Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Hayley Black    04/05/2013    2 recensioni
Dove vanno a finire tutti gli amori che si fermano al tempo condizionale e non arrivano in quello presente?
"Non appena Mary entrava in una stanza, fasciata dal suo vestito di raso e volteggiando al suono della radio, tutti si giravano a guardarla, ma lei continuava a volteggiare nel vento di aprile come se non se ne accorgesse. Non smetteva mai. Non smetteva mai di far innamorare tutti."
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Per un difetto di fabbricazione

 "Dove vanno a finire tutti gli amori che si fermano al tempo condizionale e non arrivano in quello presente?" 


1.    Il treno delle 22.18
Il treno delle 22.18 arrivava sempre in ritardo.
Ormai per Marta era diventata un’abitudine respirare l’aria grave del binario e fissare le rotaie di ferro, che scintillavano alla luce dei led intermittenti, in attesa che le lancette dell’orologio segnassero le 22.22. Il treno delle 22.18 arrivava sempre in ritardo ma arrivava sempre allo stesso orario.
E Marta aspettava che quei quattro minuti di ritardo si consumassero assieme al ronzio delle luci al neon, agli sguardi delle persone che osservavano quella ragazza scarmigliata e pallida in piedi sempre nello stesso punto, con una borsa a tracolla che conteneva fazzoletti profumati e rossetti scarlatti che non avrebbe mai usato. Marta prendeva il treno delle 22.18 per raggiungere il ragazzo che non avrebbe mai avuto.
Quando le lancette dell’orologio segnarono le 22.23 e il treno non arrivò, Marta pensò che avrebbe dovuto ritardare anche lei, una volta soltanto.
 
2.    Quando tornerai dall’estero
“Parto per l’America.”
“Davvero? Per quanto tempo?”
“Due settimane. Ho bisogno di una pausa.”
“Mi mancherai.”
“Mi trasferisco.”
“Lo sapevo da prima che me lo dicessi.”

3.    Domande senza risposta
Sul ciglio del burrone Giorgio guardava le onde infrangersi sugli scogli. La luce morente del sole gli illuminava il viso pallido e stanco, forse troppo stanco per un ragazzo di diciassette anni che si stava appena ritagliando un posto nel mondo.
Quel giorno indossava una camicia azzurra, sbiadita come il cielo che lo guardava impassibile dall’alto; azzurra come i suoi occhi. Il vento la faceva ondeggiare sul suo corpo emaciato dalla malattia e dai continui digiuni, la faceva assomigliare a brandelli di pelle sullo scheletro di un cadavere. E lui lo era, lui era lo scheletro di un cadavere.
Da quando Irene era morta, lasciandolo solo con i suoi dubbi, tutte le domande che aveva posto a se stesso – a lei, a loro – erano rimaste senza risposta. Quel giorno, sul ciglio del burrone, mentre guardava le onde infrangersi sugli scogli, Giorgio si sentiva una domanda senza risposta. E sarebbe rimasto così.
Incompleto.
 
4.    Fratelli
“Mamma e papà si arrabbieranno,” disse Daniela, minuscola nella sua camicia da notte di seta. Appollaiata sul letto di suo fratello era incredibilmente simile a un gufo, con gli occhi grandi e verdi che scintillavano nel buio della stanza. Claudio la guardò, incrociò le gambe e spostò lo sguardo sul quadro dietro di lei. Due fratelli si abbracciavano su una spiaggia accarezzata da onde cristalline che sembravano muoversi – fratelli. Loro.
“Non facciamo niente di male,” rispose, accigliato. Le accarezzò il dorso della mano con il pollice, una carezza leggera, lieve, di quelle fugaci che si scambiavano sotto il tavolo della cucina mentre i genitori erano troppo impegnati a discutere sull’andamento della borsa per pensare ai propri figli.
“Si arrabbieranno molto,” ripeté lei, ritraendo la mano e appiattendosi sul fondo del letto. Claudio stava per dire qualcosa, ma lei lo interruppe con un bacio veloce sulla guancia e uno sfarfallio di seta. “Buonanotte.”
Non seppe mai cosa stesse per dire suo fratello.
 
5.    Il vestito di Mary
Il vestito di Mary era un vecchio abito di raso che ondeggiava al vento delle sere di primavera quando lei ballava al suono della radio. Non era niente di che, azzurro e tutto balze, ma i ragazzi del quartiere dicevano che si intonasse alla perfezione con i suoi riccioli neri e i suoi occhi verdi. Non appena Mary entrava in una stanza, fasciata dal suo vestito di raso e volteggiando al suono della radio, tutti si giravano a guardarla, ma lei continuava a volteggiare nel vento di aprile come se non se ne accorgesse. Non smetteva mai. Non smetteva mai di far innamorare tutti.
Quel vestito spesso finiva abbandonato sul pavimento mentre Mary si abbandonava all’amore di una notte, dimenticato; poi tornava al proprio posto e ondeggiava e ondeggiava con lei, con i suoi riccioli neri, con le sue gambe lunghe che ogni giorno abbracciavano fianchi diversi, con i Platters alla radio che si perdevano nel soffio del vento.
I ragazzi del quartiere perdevano anche lei, nel soffio del vento, dopo che l’avevano vista ballare per la prima e ultima volta.
 
6.    Caffè senza zucchero
La campanella del bar tintinnò. La porta si richiuse dolcemente con un tonfo sommesso.
“Un caffè,” ordinò la donna al banco con tono imperioso; aveva lunghi capelli rossi, un rosso vivo, quasi vi avesse intrecciato dei rubini scintillanti. Anche le sue unghie erano laccate di rosso, così come le sue labbra.
Il barista, dopo aver trafficato con la macchina del caffè, posò con un movimento veloce la tazza sul bancone, davanti a lei. Le bustine di zucchero rimasero nel loro contenitore: sapeva che non ne aveva bisogno.
“Sapevo che mi avresti riconosciuta,” commentò la donna in rosso. “Niente zucchero nel caffè.”
Il barista sorrise. “Le persone non cambiano mai.”
La osservò finire il suo caffè, i capelli rossi accarezzati dal tiepido vento estivo. Non aveva mai capito come facesse a bere caffè senza zucchero, cosa che per lui era una tortura. In realtà non aveva mai capito molte cose, di quella donna in rosso.
“So che avevi solo voglia di parlarmi,” mormorò, mentre un cliente si avvicinava al bancone per chiedere l’ordinazione.
“Già. Dopotutto, le persone non cambiano mai.”
Quando la donna uscì, la campanella del bar tintinnò. La porta si richiuse dolcemente con un tonfo sommesso. E il barista capì come facesse a bere caffè senza zucchero.

7.    Canzoni d’amore
Luca scriveva canzoni d’amore.
Tutte le sere imbracciava la sua chitarra come se fosse un fucile e si addentrava nel mondo di foschia delle parole. Il foglio di carta gli sembrava un’infinita distesa di sabbia bianca, una di quelle che non aveva mai visto.
Non lo sapeva nessuno, ma Luca scriveva per una ragazza. I suoi capelli erano biondi, lunghi, e i suoi occhi erano verdi; scriveva che il suo sorriso riusciva a spegnere la luce del sole per quanto fosse bello. Luca si era innamorato di lei, perdutamente, e allora scriveva senza fermarsi mai. Riempiva la sabbia bianca del foglio di carta con ogni suo singolo pregio, ogni suo singolo difetto, e restava ore ed ore a contemplare la meraviglia dei suoi occhi mentre la chitarra suonava imperterrita al suo fianco.
Non lo sapeva nessuno, ma quella ragazza esisteva solo nella sua testa.
 
8.    Verbi al condizionale
Andrea aveva comprato un mazzo di fiori per Giulia. Erano papaveri, di quelli che le piacevano tanto, ma il vento aveva strappato via alcuni petali che ora volteggiavano nell’aria come foglie secche.
Non aveva più tempo. Giulia sarebbe partita a breve, sarebbe salita su un treno con un biglietto di sola andata, non sarebbe più tornata indietro. Andrea calpestava il marciapiede stringendo tra le mani il mazzo di papaveri; il vento ormai non ne aveva lasciati più molti. I petali si depositavano dietro di lui come lacrime di sangue, scomparivano nelle ombre dei palazzi, e lui non aveva più tempo. Si sarebbe messo a correre. Il fischio del treno tagliò l’aria come la lama di un coltello fa con il burro; tutto cominciò a sciogliersi attorno a lui, a scivolare via, a scomparire trascinato via dal vento, perché sapeva che Giulia non c’era più.
Sarebbe salita sul suo treno e l’avrebbe lasciato indietro, guardandolo dal finestrino sporco di un vagone in cui faceva troppo caldo. Chissà se nella sua nuova vita avrebbe mai avuto un mazzo di papaveri come quello che giaceva abbandonato sul ciglio del marciapiede.
Andrea era scomparso.
Presto avrebbe cominciato a piovere.


Il deserto del Nevada
Per la prima volta in vita mia posso dire di aver scritto qualcosa che mi soddisfa appieno. Qualcosa di sentito, qualcosa in cui ho vomitato tutta me stessa, ogni singola drabble (o flashfic, chiamatela come volete) ha un pezzo della mia pelle cucito addosso. Dalla prima all'ottava, in ognuna di esse c'è un po' di me. Dato che mi piacciono anche tutte, posso dire di sentirmi una scrittrice realizzata, adesso. 
La raccolta nasce dall'interrogativo posto all'inizio della storia: dove vanno a finire tutti gli amori che si fermano al tempo condizionale e non arrivano a quello presente? Quanti amori sono rimasti al 'avrei potuto, avrei fatto, avrei voluto' senza diventare 'ho potuto, ho fatto, ho voluto'? A mio parere troppi. Ci sono troppi amori che si perdono nel vento, nel treno di una stazione ferroviaria, nella stanza di due fratelli, nella vita di una ragazza che volteggia nel suo vestito azzurro e che fa innamorare tutti. 
"Il vestito di Mary" nasce da Thunder Road di Bruce Springsteen. Mi piaceva l'immagine di Mary che balla al suono della radio facendo ondeggiare il suo vestito. 'Quando tornerai dall'estero' è ispirata dall'omonima canzone di Vasco Brondi, che possiede anche il titolo della mia raccolta. Tanto amore per questi due grandi uomini che continuano a ispirarmi.
Ho voluto scrivere di questi amori che rimangono sospesi su un abisso. Ho voluto parlare di quegli amori che restano incompleti, come una domanda senza risposta.
Ho voluto scrivere un po' di me. E di noi.
Spero vi sia piaciuta.
Hayley
   
 
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Hayley Black