Capitolo V
Non fare così, potresti sembrare
gelosa…
«Emma
dai svegliati! Vieni a giocare con me!»
«Mmm
ancora cinque minuti e poi arrivo» sussurro tenendo gli occhi chiusi.
«È
tardi, sbrigati» continua la voce sempre più insistente.
«Dopo…arrivo»
«Uffa»
sento dire prima di essere investita da una luce accecante.
Spalanco
gli occhi e noto che la tenda è stata scostata e proprio accanto alla finestra
si trova una bambina che ha dei lunghi capelli neri raccolti in due treccine
che mi guarda sorridente, sembra Maria in miniatura.
«Ingrid
vai a quel paese» sussurro innervosita prima di girarmi e mettere la testa
sotto il cuscino.
Purtroppo
Ingrid non è una bambina che si arrende facilmente: infatti poco dopo il
materasso inizia a fare degli strani movimenti, mi giro supina mentre lei
continua a saltare sul letto.
Un
sorriso malvagio si apre sul mio viso.
Faccio
uno scatto e riesco a prenderla per un braccio e a farla cadere su di me.
I suoi
occhi grigi, come quelli della madre, mi scrutano incuriositi come se volessero
prevedere la mia prossima mossa, la quale non tarda ad arrivare.
Inizio a
farle il solletico.
«Emma ti
prego…ti prego…basta» urla mentre si dimena come una posseduta.
«Questa
è la tua severa punizione» affermo imitando una risata malvagia.
«Ragazze
cos’è tutto questo casino?» esclama Maria entrando in camera.
«La
piccola peste torna a far danni» rispondo lasciando andare la bambina
«Ingrid
quante volte ti ho detto che non
puoi obbligare sempre le persone a fare quello che vuoi tu!» la rimprovera la
madre.
«Ma
mamma io voglio giocare con Emma! Tra qualche giorno non la rivedrò più»
risponde la bambina sedendosi vicino a me sul bordo del letto, mentre incrocia
le braccia al petto e china la testa arrabbiata.
Il mio
sguardo incuriosito passa dalla bambina alla madre.
«Come
non ci vedremo più?»
«Sabato
parte per raggiungere i nonni in Spagna, passerà lì il resto dell’estate»
risponde Maria
«Cavolo
Ingrid chissà come sarà bello! Poi vedrai i tuoi nonni e Ian ti porterà in
giro, vedrai che sarà divertente» cerco di consolarla.
«Invece
no: i nonni sono vecchi, il cibo è più buono qui ed Ian non viene» risponde
tenendo sempre la testa bassa e le braccia incrociate.
«Perché
tuo fratello non viene?» domando con non curanza.
«Deve
“studiare per un esame”» mi risponde la bambina parafrasando la frase.
«Hai
solo nove anni ma hai già capito tutto! Dato che abbiamo poco tempo da passare
insieme adesso mi cambio ed andiamo a giocare!» esclamo guardando il sorriso
che le illumina il viso.
«Lo dici
solo perché ti sto stracciando» ribatte l’altra facendomi la linguaccia.
«Lo dico
perché sto morendo!» esclamo togliendomi il cappellino, poi con le mani prendo
i bordi della maglia e chino la testa per asciugare il sudore che impregna la
mia fronte.
«Ma se
sono solo le tre di pomeriggio» alza le mani per mandarmi a quel paese.
«Casualmente
una delle ore più calde del giorno e noi ce ne stiamo sotto il sole battente
solo perché tu vuoi giocare a tennis» ribatto.
«Quindi
preferiresti rinfrescarti? - annuisco ovvia – Va bene» conclude lei.
Non
riesco a capire il senso di questa sua frase finché sento un’improvvisa
sensazione di freddo. L’acqua scorre giù dalla visiera del cappellino e ormai i
miei vestiti sono da strizzare.
Mi volto
e trovo Ian intento a sorridere con in mano un secchio.
«Non era
propriamente questo che intendevo con “rinfrescarmi”» ritolgo il cappellino per
strizzare i capelli.
«Ed io
che volevo portarti a fare un giro, adesso ti arrangi…» dico guardando la
bambina che aveva assunto un’espressione a dir poco divertita, ma che sentendo
le mie parole torna seria ed inizia ad avvicinarsi.
«Emma
portami lo stesso! Ti prego» dice facendo uno sguardo tenero.
«Forse»
ribatto posando le mie mani sulle sue spalle.
«Prima
dovresti raffreddare il diavoletto che c’è in te!» conclude sorridente Ian.
A quel
punto io la volto e l’afferro per le braccia, mentre il ragazzo le prende le
gambe.
Lei
inizia a dimenarsi ed a inveirci contro, ma noi continuiamo a muoverci finché
non arriviamo a destinazione.
«Pronta?
Al tre» mi domanda Ian, annuisco ed iniziamo a fare dondolare Ingrid.
«Uno…due…tre!»
urliamo all’unisono mollando la presa sulla piccola peste che si fa un bel
tuffo in piscina.
Mi
allontano dal bordo sghignazzando, lancio uno sguardo al pulcino in acqua la
quale fa strani gesti indicando suo fratello, che è pericolosamente vicino al bordo.
Avanzo
qualche passo verso il ragazzo che mi sta fissando.
«Vuoi
una foto?» gli chiedo interdetta.
Scuote
la testa «A dire il vero mi stavo chiedendo cosa porti sotto la maglietta»
Resto
spiazzata per qualche secondo, ma poi mi riprendo.
«Il
costume, no? - chiedo retoricamente – Quello che dovresti indossare pure tu»
concludo dandogli una bella spinta. Ormai ha perso l’equilibrio e sta cadendo
in acqua, ma riesce ad afferrarmi per il polso e a trascinarmi giù con lui.
Quando
riemergo mi accorgo di essere abbracciata ad Ian.
Le sue
iridi marroni scrutano le mie.
Un’onda
ci travolge, così ci separiamo.
Le
risate di Ingrid giungono alle nostre orecchie dopo che ho riaperto gli occhi.
«Ma come
hai fatto a creare un’onda anomala?» domando allibita, Ingrid è magra quindi
non ha la forza per lanciarci addosso tutta quell’acqua.
«Mi sono
tuffata vicino a voi» risponde sorridendo.
«Brutta
peste vieni qui» esclama suo fratello prima di prenderla e farle fare un tuffo.
Vado a sedermi
sul bordo e li osservo.
Sono così
teneri, vederli giocare insieme mi fa pensare a mio fratello. Non lo ammetterò
mai pubblicamente, ma mi manca quel rompipalle…
«Che c’è
Emma?» domanda il biondo incuriosito destandomi dai miei pensieri.
Solo in
quel momento mi accorgo che li stavo fissando.
«Niente…è
che mi ricordate me e Ryan. Stavo pensando che potrebbe perdersi per la metro a
Londra» rido.
«Andava
a vedere le gare olimpiche?» chiede avvicinandosi a me.
«Sì,
quando inizieranno le Olimpiadi. Che ne dite se usciamo?» propongo.
«Per
andare dove?» interviene Ingrid.
«È una
sorpresa - resto vaga – sbrigati a cambiarti. Anzi facciamo una gara: chi si
trova per primo già cambiato all’ingresso vince»
«Cosa
vince?» chiede la moretta.
«Non lo
so ancora…decidiamo dopo»
Guardo
entrambi negli occhi.
«Pronti,
partenza, via!» esclamo schizzando verso la veranda, per poi passare dalla
cucina e ritrovarmi nell’atrio, dove rischio di far cadere il vaso posto sul
mobile accanto alle scale a causa di una curva troppo stretta. Ovviamente avere
ai piedi delle scarpe completamente fradice non mi aiuta e dopo aver rischiato
di morire almeno un paio di volte riesco ad arrivare in camera sana e salva.
Mi butto
in doccia per toglie il cloro dalla pelle, mentre il getto d’acqua tiepido mi
investe, mi spoglio e abbandono i vestiti lì accanto; esco avvolta
dall’asciugamano e mi vesto alla velocità della luce. Infine corro come una
dannata verso l’ingresso legandomi i capelli, ma una volta arrivata a metà
scalinata mi accorgo che Ingrid è comodamente seduta accanto all’ingresso.
Rallento
il passo.
«È da
tanto che aspetti?» domando scendendo gli ultimi scalini.
«Cinque
minuti» risponde soddisfatta.
«Sei
stata brava! Tuo fratello?»
«Non è
ancora arrivato. Quindi qual è il premio?» il sorriso le illumina il volto.
«Lo
saprai presto» sorrido di rimando aiutandola ad alzarsi.
Aspettiamo
ancora qualche minuto finché Ian apre tranquillamente la porta d’ingresso.
«Allora
vi muovete?» esclama.
Afferro
le chiavi della Punto e gli do una leggera spinta per farmi passare, infine
saliamo tutti e tre in auto.
«Ma è
buonissimo» la voce dolce di Ingrid arriva alle mie orecchie, mentre afferro la
coppetta che il commesso mi sta porgendo.
«Lo
sapevo che ti sarebbe piaciuto, secondo me è il gelato più buono di questa zona»
«Come
conosci questo posto» domanda uscendo dalla gelateria.
«Una mia
amica abita qui a Cilavegna, così quando sono venuta a trovarla a giugno mi ha
portato qui»
«Me la
presenti?» chiede entusiasta la moretta.
«Credo
che ora stia studiando, ma domani viene a casa con me e te la presenterò»
sorrido.
«Ed è
carina?» si intromette il ragazzo biondo che cinge le mie spalle con il suo
braccio.
Gli tiro
un pugno sullo stomaco.
«Mi hai
fatto male!» ribatte Ian.
«Ingrid
hai sentito anche tu una mosca fastidiosa che continua a ronzarmi attorno?» la
bambina annuisce sorridendo.
«Em non
fare così, potresti sembrare gelosa» sussurra al mio orecchio.
«Io? –
lo guardo negli occhi - ma fammi il piacere» concludo levando la sua mano dalla
mia spalla ed aumentando il passo.
A volte non
lo capisco proprio, perché continua a istigarmi? Dove vuole arrivare? Non credo
che sua madre gli abbia detto qualcosa, almeno spero…
«Emma,
Emma, Emma!» la candida vocina di Ingrid mi fa destare dai miei pensieri.
«Dimmi»
«Vieni
con me» dice iniziando a trascinarmi verso un negozietto.
Quando
arriviamo davanti alla vetrinetta si ferma, mette le mani dietro la schiena ed
inizia a dondolarsi stando attenta a tenere gli occhi puntati su di me.
La
guardo sospettosa «Quindi?»
Abbassa
un po’ lo sguardo «Pensavo che come premio potresti regalarmi uno di quei
braccialetti…» dice tutto d’un fiato per poi restare in silenzio.
Guardo
verso la vetrina del negozietto e solo in quel momento capisco a cosa si
riferisce.
«Il
premio è tuo, sei tu che scegli» a quelle parole rialza di scatto la testa
mostrandomi uno dei suoi bellissimi sorrisi.
«Tu vai
avanti, io devo ancora finire il gelato. Se trovi un braccialetto che ti piace
mi chiami e io arrivo» non finisco la frase che lei si è già fiondata nel
negozio.
Sorrido
divertita.
«A che
pensi?» domanda Ian sedendosi in una panchina accanto all’entrata.
«Che è
bello avere la sua età, essere così spensierati, poi basta poco per renderti
felice» sospiro.
«Invece
noi dobbiamo studiare, se non studi ti assillano, se va male qualcosa ti
rimproverano...» inizia ad elencare.
«Diventa
tutto così stressante!» sbotto alzando le mani.
«A
proposito, ma non dovevi iniziare a parlare solo inglese?» chiede sorseggiando
la sua granita.
«Sono
riuscita a rimandare l’inizio della mia pena di qualche giorno» rispondo
soddisfatta fissando un punto indefinito davanti a me.
«Guardami
un attimo» chiede il ragazzo accanto a me. Mi siedo di sbieco sulla panchina e
lo guardo negli occhi.
«E ora?»
mi sento ridicola.
«Ora
ammetti che sei gelosa di me!» un sorrisetto malizioso si dipinge sul suo viso.
Mi
cascano le braccia.
«Ancora
con questa storia! Io non sono gelosa» scandisco lentamente l’ultima parola.
«Non mi
pare proprio…» risponde diffidente.
«Così
è…se vi pare» fingo un inchino e mi alzo per sbirciare all’interno del negozio.
Noto che la moretta sta ancora allegramente curiosando, metto in bocca un altro
cucchiaino di gelato.
Ad un
tratto sento una forza che mi spinge in giù, praticamente Ian mi ha preso per i
fianchi e mi ha fatto sedere sulle sue gambe.
«Il
discorso non era finito» mi intima serio.
«Ho
citato Pirandello. Per me il discorso era finito» alzo le spalle mentre
continuo a mangiare il gelato, che si è in fase avanzata di scioglimento.
«Cosa
c’entra!» sbotta lui.
«E che
ne so» alzo le spalle ridendo, poi con il dito prendo un po’ di gelato e a tradimento
glielo spalmo sul naso.
Lui
riduce gli occhi a due fessure.
«Ora
pulisci» mi intima serio.
Io
continuo a ridere, perciò non mi accorgo che si è pericolosamente avvicinato a
me.
Quando
me lo ritrovo a pochi centimetri dal mio naso divento seria.
Il cuore
inizia a battermi all’impazzata, il respiro diventa inesistente.
È la volta
buona che ci resto secca. Che sia uno dei sostenitori di “Un infarto al giorno
toglie il medico di torno”?
Mentre
penso ciò lui si è avvicinato al mio orecchio per sussurrarmi «Ora come la
mettiamo?» poi mi lascia prima un bacio sulla guancia, poi uno vicino
all’angolo della bocca, infine…
«Emma
sono tre ore che ti chiamo! Mi aiuti a scegliere il braccialetto?» al suono di
questa voce entrambi ci allontaniamo di scatto.
Riprendo
a respirare dopo di che mi volto sorridendo alla bambina.
«Certo
piccola» affermo prima di prenderla per mano e seguirla, stando bene attenta a
non guardare il ragazzo che era al mio fianco.
Ingrid
mi porta vicino ad un tavolino dove sono appoggiati diversi tipi di braccialetti
tutti colorati ed inizia a parlare e parlare, ma le sue parole restano un
mistero perché la mia testa ed il mio cuore sono ancora fermi a qualche minuto
fa. Il cuore rischia ancora di schizzarmi fuori dal petto, mentre il mio
cervello non riesce a formulare una frase di senso compiuto.
«Quindi
quale scelgo?» domanda la bambina una volta terminato il monologo, del quale
non ho neanche sentito una parola.
Resto un
attimo in silenzio.
«Ma qual
è quello che ti è piaciuto subito?» cerco di concentrarmi sul presente.
«Quello
lì arancione, però anche quello bianco mi piace tanto»
«Sai che
facciamo? Te li prendo entrambi» sorrido compiaciuta nel vedere che sul viso di
Ingrid si è aperto un lieto sorriso.
«Ragazze
ne avete ancora per molto?» domanda una voce, la sua voce alle mie spalle
mentre sono alla cassa per pagare.
«Ma
cos’hai sul naso?» domanda ridendo la bambina, solo a quel punto ricordo di
avergli messo un po’ di gelato sul naso ed evidentemente lui si era dimenticato
di pulirsi.
Quando
mi volto lo trovo intento ad incrociare gli occhi per guardarsi la punta del
naso.
«Ecco
perché in giro mi guardavano tutti male» conclude pulendosi.
«E
quello cos’è?» gli domando incuriosita dal sacchetto che tiene in mano.
«Beh, ho
pensato che avremmo potuto portare una vaschetta di gelato a casa, da mangiare
dopo cena» si spiega il ragazzo continuando a torturare il povero manico del
sacchetto di carta.
«Ottima
idea» sorrido.
Il
tragitto per tornare a casa è solo interrotto dalle parole dello speaker in
radio.
La cena
si svolge altrettanto silenziosamente in compagnia di Ingrid, Maria ed Ian,
poiché gli zii si sono dovuti assentare per lavoro, fino a quando ricevo una
telefonata.
«Niña
sai che non si usa il telefono a tavola» mi rimprovera Maria.
«Scusa,
ma è importante» rispondo prima di allontanarmi.
«Dimmi
Bonnie»
«Em allora
per domani?»
«Facciamo
che carichi la valigia in macchina e poi mi passi a prendere a casa, quando hai
finito ti indico io la strada. Tanto si trova vicino a Mortara»
«Okay.
Facciamo che passo per le nove, così vado con calma» propone la ragazza.
«Va
bene. A domani Bon e vedi di rilassarti un po’» sorrido perché so già che è non
lo farà, lei sussurra un “certo, come no” e poi riattacca.
A quel
punto torno in sala da pranzo ed informo i presenti che sarei tornata a casa
mia per la notte.
«Ian può
accompagnarti a casa. Giusto per non lasciare là l’auto» propone la madre del
ragazzo.
Ci mancava
solo questa.
Annuisco,
anche se non sono entusiasta di questa idea.
«Prendo
la borsa e poi andiamo» dico prima di correre in camera a prendere la borsa.
Quando esco lo trovo già appoggiato alla mia auto.
«Dai
sali. Sarà un bel viaggetto»
Non vedevo
l’ora.
Penso
mentre mi allaccio la cintura, saranno i trenta minuti più lunghi della mia
vita.