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Autore: KPooh_    07/05/2013    1 recensioni
Questa è una storia vera (tranne che per le parti che non lo sono).
"Che figura avrebbe fatto ora con la ragazza per cui aveva una cotta, se lei avesse scoperto che il fratello della ragazzina a cui doveva badare era Louis Tomlinson, un diciassettenne che non sa guardare la propria sorella e che l’ultimo sabato di vacanza, sta a casa a guardare il Signore degli Anelli in tv, con un amico travestito da Gandalf il Grigio, invece di andare a spassarsela fra feste e discoteche?"
- La domanda è: Perché tu sei nella cucina del tuo migliore amico in mutande e con un cappello da mago in testa l’ultima sera di vacanze?-ribattè rivolta ad Harry.
Nerd.
-Sospesa.
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: Nonsense, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gelato, Kung Fu Panda e altre soluzioni.

Avvertimento
Il capitolo sarà triste.
Armatevi di fazzoletti!
Ma chi sto prendendo in giro?
Non piangerete,
non è così commovente, tranquille!
Serviva solo a me, per darmi l'illusione
di aver scritto qualcosa di toccante
per una volta.
Vaffanculo.








Hanna tornò dentro solo per prendere il suo giacchetto ed andare via. Non aveva più voglia di folleggiare, non aveva più voglia di perdere la serata bevendo, ballando o ridendo per delle stronzate.
Che cazzo stava facendo? Aveva ragione Alex, era stata ipocrita a giudicare quei poveretti con cui era rimasta la sua migliore amica.
Insomma, lei non li conosceva affatto, cioè, sapeva i loro nomi… più o meno, ma chi ci aveva mai parlato? E, pensando a loro che erano emarginati, capì che dopotutto non erano tanto differenti da come era lei solo tre anni prima.
Era in quarta elementare quando i suoi avevano divorziato e lei si era gettata sul cibo, più che altro per colmare quell’assenza di amore che credeva di avere. Proiettava su se stessa l’odio che provava nei confronti di suo padre, che le aveva abbandonate senza farsi troppi scrupoli.
Nel giro di due mesi, Hanna si rese conto di essere diventata la bambina più grassa della classe e del suo anno, ma, nonostante ciò, nonostante gli insulti, il ribrezzo che provava nella sua immagine riflessa, l’invidia per tutte le ragazze magre del mondo, non riusciva a smettere di mangiare: se nessuno le voleva bene, lo avrebbe fatto il cibo.
E poi in prima media aveva conosciuto Alexis, che era andata oltre le gonne lunghissime e tutte quelle tute che Hanna indossava, era andata oltre l’acne e tutta quella ciccia, che nessuno si faceva scrupolo di criticare, era stata la prima, dopo tanto tempo, a tentare di essere sua amica.
Dopo aver passato tre anni a sentirsi prendere in giro e sentirsi in colpa per il fatto che i ragazzi prendevano in giro anche Alex, la quale, al contrario di Hanna, era molto carina e in forma, a parte il fatto che portasse degli occhiali spessi come fondi di bottiglia degni dell’avvocato Georges degli Aristogatti e non formulasse una frase senza citare un qualche libro o film, Hanna decise di darci un taglio.
Non pensava più a suo padre da molto tempo, mangiare era più un’abitudine che un vero bisogno, come lo era stato nei primi anni, e capì di poter prendere la situazione in mano, ma non avrebbe potuto farlo da sola.
La madre di Alex era una dietologa affermata e acconsentì ad aiutarla a perdere peso in tempo per il primo giorno di superiori; avevano quattro mesi abbondanti e Alex decise di aiutarla in tutti i modi possibili, standole accanto tutta l’estate, rinunciando alle vacanze al mare e da sua nonna. Erano ormai inseparabili e verso la fine di Agosto si resero conto che i ragazzi le guardavano in modo diverso e cercavano la loro attenzione, ma Hanna non si faceva ingannare.
Era tipico degli adolescenti essere degli stronzi, solo ora che erano carine e in forma prestavano loro attenzione, non gli importava niente del carattere, dei loro gusti musicali, se erano simpatiche o meno, bastava portassero una seconda di reggiseno e avessero le gambe secche come due stuzzicadenti. Questo fatto disgustava Alex e in parte anche Hanna, per la quale però quel mondo era tutto nuovo.
Le due ragazze avevano fatto un patto prima di iniziare ad allenarsi, non sarebbe cambiato il rapporto che avevano fra di loro e non avrebbero trattato nessuno in maniera diversa, sarebbero rimaste le stesse di sempre, senza avere pregiudizi e senza comportarsi come le stronze che le avevano emarginate alle medie.
Hanna ricordò di essere stata lei a proporre quel patto e ad averlo scritto sul proprio diario e le venne da piangere.
Stava camminando da un paio di isolati con le sue stupide scarpe col tacco e non riusciva a credere di essere diventata tutto ciò che detestava e che si era promessa di non diventare mai. Era incredibile quanto poco le ci fosse voluto a scaricare la sua unica vera amica e con quale facilità l’aveva presa in giro di fronte a tutti.
Era incredibile come già in prima superiore lei e Alex si fossero lasciate prendere la mano dagli appuntamenti, dalle feste, dai vestiti, dalla popolarità e da tutte queste stronzate che alla fine, non significavano niente per loro.
Le lacrime iniziarono a rigarle il volto e Hanna decise di dover porre rimedio ai suoi orrendi errori e che ci avrebbe messo meno tempo possibile.
Prese il telefono e provò a chiamare Alex, la quale però aveva il telefono staccato. La bionda tirò su con il naso e si asciugò gli occhi, prima di entrare in casa per passare una spiacevole notte insonne.
 
 
 
 
Sabato.
Niente scuola.
Niente di cui preoccuparsi.
Niente di speciale da fare.
Niente.
 
-Hey Niall, che ne dici di … che ne so, andare al Seven-Eleven?-chiese Harry al telefono.
-Amico, sei matto? Sono le sette del mattino, di sabato per giunta! Dormi un po’, ci risentiamo dopo, verso le una… facciamo le due!- gli rispose assonnato l’amico, riagganciando dopo qualche secondo.
 
La pioggia batteva incessantemente sui vetri della finestra, in camera di Harry.
Il ragazzo era disteso sul letto ancora intatto, con gli stessi vestiti della sera prima.
Osservava le gocce di pioggia scendere dal vetro, immaginando che facessero a gara a chi arrivava prima in fondo. Quel passatempo lo aveva sempre calmato, distratto dai suoi pensieri quando, da piccolo, si sentiva triste. Come si sentiva quella mattina.
 
Era il 6 Settembre. Odiava quel giorno. Con tutto il suo cuore. Era sempre stato un brutto giorno, ogni anno, da quando ricordasse.
A 4 anni si era quasi strozzato con una caramella che gli aveva regalato la bambina per cui aveva una cotta (Aubrey), facendo una figuraccia.
A 6 aveva appena imparato ad andare in bicicletta senza le rotelle quando si era scontrato contro un albero, rompendo la bicicletta.
A 7 aveva preso la sua prima nota a scuola per non aver fatto i compiti ed essersi giustificato dicendo che il cane del vicino glieli aveva strappati, cosa che era realmente successa.
A 8 si era rotto entrambe le gambe giocando a football, decidendo di lasciare la squadra e non fare nessun altro tipo di sport per non dover subire nuovamente una tortura del genere.
 
A 8 aveva avuto la notizia.
 
A 9 era arrivato il momento anche per lei.
 
 
9 anni prima
 
-Mamma! Sveglia! Oggi si torna a scuola! Giù dal letto, pigrona, che devo vedere Lou!- esclamo con la sua voce squillante il piccolo Harry, già pronto, lavato e vestito.
-Caro, tranquillo, sono le sette, abbiamo tempo, e poi Louis non scappa da nessuna parte. Sono sicura che sia contento quanto te di vederti!- rispose pazientemente la madre alzandosi dal letto e andando a vestirsi, mentre il figlio tornava in camera propria a prendere il regalo che aveva comprato al mare per l’amico quell’estate, un carillon blu con dei pesciolini colorati sullo sfondo.
Quando bussarono alla porta, Harry stava facendo i capricci.
-Non capisco perché papà non sia ancora tornato da laggiù! Mi aveva promesso che mi avrebbe accompagnato lui a scuola, così sarei sembrato meno pappamolle a non farmi accompagnare dalla mamma come tutti! Lo odio! Non mantiene mai le promesse! È il peggior padre di sempre!- sbraitò, tirando un calcio allo zaino con il suo piede e facendosi male.
-Harry! Non dire così! Lo sai che sta aiutando i bambini là in Ghana. Anche loro devono andare a scuola, sai? Ora comportati bene che c’è qualcuno alla porta.- lo richiamò la madre, avvicinandosi all’ingresso per sapere chi avesse bussato.
-Signora Styles? Sono il tenente Wright- si presentò l’uomo dai capelli corti, in divisa.
-Mamma! Il signore è vestito come papà!- esclamò Harry, tornato allegro.
-Scusate l’intrusione- continuò il tenente- ma devo comunicarvi che il capitano Styles, ieri, in una missione di soccorso, è stato gravemente ferito e, purtroppo, non ce  l’ha fatta.-
L’urlo che la madre emise subito dopo, terrorizzò Harry.
Non riusciva a muoversi, paralizzato sul corridoio d’ingresso.
Il tenente mormorò un “Mi dispiace molto, signora, era un grand’uomo.” attraversò il vialetto, e scomparve dietro l’angolo.
Harry in quel momento capì che suo padre non sarebbe più tornato per accompagnarlo a scuola.
Per farlo sentire grande.
Si sentì improvvisamente un grosso peso sul suo cuore troppo piccolo per poterlo reggere.
Pensò allora che iniziare a piangere sarebbe stata la cosa migliore, otteneva spesso ciò che voleva in quel modo. Ma poi guardò sua madre, seduta sulla sedia all’ingresso, in lacrime, distrutta. Si avvicinò a lei e l’abbracciò, cercando di consolarla. Ma lei, non ricambiò l’abbraccio, continuò semplicemente a stare immobile, con gli occhi chiusi, cercando di calmarsi, senza successo.
 
Quel giorno Harry non andò a scuola.
Quel giorno Harry diventò grande.
 
Il riccio si voltò verso il comodino, dando le spalle alla finestra, cercando di scacciare i ricordi come ogni anno.
Sul mobile accanto al letto c’era ancora il carillon blu che avrebbe dovuto regalare a Lou ma che si era rotto quando l’aveva lasciato cadere per abbracciare la madre. 
-Mamma…- mormorò.
 
Alle otto era troppo agitato per starsene in camera a non fare niente. Ancora qualche minuto lì dentro e le immagini del funerale del padre, i rumori degli spari di fucile e la marcia funebre lo avrebbero fatto impazzire.
Si alzò, prese il primo giacchetto che trovò nell’armadio ed uscì.
L’impermeabile che aveva scelto era un po’ piccolo per lui ma almeno aveva il cappuccio che avrebbe evitato di fargli bagnare i capelli e ritrovarsi con la broncopolmonite.
-Ehi, ladro di giacchetti, quello è mio!- gli gridò una voce, non appena ebbe svoltato l’angolo.
Harry si girò, riconoscendo Aubrey, che lo stava raggiungendo con passo svelto.
-Ah, ecco perché mi stava un po’ piccolo…- rispose il riccio.
-Ah, ecco perché è rosa…- lo canzonò lei.
-Oh… anche per quello, sì.- disse lui abbassando poi lo sguardo.
-Che ci fai a giro a quest’ora comunque? Prima ho chiamato Niall ed era mezzo comatoso…pensavo dormissi anche tu! Sai, DNA comuni.
-Che pigrone mio fratello! No, io sono una persona piuttosto mattiniera, e poi mi piace camminare sotto la pioggia, ed era un bel po’ di tempo che non veniva tutta quest’acqua, perciò ho colto l’occasione…
-Ah, capisco. Ehi, ma non hai niente addosso, e neanche un ombrello! Così ti prendi un malanno! Ma sei matta?!- notò in quel momento Harry, sfilandosi il giacchetto per renderlo alla proprietaria.
-Grazie, ma sto bene anche così. Chissà come mai era a casa tua, è dall’anno scorso che non lo vedo, precisamente dall’ultima festa di fine estate di tua nonna…
-Non ti ricordi che lo avevi portato perché avevamo scommesso che avresti indossato qualcosa di femminile per una volta?
- E questo impermeabile rosa sembrava l’ideale! Già, e poi ti dissi di bruciarlo se non sbaglio! Cavoli, ti ricordi un sacco di cose eh?
-Già, forse troppe…- rispose Harry, con aria assente, lasciando sparire l’espressione divertita dal viso.
-Ascolta Hazza, so che di solito per… questa occasione, c’è Niall; ma se vuoi, almeno per ora, puoi parlare con me. – disse allora Aubrey, guardando in alto verso di lui, che teneva gli occhi fissi verso il vuoto.
Girò lentamente la testa, stringendo le labbra per farsi forza.
-Ok, però rientriamo, le tue labbra stanno diventando viola dal freddo.- rispose semplicemente, accennando un minuscolo sorriso.
 
Giunti a casa di Harry, Aubrey iniziò ad avviarsi verso il salotto, l’unico posto oltre al bagno e alla cucina che avesse visitato in casa sua, ma lui la fermò.
-No, di qua, vieni.- disse, salendo le scale.
Lei lo seguì al piano di sopra, fino a quando non arrivarono di fronte ad una piccola scala a chiocciola che portava alla soffitta.
-Tranquilla, nonna Chloey pulisce sempre, non ci sono ragni!- rispose all’occhiataccia di Aubrey rivolta alla scala.
E aveva ragione.
Quella stanza non poteva certamente essere definita soffitta, era più un mini salotto, con due puff e un piccolo mobile affianco alla finestrella che dava sul giardino. Intorno, nascosti nell’ombra, c’erano alcuni bauli, due valige e una scatola di cartone con su scritto “Fotografie”.
Harry si mosse verso un puff, facendo cenno con la mano a Aubrey di accomodarsi nell’altro.
-Benvenuta nel Covo 2.0- annunciò il riccio.
- Perché 2.0 ?- chiese incuriosita la ragazza.
-Vorrei risponderti che, essendo un agente dei Men In Black, ho rimodernato tutta la stanza con oggetti figherrimi di ultima generazione super tecnologici come in Spy Kids. La verità è che da piccolo il Covo era lo stanzino accanto al salone dove nonna Chloey tiene il Club del Libro.
-Oh sì, mi ricordo che quando mamma mi portava con lei alle riunioni ti nascondevi sempre dietro quella porta! Uscisti soltanto una volta, quando il libro di discussione del giorno era il Vecchio e il Mare.
-Già, il mio libro preferito, mamma me lo leggeva sempre quando ero triste…
Il riccio si perse qualche momento tra i ricordi.
 
La madre gestiva una specie di bar/alimentari insieme al marito che, nonostante avesse già il suo bel da fare da militare qual era, la aiutava sempre a sistemare gli scatoloni in magazzino e a pulire i saloni adiacenti. Era stato proprio il padre di Harry ad avere l’idea di impiegare una di quelle due stanze per il “Club del Libro”, portandoci dentro tutta la sua vasta collezione di libri, il cui numero era notevolmente aumentato con l’aggiungersi ogni volta di un nuovo membro.
E in mezzo a tutte quelle signore di mezz’età e vicini con la stessa passione per la lettura, il signor Styles era contento come un bambino a cui i genitori hanno regalato delle caramelle (attenzione, ho detto i genitori! Non degli estranei… non si accettano caramelle dagli sconosciuti, mi raccomando bambini!).
Guadagnavano abbastanza bene e il negozio era molto apprezzato dall’intera cittadina di Burleson, ma il vero Boom! per l’attività era avvenuto quando l’arzilla e instancabile Chloey Styles, in pensione da qualche mese, aveva capito che stare tutto il giorno in casa a fare la pensionata con la possibilità di diventare una pazza gattara non faceva per lei, così si era unita alla compagnia e con le sue meravigliosamente meravigliose torte e la nuova organizzazione del lavoro che aveva imposto ai due sposini, aveva duplicato gli incassi del negozio. Quelli sì che erano tempi d’oro per la famiglia Styles.
 
Dopo quel 6 Settembre però, il negozio aveva perso la sua solita vitalità. La morte di William Styles era arrivata a tutti, portando un iniziale sconforto tra i membri del club letterario, ai quali Chloey era pian piano riuscita a far tornare il sorriso con il suo carattere forte e le sue battute sul presidente Nixon. Ma se i soliti frequentatori del piccolo negozio si erano ripresi dal terribile incidente, la proprietaria non ne era più uscita fuori. La morte del suo amato l’aveva privata del suo spirito: non canticchiava più quando serviva i clienti, non abbracciava con lo stesso vigore il figlio, non riservava più le stesse carezze al loro golden retriever. Le aveva spezzato il cuore, letteralmente. Era morta d’infarto il 6 Settembre dell’anno dopo, non reggendo più il peso angosciante che le premeva il petto. Aveva finalmente raggiunto il marito, lasciando Harry in uno sgabuzzino a piangere da solo, senza nessuno che gli leggesse il Vecchio e il Mare, consolato da qualche ragno di passaggio.
-Haz, tutto bene?- la voce di Aubrey lo riscosse dai pensieri.
-Pensavo a mamma. All’inizio ero arrabbiato perché mi aveva lasciato da solo. Ora invece la capisco, lo amava troppo per poter stare senza di lui, perciò non la biasimo più.
-Allora cos’è questa faccia?
-Beh..- Harry era un po’ imbarazzato –diciamo che mi sento solo; vorrei trovare qualcuno che mi ami come si amavano mamma e papà.
-Sai che ti dico? Ti preoccupi troppo per ciò che era e ciò che sarà. C’è un detto: ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi… è un dono. Per questo si chiama presente! Troverai qualcuno, non ti preoccupare. Ma mentre aspetti penso che il gelato sia un’ottima distrazione.
-Qualcuno si è rivisto Kung Fu Panda ultimamente, eh? Comunque penso di avere un po’ di “distrazione” nel freezer…
-Che stiamo aspettando?

 

 
 
La mattina dopo il party, appena sveglia, Hanna provò a chiamare di nuovo Alex e continuò a chiamarla e richiamarla fino all’ora di pranzo, quando finalmente la ragazza rispose.
-Hanna, non ho molta voglia di parlare con te, devo andare a casa di Louis, e se te lo stai chiedendo, sì, continuo a parlare con lui e gli altri e non me ne frega un cazzo di farlo sapere al mondo.- le disse con fare sbrigativo.
-Senti, Alex, lo so che sono stata una completa stronza negli ultimi giorni e so anche che avrei dovuto difenderti ieri sera da quella bagascia, anzi da quell’esercito di bagasce, ma sai quanto è difficile! Lo sai che non sono te e che sono terrorizzata da quello che pensano gli altri!- le rispose, tentando malamente di scusarsi. Hanna sentì sbuffare dall’altro capo del telefono.
-Se questo era il tuo modo per scusarti, non penso tu ci sia riuscita troppo bene. Hanna, persino quei rincoglioniti con cui giro adesso hanno avuto il coraggio di difendermi e li conosco da, che ne so, tipo una settimana? Forse di meno! – sbottò Alex, che doveva essere piuttosto alterata.
-Alex, lo so! Lo so! Ma sono insicura fino al midollo! Peso cinquantasette chili e quaranta di essi sono composti dalla mia insicurezza e dai miei complessi!- disse Hanna, iniziando a piangere.
-Han, non c’è bisogno che tu pianga! Non ci provare neanche a farmi sentire in colpa! Questa volta ho ragione io! Che poi pensi di essere l’unica che ha dei complessi e che si vergogna a farsi vedere per quella che è? Anche a me importa di quello che pensa la gente!- continuò Alex, sempre con quel tono arrabbiato e brusco. La bionda tirò su con il naso.
-Alex, non capisci? Non sto piangendo per farti sentire in colpa, lo sto facendo perché io mi sento in colpa! Lo so che è tutta colpa mia questo casino! O almeno parte di esso… È per questo che ti ho chiamata!
Hanna stava singhiozzando pericolosamente al telefono, tanto che le sue parole erano quasi incomprensibili. Tra l’altro Alex era piuttosto sicura di non aver né sentito né visto la sua migliore amica piangere dalla prima superiore in poi e il fatto che stesse piangendo proprio adesso che stavano litigando di brutto, la fece sentire strana.
-Hanna, non sto capendo una mazza di quello che dici, o ti dai una calmata o mi costringi a venire da te prima di andare a casa Tomlinson!- si lamentò Alex, sentendo come risposta solo altri singhiozzi e una soffiata di naso. –Ho capito, tra cinque minuti sono da te.- disse prima di riattaccare il telefono.
Quando Alex arrivò in bicicletta davanti a casa di Hanna, la trovò senza trucco e con delle occhiaie fino al mento a sedere in veranda. Le andò incontro e non riuscì a trattenere un sorriso.
-Hey, Ally, che si dice?- la salutò debolmente la bionda, asciugandosi ancora una volta il naso.
-Caspita, era un sacco che non mi chiamavi Ally. . . senti, Han, non so veramente che dire.- sussurrò Alex, facendo spallucce.
- Non ti preoccupare, sono io quella che deve parlare e che si deve scusare. Tu hai detto di essere debole e di avere le tue insicurezze, ma siamo sincere, non è vero. Non è così, ed è questa la cosa grandiosa che ti caratterizza! Tu fingi di fregartene di quello che dicono o pensano gli altri, ma non lo fai! Volevi tenerla per te quella cosa del lavoro a casa Sfigati, ma quando tutti l’hanno scoperto non hai negato! Hai solo detto “Le cose stanno così, chissene!” e oggi non sei distrutta come molto probabilmente sarei io.- disse Hanna, alzandosi e prendendo le mani della sua migliore amica fra le sue.
- Io ti ammiro un sacco e sono mortificata di averti lasciata a combattere da sola. Non accadrà di nuovo, perlomeno tenterò di non farlo accadere.- continuò Hanna, tentando di far capire a Alex quanto fosse dispiaciuta.
- Han, lascia stare, davvero. Insomma, quelle che chiamavo amiche sono tutte delle troie, non me ne va a genio nessuna. Sono rimasta nel giro per così tanto solo perché sapevo quanto tu ci tenessi. Questa è la verità e non mi pento di esserti rimasta accanto in tutti questi anni, anche se odiavo quella gente. Ci vogliamo bene da molto prima che arrivassero tutte queste personalità anonime, la cosa non cambierà solo perché non mi hai difesa. Forse hai ragione tu, forse non me ne frega davvero una mazza di quello che pensa la gente di me, ma lo so che non è lo stesso per te. Quindi fai come preferisci, insomma rimani a mangiare con loro o vai alle loro feste se ti senti a tuo agio, se ti fa sentire bene. In ogni caso sarai sempre la benvenuta al tavolo degli sfigati, perché è lì che pranzerò penso per tutto il resto del liceo.- disse Alex senza scomporsi troppo, a vedere Hanna in quelle condizioni le si era spezzato il cuore e non voleva che la loro amicizia venisse spazzata via in quel modo. Tra l’altro essere arrabbiata le faceva venire il mal di testa e non pensava di essere capace di sopravvivere fra tutti quei nerd senza una ragazza con cui uscire di tanto in tanto dal mondo dei fumetti.
Hanna non resisteva più e saltò addosso alla sua migliore amica per stringerla forte in uno dei loro abbracci.
-Grazie, Ally. Grazie per avermi perdonata, non ti preoccupare, ci penserò io a metterle al loro posto quelle dementi. Ci vorrà un po’ perché mi abitui a non sedermi più con loro, ma per te farei questo e altro. Sono stata fin troppo alle regole di quelli che a scuola sono considerati fighi. Questa cosa cambierà.
-Ti voglio bene, Hanna. E te ne voglio ancora di più perché questo discorso faceva molto Signore degli Anelli e sai quanto mi piace!- rise Alex, stringendo di più la sua amica. Le due ridacchiarono insieme, poi Alex si diresse alla bicicletta.
-Ma quei tipi lavorano tutta la settimana?- domandò Hanna accompagnandola. –Cosa?-
-Hai capito! Non voglio essere scortese, ma mi domandavo, ma a casa Strambi hanno sempre bisogno di te?- continuò la bionda. Alex sorrise.
- So che ti sembrerà strano, ma oggi non vado lì per lavorare- sorrise Alex, mettendosi in sella alla bicicletta.
-Non prendertela, ma perché vai da Tomlinson allora?- le chiese di nuovo Hanna, che ancora non era entrata nella mentalità giusta per comprendere il rapporto che si stava creando fra Alex e i nerd.
-Sinceramente non lo so neanche io. Semplicemente mi piace passare del tempo con lui e gli altri sfigati. E poi, se devo essergli amica, voglio farlo per bene. Ti chiamo stasera!- disse Alex, ormai già sulla sua strada con un sorriso sulle labbra.
Hanna si limitò a sorriderle di rimando, salutandola con la mano.





Aloha!

Avete aspettato un sacco per questo capitolo, my bad!
La meravigliosa Fearless, che ha scritto tuuuutta la parte di Hanna, l'aveva completata già da un pezzo.
Sono io l'idiota che non finisce mai in tempo.
In compenso avete un mega capitolo da leggere! Cioè, l'avete visto? È lunghissiiiimo.
Immagino che palle a leggerlo!
Comunque niente.
No, in realtà volevo farvi una domanda: secondo voi sono abbastanza poco deficiente per scrivere un saggio breve per un concorso?
Parla della differenza fra uomini e donne.
Perché me l'hanno proposto, ma visto tutte le cavolate che mi passano per la testa mi sembrava inutile.
Boh, ditemi voi!
Ah, se volete aggiungermi su Twittah io sono @KPooh_ e quell'altra sciabordata (Love you Fearless) è @Awesome_GirlL
Perfetto! Love u

  
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