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Autore: Just a dreamer_    01/05/2013    1 recensioni
Penelope Emma Hope Harvey è una ragazza normale, ma la sua vita è molto movimentata e un po' triste per la lontananza dal padre. Dopo il quinto trasferimento però le cose cominciano a cambiare in meglio... Ma tutto questo durerà?
“Ehi” “Ciao” “Allora, sei nuova giusto?” “Però, che intuito”. Sorrise. Sembrava il tipo di ragazzo di cui non gliene importa niente delle lezioni, il che già mi piaceva, ma non lo diedi a vedere. “Comunque sono Zayn Malik” “Grazie, ora che so il tuo nome la mia vita ha un senso” “Ahahah, mi piaci Harvey” “Non chiamarmi per cognome” “Allora come vuoi che ti chiamo” “Ti semplifico la vita: non chiamarmi affatto” e detto questo tornò ad ascoltare la prof volgendomi un sorriso luminoso che cercai di non ricambiare.
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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THAT'S ME: Oddio, da quanto non aggiorno? Mi vergogno da sola, e l'unico modo per farmi perdonare è questo capitolo, che spero davvero vi piaccia... P.s. per chi sta leggendo l'altra mia fan fiction 'take me home cause I was up all night' volevo dirvi che prima di aggiornarla ci vorrà ancora un po' di tempo, spero abbiate la pazienza di aspettare.. Grazie a tutti!


DO YOU WANNA DANCE WITH ME?



In un quarto d’ora mi ero fatta la doccia e vestita con dei jeans stretti, un top rosso non troppo corto e le mie alla star nere.
Arrivai a casa Payne dieci minuti dopo l’orario stabilito. Bussai energicamente alla porta, sperando che qualcuno sentisse nonostante il baccano che faceva la musica da dentro. Fortunatamente non dovetti aspettare molto prima che il padrone di casa mi aprisse. “Ciao Hope! Pensavo non saresti venuta! Entra pure” mi salutò Liam raggiante e… si, un po’ brillo.
Attraversai il salone guardando da tutte le parti. Qualcuno era già ubriaco (compresi Rick e Louis) e si stavano divertendo a provarci con chiunque capitasse loro sotto tiro e sperai per Miriam che Tomlinson non facesse troppi casini. Due ragazze ballavano su un tavolino mettendo in mostra le gambe, coperte solo da dei vestiti striminziti. Quasi tutti avevano un bicchiere in mano.
Miriam mi si avvicinò barcollante. A quanto pare non era messa meglio di Lou.
“Ciao Penny! come stai? Wow, questi vestiti ti stanno proprio bene!” disse ridendo. Si appoggiò ad una mensola e sorrise: “Vieni, ti porto da bere”. La seguii, stando attenta che non cadesse con quei tacchi vertiginosi. Arrivammo in cucina, dove due ragazzi stavano preparando dei cocktail. “Ragazzi, date qualcosa di forte alla mia amica, ha bisogno di… rilassarsi” pronunciò l’ultima parola che aveva un significato diverso: sballarsi.
I due tipi sorrisero e mi porsero un bicchiere. “Butta giù tutto d’un fiato!” mi consiglio quello a destra.
Non ero sicura di voler bere quell’intruglio, poteva benissimo esserci qualche sostanza non propriamente legale. Sarei finita nei guai se mia madre fosse venuta a saperlo, ma al momento non era in condizioni di farmi la predica.
Miriam si spazientì: “Oh andiamo, bevi e basta!”.
Non indugiai un secondo di più: portai il bordo del bicchiere alle labbra e ingoiai. Doveva essere davvero forte, perché per un istante sentii la gola bruciare. Sbattei gli occhi un paio di volte e scrollai la testa. Miriam applaudì: “Così si fa! Un altro giro”.
Di giri ce ne furono parecchi anche nella mia testa. Avevo perso sia Mir, sia la cognizione del tempo. La visuale era un momento sfocata, un momento lucida. Giravo a vuoto senza avere una direzione precisa, anche se una sedia mi avrebbe fatto comodo.
Uscii per l’ennesima volta dal bagno e appena girai l’angolo mi ritrovai un Louis su di giri, con un’espressione ebete in faccia. Mi chiesi se anch’io apparissi così agli altri, ma realizzai un secondo dopo che non m’importava e comunque e comunque la maggior parte degli invitati il giorno dopo non si sarebbe ricordata praticamente niente.
“Ciao Penelope Genoveffa Harvey!” esclamò Tomlinson. Venne verso di me, inciampando un paio di volte, poi si appoggiò sulla mia spalla. “Come va la festa? Ti stai divertendo?”. Annuii leggermente confusa. “Lo sai che prima ho visto un clown fuori dalla finestra? Voleva che andassi da lui, ma non potevo lasciare Rick da solo, lo capisci?”.
“Ehi, hai fumato per caso?” chiesi sentendo la puzza di fumo ogni volta che apriva la bocca.
Lui dondolò un po’ sul posto, poi si portò l’indice alle labbra: “Non dirlo a nessuno però!”. Scossi la testa, tanto nel giro di pochi minuti me lo sarei dimenticata.
“È stato un piacere vederti Penelope Fanny Harvey! Ci si vede in giro”. Fece una specie di saluto alla militare e se ne andò.
Io decisi di dirigermi in cucina, sperando anche solo di trovare uno sgabello perché avevo le gambe che non avrebbero retto ancora molto. Ma con grande delusione scoprii che c’era una sola sedia libera e lo era perché chissà quando qualcuno ci aveva vomitato sopra. Non era decisamente un bello spettacolo.
Optai per il pavimento, scelsi il punto più pulito che trovai e mi sedetti, le spalle contro il mobile del lavandino, stesi le gambe e mi guardai intorno. Rimasi delusa nel notare che la visuale era ridotta.  Dall’altra stanza vidi una cheerleader gattonare alla ricerca di qualcosa. Risi, senza capire veramente che io non ero messa meglio. Se non altro c’era il lato positivo che, nascosta com’ero, nessuno mi avrebbe notata, così me ne sarei potuta stare per conto mio a fare il punto della situazione. O almeno, la mia mente stava cominciando a snebbiarsi, giusto quel poco da farmi accorgere che stavo appoggiando le mani su una parte di pavimento bagnata chissà da quale bibita. Mi rialzai immediatamente abbastanza disgustata, anche se la rapidità del movimento (per quanto poteva essere rapida una persona ubriaca) mi provocò momentaneamente un giramento di testa che mi costrinse ad appoggiarmi al lavandino. Feci scorrere l’acqua fredda e mi lavai le mani per poi asciugarle nel primo straccio che trovai. Non ero nemmeno sicura che quello straccio fosse pulito, ma tanto ormai non davo più peso a niente.
“Ehi tu con il top rosso”. Mi voltai verso la voce di un ragazzo non molto alto con i capelli molto corti color castano chiaro. “Hai bisogno di qualcosa?”. Non sembrava ubriaco, nemmeno tanto brillo. Poi mi ricordai di averlo già visto.
“Ma tu sei quello che fa da bere vero?”.
Il tipo rise e fece qualche passo verso di me: “Si, io e il mio amico ci occupiamo del piano bar. Sicura che non ti serve niente?”.
Mi guardai intorno senza sapere bene cosa fare. “Voglio sedermi” risposi in un sussurro.
Lui mi porta le mani e dopo qualche secondo di esitazione le afferrai. Mi condusse dietro il bancone tenendomi per i fianchi e con una spinta mi fece sedere sulla penisola della cucina.
“Stai comoda?” mi chiese, spostando le sue mani sulla mie cose.
“Si, grazie, torna a fare da bere” risposi con noncuranza.
“Sarà meglio che stia conte, non vorrei che combinassi qualche guaio. Ci pensa il mio amico a preparare i cocktail. Ehi, Robert, dai una vodka a questa ragazza!” disse rivolgendosi all’altro ragazzo, che annuì alquanto divertito.
Nel giro di pochi secondi mi ritrovai il bicchiere di plastica rosso tra le mani e non esitai a mandare giù il contenuto, tanto peggio di così non sarei potuta stare.
“Come ti chiami, bellezza?”.
“Ehm… Penny. Si, mi chiamo Penny” biascicai. Mi sentivo la gola secca. Avevo ancora bisogno di bere. “Ho sete” sentenziai tastandomi la bocca.
“Come desidera. Rob, un altro”. Il tizio ne aveva già pronto uno, che mi porse immediatamente. Ringraziai e ingoiai. “Comunque io sono Joe. Abiti qua a Lexin?”. Annuii.
Un’altra improvvisa voglia fece capolino nella mia mente: “Voglio ballare”.
Sul volto di Joe apparve un sorriso trionfante. Mi aiutò a scendere dal bancone e mi accompagnò in sala, sempre senza staccarmi le mani di dosso, fisse sulla mia schiena. Mi precipitai sulla minuscola pista determinata dai mobili, seguita a ruota da Joe. Non m’importava di chi c’era o di cosa stessero facendo le persone, volevo solo liberarmi dalle ansie che mi attanagliavano da prima della partita, dal problema di mia madre alla mancanza di mio padre, a tutte quelle nuove amicizie e strane sensazioni. Troppo in una volta sola. Per pochi secondi la mia mente vagò agli anni passati, quand’eravamo solo io, mia madre e nessun’altro; quando in mensa mangiavo per conto mio e passavo le giornate a fare quello che mi pareva senza rendere conto a nessuno; quando non mi sentivo così legata ad una persona, quand’ero solo la ‘ragazza nuova’ e non ‘Penelope’. E per poco, pochissimo, mi sentii davvero così libera, spoglia da tutto. Ballavo, muovendo braccia e fianchi, incurante del resto. E sarei potuta rimanere in quello stato per molto più tempo, se solo Joe non si fosse intromesso. Sentivo il suo sguardo addosso e la cosa mi infastidiva alquanto. Fortunatamente quella sera mi sentivo abbastanza buona da non tirargli un calcio (o forse era solo l’effetto degli alcolici), così escogitai una rapida scorciatoia.
“Vuoi vedere che riesco a fare la verticale sul tavolo?”. Si l’alcool mi aveva decisamente dato troppo alla testa, ma ormai il danno era fatto. Era meglio se me ne stavo zitta e lo mandavo a quel paese.
Joe rise di gusto, per poi allungare il braccio in segno di via libera. “Attenta a non cadere”. Scossi la mano e barcollai verso il tavolo. Chiusi gli occhi e feci mente locale, ripassando cosa dovevo fare. Mi sistemai in ginocchio sulla superficie fredda, posai i palmi delle mani davanti alle ginocchia e presi un respiri profondo. Joe si mise in piedi di fronte a me, attento ad ogni mia mossa.
“Vattene, devo fare la verticale”.
“Ti do una mano, non voglio che ti rompi l’osso del collo”.
Lasciai perdere. Lentamente spostai tutto il mio peso sulla braccia alzando il busto, allargai le gambe facendole staccare dall’appoggio fino a formare una spaccata in aria, poi le chiusi altrettanto lentamente. Sentii un brivido percorrermi la pancia: evidentemente il top doveva essere andato giù e mi maledissi. Il sangue stava iniziando a scorrere verso il cervello, come se non avessi avuto già la testa messa male. Sottosopra vedevo le persone che ballavano, alcune mi stavano osservando con un’espressione curiosa. Avevo come la sensazione che stessi sollevando un blocco di cemento, non ce la facevo più, le braccia iniziarono a tremare.
Due mani mi afferrarono le caviglie e mi aiutarono a sedermi evitando di fare una brutta fine all’ospedale.
“Però, sei brava. Sei delle cheerleader, giusto?”. Joe si era sistemato vicino a me, facendomi sedere con cautela e poi mi aveva praticamente buttato in pista.
Annuii in risposta alla domanda.
“Ho visto  la partita e il vostro… come si chiama? Balletto? Comunque non sei niente male lo sai?” aggiunse al mio orecchio.
Era una situazione abbastanza incasinata. Io mi ero incasinata. Lui non aveva intenzione di lasciarmi in pace e io non ci volevo avere niente a che fare.
“Grazie” risposi freddamente. Cercando di non farlo notare troppo, indietreggiai mentre ballavo, sperando così di raggiungere il bordo della pista da ballo e andarmene. Ma era cocciuto e ad ogni mio passo lontano, lui ne faceva due verso di me.
Non riuscii più a resistere, volevo togliermelo dai piedi. Pensai velocemente a qualsiasi scusa da rifilargli, finché non mi venne in mente la motivazione più ovvia: ero fidanzata.
Joe sembrò bloccarsi e per un secondo fui sicura che finalmente avesse rinunciato. “Dov’è il tuo ragazzo?”-
“Non sono affari tuoi”:
“Se fosse qua sarebbe già venuto, no? Quindi non c’è. Avanti, non lo saprà nessuno…”.
Ero sul punto di mandarlo gentilmente a quel paese, quando qualcuno mi prese per mano, portandomi via senza troppi complimenti. Joe non mi seguì.
Mi ci volle qualche secondo per mettere a fuoco la figura davanti a me che mi stava giudando lontano da quel caos. E mi ci volle qualche altro tempo per associare quella massa informe di ricci ad un nome particolare.
Ci bloccammo nel corridoio, poi si voltò verso di me.
“Che stavi facendo?” mi chiese Harry in tono severo. Chi era, mia madre?
“Cosa vuoi?” gli domandai usando lo stesso timbro di voce.
“Non mi prendere in giro Penny. perché eri con quel tizio?”.
Non ero decisamente nelle condizioni adatte per replicare, quindi mi limitai a sbuffare, appoggiandomi al muro e scivolando verso il basso. “Lasciami stare Styles, non sono in vena di prediche del cazzo”.
Ero convinta se ne sarebbe andato nello stesso modo in cui era comparso. Invece si mise accanto a me.
“Scusa, non sono affari miei” disse poi. C’era disagio nella sua voce.
Mi costrinsi a dire qualcosa di decente, visto che era venuto a salvarmi da una specie di polipo appiccicoso.
Appoggiai la testa sulla sua spalla. “Grazie” biascicai.
Lo sentii irrigidirsi a quel contatto. “Figurati. Lasciatelo dire, sei messa parecchio male”.
Lo colpii con il braccio, o meglio lo sfiorai. “Se devi farmi la ramanzina te ne puoi anche andare”:
harry abbassò la testa sorridendo. “Non sono la persona adatta e non m’interessa”.
Alzai il capo e spinta dalla curiosità affondai l’indice nella sua fossetta. Il suo sorriso sparì, lasciando spazio  un’espressione che non riuscii a decifrare.
“Sorridi di nuovo, dai” lo incitai premendo ripetutamente il dito nella sua guancia.
Lui si arrese facendo rispuntare quelle adorabili fossette. “Contenta?”.
“Ora si. Mi piacciono”.
“Lo vedo. Allora, come ti sembra la festa?”.
Sospirai: “Potrebbe andare meglio”.
“Perché hai bevuto così tanto?”.
“Mi hai preso per il saggio della montagna? Che domanda è? Perché sono una deficiente, non è difficile”.
“Tutti sbagliano”.
“Evita anche le frasi fatte, grazie”.
“Ma quando bevi diventi così lunatica?”.
“No, è che uno ha appena tentato di infilarmi la lingua in bocca , mi girano un po’ le scatole. A proposito, perché sei venuto a prendermi?”.
Harry alzò le spalle indifferente, fissando la parete davanti a noi: “Almeno ho salvato la relazione tra te e Zayn Malik.
Ancora non mi aveva dato una risposta valida. “Ma perché?” insistetti.
“Perché sono un bravo ragazzo” scherzò.
“Lo sei davvero Harold”.
Dopo qualche secondo di pausa girà la testa verso di me e per un momento mi sentii come nuda a contatto con i suoi occhi, di una verde non smeraldo come i miei, ma altrettanto incantevoli. Non aveva lo stesso sguardo di Zayn, no. Zayn era capace di perforarti con una sola occhiata. Harry invece era più aperto, quello sguardo vivace adatto anche ad un bambino. Quel genere che fisseresti per minuti solo per coglierne tutte le sfumature. Il tipo di occhi che, al contrario di Malik, lasciavano sempre trasparire qualcosa. Ed ora ci vedevo curiosità.
“Si vede che non mi conosci bene”.
“Possiamo provare ad essere amici, se vuoi”. Non ero adatta a fare domande del genere e mi sembrava estremamente infantile appena finii di pronunciare quelle parole.
Ma il sorriso che mi rivolse dopo era sincero. “Non so se stai parlando sul serio o se è l’effetto dell’alcool, ma è una buona proposta. Mi piace”.
“Se non sei convinto o se hai paura che me lo dimentichi, domani mandami un messaggio per ricordarmelo”.
“E come faccio se non ho il tuo numero?”.
“O mi leggi nella mente o te lo do io, scegli te”. Harry prese il telefono dalla tasca e aspettò. “Allora… 525, e ci siamo. Poi dovrebbe esserci un 7. No, un 3…”.
“Perché non me lo dai quando hai le idee più chiare?”.
“Si hai ragione. Che palle però”. Picchiai i piedi e le mani sul pavimento, esattamente come una capricciosa ragazzina che non aveva
ottenuto ciò che voleva. Poi, mi venne in mente un piano alternativo. Sfilai il cellulare dalla mia tasca che miracolosamente non avevo perso e andai nella rubrica. “Ecco, tieni” dissi porgendoglielo.
“’Mio numero’. Viva la fantasia” commentò leggendo.
“Zitto e copia”.
“Come desidera. Ti scrivo anche il mio?”.
“Non importa, se mi mandi un messaggio basta che firmi alla fine”. Tornai ad appoggiarmi sulla sua spalla.
“Per essere ubriaca, sei ragionevole e antipatica come sempre, lo sai?”.
“Ma non sono ubriaca! Brilla, diciamo…” ribattei nascondendo un piccolo sorriso.
“Hai intenzione di rimanere qua per tutta la notte?”.
“Ma se sono appena le… che ore sono?”.
Harry alzò il braccio per controllare l’ora sull’orologio, poi sospirò: “Quasi l’una”.
“Merda. E io cos’ho fatto per tutto questo tempo?”.
“A parte quasi baciare quello li? Non lo so, non sono la tua balia”.
Ignorai la risposta e mi concentrai sul fatto che fra poco avrei dovuto essere a casa per vedere che fine aveva fatto mia madre. E l’idea non mi allettava gran che, ma l’immagine del mio letto caldo ad aspettarmi fu una motivazione sufficiente per costringermi ad alzarmi. Barcollai pericolosamente per qualche secondo a causa della testa che di colpo aveva iniziato a girare di nuovo, probabilmente a causa dello sforzo. Feci due passi per prova e quando fui stabile mi incamminai lentamente alla ricerca di Miriam, o Giusy, o Elisabeth. Insomma, di qualcuno che conoscevo, dovevo salutarli prima di andarmene.
Styles si affrettò a raggiungermi. “Vedi di non cadere come un sacco di patate”.
“Non darmi del sacco di patate”.
Appartati in un angolino individuai Mir e Tomlinson, avvinghiati, lui contro il muro occupato a stringere il sedere della ragazza, lei che gli spettinava i capelli baciandolo a tradimento. Camminai a passo spedito, richiamando la loro attenzione già a qualche metro di distanza.
“Penelope Melissa Harvey!” esclamò Lou ancora ubriaco.
“Io vado a casa, ci vediamo a scuola” gli rivolsi un breve saluto e girai i tacchi senza aspettare una loro risposta che probabilmente non sarebbe arrivata.
Fuori due. Mi mancavano… oh, al diavolo, avrei trovato chi avrei trovato. Tirai Harry per un braccio: “Muoviti, aiutami a cercarli!” gli urlai per sovrastare la musica.
Lui mi tirò a sua volta: “Li ci sono Rick, Giusy e Elisabeth”. Indicò il divano, sul quale erano seduti i diretti interessati. O meglio, Rick Jalor era seduto, Giusy era sdraiata su di lui ed Elis se lo stava ingraziando. Se non fossero stati tutti ubriachi avrei preso quel ragazzo a schiaffi.
“Non ho voglia di interrompere quella specie di incontro a tre” dissi appoggiandomi al muro dietro il divano. Se stavo ferma avevo bisogno di un sostegno. I giramenti di testa erano passati, ma per precauzione era sempre meglio di niente.
“Che si fa?” domandò Harry con le mani nelle tasche intento ad osservare gli altri.
“Tu fai quello che ti pare, io me ne vado a casa”.
Lo vidi di sfuggita prima di voltarmi e dirigermi verso quella che mi sembrava la direzione giusta per la porta, sperando di non imbattermi di nuovo in Joe. Nel frattempo che facevo congetture sulla sua fine, gente che si baciava, litigava, barcollava senza meta, parlava tranquillamente, faceva spettacolo, mi passò davanti al viso durante la mia ricerca della salvezza.
E finalmente toccai il legno fresco, la mia mano scorse in basso, abbassai la maniglia ed uscii. Aspirai a pieni polmoni l’aria della sera, decisamente più pulita rispetto a quella in casa Payne.
Ora, con calma, un passo alla volta, dovevo solo evitare di…
“Penny! aspetta Penny!”. qualcuno spalancò la porta, con tanta forza da colpirmi la schiena.
“Coglione ubriaco, chiunque tu sia stai per ricevere un pugno sulle…”. Ma non era un coglione ubriaco qualunque. “Styles, la prossima volta che mi farai ancora male, sarà meglio che ti copra le tue parti intime”.
“Stai calma, non l’ho fatto apposta! Ti ho portato il cellulare, l’avevi dimenticato” dissi porgendoglielo.
Lo presi velocemente e lo misi in tasca. “Ah… grazie. Tornatene pure dentro”.
“Perché devi sempre essere così? Un secondo prima sei tutta carina e gentile, il secondo dopo mandi a quel paese tutti”.
“È il mio carattere”.
“Lasciatelo dire: hai un carattere di merda”.
“Sei la gentilezza in persona”.
“Senti chi parla”.
Sbuffai con le mani sui fianchi. “Non ho voglia di litigare, ciao!”.
 Camminai abbastanza spedita per il vialetto e sperai di non perdermi e arrivare a casa il mattino dopo.
Harry mi si affiancò: “Vengo con te, nemmeno io ho più voglia di stare alla festa”.
“Te l’ho chiesto?”.
“Ho capito, devo stare zitto”.
“Bravo”.
La strada sembrava più lunga del solito, le gambe mi facevano male e il fatto che fosse notte non migliorava le cose. Erano ormai venti minuti che stavamo camminando e iniziavo a chiedermi se avessi perso la sensibilità in tutto il corpo.
“Siamo quasi arrivati?” mi lamentai.
“Manca poco”.
Dopo un tempo che mi parve infinito lessi ‘via Philips’ sul cartello a lato del marciapiede e ringraziai chiunque l’avesse fatto. Ed eccola li, la mia adorata abitazione. Non ero mai stata così felice di vedere dei muri colorati.
Era giunta l’ora di separarci.
“Sicuro di riuscire ad arrivare a casa da solo?”. non volevo che gli succedesse qualcosa per colpa mia.
“Non sono io quello che ha bevuto per tutta la sera”. Gli lanciai un’occhiata. “È vero però. Comunque tranquilla, non è la prima volta che torno così tardi, ho fatto di peggio. Il mio sguardo interrogativo lo costrinse a proseguire. Scosse un paio di volte i capelli con le mani, poi si spostò il ciuffo ribelle di ricci a lato.  “Alla festa di Louis avevo alzato il gomito un po’ troppo, ero ubriaco fradicio e capivo poco o niente di quello che succedeva intorno a me. comunque il giorno dopo mi sono risvegliato sulla soglia di casa senza sapere come ci ero arrivato. Sono entrato senza far rumore e mio padre non si p accorto di niente. Fino a quando non ho vomitato sul tappeto” raccontò accennando una risata. “È successo quest’estate. Sono stato in punizione per due settimane. Niente uscite, solo compiti, un incubo”.
Ero rimasta ad ascoltare più o meno metà della storia, ma il succo del discorso l’avevo capito. “Direi che sei a posto allora”. Titubante sul da farsi, appoggia le mani sulle sue spalle e mi sporsi per lasciargli un piccolo bacio sulla guancia. “Non chiedermi perché l’ho fatto, tanto non lo so nemmeno io. Vedi di non morire lungo la strada, Harold”.
 
L’atmosfera in casa era molto tranquilla. Troppo. Conoscendo Michelle, doveva essere ancora alzata ad aspettarmi, giusto per dimostrare di essere un bravo genitore. Non sentivo il rumore del televisore, segno che o se ne era fregata ed era andata a dormire, se ne era dimenticata, oppure il segnale era assente. E avrei voluto che fosse stata una di queste motivazioni. Di sicuro non avrei mai pensato che appena fossi entrata in sala, avrei trovato mia madre chiacchierare con il dottor Des Styles.
“Che ci fa lui qua?” chiesi interrompendoli senza troppi convenevoli.
Si girarono entrambi nella mia direzione. Michelle appena mi vide balzò giù dal divano e mi venne incontro. “Tesoro! Finalmente sei tornata! Ti avrò chiamata almeno quattro volte”. Però, si era sprecata per essere una madre in pensiero per l’incolumità della figlia.
“Che ci fa lui qua?” ripetei ignorando la sua apprensione.
Il padre del riccio si alzò a sua volta. “Buonasera Penelope. Tua madre mi ha chiamato perché  si sentiva poco bene e sono venuto a dare un’occhiata” spiegò lui con calma.
“All’una di notte?”.
“Sono sempre disponibile per i miei pazienti” disse sempre rimanendo fermo in piedi.
“Se lo dice lei”.
“Tesoro! Non essere scortese con il dottore” intervenne mia madre. Doveva dare la colpa alla vodka, non a me.
“E immagino che adesso stava controllando se mia madre avesse l’uso della parola, vero?”.
Styles senior rise: “Dopo il controllo ci siamo messi a parlare del più e del meno, niente di speciale. Ma ora è meglio che vada. Signora Harvey”.
“Michelle, la prego” lo interruppe mia madre.
“Michelle, Penelope, buonanotte” disse prendendo il cappotto. “Se ha ancora bisogno non si faccia problemi a richiamare” e se ne andò.
Spostai lo sguardo verso mia madre, che ancora guardava la porta. Non mi piaceva per niente la sua espressione. “Che ti è preso?” sbottai.
Si riscosse: “Niente tesoro, perché?”.
“Perché? mi prendi in giro? Dimmi cosa ci faceva qua!”.
“Te l’abbiamo detto, l’ho chiamato perché non mi sentivo bene, riuscivo a stare a stento in piedi”.
“Raccontala a qualcun altro”. Non volevo sentire altre scuse, ero troppo stanca per arrabbiarmi.
“Penny, non usare questo tono con me”.
“Michelle, ti prego, non prendermi in giro. Non hai mai chiamato nessun medico per i problemi di depressione se non in rari casi e sono sempre stata io a chiamarli perché tu non avevi nemmeno la forza di alzare un dito!”.
“Questa volta è diverso!”.
“Diverso in cosa? Nel fatto che l’abbia chiamato tu perché è un bell’uomo e probabilmente ti piace? Del fatto che io mi prendo cura di te quando ti chiudi in te stessa e rimango da sola?” la testa aveva cominciato a girarmi, più per il fatto che stavo praticamente urlando ed ero emotivamente instabile. “Non puoi mentirmi Michelle, ti conosco forse più di quanto tu conosca me e ho visto come guardavi il dottor Styles. Sembrava quasi lo stesso modo in cui…” ciò che stavo per dire sarebbe stato talmente egoista che me ne sarei vergognata per moltissimo tempo, ma in quel momento era l’unica cosa che avrebbe potuto farle mettere le testa a posto. “In cui guardi papà” sputai alla fine, dopo secondi di riflessione. Ed ecco, nel suo piccolo le avevo scagliato una pietra pesante, sul cuore. Avevo esagerato? Non lo sapevo nemmeno io.
Mi sarei aspettata una serie di insulti o qualcosa del genere, invece mi si avvicinò e mi abbracciò. Ci misi un po’ a ricambiare la stretta, interdetta dalla piega della conversazione. Sospirò sulla mia spalla, poi sussurrò: “Penny, non pensare che mi sia dimenticata di tuo padre. Come puoi pensare ad una cosa del genere?”. Non risposi, volevo che continuasse. “Mi dispiace se ogni tanto divento assente, davvero, non sai quanto, ma è più forte di me. Quando vedo tuo padre, mi vengono in mente tutti i bei momenti che abbiamo passato quand’era ancora con noi. e non riesco ad accettare il fatto che rischi ogni giorno la vita. Ed io ho pensato stupidamente di chiamare il signor Styles solo perché quando ti ho portata a farti visitare mi è sembrato così amichevole e aperto, più degli altri dottori che abbiamo consultato e a quanto ho sentito in giro è davvero così disponibile, così mi è venuta l’idea idiota…”. Terminò il suo discorso tirando su con il naso. Sperai di non vederla piangere, perché non avrei retto la tensione.
Pensai alla svelta a qualcosa da dire per alleggerire il clima così teso: “Se non altro è simpatico e gentile”.
Lei si staccò, guardandomi in viso. “Oh, tesoro… Ma, aspetta un attimo! Si avvicinò di nuovo, annusandomi. “Hai bevuto”.
Merda. In tutto quel trambusto non mi ero preoccupata di nascondere la puzza dell’alcool.
“Penelope Emma Hope Harvey, tu sei in punizione” dichiarò seria all’improvviso. Va bene, questo me l’ero meritato. “Per una settimana, niente discussioni”. Non replicai, sia perché ero davvero stremata e sarei crollata da un momento all’altro, sia perché almeno l’argomento papà era chiuso.
Le diedi la buonanotte e andai a dormire, con ancora i vestiti della festa addosso.
  
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