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Autore: Blackbird_    01/05/2013    2 recensioni
1544, ultimi anni del regno di Carlo I di Spagna. Don Juan Tenorio si trova nel bel mezzo della sfida contro Don Luis Mejia: chi sarà in grado di conquistare più donne e di uccidere più uomini sarà il vincitore.
Doña Celeste è una giovane nobile innocente e smaliziata, che non crede nell’amore ma odia l’idea di doversi sposare con un uomo scelto dai propri genitori. È proprio lei la nuova vittima scelta da Don Juan che utilizzerà la sua infallibile tecnica di corteggiamento.
"Quanti giorni impieghi in ogni donna che ami?" "Uno per farla innamorare, uno per averla, un altro per abbandonarla, due per sostituirla e un'ora per dimenticarla"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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Secondo giorno: Otro para conseguirlas.


Dopo una notte quasi insonne, trascorsa a pensare a Don Juan e a maledire i miei genitori e la loro dannata decisione di concedere la mia mano a Don Diego, quando Letita mi svegliò avevo la testa dolorante e un fastidiosissimo senso di nausea. Mi tirai su con difficoltà, riuscendo a malapena ad aprire gli occhi.
“Celeste, è arrivata una lettera per voi” mi sussurrò la mia dama da compagnia all’orecchio non appena appurò che io fossi sveglia. Con fatica le porsi la mano, nella quale lasciò una busta di carta intatta. Intatta? Aprii gli occhi di scatto per fissarla. Mia madre era sempre stata solita leggere le lettere che ricevevo –non che ne ricevessi molte-. Letitia ridacchiò alla mia reazione teatrale. “E’ da parte di Don Juan Tenorio, me l’ha consegnata poco fa Ricardo. Si è dovuto arrampicare dal muro di cinta sul retro per non farsi scoprire” mi spiegò, avvicinandosi al mio mobile da toeletta e riempiendo il lavabo con l’acqua calda che teneva in una tinozza. “Grazie per ieri” sospirò, tornando ai piedi del letto. Ancora incapace di pronunciare una frase di senso compiuto mi limitai a sorriderle.
“Cosa vi è accaduto ieri?” mi domandò curiosa, fissandomi mentre aprivo con desiderio la lettera. Alzai le spalle. “Nulla di eccessivo” replicai, lanciandole una chiara frecciatina maliziosa, “mi ha detto di piacergli. E mi ha baciata”.
La sua faccia sorpresa ed entusiasta al tempo stesso mi fece ridere. Ma non aggiunsi altro. Tirai fuori il foglio dalla busta. Emanava un profumo di buono, di carta e di muschio. Odore di boscaglia, lo stesso che dal giorno prima attribuivo al mio cavaliere misterioso. Rimasi ad annusare quell’essenza meravigliosa per un po’, finché non presi coraggio e non iniziai a leggere ciò che vi era scritto.
Doña Celeste del alma mìa,
Luz de donde el sol la toma,
Hermosìsima paloma
Privada de libertad;
Si os dignàis por estas letras
Pasar vuestros lindos ojos,
No los tornéis con enojo
Sin concluir; acabad.”(*)
Sentii un tuffo al cuore. Nella mia mente era la sua voce a leggere quelle parole, e potevo chiaramente sentirne ogni sfumatura. Alzai lo sguardo verso Letitia che ancora mi fissava curiosa. Voleva sicuramente sapere cosa ci fosse scritto. Le sorrisi debolmente e tornai a quei versi così poetici.
Celeste, alma de mi alma,
Perpetuo imàn de mi vida,
Si por el mundo suspiras
 De libertad con afàn,
Acuérdate que al pie mismo
De esos muros que te guardan,
Para salvarte te aguardan
Los brazos de tu Don Juan.
” (**)
Sorridevo estasiata, come colta da un improvviso attacco di pazzia. Mi portai una mano sul petto per contenere il cuore palpitante che minacciava di uscire dal mio corpo.
“Vi sentite bene?” chiese Letita preoccupata dalle mie gesta inconsuete. Annuii, tranquillizzandola un poco. “Credo di stare bene. Ma in realtà non so come sto. È una sensazione così strana” confessai, sospirando. La mia amica mi sorrise e prese la lettera per riporla all’interno del libro del ciclo arturiano che tenevo riposto sul mobile vicino al letto. “Se non è essere innamorati questo, non so cos’è” pronunciò soddisfatta, canzonandomi per la mia eccessiva freddezza del giorno prima.
“Non sono innamorata di lui, Leti. L’amore non esiste!” le ripetei per l’ennesima volta. Anche se, dopotutto, sensazioni simili non ne avevo mai provato. Erano sentimenti del tutto nuovi, lontani dalla mia solita credenza di ‘amore’. Non avrei mai creduto che potessero verificarsi tali reazioni esagerate solo a leggere una lettera, solo a sentire una voce nella propria testa, solo a ricordare dei bei momenti passati insieme.
Tornata alla realtà mi preparai velocemente, mangiai poco o niente, e mi precipitai a lezione.
Per la prima volta in vita mia ero in ritardo e venni sgridata per questo da Curcio. Occupò gran parte del tempo della lezione a farmi una paternale riguardo all’importanza della puntualità. Stando alle sue parole, essa era una delle caratteristiche fondamentali per un’ottima dama di corte, per un’ottima moglie e madre. Sbuffai ad ogni sua parola. Per la prima volta in vita mia lo trovai noioso. Caspita, quante cose erano cambiate in un misero giorno! Non riuscivo a dargli le attenzioni dovute: la mia mente continuava a vagare fra le nuvole che si rincorrevano fuori dalla finestra. M’infastidiva anche solo il suono delle parole matrimonio e buona moglie, e probabilmente il mio insegnante se ne accorse. Forse per farmi un dispetto, forse perché messo al corrente del mio prossimo fidanzamento ufficiale, Curcio terminò il suo discorsetto riguardo il mio ritardo e cominciò ad insegnarmi le regole di corteggiamento e il rituale sacro del matrimonio. Nulla di più logorante per il mio precario equilibrio psico-fisico.
Fingendo interessamento per la tecnica del fazzoletto lasciai cadere lo sguardo verso la finestra. Notai Letitia passeggiare nella zona più ombrosa del giardino, voltandosi di tanto in tanto, probabilmente per non essere vista. Si stava incontrando di nuovo con Ricardo? Ero quasi invidiosa della sua libertà di comportarsi a proprio piacimento in questioni simili. Lei poteva innamorarsi di chiunque volesse, senza essere costretta dai propri genitori a sposare un uomo che non aveva mai visto in vita sua.
Non appena Curcio ebbe terminato la sua barbosissima lezione me ne tornai di corsa in camera mia. Presi il libro dove era custodita la lettera di Don Juan e la tirai fuori velocemente. Rilessi quei versi fino a che non li imparai quasi a memoria, trovandone diverse sfumature di tonalità ogni volta. Poi, l’illuminazione. Nessuno avrebbe davvero potuto salvarmi dal mio destino già scritto, ma di certo lui sarebbe riuscito ad aiutarmi a fuggire da tutto ciò. Se non fisicamente, almeno col pensiero. Scrissi velocemente due righe, niente versi, niente poeticità. Sono una disperata richiesta di vederci al più presto.
Quando terminai rimasi in attesa che qualcuno venisse a chiamarmi per il pranzo. Quando finalmente arrivò Anton a comunicarmi di scendere, scattai come un grillo e lo seguii velocemente. Lungo il corridoio incrociammo Letitia che si recava velocemente verso la mia stanza per finire di sistemarla. La bloccai, intimando il maggiordomo di annunciare ai miei genitori il mio arrivo. Quello non se lo fece ripetere due volte e si dileguò a grandi passi.
“Leti, ho bisogno di te” le dissi, non appena fui certa che nessuno ci stesse ascoltando. Mi guardò con sguardo incuriosito: non mi ero mai comportata in modo così losco in vita mia, ed era una sorpresa anche per lei. Tirai fuori dal corpetto la lettera sigillata che avevo appena terminato di scrivere e gliela consegnai. “Sei l’unica persona a sapere come riuscire a recapitarla a Don Juan Tenorio” sostenni, con tono deciso. In realtà ero terribilmente in imbarazzo per tutto ciò che avevo fatto, tanto che sentii le mie gote farsi calde, ma la mia amica era probabilmente l’ultima persona in grado di giudicarmi per una questione simile. L’enorme sorriso nato sul suo volto mi lasciava intuire, anzi, che fosse assolutamente entusiasta della ‘storia d’amore’ che era riuscita a mettere su. Perché sì, dopotutto un minimo di merito per tutta quella situazione era anche suo.
“Consideratelo fatto” mi rispose raggiante, prese la lettera e partì, non alla volta della stanza, ma del giardino. “Grazie” le urlai dietro, senza sapere se mi avesse sentita o meno, e mi diressi verso la sala da pranzo, dove tutti mi aspettavano.
Fortunatamente l’argomento di conversazione dei miei genitori non fu il mio prossimo matrimonio –anche se sapevo benissimo che mia madre non vedeva l’ora di iniziare i preparativi e di rendermi partecipe di tutte le sue decisioni- ma il funerale dell’indomani. Sembravano non essere d’accordo sul fatto che si celebrasse in chiesa: una suicida non era più figlia di Dio, non avrebbe dovuto nemmeno entrare in un luogo consacrato. I miei sembravano compiaciuti della menzogna che i poveri genitori della ragazza, pur di darle una dignitosa sepoltura, avevano annunciato. Secondo la loro fantasiosa versione dei fatti la ragazza non si sarebbe buttata di sua spontanea volontà nel fiume, ma uno sconosciuto l’avrebbe spinta nelle acque gelide cogliendola di sorpresa. Tutti in paese erano a conoscenza della reale versione dei fatti, tutti non facevano che parlarne male, ma nessuno osava contestare apertamente la scelta della celebrazione religiosa. Parlarne nei club e rimanere ‘anonimi’ era sicuramente più divertente.
Era inoltre chiaro, dopo gli studi che i medici avevano fatto sul corpo della sfortunata, che essa fosse incinta. Un enorme disonore, soprattutto alla vigilia del matrimonio. Ma i genitori, pur di non lasciar cadere la famiglia nel puro disonore, le avevano fatto costruire una tomba bianca, come se fosse una vergine. Mia madre sembrava piuttosto agguerrita nella discussione contro questa decisione così abominevole. Non si poteva trattare una sgualdrinella qualsiasi come una delle creature più pure della terra.
Io, dal canto mio, ero terribilmente disgustata da tutte queste decisioni prese dalla famiglia Hermosa de Chauchina. Non m’importava dove avessero programmato il funerale, di che colore della bara: quelli non erano altro che dettagli irrilevanti. Ciò che più mi schifava, m’infastidiva, era il modo in cui la famiglia desse di gran lunga molta più importanza alle dicerie delle persone rispetto al dolore per la morte della loro unica figlia.
Rimasi con loro a parlare della questione per un bel po’. Non interagii granché: mi limitai, piuttosto, ad annuire ad ogni cosa che sostenessero. Mostrarmi così contrariata da tutta quella stupida situazione non avrebbe fatto altro che farli arrabbiare. Quando finalmente si alzarono per andare a riposare nella loro stanza li salutai cordialmente e corsi verso la mia camera.
Arrivai ansimante di fronte al portoncino. Forse era per colpa delle rampe di scale percorse di corsa, oppure era semplicemente perché speravo di trovare una risposta alla mia lettera adagiata sul letto. Entrai decisa ma non trovai nulla che potesse dissimulare un messaggio da parte di Don Juan. Delusa mi buttai sul letto.
Il mio dormiveglia venne interrotto da Letitia che entrò in camera raggiante. Quando notò che ero quasi addormentata si scusò con me. “Ho una bella notizia che sicuramente vi farà svegliare benissimo!” esclamò contentissima. Proprio come avevo fatto io prima con lei, tirò fuori dal corpetto una busta color pergamena tutta spiegazzata. Sorrisi, immaginando di cosa si trattasse. “Pensavo non volesse più rispondermi” ammisi, portandomi una mano al cuore. Ero rincuorata dal fatto che finalmente avessi ricevuto una risposta anche se, effettivamente, era passato davvero poco tempo da quando avevo fatto consegnare il mio messaggio.
Sentire sotto ai polpastrelli i segni sul sigillo mi elettrizzava. La cera rossa era marchiata con le sue iniziali: era davvero sua, nessuno sbaglio, nessun impostore. Chiusi gli occhi e trattenni il respiro mentre con una mossa decisa aprii definitivamente la busta.
Nessun verso ad attendermi, solo uno schietto messaggio di poche righe.
“Sono qui per liberarti”
Mi morsi il labbro. Un uragano di sensazioni contrastanti si fece largo fra i miei pensieri in un attimo. Cosa voleva dire quel messaggio?
“Don Juan mi ha consegnato di persona questa lettera, per essere certo che arrivasse immediatamente a destinazione” interruppe i miei pensieri Letita. Tornai a guardarla, distogliendo lo sguardo da quelle lettere scarlatte. “Lui è qui?” domandai, quasi balbettando. Al solo pensiero sentii il fiato mancarmi. La mia amica annuì, senza troppi scrupoli. “Probabilmente è ancora di sotto, non è molto che…” non le diedi nemmeno il tempo di terminare la frase. In uno slancio improvviso d’affetto la abbracciai talmente forte da farle perdere il respiro. Lei non chiese nulla, né protestò per la mia mancata attenzione a ciò che avesse da dirmi.
Senza darle nemmeno il tempo di riprendere il discorso mi precipitai fuori dalla stanza, diretta verso il luogo d’ombra del giardino dove avevo visto Letitia avviarsi quella stessa mattina. Il messaggio ambiguo che avevo ricevuto aveva improvvisamente acquistato senso.
Corsi lungo il giardino cercando di non farmi vedere da anima viva. Nello spazio al retro del castello non ci avrebbe visto nessuno e fremevo all’idea di poter rivedere il mio cavaliere. L’idea di incontrarci di nascosto all’interno delle mura del mio palazzo, consapevoli di poter essere scoperti da un momento all’altro, rendeva l’ottica di stare in sua compagnia ancora più eccitante.
Mi fermai sotto l’arco di rose bianche. In cuor mio sapevo che fosse quello il luogo dell’ ‘appuntamento’, sebbene nessuno dei due ne avesse mai fatto parola. Lui non c’era. Iniziai a guardarmi intorno, sperando con tutte le mie forze di non aver frainteso la sua lettera. Finalmente lo scorsi mentre scendeva dalle mura aggrappato alle piante rampicanti che costeggiavano l’intera cinta muraria.
Si sistemò gli abiti e si voltò a guardarmi. I suoi occhi luminosi e il suo sorriso smagliante erano ancor più belli di quanto ricordassi. Gli corsi incontro e lo abbracciai. Sorridente si liberò della mia presa e baciò delicatamente il dorso della mia mano. “Mia cara Celeste. È passato tanto tempo, eppure sembra ieri” disse con tono suadente. Ridacchiai, arrossendo leggermente. “E’ stato ieri” gli sorrisi e, senza preoccuparmi troppo di quello che avrebbe potuto pensare di me, gli diedi un bacio, che ricambiò con ardore.
“Mi siete mancato da morire” ammisi una volta che ci fummo staccati l’uno dall’altra. Presi la sua mano e lo condussi sotto l’arco di rose. Si tolse il mantello e lo lasciò cadere a terra e, insieme, ci sedemmo su di esso.
Senza dire nulla mi diede un bacio delicato, seguito da mille altri. “Non vedevo l’ora di poterti rivedere, Celeste” disse infine, carezzandomi il volto con una dolcezza infinita.
Lo lasciai fare, continuando a fissarlo e a sorridergli. L’indomani sarei diventata la fidanzata ufficiale di Don Diego, non avrei più potuto rivederlo. Preparandomi al peggio, cercavo di immagazzinare il più possibile l’immagine di Don Jan Tenorio, in modo che potesse restare sempre vivo nei miei ricordi.
“Leggo della tristezza nei tuoi occhi” disse con un filo di voce, fissandomi negli occhi come non aveva mai fatto. “Da domani tutto questo non potrà più esistere: dovrò diventare la sposa di un altro uomo. La sola idea di essere lontana da voi mi distrugge” confessai, con tono rassegnato. Con un sorrisetto beffardo mi prese il volto e lo portò a sé, dandomi un altro bacio. “Sì. Domani però” pronunciò infine, senza abbandonare quell’aria spudorata che tanto lo contraddistingueva. Mi allontanai leggermente dalla sua presa, infastidita da queste sue parole. “Domani, certo, ma son comunque promessa a Hortega” puntualizzai. Non sembrava accorgersi della gravità della situazione, né tantomeno del mio dolore. Non avrei più potuto rivederlo né sentilo. Il fuoco dentro di me aizzato dalle sue parole e dai suoi comportamenti si sarebbe presto spento, soffocato dalla noia e dalla freddezza di un matrimonio non voluto.“Sì. Domani però. Oggi non è domani. Se domani vi sposate, oggi è un altro giorno”. Annuii poco convinta, distogliendo l’attenzione dal suo volto magnetico e cominciando a torturarmi le mani dall’agitazione.
“Questo posto è meraviglioso” sostenne, rompendo il silenzio che si era venuto a creare. Mi guardai intorno, come se quella fosse la prima volta che guardavo il mio stesso giardino. L’arco sopra di noi era stracolmo di piccole rose bianche appena sbocciate. L’erba tutt’attorno era cresciuta verde e rigogliosa, lasciando spazio qua e là a qualche ciuffo di Nontiscordardime dall’azzurro vivace. Mossi leggermente la testa, e sorrisi ad uno stupido pensiero infantile che tutta quella situazione mi aveva appena portato alla mente.
“Sarebbe bellissimo sapere il motivo di questo ancor più meraviglioso sorriso, Celeste” pronunciò stringendomi le mani e riacquistando tutta la mia situazione. “E’ una storia sciocca” premisi. Sorrise, lasciandomi intendere che avrebbe comunque ascoltato ogni cosa che avessi da raccontargli. “Quand’ero una bambina sognavo di celebrare il mio matrimonio proprio sotto questo arco fiorito” narrai. Si mise a ridere, divertito dalla mia confessione. “Ero piccola ed ingenua, non c’è nulla da ridere” lo rimproverai, fingendomi offesa.
Tornò improvvisamente serio, tanto che quasi mi spaventò. Mi strinse maggiormente le mani e si morse il labbro.
“Questa mattina ho parlato con i tuoi genitori”. Lo guardai, strabuzzando gli occhi, incredula di ciò che avesse appena detto. Tutto mi sarei aspettato, ma mai una cosa del genere. Aprii la bocca per controbattere ma non riuscii a pronunciare alcun suono. “Ho chiesto loro la vostra mano”. Ero stupefatta, ed iniziai a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua. Mi rabbuiai un attimo dopo, immaginando la scena e la probabile risposta dei miei genitori.
“Non avranno accettato di certo. Non vi conoscono, mentre adorano Don Diego. Proprio ora che sono riusciti a convincerlo a sposarmi, non avranno di certo rinunciato al prestigio del suo nome per cedermi ad uno sconosciuto qualsiasi come voi” furono le uniche, fredde parole che finalmente riuscirono ad uscire dalla mia bocca.
Il suo volto si sformò in un enorme sorriso che lo addolcì terribilmente. Guardandomi pieno d’amore scosse la testa. “Ti sbagli, mia cara. Domani, dopo il funerale di quella povera ragazza, potremmo ufficializzare il nostro fidanzamento… presto sarai mia sposa!”.
Queste ultime quattro parole iniziarono ad echeggiarmi nella testa, prepotenti e dolcissime al tempo stesso. Sarei diventata sua sposa? Quasi piangendo dalla gioia mi gettai fra le sue braccia, baciandolo e ringraziandolo senza fine. “Con queste parole mi avete reso la ragazza più felice della terra” dissi emozionata, con un sorriso enorme e una gioia indescrivibile in corpo. Non potevo credere che i miei genitori avessero davvero deciso di lasciarmi sposare un uomo che era andato da loro a dichiarare tutto il suo amore per me e non quel damerino dalla buona famiglia.
Sorridendo mi strinse maggiormente a sé, sciogliendomi i capelli color dell’oro con una mossa veloce. Li lasciò ricadere dolcemente sulle spalle e sulla schiena, carezzandoli. Nonostante mi sembrasse una mossa del tutto inconsueta non protestai, troppo eccitata com’ero all’idea di diventare sua moglie. Ero come accecata dalla gioia.
Fece scivolare dolcemente le mani lungo tutta la linea del mio corpo, seguendo con le dita le curve dei fianchi. Rabbrividii al contatto delle sue labbra calde con l’incavo del mio collo, che si ripeté innumerevoli volte in pochi istanti. Con le braccia lo cinsi intorno alla testa, tentando con molta poca voglia di farlo smettere. La verità era che avrei voluto non finisse mai. Tornò nuovamente col viso all’altezza del mio volto e riprese a baciarmi sulle labbra, insistentemente. Ogni contatto era sempre più lungo e più passionale. Intrecciai le dita fra i suoi capelli sbarazzini, mentre lo lasciavo fare e, anzi, lo incitavo tacitamente a continuare.
Improvvisamente, con un movimento quasi impercettibile, mi diede una spinta. Le sue mani, poggiate sulla schiena, mi accompagnarono lentamente verso terra, evitando che mi facessi male. Nonostante fossimo stesi sul mantello, potevo chiaramente sentire ogni singolo stelo d’erba che si stagliava sotto al mio corpo. Ero sdraiata, immobile, davanti al mio cavaliere che, con un sorriso soddisfatto, mi seguì a ruota, adagiandosi delicatamente su di me. Sentivo chiaramente il suo battito cardiaco accelerato, e mi chiesi stupidamente se anche lui riuscisse a sentire il mio cuore impazzito. Socchiusi gli occhi, togliendomi dalla testa ogni genere di pensiero. Ora era lui il mio unico pensiero.
Le mani capricciose continuavano a percorrere ogni centimetro libero del mio corpo. Quando improvvisamente lo sentii superare la stoffa del vestito e arrivare veracemente alle cosce mi bloccai.
Distruggendo completamente il momento idilliaco lo feci mettere nuovamente sedere, e mi alzai a mia volta. Lo guardavo sconvolta, mentre dai suoi occhi traspariva delusione e frustrazione.
“Non credo di riuscire ad arrivare a tanto” mi scusai, portandomi una mano al cuore. Il respiro accelerato rendeva la mia voce affannosa e poco convincente. “Cosa c’è che non va? Credevo fossi meno conforme alle regole di questo posto, Celeste” mi ammonì. Avrei giurato di aver sentito una vena amara in quelle sue parole. “E’ così, infatti. Ma non potete chiedermi una cosa simile, è del mio onore che stiamo parlando” replicai, decisa.
Sporgendosi leggermente di lato, allungò una mano e colse una delle rose bianche del roseto. Me la porse, carezzando i petali vellutati ed invitandomi a fare lo stesso. “E’ davvero un peccato che io l’abbia tolta dalla sua dimora, non credi? Eppure ti vedo mentre la lambisci avidamente” cominciò. Annuii quasi impercettibilmente, mentre con le dita disegnavo le linee di quei candidi petali. Mi lasciò fare per qualche istante, dopodiché si sporse nuovamente per riporla al suo posto. La incastrò facilmente fra gli steli intrecciati, mascherando abilmente l’inganno. “Ora è tornata una rosa come tutte le altre, agli occhi di tutti. Solo io e te conosciamo la verità” continuò a spiegarmi. Arricciai il naso, intuendo il motivo di quella metafora. “Ma così un solo filo di vento la potrà far cadere, mostrando a tutti la verità. O, se ciò non accadesse, comunque sarebbe la prima ad appassire e a marcire” gli illustrai. Sorrise, accogliendo di buon grado la sfida che gli avevo appena lanciato. “Ma se noi continuiamo a venir qui, a curarla più delle altre, probabilmente nessuno se ne potrà accorgere” mi zittì. Mi morsi il labro, incapace di rispondere a modo alla sua bislacca teoria.
“Andiamo, Celeste. Credevo mi amassi” mi accusò avvicinandosi sempre di più, lasciando quasi che i nostri visi si sfiorassero. I suoi occhi magnetici erano più convincenti di qualsiasi accusa o metafora che potesse tirar fuori, e questo probabilmente lo sapeva molto bene. “E’ così, infatti. Io vi amo con tutta me stessa” risposi debolmente, sminuita dai suoi dubbi improvvisi. Non poteva dubitare del mio amore, non doveva.
“Se davvero è così, dovresti fidarti di me, lasciarti andare. Dimostrami che l’amore che provi per me non sono solo parole” mi supplicò, ipnotizzandomi con gli occhi.
Abbassai lo sguardo, sconfitta. Sospirai, certa che quello che stessi per dire mi avrebbe cambiata totalmente. Non ero pronta ma avrei dato qualunque cosa pur di dargli delle dimostrazioni concrete di quanto fossi fedelmente ed incondizionatamente devota a lui e a nessun altro. Qualunque cosa, anche il mio stesso onore.
“A tutto acconsento, perché voglio che voi sappiate quanto è sincero il mio amore” dissi, alzando lo sguardo e fissandolo negli occhi, decisa. Improvvisamente la sua espressione infastidita si trasformò in un’espressione di vittoria.
“Mi ami davvero, quindi. Anima e corpo?” domandò, stuzzicandomi. Se quella fosse una tecnica per mettermi alla prova non potevo saperlo, ma ormai la mia decisione era stata presa. Ero irremovibile, ormai. Qualunque cosa, per il mio futuro marito, per l’uomo che amavo più di chiunque altro e che sarebbe stato al mio fianco per il resto della mia vita. Prese le mie mani con dolcezza, stringendole debolmente, in attesa di una risposta. Annuii nuovamente, con decisione. “Sono vostra, mio cavaliere. Il mio cuore e la mia anima vi appartengono” risposi. Accompagnai lentamente le sue mani fino ai miei fianchi. “E d’ora in poi anche il mio corpo” conclusi.
Soddisfatto al massimo delle mie parole affondò nuovamente il volto sull’incavo del collo e di nuovo ci adagiammo all’unisono sul suo mantello. La sua presa salì dai fianchi fino al petto, dove s’arrestò. Si allontanò, interdetto, tornando nuovamente a sedere. “Odio questo maledetto vestito” brontolò, insoddisfatto. Ridacchiai divertita, poggiai fugacemente le mie labbra sulle sue, mi alzai a mia volta e mi girai, alzando i capelli e mostrandogli la chiusura del corpetto. Lo sentii sorridere alle mie spalle. Con le sue mani calde iniziò a solleticarmi il collo e le spalle, dopodiché si dedicò totalmente ai nastri che tenevano chiuso il bustino. Io stessa fremevo dalla voglia di poter togliermi di dosso quell’affare. Stette qualche istante così a trafficare ed improvvisamente mi sentii libera. Sentii la stoffa scivolarmi giù come appesantita. Mi voltai, sorridendo, e notai che il mio cavaliere teneva in mano il suo pugnale. Lo guardai con fare interrogativo ed alzò le spalle, come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Detesto metterci troppo” si giustificò, e con un’altra abile mossa squarciò anche la gonna, liberandomi completamente. Tornai nuovamente con tutto il corpo di fronte a lui, mentre lo osservavo riadagiare la sua arma nel fodero. Ero nuda come un verme, ed improvvisamente mi vergognai di me stessa. Arrossii, prendendo ciò che restava del mio splendido abito e cercando di coprire le mie vergogne alla meno peggio.
La mia goffaggine lo divertì parecchio. “Sei meravigliosa, non hai nulla di che vergognarti” mi sussurrò ad un orecchio, mentre mi scopriva nuovamente. “E’ una lotta ad armi impari” pensai, senza rendermi conto di aver lasciato che la mia voce flebile pronunciasse i miei pensieri. Quando mi guardò divertito per questa mia confessione mi limitai a portare le mani sulla bocca, sperando che non avesse preso le mie parole come dimostrazione di un animo impudente e senza vergogne.
Senza pronunciare parola iniziò a spogliarsi a sua volta. “Ora siamo pari, vestiti solo del nostro amore” annunciò soddisfatto. Rimasi a fissarlo stupefatta. Mentre i miei occhi calcavano il suo corpo, in cuor mio sapevo che non saremmo mai stati come tutti gli altri. Ogni coppia del mondo dava come unico scopo all’indicibile solo quello di far figli. Nonostante non ne avessi mai sentito parlare esplicitamente di tali argomenti, ero certa che fosse uso e costume del mio paese apprestarsi a procreare completamente vestiti. Durante le mie considerazioni più ardite avevo immaginato l’uomo impadronirsi della propria donna alzandole la gonna, farlo velocemente, senza scomporla troppo. Ma noi eravamo diversi. Eravamo la dimostrazione che il nostro amore fosse diverso. I nostri occhi avevano bisogno di essere appagati tanto quanto il resto dei sensi, e glielo stavamo permettendo.
Cogliendomi di sorpresa, riprese a baciarmi intensamente, facendomi nuovamente distendermi a terra. Continuavo a stringerlo a me, desiderosa di sentire la sua pelle calda e morbida a contatto con la mia.
Dopo qualche istante con entrambe le mani mi bloccò le braccia spalancate, a mo’ di crocifisso. La sua presa salda mi impediva qualsiasi movimento con la parte superiore del corpo. “Io, Juan Tenorio, prendo te, qui, in sposa. Prometto di amarti e di onorarti sempre”. Si abbassò per baciarmi le labbra, per poi ridiscendere lentamente verso il collo e il petto, lasciando scaturire piacevoli brividi nel mio corpo. Quando mi ebbe torturato abbastanza, tornò alla sua posizione. “Tu, Celeste, vuoi prendermi in sposo, qui, ora?” domandò, guardandomi fisso negli occhi. Smaniava, sembrava non riuscisse più a trattenere il desiderio, ma comunque riusciva a comportarsi e a parlare in maniera impeccabile, con quel tono dolcissimo. Sorrisi. “Lo voglio”.
Improvvisamente un dolore lancinante mi annebbiò la vista ed i sensi. Lo sentivo muoversi a ritmo sospinto, procurandomi un male straziante. Ancora incapace di muovermi sotto la sua presa, mugolai, cercando di lasciargli intendere le mie terribili sensazioni. Credendo erroneamente che la mia fosse una dimostrazione di piacere, intensificò le sue azioni.
Restai immobile, in silenzio, lasciandolo libero di farmi tutto ciò che più gli aggradasse. Per mia fortuna il forte dolore stava lentamente scemando. Quando diventò quasi sopportabile, riuscii ad aprire gli occhi. Il suo volto aveva perso ogni traccia di dolcezza: era ora rude, violento, incattivito. Mi spaventai, abituata com’ero ad attribuire quel genere di espressioni solo al Demonio stesso. I suoi occhi di smeraldo non sfioravano nemmeno il mio volto, erano anzi concentrati nel verificare quanti posti ancora non avesse portato le mani che prima mi stuzzicavano ma che ora quasi mi torturavano. L’ombra che il leggero filo di barba lasciava sul suo viso sembrava improvvisamente più scura del solito, rabbuiandolo totalmente. Feci per socchiudere gli occhi: non potevo sopportare una simile visione dell’uomo che più amavo sulla terra. Nel farlo, però, il mio sguardo cadde alle sue spalle, all’arco di rose bianche che si stagliava sopra di noi. Non ci avrei mai creduto, ma il mio sogno di bambina si era realizzato: ero diventata la sposa di un uomo proprio lì. Tutte quelle rose che ci guardavano curiose erano le uniche testimoni di quella nostra unione.
Dopo qualche minuto, finalmente, liberò le braccia. I miei movimenti erano ancora limitati dalla sua presenza su di me, ma, perlomeno, avevo riacquistato la possibilità di toccarlo. Gli cinsi le spalle con le braccia, costringendolo ad abbassarsi per riuscire a baciarlo. Non sembrava importargli dei miei gesti d’affetto, impegnato com’era. Ogni metodo che usassi per attirare la sua attenzione era futile.
Quando finalmente il dolore fu svanito del tutto, tramutandosi in una sensazione più che piacevole, decisi di fare di testa mia. Con le gambe gli cinsi i fianchi, iniziando a seguire ogni suo movimento. Per mia immensa gioia la sua espressione dura cambiò immediatamente: pareva ora quasi divertito da il mio comportamento, appagato e soddisfatto. Ed era orgoglio quella scintilla nei suoi occhi. Sembrava davvero che l’avessi reso felice. “Sapevo che eri una ragazza speciale” mi sussurrò ad un orecchio, mentre ero occupata ad affondare le dita nella pelle delle spalle e a baciarlo ovunque fosse possibile. Quelle parole mi resero terribilmente orgogliosa di me stessa, per la prima volta da quanto avevo preso quella decisione. Non mi vergognavo più della mia decisione, mi preoccupavo più di soddisfare in ogni modo il mio amato, felice.
Ero quasi ubriaca di tutto quel piacere quando, con un mugolio, si staccò dalla mia presa, sdraiandosi al mio fianco. Sorridendo raccolsi le stoffe del mio vestito distrutto e con quelle cercai di farne una coperta per entrambi. Mi fissava, vigile, non muovendo un muscolo. Portai il mio viso a pochi millimetri dal suo, lo baciai dolcemente e rimasi a guardarlo. Rimanemmo così a studiarci per qualche minuto, finché non presi coraggio. “Grazie per avermi liberata” gli sussurrai. Non rispose, ma alzò gli occhi al cielo e sorrise.
Ma anche il momento più bello ha una fine. Inaspettatamente si tirò in piedi in uno scatto. Raccolse i propri abiti e cominciò a rivestirsi. Mi limitai a guardarlo. “Dovete proprio andare?” chiesi, mentre allacciava alla cintura il fodero del pugnale. “Devo, ho molto da sbrigare. Ma domani sarà il nostro grande giorno: ci rivedremo e finalmente potremmo dimostrare a tutto il mondo quant’è grande il nostro amore. Quindi non disperare, mia amata. Poche ore e saremo di nuovo insieme” mi rassicurò. Mi alzai in piedi, per abbracciarlo e salutarlo nel migliore dei modi possibili. Nel farlo, notai una macchia di sangue sul mantello dove eravamo adagiati pochi attimi prima. Mi portai le mani alla bocca, dispiaciuta. “Non devi preoccuparti, questa è la prova che voi siete mia” mi tranquillizzò, raccogliendo il drappo da terra e piegandolo alla meno peggio.
“Allora, a domani” lo salutai. Il tempo passato insieme era inspiegabilmente volato e non riuscivo a convincermi nel volerlo lasciar andare via. “A domani mia cara Celeste” mi salutò, affondando violentemente per un’ultima volta le sue labbra sulle mie.
“A domani” ripetei, guardandolo sparire oltre il muro di cinta.





(*): Doña Celeste dell'anima mia,/ Fonte di luce solare,/ Bella colomba/ Privata ​​della libertà;/ Se degnassi per questo testo/ Passare i vostri begli occhi,/ Non voltateli con rabbia/ senza concluderlo; Finisci.

(**): Celeste, anima della mia anima,/ fuoco perpetuo della mia vita/ se per il mondo desideri/ la libertà con entusiasmo,/ ricordati che al piede stesso/ di queste mura che ti guardano,/ per salvarti ti aspettano/ le braccia del tuo Don Juan.


 



Angolo autrice:
Bene, diciamo che questo capitolo è un po'... boh. E' stato difficilissimo scriverlo, lo ammetto. Non sono mai stata abituata a spingermi oltre ma la storia stessa me l'ha imposto. Don Juan voleva così, e così è stato :)
Spero vi sia piaciuto. Vorrei tanto sapere i vostri pareri a riguardo, mi piacerebbe sapere cosa c'è che non va o cosa andrebbe cambiato perchè mi piacerebbe imparare ad essere un po' più spigliata nella scrittura. Credo di essermi trattenuta parecchio, essendo stata la mia prima volta!
Fatemi sapere! A mercoledì prossimo, con un nuovo capitolo :)
Un bacione a tutti,
J.

   
 
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