuori non potrò farlo e voglio salutarti come si deve.” Aggiunse, passandogli le braccia intorno al collo. Andi sorrise e lo accontentò.
Fu un urlo roco e inorridito a farli scostare uno dall’altro. Si voltarono verso la porta, dove c’era Tom che si riparava il viso con le braccia, come un vampiro davanti ad un crocefisso.
“Per l’amor del cielo, non fatelo più davanti a me!” Proclamò disgustato il chitarrista, dando velocemente le spalle alla scena.
“Ma Tomi, ti dovrai abituare!” Protestò piccato Bill.
“Io non voglio abituarmi a un bel cavolo di niente!” Sentenziò il gemello allontanandosi. “L’unica cosa positiva di questa storia è che ora c’è più fica per me!”
Bill e Andi si guardarono un attimo negl’occhi, poi scoppiarono a ridere.
“Il mio Tom.” Dichiarò poi orgoglioso il cantante, ancora con le lacrime agli occhi.
“Già, il tuo Tom.” Confermò allegro l’altro.
Bill, quindi, afferrò la sua amatissima borsa da sopra il letto, poi prese per mano Andreas e insieme lasciarono quella suite che, nel bene e nel male, in quei pochi giorni ne aveva viste di tutti i colori.

Il tour bus li stava aspettando nel piazzale davanti all’hotel. Gustav, David e Georg erano già lì e loro li raggiunsero in pochi minuti. Bill e Andi, naturalmente, si erano lasciato la mano prima di scendere dall’ascensore.
Davanti alle porte aperte del pullman i ragazzi si salutarono per l’ultima volta, dopo aver incassato le ennesime raccomandazioni del manager. I due innamorati si abbracciarono brevemente ed in modo amichevole, poi si guardarono negl’occhi.
“Riguardati.” Disse Bill ad Andreas, che subito sorrise divertito.
“Dovrei dirlo io a te.” Replicò poi, aggiustandogli una ciocca di capelli sulla spalla. Si guardarono negl’occhi, cercando di esprimere quello che era difficile dire a voce, poi non ci fu più tempo: David, dall’interno del bus chiamò Bill.
“Ti chiamo quando arriviamo.” Garantì il cantante all’altro ragazzo.
“Ok…” Rispose Andreas con un sorriso triste. “Ciao.” Lo salutò poi.
“Ciao…” Rispose Bill, salendo le scalette, senza voltarsi perché aveva le lacrime agl’occhi.
Tom si fermò davanti ad Andreas, mentre lui seguiva ancora con lo sguardo la fuga di Bill; quando il ragazzo biondo se ne accorse, lo guardò e gli sorrise.
“Temo che, per salvare le apparenze, sarai costretto ad abbracciare anche me.” Affermò il chitarrista.
“Credi che ti abbracci solo per le apparenze?” Gli chiese l’amico.
“Spero di no.” Rispose Tom, prima di stringere a se Andi. “Scusami ancora.” Gli sussurrò poi all’orecchio.
“Basta scuse adesso, ho già dimenticato tutto.” Replicò l’altro, allontanandolo da se.
“Ok.” Annuì Tom. “Fatti sentire, va bene?” Aggiunse serio.
“Contaci.” Gli garantì Andreas, prima di dargli una pacca sulla spalla. “Ah… tienimelo d’occhio, ok?” Aggiunse, riferendosi a Bill.
“Tranquillo.” Gl’assicurò l’altro, che era già sul primo gradino del pullman.
Il mezzo partì appena furono tutti a bordo. Andreas rimase nel piazzale, sapeva che mancava qualcosa. Infatti, come il bus si fu allontanato di qualche metro, al grande finestrino posteriore apparve Bill, che lo salutava sbracciandosi.
Andi sorrise, era sempre il solito romanticone il suo Scoiattolo. Lo salutò con la mano e poi gli fece il gesto del «ti amo» con le dita e Bill rispose alla stessa maniera; quindi non gli restò che guardarsi, mentre diventavano sempre più piccoli con la lontananza. Un mesto sorriso si dipinse sul viso del giovane, quando mise le mani in tasca e tornò verso l’hotel.

Erano in viaggio da circa un’ora, quando Bill raggiunse Tom nel salottino del piano superiore del bus. L’autostrada correva davanti a loro, silenziosa. Il cantante si sedette accanto al fratello, posando il capo sulla sua spalla. Tom lo accolse spostando appena il mento e accomodandosi meglio sul divanetto di pelle.
“Tomi?” Mormorò Bill, rannicchiato contro il fianco del gemello.
“Eh?” Fece Tom, abbassando appena gli occhi.
“C’è una cosa che non ti ho chiesto, ieri sera.” Riprese il cantante. Tom si spostò, l’attenzione risvegliata, e guardò il fratello.
“Cosa?” L’interrogò poi.
Bill guardò oltre l’ampio finestrino. Il cielo era azzurro, oltre il guard rail dell’autostrada c’erano campi coltivati. Si stava bene. Si stava come a casa vicino a Tom.
“L’altra notte mi sono svegliato e mi è sembrato di sentire una musica.” Raccontò Bill, mentre il fratello lo ascoltava attento. “Ho aperto anche la finestra, ma è finita…” Il ragazzo si scostò dal gemello e lo guardò negl’occhi. “Eri… per caso, eri tu che…”
Tom sorrise, allungò un braccio e prese Bill per le spalle, tirandolo di nuovo nella posizione di prima, contro il suo fianco, poi gli carezzò i capelli.
“Ti è piaciuta la canzone nuova?” Gli domandò poi, con dolcezza, rispondendo implicitamente alla domanda del fratello.
Bill alzò gli occhi, guardandolo da sotto, sorridendo felice. “È bellissima, Tomi.” Proclamò poi, mentre si stringeva di nuovo a lui. “Dopo, me la fai ascoltare tutta?”
“Quando vuoi, fratellino.” Rispose Tom con un sorriso tenero. “Quando vuoi…”
In quel momento arrivarono Gustav e Georg, che sorrisero soddisfatti davanti ai gemelli riuniti, poi sedettero davanti a loro, dall’altro lato del tavolo. Non si misero a parlare, né a mangiare le patatine che i due avevano portato. C’era un silenzio confortevole nel salottino. Solo il rumore soffice del motore del bus turbava la tranquillità. Bill e Gustav furono i primi ad addormentarsi. Tom e Georg si scambiarono un sorriso complice, poi chiusero gli occhi a loro volta. E tutti poterono finalmente godere della ritrovata armonia, sotto gli occhi attenti e ora rilassati di David, fermo sulla porta con le braccia incrociate.  

FINE

(*) La canzone ascoltata da Tom nel bar è quella che da il titolo al racconto “My guitar lies bleeding in my arms”; i versi in lingua originale sono questi: “I can't write a love song the way I feel today / I can't sing no song of hope, I got nothing to say / Life is feeling kind of strange, since you went away / I sing this song to you, wherever you are / As my guitar lies bleeding in my arms…”. La mia traduzione non è letterale, l’ho fatta un po’ a comodo, perdonatemi.

Ringrazio con tutto il mio cuoricino rockettaro per prime le persone che mi hanno messo nei preferiti: anna9223, eddy, kaulitz angel, melusina, Mikela_Th, My Chemical Girl,  picchia e l’incommensurabile RubyChubb. Grazie, grazie. Baci, baci.

Poi grazie a tutti quelli che hanno commentato i capitoli, specie per quello precedente. Sono davvero contenta se vi ha fatto emozionare, spero di avervi soddisfatto anche con l’ultimo capitolo, fatemelo sapere mi raccomando! Un grazie particolare a Whity, per la bella recensione al capitolo 4, hai centrato tutti i punti che volevo evidenziare, mi ha fatto molto piacere.

A questo punto vi saluto, spero di tornare prossimamente su queste pagine, perché i’ mi’ bambini continuano ad ispirarmi! Mi raccomando commentate, che mi fa sentire tanto bene!

Un abbraccio forte forte a tutti!
Sara - La Zietta dei Tokio Hotel

   
 
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