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Autore: Notperfect    05/05/2013    3 recensioni
Dakota, abbandonata alla nascita, è una diciannovenne cresciuta per le strade del Bronx. L'ambiente in cui ha vissuto l'ha resa una ragazza violenta e forte, decisa e determinata a voler entrare a far parte di un gruppo di criminali, capitanato da un certo Justin.
***
-Woah, sembri una che sa il fatto suo-. Esordì sorpreso. –Non male per una ragazzina viziata-.
-Non sono una ragazzina viziata-.
-Il tuo aspetto dimostra il contrario-. Indicò i miei piedi.
Lo sapevo, indossare tacchi ad un incontro del genere non era stata una bella idea, ma erano le uniche scarpe che mi piacevano.
-Ho sentito parlare molto di te, ma non sapevo che dessi giudizi così affrettati. I tacchi che indosso potrei ficcarteli giù per la gola, facendoti notare la differenza di lunghezza con il tuo amichetto-.
Chiuse la bocca in una linea sottile e dal suo sguardo sembrava essersi infastidito.
***
-A cosa pensi?-. Mi chiese incuriosito ma nel suo tono di voce c'era divertimento e menefreghismo.
-Penso che se una persona ti vuole, ti prende e ti fa sua. Senza limiti, senza scuse, senza bugie-.
Serrò la mascella.
Per la prima volta, Justin Bieber, non sapeva cosa dire.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 4.
 

 
Justin’s point of view
Quando Dakota si era avvicinata a Rodriguez dicendogli che avrebbe fatto uno spogliarello per lui, il mio stomaco fece una capriola.
Non sapevo perché, ma volevo che ciò non accadesse eppure sapevo per certo che sarebbe accaduto.
Passarono più di due ore in cui Dakota e Rodriguez furono chiusi in una stessa stanza e il nervosismo era tale che, quando uscirono, tutto ciò che fui capace di fare fu sospirare pesantemente.
Dakota si avvicinò al resto del gruppo sistemandosi l’orlo della maglietta che indossava mentre sfoggiava un mezzo sorriso.
Aveva un volto così angelico che mi chiesi come fosse possibile che le piacesse tutto questo.
-Wooh, ci sa fare-. Esclamò entusiasta Rodriguez.
Che idiota.
-Mi fa piacere che ti sia piaciuto-. Sorrise Lil. -Adesso dacci ciò che ci spetta-.
L’uomo dalla capigliatura bianca e brizzolata si sistemò il colletto della camicia prima di dirigersi verso una cassaforte accanto al tavolo. 
Con un codice a noi sconosciuto l’aprì e tirò fuori due scatole e un borsone vuoto dove avrebbe messo i soldi che noi gli avremmo dato per l’acquisto della roba.
-Ecco a voi-.
Ci porse le due scatole e quando l’aprimmo i nostri occhi brillarono alla vista di quella roba verde che sarebbe stata la fonte del nostro denaro.
Vidi che anche Dakota si avvicinò e mostrò un misero ghigno ma c’era qualcosa nel suo sguardo che la turbava. 
Non mi piaceva.
-Datemi i soldi-. Ci impose poi Rodriguez.
-Un momento-. Lo avvertii, girandomi verso Chaz e facendogli cenno col capo di obbedire alle sue parole.
Quest’ultimo prese un borsone e lo porse a Rodriguez.
-C’è tutto?-. domandò controllando l’interno della borsa.
-Tutto. Fino all’ultimo-.
-Bene. Sarà meglio così per voi-.
-E’ una minaccia?-.
-No, ma…dovreste spaventarvi-.
Risi. -Dì meno stronzate, Rodriguez. Ci vediamo in giro-.
Mi voltai verso la porta e uscii dall’edificio, sicuro che anche gli altri mi stessero seguendo.
Mi sentivo oppresso da qualcosa, come se per la prima volta in tutta la mia vita non sapevo come comportarmi e il motivo, inaspettatamente, era Dakota.
Cosa le avrei detto dopo ciò che aveva fatto?
Si era comportata come una vera troia anche se sapevo perfettamente che l’aveva fatto con uno scopo che avrebbe fatto felice sia lei che me e il resto dei ragazzi.
-Cosa gli hai fatto?-. domandò divertito Lil, avvicinandosi a Dakota.
La ragazza si mostrò impassibile. -Mh, niente di che-.
-Ti sei solamente spogliata?-.
-Si-.
-Ti ha toccata?-.
-Smettetela con queste domande!-. Esclamai infastidito e autoritario prima che Dakota potesse rispondere a quella domanda.
Non volevo più sentire parlare di quell’argomento e la cosa più triste era che ce ne sarebbero state altre di occasioni del genere.
-A me non dispiace rispondere-. Intervenne la ragazza scrollando le spalle.
La guardai torvo. -Fa’ come ti pare-.
Per tutta risposta, alzò un sopracciglio rivoltandosi verso Lil e Chaz che aspettavano le sue risposte.
-Si, mi ha toccata. Ma non è successo nient’altro-.
-Avrei voluto essere al suo posto-. Commentò Ryan, scherzando.
Spontaneamente Lil gli tirò uno schiaffo proprio dietro il collo e questo fece ridere tutti, compreso me.
Salimmo sui SUV e ci avviammo a casa.
Per tutto il tragitto Dakota non disse nulla. Era strano.
In questo poco tempo che avevamo passato insieme si era dimostrata sempre molto propensa a parlare.
C’era qualcosa che la infastidiva e volevo scoprire cosa fosse.
Quando parcheggiai l’auto nel cortile della nostra casa, aspettai che anche Ryan parcheggiasse l’altra prima di andare in soggiorno.
Esausti, tutti si sedettero sul divano accendendo la tv. Lil prese un paio di birre dal frigo e le appoggiò sul tavolino.
Che monotonia, pensai.
Ero stanco di fare sempre le stesse cose, di stare sempre chiuso in casa ad aspettare che qualcosa andasse storto affinchè noi potessimo approfittarne per arricchirci.
Passarono circa cinque minuti e notai che Dakota non era lì con noi e subito pensai che forse era salita al piano di sopra.
Non ci pensai due volte prima di salire le scale e raggiungere l’ultima stanza del corridoio, quella che avevo affidato a Dakota.
Mi avvicinai al legno della porta e appoggiai il mio orecchio su di essa. Sentii una tenera vocina canticchiare qualcosa e istintivamente sorrisi.
Bussai prima di entrare.
-Ehi, io…-. Mi bloccai quando realizzai che era seminuda coperta solo dall’intimo.
Mi guardò confusa e potei scorgere un filo di imbarazzo nei suoi occhi ma lei era brava a nascondere i suoi sentimenti.
-Da me si usa che quando si bussa, si aspetta che si abbia il permesso prima di entrare-. Commentò acida.
Tossii lievemente guardano altrove.
Dovevo ammettere che per il suo corpo avrei fatto follie. Era abbastanza in forma…direi molto in forma.
Mi ero sempre mostrato molto schietto e diretto con le donne, soprattutto quando erano mezze nude, eppure c’era qualcosa che mi innervosiva e mi rendeva abbastanza impacciato.
-Non siamo nel Bronx, dovresti saperlo-.
-Certo, e so anche che le buone maniere non fanno per te-.
Ghignai. -Ti sembro per caso uno che possa avere le buone maniere?-.
-No, ma ci speravo-.
-Non sperare mai con me, piccola-.
-Non sono il tuo cane-.
-Oh, ci speravo-. La stuzzicai.
Alzò un sopracciglio ma non si accinse a dire più nulla.
Peccato.
Era divertente importunarla e rispondere alle sue offese.
-Che sei venuto a fare?-. Domandò, dirigendosi verso il bagno.
Capii che accese l’acqua della doccia per poi ritornare in camera da letto.
-Volevo avvisarti che devi prepararti per l’una-.
-Anche a ora di pranzo ci sono questi incontri del cazzo? Non pensavo fosse così stressante essere una di voi-.
-No, piccola, andiamo a pranzo fuori-.
-Con chi?-.
-Da soli-.
Trattenne il respiro.
Questo fu abbastanza divertente.
 
Dakota’s point of view
Sapevo perfettamente che dietro quell’invito a pranzo, se così poteva essere considerato, c’era qualcosa che non andava.
Un doppio fine, ecco.
Forse voleva usarmi come esca per un affare a mia insaputa ma non c’era bisogno di tenermi all’oscuro di tutto, sapevano che avrei accettato  di collaborare senza esitazioni.
Uscii dalla doccia e avvolsi il mio corpo in un asciugamano bianco, andando in camera da letto.
Aprii l’armadio e iniziai a rovistare tra i vari vestiti che avevo se ci fosse anche quello adatto per quell’occasione.
Ero rimasta sbigottita quando mi aveva detto che saremmo andati da soli e forse anche lui se n’era accorto, ma non mi interessava più di tanto. Sinceramente volevo solo mangiare e respirare un po’ d’aria pulita.
Ero in quel covo con quei criminali da soli due giorni e già volevo scappare via, ma sapevo che oramai c’ero dentro fino al collo e andare via da lì avrebbe solamente complicato la situazione.
In due giorni, neanche, avevo conosciuto due persone nemiche alla banda che probabilmente si sarebbero ricordate di me fino alla loro morte.
Optai per un jeans skinny e un top abbastanza scollato. Non usavo il trucco, almeno non sempre, perché tutte le persone con cui avevo avuto a che fare mi avevano sempre detto che non ne avevo bisogno.
Scesi lentamente le scale controllando se nella mia borsa avevo posto tutto ciò che forse mi sarebbe servito, compreso il kit che Ryan mi aveva dato il giorno precedente.
-Dove stai andando?-. domandò Chaz, guardandomi da capo a piede.
Se fossi stata una snob viziata e montata, avrei detto che mi stava letteralmente mangiando con gli occhi.
-Dov’è Justin?-. 
Non ero mai stata educata o disponibile o gentile e sicuramente non avrei iniziato quel giorno.
-E’ in garage. Dove stai andando?-.
-Non voglio dirtelo, cazzo!-.
-Non sono tuo fratello, non puoi parlarmi in questo modo-. Contraddette Chaz abbastanza infuriato.
-E’ ovvio che non sei mio fratello. Mio fratello non avrebbe una tale faccia da cane-.
Forse avevo esagerato, ma non mi importava.
Ignorai i suoi sguardi intimidatori e minacciosi e mi diressi alla porta di casa. Uscii e andai verso il garage dove trovai Justin che, appoggiato al cofano dell’auto, fumava una sigaretta.
Solito charme, solito fascino.
Era dannatamente bello eppure così proibito a me.
-Sali-. Sputò tra i denti, gettando la sigaretta.
Aprii la portiera e feci come mi aveva detto, aspettando che lui mi imitasse.
Quando si sedette sul sedile del guidatore, accese il motore dell’auto e iniziò a guidare verso il centro della città.
Era una situazione abbastanza strana e imbarazzante ma la persona dura che ero solita essere, mi suggerì di non complicare la situazione e di iniziare a parlare.
-Perché stiamo andando a pranzo fuori?-.
Il suo sguardo s’indurì così come i suoi lineamenti. Aprì il finestrino e non mi degnò di una parola.
-Ti ho fatto una domanda!-. Protestai. -Dannazione, rispondimi-.
-Non sono tenuto a farlo. Adesso sta’ zitta-.
-Nessuno mi dice di tacere-.
-Eppure l’ho appena fatto. Cosa mi farai?-. Chiese scherzoso.
-Il massimo che posso farti è strapparti le palle e fartele ingoiare. Ma non ci sarebbe molo da tagliare lì sotto-.
Okay, sapevo di essere alquanto volgare alcune volte, ma l’ambiente in cui ero cresciuta mi aveva insegnato cose abbastanza sgradevoli e inappropriate.
-Falla finita con queste battutine del cazzo. Mi irriti-.
-Mi fa solamente piacere sentirti dire queste parole-.
-Porca puttana, sii seria per una volta-.
-Sono sempre seria, capo-. Scherzai, enfatizzando il suo appellativo.
-Smettila di fare la troia e inizia a ragionare. Se parli ancora, ti sbatto fuori dal gruppo-.
-Ieri non pensavi la stessa cosa-.
-Ieri non ero lucido-.
-Che idiota-. Sussurrai tra me e me.
-Cosa cazzo hai detto?-.
Sorrisi sghemba. -Pensi che abbia paura di ripeterlo?-.
-Ti conviene non farlo se non vuoi trovarti con il sangue nel cervello-.
-Non mi fai paura-.
-Grosso errore!-. Corresse perspicace. -Dovresti averne. Non tutti hanno avuto una belle esperienza con me-.
-Oh, credimi, anche per me è la stessa cosa-.
-E non hai ancora assaggiato il meglio!-.
-Spero succeda presto allora-.
Sospirò, incapace di rispondere.
Era bello e divertente vederlo combattere dentro di se con la speranza di trovare qualcosa da dirmi in risposta e in sua difesa.
Puntualmente non ci riusciva e non ci sarebbe mai riuscito.
-Sai, mi sto maledicendo mentalmente per averti invitata a pranzo-. Dice improvvisamente, passandosi una mano tra i capelli.
-L’ho già sentito dire-.
-Sei così stronza-.
-Ho già sentito dire anche questo-.
Passarono alcuni minuti prima che Justin parcheggiasse l’auto in un parcheggio di un ristorante.
Era un ristorante abbastanza affollato e sembrava anche che la qualità fosse accettabile.
Scesi dall’auto e, ispirando, mi guardai attorno.
-Accontentati-. Sputò tra i denti avviandosi verso l’entrata del locale.
-Almeno aspettami-. 
Lo raggiunsi correndo e, spontaneamente sfiorai leggermente la sua mano con la mia e il suo braccio con il mio.
Sentii una scarica elettrica salire la mia schiena e il mio stomaco, che accrescette quando si voltò verso di me e, meravigliato, scrutò i miei occhi.
Aprii la bocca per dire qualcosa per poi richiuderla non sapendo cosa dirgli.
Non sapevo neanche io perché avessi reagito in quel modo e sinceramente ero abbastanza stupita del mio stesso comportamento.
Anche lui sembrò essere abbastanza imbarazzato e confuso ma non lo mostrò molto.
-Muoviti-. Disse, distogliendo lo sguardo dai miei occhi.
Entrammo nel ristorante e ci sedemmo ad un tavolo accanto alla finestra.
Non ero mai stata in un ristorante a Stratford e non avrei mai immaginato che ci fossero in realtà. Quella cittadina contava solamente trentaduemila abitanti; New York era popolata da circa il quadruplo.
Un ragazzo, il cameriere, si avvicinò al nostro tavolo e ci chiese cosa desiderassimo.
-Un cheeseburger e delle patatine fritte-. Rispose subito Justin.
-Per me ali di pollo fritte-. Aggiunsi.
Il ragazzo acconsentì col capo e si diresse verso la cucina del ristorante.
In realtà non era un vero e proprio ristorante, era una tavola calda.
Schiarii la voce e cambiai posizione sulla sedia.
Non mi ero mai trovata in una situazione così disagiata e imbarazzante e la cosa strana era che io non mi intimidivo mai.
-Devi ancora rispondere alla mia domanda-. Tirai un calcio al suo piede da sotto al tavolo.
-Che cazzo fai?-. Esclamò infastidito.
-Avevo voglia di tirarti un calcio-.
-Io ho voglia di prenderti a pugni in faccia, ma non lo faccio. Dovresti controllarti anche tu-.
-Certo, come vuoi. Allora? Perché siamo qui?-.
-Perché è ora di pranzo e questo è un posto in cui si mangia-.
Alzai un sopracciglio.
Stronzo.
-Non intendo questo…-.
-Siamo qui e basta. Non c’è nient’altro da aggiungere e se non chiudi quella bocca ti ficco un pugno in bocca-.  Mi interruppe brusco, guardandomi fermamente negli occhi.
Roteai gli occhi al cielo, alzando le mani in segno di resa.
-Almeno dì qualcosa. Non mi va di stare seduta qui in silenzio con un cazzone che guarda il culo alle cameriere-.
Tossì lievemente. -Cosa cazzo blateri? -.
-La verità-.
-Sono un uomo, è naturale che guardo determinate cose-.
-Non mentre sei a pranzo con una ragazza-.
-Oh, capisco. Sei gelosa. Avresti potuto dirlo prima-.
-Sta’ zitto. Io non sono gelosa di un insulso…-.
-Non continuare, sai cosa sarei capace di fare-.
Sbaglio, o era già la seconda volta che mi interrompeva?
-Quante volte ancora dovrò ripeterti che non mi fai paura? Non ho paura di niente e nessuno, figurati di te-.
-Fai come vuoi-. Scrollò le spalle, guardando altrove.
Quel pomeriggio sarebbe stato più tragico del previsto.
 
Justin’s point of view
Passarono alcuni istanti di silenzio fin quando, finalmente, mi decisi a parlare.
-Vuoi parlare? Bene…ti faccio una domanda-. Iniziai spazientito, guardandola.
Sembrava sollevata dalla mia affermazione e quasi mi scappò un sorriso.
-Spara-. Ci pensò su. -In senso metaforico, intendo-.
Risi. -Non sono così stupido-.
-Oh, pensavo il contrario-.
Sospirai e strinsi i miei pugni sperando che riuscissi a trattenere la rabbia e il fastidio all’interno. Avrei fatto il gentiluomo per una volta.
Una, appunto.
La prima e l’ultima.
-Hai fratelli o sorelle?-. Chiesi e mi resi conto che la mia fantasia era abbastanza fioca.
Il suo sguardo fu attraversato da una striscia di tristezza e l’espressione buia che acquistò mi fece capire che forse avrei potuto risparmiare quella domanda.
Ma volevo andare fino in fondo e avrei capito anche perché quella mattina si era mostrata abbastanza turbata a casa di Rodriguez.
-No-. Rispose fredda. -Tu?-.
-Si, un fratello e una sorella. Ma non li vedo da un bel po’-.
Annuì col capo ed era la seconda volta in quella giornata che la vedevo sconcertata.
-Quindi sei figlia unica…-.
Annuì di nuovo, mostrandosi abbastanza adirata e agitata.
Non le piaceva parlare di questo ma volevo sapere.
-Come l’hanno presa i tuoi genitori quando hai deciso di venire da me?-.
-Non ho genitori, non ho avuto ostacoli a venire qui-.
Sussultai alla freddezza e all’indifferenza con cui articolò quella risposta.
Dunque, era quello il motivo per cui era così scontrosa, burbera e irascibile…così strana da qualsiasi ragazza che avessi mai incontrato con la faccia d’angelo che aveva lei.
Dakota aveva dei sentimenti e me l’aveva appena testimoniato.
-Loro…mi hanno abbandonato alla nascita-. Aggiunse improvvisamente. -L’orfanotrofio in cui sono cresciuta mi ha comunicato che non avevano neanche voluto vedermi dopo che mia madre ebbe partorito e adesso non mi cercano-. Sorrise mesta scrollando le spalle. -Io, che sono così meschina, curerei mio figlio come fosse la fonte dell’immortalità e solo così mi rendo conto che esistono persone peggiori di me-.
Mi stupì la spontaneità con cui aveva pronunciato quelle parole.
Doveva dolerle tanto quella faccenda perché giurai di averla vista abbattuta e dispiaciuta.
-Forse avevano problemi-. Dissi, tentando di aggiustare la situazione.
Scrollò nuovamente le spalle, guardando altrove. -Non mi importa più, me ne sono fatta una ragione-.
Capii che aveva raggiunto il suo limite e voleva che quella conversazione terminasse lì.
Il cameriere si mostrò molto utile quando, portando le nostre ordinazioni, mise fine lui stesso a quella situazione critica e disagiata.
Mangiammo in silenzio e non ci degnammo di uno sguardo per tutto il tempo. 
Mi alzai facendole segno di seguirmi e mi diressi alla cassa per pagare. 
Uscimmo dal locale e accesi una sigaretta. 
-Tu non fumi?-. Le chiesi, voltandomi verso di lei. 
-No-. 
-Mi sorprendi-. 
-Me me sbatto-. 
-Ti sbatto io se non smetti di essere così indisponente-. 
-Non eri quello che non mi avrebbe mai portata a letto?-. 
Sussultai alle sue parole. Mi aveva incastrato.
-Come non detto-. Scrollò le spalle, dando un'occhiata in giro. 
Solo perché aveva un passato abbastanza complicato non voleva dire che dovevo essere gentile con lei. Io non ero gentile e sicuramente lei non avrebbe cambiato ciò. 
Ma puntualmente riusciva ad azzittirmi e se da una parte lo trovavo irritante, dall'altro era davvero eccitante. 
-Non mi va di tornare a casa-. Confessò portandosi le mani nelle tasche.
Alzai un sopracciglio. -E dove vuoi andare?-. 
-Non lo so-. 
-Allora non posso aiutarti-. 
-Tu non mi aiuteresti comunque-. 
Ghignai. -Hai ragione. Andiamo-. 
Mi avviai verso la macchina e aspettai che anche Dakota salisse prima di metterla in moto. 
Sinceramente non sapevo perché l'avevo portata a pranzo fuori e non volevo neanche saperlo. Non volevo andare in fondo a tutto ciò. 
Appoggiò il gomito sull'orlo del finestrino e la fronte sul vetro. 
Fui sorpreso quando iniziai a voler sapere cosa passasse per la sua testa in quel momento. 
 
 
Dakota's point of view
Gli avevo raccontato del mio passato ma questo non cambiava il nostro rapporto. 
Lo odiavo sempre e lui odiava me. 
Era tutto reciproco e questo mi andava bene. 
Guardavo fuori dal finestrino quando, tossendo, si girò verso di me. 
-Se volessi saperlo, stiamo andando al centro di Stratford-. Disse calmo e tranquillo. 
Sussultai alle sue parole ma non manifestai la mia meraviglia in quel momento. Cercavo di apparire abbastanza naturale così mi limitai ad annuire e a girarmi verso il finestrino. 
Sinceramente non sapevo perché avesse avuto quel cambio d'umore e perché stessimo andando al centro di Steatford e la cosa più strana era che a me non importava. 
Dopo circa dieci minuti Justin parcheggiò l'auto di fronte ad una caffetteria. Scese dall'auto senza dire una parola ed io feci lo stesso. 
Odiavo il suo comportamento, era fottutamente irritante. 
-Seguimi-. Disse a denti stretti. 
-Dove stiamo andando?-. Domandai seguendolo. 
-In un posto-. 
-Oh, davvero?-. 
-Sei ancora convinta che apprezzi il tuo sarcasmo?-. 
-Non l'ho mai detto-. 
-Non farmi arrabbiare. Sto cercando di essere carino-. 
Risi. -Se questo è il tuo modo di essere gentile, allora non oso immaginare quando sei arrabbiato con una ragazza-. 
-Fidati, lo scoprirai presto-. 
-Non vedo l'ora-. 
-Non essere così entusiasta. Non ti piacerà-.
-Vogliamo scommettere?-. 
Si girò verso di me continuando a camminare e mostrò uno sguardo torvo e sexy al tempo stesso con un ghigno che ornava il tutto. 
-Dici sul serio?-. Chiese sorpreso e divertito. 
-Sul serio, Bieber. Scommetto ciò che vuoi che quando ti arrabbi, ti guarderò ridendo-. 
-Woah, io scommetto che quando mi arrabbierò con te sul serio, mi pregherai di non commettere azioni sbagliate...sai a cosa mi riferisco-. 
-Non mi fai paura-. 
Scrollò le spalle, allungando una mano verso la mia affinché la stringessi in segno di accordo. 
La guardai per qualche istante, dopodiché la strinsi. 
Camminammo per un po' fin quando arrivammo davanti ad un edificio. Sembrava essere una palestra. 
Entrammo e notai immediatamente l'enorme pista da hockey ricoperta di ghiaccio spesso e bianco. Era deserto lì dentro e c'era solo un uomo tozzo dai capelli bianchi dietro ad un bancone. 
Justin si avvicinò e i due scambiarono alcune parole fin quando Justin si girò verso di me e mi fece cenno di seguirlo. 
-Io non metto piede lì sopra-. Affermai gesticolando. 
Rise. -Non saranno i tuoi piedi a mettere piede sul ghiaccio, piccola. Saranno i tuoi pattini. Non dirmi che Dakota dal Bronx ha paura di un po' di ghiaccio? Non eri quella temeraria e senza timore?-. 
-Non.chiamarmi.piccola-. Sibilai. -E non metterò piedi e pattini lì sopra-. 
-Certo che lo farai, piccola. Adesso metti questi-. Mi lanciò un paio di pattini. 
Lo vidi mentre si sedette su di una panchina e infilò i suoi. Si alzò e si diresse verso la pista di ghiaccio. 
Lo seguii con gli occhi e quando si girò facendomi cenno di raggiungerlo, non potei fare altro che notare quanto i suoi occhi e la sua bocca fossero...perfetti. 
Cavolo se non lo erano!
Distolsi lo sguardo e, sbuffando, misi i pattini e lo raggiunsi. 
-Non so camminare con questi...cosi-. Mi lamentai mantenendomi al bordo della ringhiera che circondava il ghiaccio. 
-Provaci. Lasciati andare-. 
-Non è così facile-. 
-Tu non ci provi neanche!-. 
Sospirai e, aprendo le braccia, feci alcuni passi verso di lui. 
Perché stavo facendo tutto ciò? 
Sembravo un'idiota.
Ero una 'dura', 'tosta'...non potevo fare quella cosa. 
Avrei ucciso Justin un giorno.
-Non è così difficile-. Constatai. 
-Te l'avevo detto. Afferra questa-. 
Mi lanciò un'asta da hockey che presi al volo senza complicazioni. 
-Non pretenderai che io giochi a hockey?-. Chiesi sgomenta. 
Rise. -Certo che lo farai-. 
-Io non so giocare a hockey-. 
-Imparerai. Cammina verso di me-. 
Sbuffai e feci ciò che mi aveva detto. 
Era la prima volta che mi sottomettevo agli ordini di qualcuno ed era tremendamente strano. 
Passammo circa 45 minuti a giocare ad hockey. 
In realtà non ne ero capace ma Justin era abbastanza bravo. 
Anzi, dovevo ammettere che era molto bravo. 
-Prendi questa!-. Urlò lanciandomi la sfera nera sulla piattaforma con la sua asta. 
Con la mia riuscii a prenderla ma improvvisamente vidi che Justin mi stava correndo contro per recuperarla così mi allarmai sul posto e quando Justin mi raggiunse, persi l'equilibrio. 
Cadendo a terra, afferrai l'orlo della giacca di belle di Justin e quest'ultimi si ritrovò disteso accanto a me sulla pista ghiacciata. 
Risi a crepapelle nonostante sentivo un po' di dolore al braccio e al polso mentre Justin mugugnò qualcosa di incomprensibile. 
-Sei un idiota-. Sbottò infastidito. 
-Be', scusa se mi hai spinto-. 
-Non ti ho spinto!-. 
-Si che l'hai fatto!-. 
-Non pensavo fossi così cretina-. 
-Non pensavo fossi così permaloso e infantile-. 
-Non lo sono-. 
-Tu dici?-.
-Sta' zitta!-. Urlò infastidito. 
Alzai un sopracciglio. -Non dirmi cosa devo fare-.
-Oppure?-. 
Non dissi nulla, mi alzai e con quel po' di equilibrio che avevo riuscii ad arrivare nuovamente alla panchina. 
Mi sedetti e sfilai i pattini, rimettendomi poi le scarpe. 
 
Justin's point of view
-Dove stai andando?-. Domandai confuso quando si alzò in piedi dopo aver indossato le sue scarpe.
Quella ragazza mi avrebbe fatto impazzire. 
Non mi rispose e continuò a camminare. 
-Adesso non mi parli neppure?-. 
Oltrepassò la ringhiera ed era propensa ad uscire dall'edificio. 
-Chi è infantile adesso?-. 
Aprì la porta e uscì senza dire una parola. 
Che razza di comportamento era il suo? Era bipolare, sicuramente. 
Odiavo ogni suo gesto, ogni sua mossa eppure c'era qualcosa in lei che mi attraeva particolarmente. 
Corsi verso la panchina, sfilai i pattini e indossai le scarpe. 
Pagai Tom, l'uomo al bancone, e uscii da lì. 
Mi guardai attorno e smisi di respirare affannosamente quando i miei occhi caddero sulla figura slanciata di Dakota che, appoggiata ad un muretto, si guardava le unghie. 
Quella ragazza era pazza, sul serio. 
Aveva un piede alzato e appoggiato al muro e i gomiti sulla parte sporgente del muretto. Contorceva le sue mani e aveva lo sguardo fisso sulle unghie. 
Mi avvicinai lentamente con nonchalance mentre imboccavo una sigaretta.
Alzò lo sguardo quando sentì i miei passi farsi più fitti. 
Scontrai i suoi occhi e sentii una sensazione strana allo stomaco. 
Che cazzo mi stava succedendo?
La guardai per un po' fin quando decisi di voltarmi altrove e distogliere lo sguardo. 
-Che cazzo ti dice il cervello?-. Domandai freddo e indifferente. 
-Potrei farti la stessa domanda-.
-Non rispondere con queste frasi ad effetto. Sei fastidiosa-. 
-Me l'hai già detto-. 
-Eppure non cambi-. 
-Non cambio per nessuno, figurati per uno come te-.
Strinsi i pugni e mi avvicinai al suo viso.
-Senti, io ti ho dato un lavoro e se vuoi che continui ad averlo,
smettila di essere così acida e scontrosa con me. Dovresti baciarmi il culo solo per ciò che sto facendo per te-. 
-Woah-. Esclamò allibita. -Che cosa staresti facendo per me? Fino a prova contraria io lavoro per te-. 
-Certo, ma se non lavorassi per me, dove saresti ora? Nel Bronx con qualche gang di basso livello? O faresti la fine di tua mamma che se ne andava in giro facendo la puttana?-. 
Capii di aver detto quelle parole, solamente dopo averle finite di pronunciare. Mi maledissi mentalmente e sperai che qualcuno si ponesse davanti a me e mi desse l'opportunità di ritornare indietro e ripetere questa scena. 
Ma ciò accade solo nei film. 
Nonostante usassi molto quel tipo di linguaggio, con lei sembrava sbagliato e, nonostante mi piacesse offendere le persone, con lei sapevo che non avrei dovuto farlo. 
Stranamente mi sentivo in colpa ma non lo diedi a vedere. 
-Cosa cazzo hai detto?-. Urlò imbestialita spingendo sul mio petto. -Come cazzo ti permetti di dirmi una cosa del genere? Sei uno stronzo. Che cosa sei? Una bestia? Un mostro? Pensavo avessi carattere solo nei tuoi stupidi affari e non pensavo riuscissi a dire cose del genere-. 
Mi sorpassò strattonandomi una spalla e riuscii a sentire la sua rabbia anche se non mi era molto vicina. 
Avevo esagerato. 
-Dakota!-. Urlai autoritario. 
Si girò verso di me e prima che potessi dire qualcosa, attaccò a parlare. 
-Che cazzo vuoi? Vuoi offendermi ancora un po' e prenderti gioco di me e delle mie emozioni? Mi dispiace dirtelo ma non sono come te. So quando essere meschina e quando non esserlo. So cosa dire al momento giusto e so controllare la mia rabbia. E dovresti reputanti importante perché so anche controllare il mio istinto omicida-. 
Trattenni un sorriso. -Puoi per favore ascoltami?-. Esclamai strattonando le sue braccia. 
-Non toccarmi-. Si staccò e sentii un senso di delusione invadermi. 
Era sbagliato?
-Okay, come vuoi. Ma ascoltami-. 
-Ti ascolto, sono a tutt'orecchi!-. 
-Non volevo dire quelle parole-. 
-Un po' tardi per rimpiangere ciò che hai detto, non pensi?-. 
-No se tu stai zitta-. 
Roteò gli occhi al cielo e sembrava essersi infuriata ancora di più. -Non dirmi cosa fare. Quante volte ancora devo dirtelo?-. 
-Sei incredibile, sul serio. Non stai un attimo in silenzio. Ci rinuncio-.
-Che codardo-. Sputò tra i denti facendo un mezzo sorriso. 
-Cosa? Io non sono un codardo-. 
-Allora perché non mi chiedi scusa e la facciamo finita?-. 
Scrutai attentamente i suoi occhi e rimasi in silenzio. 
-Oh, dimenticavo-. Alzò le mani al cielo con ironia nel tono di voce. -Justin Bieber non chiede scusa-. 
Doveva smetterla o, giuro, l'avrei presa a schiaffi fin quando non avrebbe perso l'uso della mascella. 
-D'accordo-. Dissi controvoglia. -Mi dispiace. Scusa-. 
-Woah. Questo è un evento da ricordare a vita. Non pensavo riuscissi a dire quelle due paroline. Ti avevo sottovalutato-. 
-Mai sottovalutarmi-.
-Tu dici?-.
-Esattamente-. 
-Che imbecille. Sei così convinto della tua superiorità che chiedere scusa per te è un'impresa ardua-.
-Mi stai facendo arrabbiare-. Constatai stringendo i pugni e serrando la mascella. 
-Ed io sto ridendo. Ho vinto la scommessa-. Sforzò un sorriso alzando un sopracciglio. 
Quella ragazza era inimitabile. Non pensavo ne avessi incontrare altre simili a lei...neanche lontanamente simili a lei. 
-Dici sul serio?-. Domandai scioccato. -Davvero pensi che tu abbia vinto la scommessa?-. 
-Vuoi negare l'evidenza?-. 
-Quale evidenza? Tu non hai vinto la scommessa. Non mi sono neanche lontanamente arrabbiato-. 
-Ma se l'hai detto tu!-. 
-Certo, era un modo di dire-. 
-Be', allora sta attento a ciò che dici. A breve ti comunicherò il tuo pegno-. 
-Woah!-. Esclamai. -Non hai vinto la scommessa. Non mi spetta nessun pegno-. 
-Non fare il bambino che non accetta di aver perso-. 
-Non si tratta di questo. Io non mi sono arrabbiato! Non sai come posso diventare quando mi arrabbio sul serio-.
-Falla finita e accetta la realtà-. 
-Sta' zitta e non dire stronzate-. 
-Tu piuttosto dovresti chiudere la tua fottuta bocca. Non riesco a decidere cosa farti fare come pegno-. 
Sbuffai, stufo di ripetere la stessa cosa. 
Tanto non avrei fatto nulla perché lei non aveva vinto quella stupida scommessa. 
-Ti suggerisco qualcosa io-. Dissi ghignando maliziosamente. 
-Tipo?-. 
-Tipo una scopata. Farebbe bene ad entrambi-. 
Roteò gli occhi al cielo. -Sei così ottuso-. 
-In fondo tu ti rilasseresti ed io...io be' lo farei per il semplice piacere di sentirti urlare il mio nome-.
-Mi stai irritando-. 
-Che suono melodioso!-. 
-Che idiota. Io salgo in macchina-.
Si avviò verso l'auto e vi salì dentro. 
Dopo aver fumato l'ennesima sigaretta, salii anch'io in macchina e ci dirigemmo a casa.
La convivenza con Dakota sarebbe stata divertente e imprevedibile e questo, stranamente, mi incuriosiva. 
 
 
 
 
 
Scusate per il tremendo ritardo!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto…
Se vi va passate a leggere anche questa ff:  http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1632458&i=1
Continuo non appena questo capitolo riceverà
almeno 5 recensioni!
Un bacio, notperfect! <3

Sto scrivendo una nuova ff, questo è l'intro:

Queen ha 17 anni e convive da circa dodici anni con un problema e un'angoscia costante: suo padre. La maltratta e la rende insignificnte, inutile; la fa sentire poco dignitosa e sempre sporca. Come in ogni favola, c'è un principe azzurro. Ma Justin non è un principe azzurro tradizionale, lui è una persona scontrosa, violenta e menefreghista, ma sarà l'unico che riuscirà salvarla.
***
Gli raccontai tutto, di ciò che mio padre mi aveva fatto in quegli anni e ciò che continuava a fare. Per la prima volta notai che nei suoi occhi c'era un pizzico di tenerezza e compassione e, nonostante l'ultima cosa che volevo era fare pena, l'unica cosa che riuscii a sussurrare fu una disperata richiesta d'aiuto. -Salvami, Justin-.

se vi ha incuriosite, questo è il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1837653&i=1
Mi farebbe piacere se mi diceste cosa ne pensate!
   
 
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