ZENZERO E CANNELLA
Capitolo 9.
“Salato.”
Fabien andava e tornava dal suo porticato al mio, da ben
due settimane, ormai; due settimane di risate, pianti malinconici, racconti di
un passato che mi intrigava quasi quanto i suoi occhi fuggenti, ogni qualvolta
lasciava andare via un pezzo di sé. Con mio sommo stupore mi trovavo ad attendere
con ansia il momento -più o meno tutti i giorni verso le otto- in cui vedevo
aprirsi la grande porta di legno scuro della casa difronte, lui che si piegava
a raccogliere il giornale e portarlo sotto al braccio, vederlo attraversare il
giardino di siepi rigogliose con una buffa corsetta e il cancello di ferro
battuto richiudersi alle sue spalle, sullo stridio dei cardini arrugginiti. Un
rituale al quale rispondevo con una certa allegria, arrivando addirittura a
preoccuparmi se lo vedevo attardarsi troppo; facevamo colazione con montagne di
crepes dolci e sfogliando il giornale commentavamo ironici le ultime notizie da
Parigi, immaginavamo la fine di tizio e ridevamo delle sorti di caio, avevamo
addirittura scommesso su quale delle matrone di città avrebbe abbandonato per
prima il corso! Fabien mi aveva stracciato alla
grande; per quanto solitario era un attento osservatore, con un talento
naturale nel saper comprendere le persone. Sentirle.
Ad Auvers
ci conoscevano tutti come i “cugini inseparabili di città”; non rappresentavamo
nessun genere di istituzione ed inseparabili credo fosse l’aggettivo più
consono per noi due. Io, lui, le nostre biciclette e –per buona pace degli
orecchi di maitre Gerald- dopo mie sfinite suppliche,
anche compagni d’avventura in cucina; Fabien si era
guadagnato un ruolo nella scuola come tutto fare, la sua verve metteva di
buonumore tutti, me compresa. Averlo attorno, mi rendeva serena.
“Stucchevole.” Addentò
la quiche lasciando scivolare via le briciole dagli angoli della bocca; posai
esasperata le braccia in avanti, sul bancone di marmo dell’enorme cucina cui
disponevo. “Che c’è sei nervosa?! Oggi torna il maritino e non stai più nella pelle?!”
La sua ironia lasciava ai miei limiti di sopportazione un margine alquanto
basso; forse, la cosa che più di lui detestavo. L’unica, fra le altre cose.
“Così non mi aiuti. Maitre Gerald si è messo in testa di chiudere il corso con
una ricetta speciale e tutto quello che sto combinando sono enormi pasticci!”
Sbuffai, soffiando via la ciocca di capelli che mi era volata dinnanzi agli
occhi.
“E’ che ti stai
perdendo in cose complicate.” Afferrò un cartoccio di farina e lo gettò sullo
spianatoio; con accuratezza forò il centro della montagna bianca, sorridendomi
timidamente. “Devi applicarti su quello che sai già fare e che ti viene
meglio.” Si colpì le mani ripetutamente lasciando che si pulissero alla meglio,
mi voltò le spalle per raggiungere la finestra sul cortile.
“Fosse facile..” i
miei pensieri si trasformarono in mugugni.
“Lo è.”
Alzai le spalle poco
convinta, Rose interruppe il flusso dei pensieri bussando alla porta. “Madame..”
guardò Fabien arrossendo –quando le sarebbe passata
la cotta?- “persone in visita.”.
“Tu resta qui.” Puntai
l’indice contro Fabien, ora cianotico e impaziente
dinnanzi le finestre.
“Mamma!” Riconobbi
subito Jerome e lo sbuffo del suo sigaro; era la vigilia del mio compleanno ed
avevo totalmente rimosso l’evento più il pacchetto famiglia in andata da Parigi
venuto a festeggiarmi. Clorine se ne stava inebetita
a fissarmi e a fissare l’autista come a voler dire “i bagagli razza di
idiota!”. Mi sciolsi, sorridendole e andandole incontro. Nell’attimo in cui
l’abbracciai mi resi conto di quanto soffrivo la sua mancanza; era vestita di
tutto punto, con la piega fresca e quasi giustificai le sue occhiate torve al
mio grembiule bianco e gli abiti smessi, vergognandomi. Fortunatamente la gioia
di rivedermi non lasciò scampo ad alcun commento sarcastico.
“Fatti vedere..”
Tremai, ci siamo.. ramanzina in arrivo! “Sei ingrassata tesoro?!” Arrossii e
sospirai di gioia allo stesso tempo, “sei oltremodo bellissima.”
“Grazie mamma!” Ero
sinceramente colpita dalle sue parole; la lontananza cominciava ad assumere per
me le sembianze di una squisita rivelazione. “Andiamo, ti mostro il resto della
casa.”
“Ehm..” Qualcuno
tossicchiò alle nostre spalle. “Non vuoi dare un bacio al tuo papà prima di
andare?!” Non avevo notato la figura di Ahmed prima che si palesasse alla
nostra vista.
“Papà!” Non trattenni
l’entusiasmo volandogli letteralmente fra le braccia, baciandolo con infinito
amore. “Mi sei mancato tanto.”
“Anche tu..” il fiato
affievolì fra le labbra carnose, “ma il tuo papà non è più tanto giovane come
credi.” Sorrisi divertita, scendendo dalle sue braccia. “Come stai e come sta
Cedric?!”
“Santo cielo Deesire entriamo o restiamo qui ad arrostirci?!” Il tono da
soprano di mia madre sovrastò la voce di mio padre che concluse i suoi pensieri
ridendo e scortandomi verso l’entrata; li guardai, le due figure che mi avevano
messa al mondo e fui invasa da tanto amore da non saperlo descrivere.
“Rose mostra la camera
ai signori Bonnet” Li guardai, sbirciando con ansia
il corridoio per la cucina alle loro spalle, “vi lascio tutto il tempo per
sistemare le vostre cose e darvi una rinfrescata. Se avete bisogno di qualcosa
non esitate a chiamarmi.” Annuirono, sparendo per il piano superiore.
“Fabien?!”
La porta della cucina era socchiusa, spingendola capii che se ne era andato.
Sul tavolo un
biglietto svolazzava come un ala aperta.
“Super attacco improvviso d’ispirazione.
A presto, Fabien.”
Istintivamente posai
lo sguardo sulla porta/finestra che dava sul giardino e notai che era aperta.
Strinsi i pugni e
sorrisi amara; il super sottolineato era il suo chiaro e disperato messaggio di
disagio per l’intera situazione; l’ispirazione era una delle sue scuse
preferite quando qualcuno di famiglia passava a trovarmi e nel caso di Aurelien
osava anche uno sfrontato “non vorrei farlo ingelosire”, che per me era ormai
abitudine vederlo sparire, ma questo suo atteggiamento refrattario non mi
piaceva per nulla e mi rendeva poco serena. Per giorni nessuno sapeva dove se
ne andava, cosa faceva, dove mangiava.. la sua presenza era segnata solo dal
fioco baluginio delle lampade a olio che spezzava –non tutte le notti- il buio
dell’enorme proprietà Moreau.
I miei genitori ed io
pranzammo all’aperto, sotto la veranda che Aurelien aveva dato incarico di costruire,
dopo le mie incessanti richieste; se c’era una cosa che adoravo del poter
pranzare/cenare all’aria aperta era l’aria di convivialità che un porticato, un
tavolo e alcune sedie potevano regalare ad ogni incontro. Mi ero trasformata
dall’essere una damina ben cortese di città, ad una ragazza di campagna in soli
due mesi e tutto questo cominciava a piacermi sul serio, pensando con
agitazione ad un futuro -e quasi imminente- rientro a Parigi, ai suoi merletti
e alle sue ovvietà. Se adoravo il tavolo esterno poi il motivo era Fabien; con alcuni cocci recuperati dallo scantinato della
sua villa, mi aveva aiutato a ricavarne tanti piccoli tasselli trasformati in
mosaico che ora fungeva da lastra portante del suppellettile, donando vibrante
colore e vivacità all’insulso tavolo che era una volta. Intristii al suo
pensiero, al suo incostante rifuggire le persone ma scrollai le spalle,
aiutando Rose a servire il pane che avevo preparato la sera precedente e i
“disastri” culinari che proprio il ragazzo biondo delle mie pene, mi aveva
bocciato come prova d’esame.
“Quella è la proprietà
dei Moreau, non è così?” Ne avevamo approfittato della frescura di un banco di
nuvole per passeggiare fra i campi, quando Clorine
non si lasciò scappare occasione, indicando con un occhiata fugace la possente
villa difronte la nostra.
La guardai esitante.
“Sì.”
“Si dice che il
pittore sia da queste parti.” Il pittore; non trovai nessun aggettivo tanto
appropriato quanto dispregiativo come quello. Inspirai profondamente,
fulminando mia madre con uno sguardo.
“Si chiama Fabien. E non è qui.” Non era proprio una bugia e nemmeno
la verità ovvio, ma spiegare a Clorine cosa
significasse l’assenza del ragazzo, era un estenuante battaglia persa in
partenza. “Il tuo tesoro è al sicuro, tranquilla.”
“Meglio così. Che
buffa coincidenza sarebbe questa.”
Alzai le spalle; non
avevo mai pensato alla comparsa di Fabien in quel d’Auvers come una -ironicamente parlando- “buffa
coincidenza”; non era a conoscenza della mia presenza lì ed io credevo
ciecamente che mancasse da Parigi e da papabili informazioni sul mio conto, da
un bel po’ di tempo.
“Non direi dal momento
che quì anche l’aria che stai respirando, appartiene ai
Moreau.”
Mia madre incalzò
irritata. “Mi stupisco sempre di quanta fortuna a volte muova profonda incostanza.”
“Anche io.” Risposi
serafica, mettendo fine alla discussione.
Rientrammo in
religioso silenzio, la casa era addormentata e pervasa da un inebriante odore
di lavanda; gemetti ansiosa, accarezzando i mazzi di fiori sparsi sul mobilio e
poi quello più grande, avvolto in un alto nastro blu, sul tavolo centrale nel
salone.
“Aurelien?!” Lo trovai
sul retro, in giardino, piegato sulle vecchie tubature a vista del casale.
“Madame Chedjou, mi duole dirle che i suoi tubi fanno veramente
pena!” Si alzò non appena lo avvicinai, pulendosi le mani sui pantaloni.
Adorabili pantaloni di lino chiaro; la sua visione mi lasciava sempre a bocca
aperta. “Ma la casa ha un ottimo aspetto. C’è il tuo tocco ovunque.” Mi accarezzò
la guancia, posandosi dolcemente sulle mie labbra. “Mi sei mancata.”
“Anche tu.” Gli passai
le mani lungo le braccia. “Entriamo, Clorine ed Ahmed
ti hanno preceduto.”
Sorrise rinfrancato
sentendo nominare il nome di mio padre. “Mi era sembrato di sentire odore di
sigaro..” si posò sui miei capelli, annusando forte. Lo guardai perplessa,
vagamente eccitata e impaurita.
“Sei geloso monsieur Chedjou?!”
Si irrigidì,
scostandosi. “Sì.”
“Mi duole dirle però che
ho dei nuovi amici; cognac e sigaro..” Inspirai teatralmente, “deve farci
l’abitudine.. d'altronde le mie notti sono così solitarie.”
Mi guardò languido. “Ho
intenzione di riempire le tue notti molto a fondo.” Soffiò sensuale sulle mie
labbra, prima di posarvi un bacio all’apparenza molto casto; in breve mi trovai
schiacciata sotto la sua mole e con le spalle scoperte a premere sulla pietra
ruvida della parete. Guardai i suoi occhi verde bottiglia aprirsi ed
accendersi, belli come non erano mai stati prima.
“Via di qua Chedjou..” Sorrisi maliziosa, “non credo che questi tubi
reggeranno il peso delle tue promesse.” Scoppiammo a ridere, prima di rientrare
abbracciati stretti l’uno all’altra.
“Non ci posso
credere!” Poche ore dopo avevo accompagnato i miei ed Aurelien alla scuola di
cucina per mostrargli il nostro operato e dove sostanzialmente finivano i soldi
che stavo investendo; mia madre vagò per i corridoi tramortendo il povero
Gerald su ciò che secondo il suo –poco opinabile- gusto andava e non andava
bene, mentre mio padre parlottava fitto con Aurelien su possibili fusioni ed
espansioni. “Maitre Gerald avrà garantite classi
almeno per i prossimi due anni!” Mio marito aveva grandi doti mediatiche ed io
avevo dimenticato quanto fosse piacevole essere sposata ad un loquace uomo
d’affari; sostanzialmente nei suoi viaggi all’estero aveva convinto alcune
compagnie ad investire sul progetto di Gerald ed il mio facendoci apparire,
quello che all’inizio era solo il sogno di una scuola-futuro per i giovani di
campagna, una joint venture culinaria a livello europeo. Niente male per una
dilettante con la fissa per la scrittura e un maitre
dipendente dai capricci di cucina di qualche riccone.
“Monsieur Chedjou non so come ringraziarla, davvero se posso fare
qualcosa..”
“L’unica cosa che
spero è che lei mi restituisca al più presto mia moglie..” sorrise tornato
bambino, passandomi un braccio intorno al fianco, “sono un uomo perso senza di
lei.” Mi guardò con sincera beatitudine, annullando il resto del mondo intorno
a noi.
Gerald arrossì, lo
scartai dallo zuccheroso Aurelien pregandolo di accompagnare mia madre ai
locali lavanderia. “Ti divertirai a scoprire chi ci lavora.” Il gossip avrebbe
tenuta distratta Clorine per un po’ e reso il maitre un po’ meno pensieroso.
“Amore..” Passai le
braccia intorno al collo di Aurelien, “puoi non far scappare a gambe levate i
miei amici? Ho ancora più di due settimane da passare qui!” Risi, ma lui mi
guardò serio. “Mi manchi davvero, Deesire.
Non-credevo-tanto.” Scandì le ultime parole, accarezzandomi i capelli.
“Vuoi che rientri con
te?!”
“Non sono così egoista.
Ma voglio che non lo dimentichi.” Mi baciò la guancia. “Sono perso senza di
te.”
“Ci vediamo lunedì a
lezione, maitre.”
“A lunedì Deesire. Signori Bonnet, monsieur
Chedjou, arrivederci e a presto.”
Il sole era calato,
sulle colline dolci e degradanti.. i colori che tanto amavo; rimanemmo
incantati sulla discesa che ci riportava sulla strada principale, quando dalla
casetta defilata del guardiano una matassa di capelli biondi e una figura
femminile attirarono la nostra attenzione; Fabien e
Rose se la ridevano di gusto, mentre la ragazza con mani abili si sistemava la
chioma scura e fluente, scarmigliata da chissà quali “attività ricreative
pomeridiane”. Fantastico. Non si accorsero di noi sulle prime, ma quando Rose
incrociò il mio sguardo impallidì. Alzò il braccio verso la nostra direzione,
con un sorriso plastico sul volto.
“Il pittore e la
cameriera.” Mia madre sogghignò, sussurrandomi all’orecchio. “Clichè di indubbio gusto.”
Guardai il ragazzo
incredula del mio stesso stupore e rabbia; sì rabbia, lo immaginavo solo,
depresso, immerso nella sua arte ai confini di chissà quale paese.. ed invece
non aveva mosso neanche un passo lontano da Auvers e
si accompagnava alla mia cameriera! Non so quale delle due cose, in quale
ordine e in quale portata, mi desse più fastidio. Tornai ad assaporare il
fastidioso bruciore alla bocca dello stomaco, così come quando per la prima
volta, lo vidi avvinghiato a Juliette.
Aurelien mi guardò,
alzai le spalle ignorando il suo sguardo carico di interrogativi; gli avevo
raccontato che spesso passavamo del tempo insieme, ma la sua assenza durante i
soggiorni ad Auvers gli avevano indotto a pensare che
quello che si aggirava per il paese, fosse più il fantasma di suo cugino, che
la sua vera presenza in carne ed ossa; evidentemente si era sbagliato. Ed io
con lui, se non fosse stato per quelle maledette luci nel buio, avrei pensato che
il ragazzo con cui condividevo gran parte della settimana, era in realtà una
fantasia sviluppata dalla mia mente.. ma era chiaro che sbagliavo, Fabien era vivo e vegeto, felice ed accompagnato!
“Cugino..” Ci avvicinò
ben attento a non incrociare i miei occhi; Aurelien lo abbracciò sinceramente
entusiasmato dalla sua presenza. Era incredibilmente più alto e piazzato di lui,
che fra le sue braccia sembrava un esile giunco pallido, durante una tempesta.
“Fabien
accidenti a te, non ti fai mai vedere!” Lo colpì affettuosamente due-tre volte
sulla spalla, “come stai? Credo di non vederti dal giorno del mio matrimonio.”
“Oh no, non da così
tanto.” Arrossì e per un impercettibile secondo mi guardò, “Deesire
mi ha raccontato che gli affari vanno bene? Sono stato via anche io.”
“Gli affari vanno
bene, ma nostro nonno ti reclama come sempre.” Si guardarono carichi di domande
inespresse, dubbi, tensioni. “Non ne vuoi proprio sapere di passarlo a trovare?!
Gli farebbe piacere fare due chiacchiere con te.” Fabien
si guardò attorno chiudendosi sempre più nelle spalle; mia madre batteva
nervosamente un piede in terra pendendo da quella risposta, mio padre con la
scusa di accendersi un sigaro si era allontanato, io ero un tumulto di
sensazioni contrastanti. “Pensaci. Intanto perché non ti unisci a noi per la
cena?!”
“Aurelien ti ringrazio,
ma ho già altri programmi per la serata.”
Tutti guardammo Rose e
la poveretta arrossì violentemente. “Ci sarai almeno per il compleanno di Deesire, domani sera? E non dirmi di no perché mi ha
raccontato che passate un sacco di tempo insieme, penserei troppo male se non
venissi.” L’attenzione da Rose si spostò su di me; gli occhi di mia madre erano
spilli ardenti sulla mia schiena. Mi schernii.
“Non forzarlo
Aurelien, ci ha già detto che è impegnato.” Corrucciai le labbra in una
smorfia, un lampo di malizia percorse le pupille di Fabien.
“Però..” piegò le
labbra a un lato sardonico, appoggiandosi con tutto il peso sulla mia spalla,
“per il tuo compleanno posso anche liberarmi.” Maledetto sorriso sexy e
maledetta faccia tosta.
“Non darti questa pena
Moreau..” Sibilai fra i denti. “Non sentiremo la tua mancanza.” Risposi con il
mio sorriso migliore, ma il mio tentativo si trasformò in una smorfia ben
peggiore della precedente, tanto che Rose dovette appellarsi a tutte le sue
forze per non ridermi in faccia.
“Nessuna pena. A che
ora hai detto cugino?!”
“Alle otto andrà bene.”
Poi guardò la ragazza, “Rose spero sarà dei nostri? Mia moglie se la caverà per
un giorno senza il suo prezioso aiuto.”
Quella annuì, “Con
molto piacere monsieur, madame Chedjou è un ottima
amministratrice.”
E tutto ciò che avrei
desiderato amministrare in quel momento era il collo di Fabien..
fra le mie mani.
La pioggia ad Auvers era un fatto raro, specie d’estate. Ma quella notte
venne giù il finimondo. Mi giravo e rigiravo nel letto non trovando pace;
quella risata, le donne che si scioglievano ai suoi piedi, tutto di Fabien mi teneva sveglia e stanca. Ero arrabbiata, e lo ero
anche con Aurelien.. perché invitare degli ospiti senza neanche ascoltare il mio
parere? Beh forse perché era di suo cugino che stavamo parlando, ed Aurelien
era così affettuoso, gioviale.. aveva ammesso Rose al nostro tavolo, un vero
gentleman.
Che avevo da
blaterare?
“Deesire..
che ore sono?!”
Le sue mani vagavano
sulle coperte leggere ormai fredde; ero alla finestra che guardavo scorrere
l’acqua sulla strada ed abbattersi sull’enorme mausoleo spento che era la casa
dirimpetto.
“Non riesco a
dormire.” Mi strinsi nelle spalle. “Nessuno dovrebbe stare solo in una casa del
genere.”
“Chi ti dice che è
solo?” Aurelien si tirò su, facendo volteggiare il lenzuolo sulle mie spalle.
“Quando finirai di preoccuparti per gli altri madame Chedjou?!”
“Credo.. mai.” Mi
girai, allacciandogli le braccia al collo. “Sono un caso disperato.”
“Sei la mia
disperazione..” mi guardò divertito, posandomi un bacio sulla punta del naso.
“Se vado ad accettarmi che stia bene tornerai a dormire?!”
Guardai ancora una
volta la pioggia sferzante e mi si strinse il cuore. “Vado io.”
“No! Ti bagnerai e non
voglio.” Mi lasciò, afferrando vestaglia e scarponcini portandosi al piano
basso. “Voglio trovarti serena e dormiente al mio ritorno, non ammetto
repliche.” Mi soffiò un bacio dal buio e sentii il cuore tamburellarmi nel
petto; perché mi preoccupavo così tanto per la sorte di Fabien?
Perché il suo pensiero mi angosciava, mi teneva sveglia e le sue donne provocavano
in me profondi attacchi di bile?
Avevo una cotta per
lui, lo stupido artista da strapazzo, villano, irritante, sfuggente pittore.. ed
io, avevo una cotta per lui.
“Buongiorno.” Un bacio
dolce e morbido mi ordinò di aprire gli occhi; avevo un tremendo mal di testa,
i capelli arruffati come se avessi combattuto una personale guerra con il
cuscino e una spiacevole sensazione di sconfitta addosso. “Tanti auguri amore.”
“Voglio dormire.. sto
male.” Mi rigirai nelle lenzuola, Aurelien rise alzandosi.
“No che non stai male.
E’ solo un anno in più.” Afferrò cappello e giacca sistemandosi un ciuffo
ramato e ribelle, “ma puoi dormire sogni sereni mia bella addormentata.. sei
uno splendore.”
Alle sue parole mi
alzai di scatto correndo in bagno, mi piegai sulla tazza e svuotai il mio corpo
delle frustrazioni della sera precedente; non era stato un brutto sogno, avevo
ammesso nel mio inconscio di provare qualcosa per Fabien
Moreau e al sol pensiero rimisi di nuovo.
“Rimandiamo la cena,
non stai bene.” Gli occhi di Aurelien erano verdi spavento.
“Ma no, non
preoccuparti, non sto poi così male. Sarà stata quell’orribile quiche.”
Lo sguardo apprensivo
di Aurelien la diceva lunga su molte
cose. “Ti prego non guardarmi così. Sono solo stanca e forse hai ragione
tu, devo tornare a Parigi il prima possibile.”
“Sei sicura.. che non
ci sia altro?!”
Lo guardai spaventata.
“Altro?!”
Arrossì prima di
parlare. “Quando hai avuto il tuo ultimo ciclo?!”
Ciclo. Gravidanza.
Bambino. Stavo per piangere, il suo candore poteva spezzarmi da un momento
all’altro. “E’ appena passato.” Ammisi consapevole di veder trasformare quella
curiosità da speranza in delusione. “Mi dispiace.” Biascicai e poi fu tutto,
crollai inesorabilmente fra le sue braccia lasciandomi andare in singhiozzi
devastanti.
Passai l’intera
giornata a rimuginare su me stessa, le otto arrivarono in un soffio.
Il giardino illuminato
dalle fiaccole, sedute sontuose e tavoli traboccanti di delizie, racchiudeva
tutta quella che occhio e croce poteva definirsi Auvers;
c’erano i proprietari dell’unica panetteria, i proprietari dell’unica pensione,
maitre Gerald a suo modo unico padrone di un attività
ancora nuova, i suoi alunni più le solite comari da sedie e uncinetto da
strada. Mia madre si destreggiava da un gruppo all’altro come solo lei era in
grado di fare, intrattenendo gli ospiti con la sua verve e humor così poco
francese; sapeva trasformarsi in una donna assai brillante, quando il buonumore
era puntato sul tasto on.
Che inesorabilmente
passò ad off.. quando dal vialetto spuntarono Fabien
e Rose a braccetto; posai il vassoio dei dessert così malamente sul tavolo, da
sentire la punizione tacita che maitre Gerald mi
inflisse con lo sguardo. Scappai in cucina chiudendomi la porta alle spalle. La
respirazione era fondamentale, se fossi riuscita a controllarla forse avrei
evitato di farmi venire un infarto.
“La festeggiata ha una
crisi di nervi?” Sentii la sua voce alle mie spalle e sorrisi sarcastica.
“Te l’ho già detto una
volta Moreau, non sei così importante.”
“Ahi- ahi Deesire, io non parlavo di me.” Mi sfilò accanto prendendo
i vassoi. “Ti aiuto, non vorrei combinassi qualche guaio.” Mi morsi un labbro nervosa,
afferrando delle bottiglie di vino dal tavolo. “Dunque sono fra i tuoi
pensieri?!” Bisbigliò cauto, con il sorriso sexy e laterale stampato in faccia.
“Taci Moreau.”
“Altro sì.” Soddisfatto
adagiò delicatamente tutto sui tavoli del buffet e raggiunse Rose in disparte
con alcune ragazzine vestite in stile charleston, il tema che Aurelien aveva
dato al party visto la mia totale adorazione per gli anni venti; tutto intorno
era un tripudio di broccato, perle nere, cuffie e piume.
“Quello cosa
sarebbe?!” Vidi mio marito scartare la folla e venirmi incontro agitando un
pacchetto con della carta da alimenti; me lo porse, “Il tuo regalo.”
Prese una forchetta e
la agitò contro il flute di cristallo. Tutti si
voltarono a guardarci. “Per quanto importante sia questo giorno, voglio
festeggiare anche il nostro primo anno insieme, Deesire.
Un anno da quando Ahmed Bonnet mi ha concesso lo
straordinario onore di farti mia sposa.” Guardò a mio padre, mimando un
brindisi tutto loro, poi tornò su di me, “Ti amo, più di qualsiasi altra cosa
al mondo.” Strappai avida la carta; un fascio di copie di Regards
arretrati se ne stava immacolato nella mia mano. Lo guardai grata e consapevole
della ponderazione che aveva avuto per quel dono; il suo tatto e la sua finezza
potevano arrivare a tanto, ed ero sinceramente commossa. Picchiettò sui
giornali e tornò con lo sguardo nel mio. “Per dirti quanto mi manchi e quanto
ti rivoglio nella mia vita. E questo..” Frugò fra le tasche estraendo una
scatola quadrangolare di velluto blu; lo aprì con deliziosa calma, scoprendo
una cascata di gocce in diamanti incastonati in una collana rigida d’argento.
“Diamanti unici nel loro genere, purissimi e irraggiungibili. Come te amore
mio.. preziosa.” Guardai esterrefatta il collier senza saper articolare nessuna
frase di senso logico; me lo adagiò al collo, mi prese la mano e sfiorò le
nocche con le labbra. “Proprio l’effetto che speravo.” Sorrise ed io con lui,
afferrai quelle labbra con un bacio e sospirai al suo orecchio. “Mi conosci
meglio di chiunque altro. Non sarai egoista, ma hai sempre la capacità di
riportarmi a casa. Tu sei la mia casa, Aurelien, dove devo essere, dove voglio
essere. Ti amo.”
Ed ero sincera, come
lo ero sempre stata, ero innamorata di Aurelien ma lo ero anche di Fabien.
“Siete sicuri che non
volete restare?!” La macchina che avrebbe riportato Aurelien e i miei genitori
a Parigi era pronta fuori al viale; Clorine era
arrivata al limite massimo di sopportazione fango/insetti/tempo incerto e
smaniava di tornare ai suoi pavimenti di marmo e agli abiti costosi, mentre ai
due spettavano delle conferenze sullo stato attuale delle attività.
“Ci vediamo fra due
settimane, puoi starne certa.” Aurelien mi passò la mano fra i capelli, ricordandomi
il restante tempo di solitudine che mi aspettava davanti. “Ho una sorpresa per
te quando torneremo a Parigi.”
“Un'altra?!” Lo
guardai stralunata.
“Ti piacerà.”
“Come tutto di te.”
Gli sorrisi, accompagnando la portiera dell’auto. “Ti amo.”
“Ti amo Deesire.”
Li salutai energicamente
con la mano finchè non sparirono fra le curve e gli
alberi, montai in sella alla bicicletta in direzione della scuola; trovai un maitre Gerald impaziente di assaggiare le mie proposte
d’esame e autoritario più del solito, con lunghe liste di ingredienti e ricette
da volerci far sperimentare.
“Non ci siamo madame Chedjou.” Sputò la quiche nel tovagliolo e mi sentii persa;
se non ero in grado di cucinare uno stupido tortino salato come potevo ambire
ad aiutarlo nella nostra nuova avventura europea? “Vada a casa e si metta
sotto, voglio la ricetta e non uno stuzzichino privo di gusto ed estro.”
Protestai un po’, ma a mezzogiorno ero già sulla via di casa.
“Madame non si sente
bene?!” Rose mi accolse con la sua ritrovata aria da stacanovista.
Alzai le spalle. “Vado
a riposare, non ci sono per nessuno.” Non che ambivo a qualche visita e
tantomeno non potevo sapere che da lì a poco la mia vita sarebbe stata
sconvolta per sempre.
“Cosa è questo
trambusto?!” Mi svegliai dopo un tempo incalcolabile, alle finestre era già
l’imbrunire.
“Monsieur Moreau è nel
vostro giardino.” Rose parlò trafelata, “l’ho pregato di andare via ma non ne
ha voluto sapere.” Scansai la domestica e mi portai fuori, per poco non ci
restai secca; Fabien aveva montato un palco di legno
nell’angolo morto del giardino, proprio accanto al capanno degli attrezzi.
“Moreau!” Lo richiamai
e quello si voltò guardandomi agitato. “Cosa diavolo stai facendo?!”
“Doveva essere il tuo
regalo di compleanno ma..” Mi guardò come un bambino beccato a rubare le
caramelle. “E’ un palco per il tuo charleston!” Aprii la bocca disegnando una O
precisa, indecisa se arrabbiarmi o essere maledettamente colpita; mi conosceva
bene. “Rose mi ha insegnato qualche passo.. ho pensato che potevamo
esercitarci, qualche volta, se ne avevi voglia.”
Sentii le gambe molli,
mi adagiai in terra sull’erba fresca. “Non ti piace?! Lo faccio sparire..”
“Fermo.. è.. è
perfetto. Tu.. è colpa tua.” Lo guardai seria, smise di ridere e si mise seduto
anche egli. “I tuoi sbalzi di umore mi fanno impazzire. La tua solitudine mi fa
impazzire.” Mi tremarono le labbra, ma soffiai flebile.
“Tutto-di-te-mi-fa-impazzire.”
I suoi occhi verde-azzurro
si velarono, si alzò di scatto indietreggiando. “Non sai quello che dici. Sta
zitta.”
Mi alzai stizzita,
stagliandomi contro la sua figura esile. “Sta zitta?! Ma chi ti credi di
essere? Sei insopportabile Fabien, sei inopportuno,
lunatico..”
“Io sarei lunatico?! Deesire sei la donna più controversa che io conosca!”
“Ah beh se lo dice Fabien Moreu ci posso ben
credere! Lo charmeur colpisce ancora
signori e signore..”
“Stiamo discutendo
della mia vita sentimentale, adesso?!” Tornò il sorriso di scherno sulle sue
labbra. “Mi sono perso qualche passaggio?!” Alzò di un tono la voce, un
movimento fulmineo alle tende lo turbò.
“Per quel che
importa.” Alzai le spalle ma fui trascinata dalla sua furia fuori dal vialetto,
oltre la casa, in direzione della sua; gli arrancavo alle spalle strattonando a
momenti, ma la sua mano teneva stretto il mio braccio. “Lasciami charmeur, mi fai male!” Mollò la presa e
gli finii contro le spalle; si girò stringendomi le braccia ai fianchi. Mi penetrò
con uno sguardo furente. “Importa eccome Deesire, ti
rodi dalla gelosia, ammettilo!”
“Gelosa di te?!”
Potevamo sfiorarci le fronti da tanto che eravamo vicini. “Mai!” Il mio
temperamento diceva no, ma i miei occhi dicevano sì; cominciai a lacrimare,
dalla rabbia, dalla frustrazione e anche dal dolore per quella morsa imponente.
Fabien era forte, un leone nel corpo di una gazzella.
“Lasciami char..
Fabien, ti prego. Lasciami, mi fai male.” Le mie
lacrime e la mia supplica fecero scattare la sua mani dai fianchi al mio viso.
“Tu mi ami Deesire.”
“No.” Sì, urlava il
mio corpo tremante.
“Sì.” E mi baciò,
morbido, senza fretta.
“No.” Risposi al
bacio, protestando debolmente.
“Sì.” E ancora uno,
stavolta più sicuro.
“No.” Lo aspettavo, schiusi
le labbra accettandolo.
“Sì.” Mi parlò deciso
sulle labbra, ancora calde del suo sapore. “Ed è meglio se te ne vai, ora..
perché tutto ciò che voglio è prenderti fra le mia braccia, portarti dentro e
fare l’amore con te, Deesire.”
“No!” Urlai e scattai indietro mettendomi a correre
verso casa.
*
NDA:
Capitolo decisivo amiche
e amici miei! Cosa succederà da qui in poi?!
Per ora solo scintille
fra la tosta Deesire e lo charmeur Fabien. Vi è piaciuto il capitolo?
Spero tanto di sì.
Vi aspetto numerosi,
intanto vi abbraccio virtualmente forte.
Lunadreamy.