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Autore: lunax    07/05/2013    1 recensioni
Capisce che nessuno parte da zero e che lo zero degli uomini non esiste.
Corre alla finestra che si affaccia di sotto, si sporge più che può ed urla.
Urla, con la forza di un animale ferito, con la volontà di raggiungere gli avi e di dire loro che ha capito che non può scappare. Urla e spera che il fratello sia ad ascoltarla e pure la madre.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Edoardo guardava il sole spegnersi, spingendo contro il fianco della collina. Il suo respiro, regolare e lento, lasciava all’età insonnolita di quelle terre il tempo per trascorrere quieta.
Suo malgrado, una leggera smania lo coglieva ogni tanto, come un impeto interiore che si ripete meccanicamente. Anni di lavoro non riuscivano ad imbrigliare il profondo affanno che quegli ambiti scatenavano in lui. Allarmato si girò di scatto all’indietro.
Era Silvia - che arrivando con passo sicuro, appagava con gli occhi mori l’ansia incipiente.
Le andò incontro per tuffarsi nella sua chioma vasta e odorosa, che come sempre sembrava aspettarlo.
Il primo incontro era avvenuto a Madrid, hace un año y medio.
Era un inverno tiepido e il sole lo blandiva, accompagnandolo posato sulla Gran Via  spagnola.
Edoardo camminava silenzioso e accorato. Pensava, ed a volte, senza accorgersene, articolava parole, traspirando lemmi vagamente inquieti.
Silvia, bruna e alta ragazza fiera, si accorse di lui a un semaforo rosso per i pedoni. Ne rimase colpita.
Tentò di farsi notare. Era bella, ed abituata alle attenzioni maschili.
Gli andò vicino, molto vicino, poi lo oltrepassò, per riuscire a guardarlo negli occhi, e a farsi guardare.
E lui la guardò; lei sorrise piegando la testa a destra ma rimase sospesa. L’aveva attraversata. E i suoi denti, bianche pietre lucenti e brillanti, si persero nel fiume di gente che trascinò i due a conquistare le strisce.
Gli occhi fermi delle vetture li guardavano fissi, mentre quelli, con orme diverse ma convergenti, muovevano in fila come soldati scortati dal verde pedonale. E mentre Edoardo rapito e distante andava, mentre tutto intorno correva, Silvia, curiosa, iniziò ad osservarlo con maggiore attenzione.
Camminava lentamente Edoardo, come trascinandosi dietro un impiccio invisibile. La gamba destra, alzandosi per battere al suolo, faceva una curva scontrosa sull’anca che poi percuotendo il ginocchio proseguiva il suo corso. Biascicava frasi sconnesse mirando al cielo, perdeva lo spazio guardandosi intorno confuso e poi, circospetto, indagava l’ora, preoccupandosi un attimo ma tornando subito ai suoi pensieri. Il suo viso librava in ampie ipotesi brulle, balenavano gli occhi ruotando senza tregua su ciò che accanto muoveva.
Era mattino e la Gran Via, brulicando uomini e mezzi, rigurgitava da ogni vico pensieri, emozioni e dolori,
pressappoco continui, ed enormi. La vita, fiume umano di genti diverse, correva perpetua e complessa nel letto eterno di asfalto ma Edoardo, tirando il freno del suo mezzo bacato, di colpo sostò.
Silvia, sembrava irretita. Il tempo le si era fermato, masticando impegni e attenzioni, ingoiando a grandi bocconi la normalità.
Avrebbe dovuto essere dall’altra parte della città. Si era preparata, quella mattina, promettendo a se stessa che non avrebbe tardato. Lavorare per lo studio d’architettura ICM era una buona possibilità.La inseguiva da tempo e finalmente aveva un colloquio. Questi pensieri che arrivarono da lontano, con voce roca e insistente, la svegliarono da quello stato appeso in cui si trovava. Ricordò l’appuntamento e “porca morte” si disse. Dopo un’ultima breve scorsa scappò, e senza rendersi conto guardava, fuggendo veloce verso la metro, al nome del bar che aveva inghiottito quel tipo bizzarro.
  
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