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Autore: Blackbird_    08/05/2013    3 recensioni
1544, ultimi anni del regno di Carlo I di Spagna. Don Juan Tenorio si trova nel bel mezzo della sfida contro Don Luis Mejia: chi sarà in grado di conquistare più donne e di uccidere più uomini sarà il vincitore.
Doña Celeste è una giovane nobile innocente e smaliziata, che non crede nell’amore ma odia l’idea di doversi sposare con un uomo scelto dai propri genitori. È proprio lei la nuova vittima scelta da Don Juan che utilizzerà la sua infallibile tecnica di corteggiamento.
"Quanti giorni impieghi in ogni donna che ami?" "Uno per farla innamorare, uno per averla, un altro per abbandonarla, due per sostituirla e un'ora per dimenticarla"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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Terzo giorno: otro para abandonarlas.


Generalmente detestavo gli eventi mondani e, ormai, questo funerale era diventato un evento importante a tutti gli effetti. Proprio come avevo previsto erano tre giorni che non si parlava d’altro in paese e a corte. Quella mattina, però, cercai di tenere il mio cinismo da parte. Ero troppo emozionata all’idea della proposta di matrimonio e nessun funerale avrebbe mai potuto rovinarmi l’umore. Nemmeno mia madre e i suoi insopportabili modi di darmi continuamente degli ordini mi impedì di mantenere il sorriso stampato sul mio volto. Pochissime ore e nessuno avrebbe più parlato di quella povera sventurata: presto sarebbe stato il mio matrimonio la notizia sulla bocca di tutti.
Lasciai che Letitia stringesse il corpetto fino a farmi mancare il fiato, proprio come le era stato ordinato. La mia unica speranza era quella di vederlo cadere ai miei piedi, strappato dalla lama affilata del mio cavaliere. Mi rimproverai mentalmente per i miei pensieri volgari, ringraziando il cielo per non essere circondata da persone in grado di leggere la mente.
Quando finalmente ebbe finito, ci spostammo entrambe davanti all’enorme specchio posto al lato del mobile della toeletta. Il vestito era meraviglioso: completamente nero, come la tradizione imponeva, ma al tempo stesso sfarzoso, pomposo. Le cuciture con filo d’oro gli donavano un tono elegante e lussuoso, nonché quell’aria luminosa che la stoffa scura gli toglieva. Era perfetto per la doppia occasione a cui sarebbe servito.
“E’ davvero un peccato che Don Juan non vi possa vedere così” sostenne Letitia sospirando, stringendomi le spalle per infondermi forza. Non le avevo raccontato nulla di tutto ciò che era successo il pomeriggio precedente, né tantomeno ciò che ci eravamo detti. Secondo la versione che conosceva, ci eravamo parlati, mi aveva confessato nuovamente il suo amore ma si era generosamente fatto da parte pur di lasciarmi vivere una vita felice, seppur lontana da lui. Nonostante le volessi un gran bene e avessi piena fiducia di lei, non ero riuscita a dirle tutta la realtà. La verità era che mi vergognavo di una sua opinione, considerando che solo il giorno prima ero stata in grado di criticarla per aver fatto la medesima cosa con lo scudiero di Don Juan. Avevo anche paura di spiegarle le motivazioni per averlo fatto: non avrei mai e poi mai ammesso di essere innamorata di lui e di aver fatto tutto quanto solo per il suo amore. L’unica cosa che mi consolava era che tutta quella farsa sarebbe durata davvero poco. Dopo il matrimonio e la nostra prima notte di nozze avrei potuto ammetterle di aver fatto l’indicibile insieme a mio marito, e non mi sarei dovuta preoccupare delle sue opinioni a riguardo.
“Leti, per favore, non parlarmi più di lui” dissi portandomi una mano al cuore in maniera teatrale. Annuì silenziosa, dispiaciuta.
Quando finalmente tutto fu pronto scesi in giardino per una solitaria passeggiata prima di partire alla volta del paese. Nonostante fosse molto presto le temperature erano già notevolmente alte. Lasciando che i miei piedi decidessero per me dove andare, mi ritrovai ben presto nella zona all’ombra del castello, proprio dove il pomeriggio precedente mi ero incontrata con Don Juan. Sorrisi lievemente, convinta che fosse stato il cuore a suggerirmi quella via. Mi avvicinai all’arco di rose, dove i fiori avevano appena riaperto i loro petali ai primi accenni della calura giornaliera. Ne notai a terra uno. Lo raccolsi. Aveva lo stelo spezzato. Senza grande difficoltà realizzai che quello, con molta probabilità, era il fiore che mi era stato porto il giorno prima. Pensando di onorare e riportare alla mente bei ricordi al mio amato cavaliere decisi di non riposare la rosa al suo posto, ma di utilizzarla per adornare i capelli. La incastrai senza troppa difficoltà nell’acconciatura alta che Letitia mi aveva fatto.
Finita la mia passeggiata raggiunsi i miei genitori. Mia madre fulminò con lo sguardo la rosa fra i miei capelli ma non si lamentò della mia scelta ardita. Mi consegnò un velo nero, ordinandomi di indossarlo sul capo. Obbedii senza protestare. Sebbene non ne avessi fatto alcuna parola con loro, non dovendolo sapere, ero comunque terribilmente grata ad entrambi per aver concesso a Don Juan Tenorio di sposarmi al posto di Don Diego Hortega.
Anton entrò in camera annunciandosi con dei leggeri colpi alla porta, e ci informò dell’arrivo della carrozza. Quando uscivamo tutti e tre eravamo solito farlo in grande stile, nonostante accadesse molto di rado. Il cocchiere iniziò a condurci verso la chiesa di paese, percorrendo il tragitto più popolato ma anche il più lungo. Tutti dovevano vederci. Lungo gli spaziosi viali alberati lasciai che la mia mente vagasse il più lontano possibile da quel trabiccolo, immaginando il mio futuro roseo. Il bosco che costeggiava il sentiero si diradò velocemente, lasciando spazio alle casupole del paese. Tutti si voltavano per guardarci, alcuni si inchinavano al nostro passaggio. Mio padre e mia madre erano orgogliosissimi di tutte quelle attenzioni, e sorridenti salutavano le persone lungo le strade. Tutti ci amavano e ci rispettavano, da quelle parti, come fossimo la famiglia reale e i miei genitori non potevano far altro che gonfiarsi di tutte quelle attenzioni così amate. Io, dal canto mio, continuavo a guardare oltre la linea dell’orizzonte, perdendomi fra i miei pensieri più nascosti.
Con l’arrestarsi della carrozza, tornai alla realtà. Dopo pochi istanti d’attesa, trascorsi in silenzio, il cocchiere spalancò la porta e diede una mano a scendere da lì a tutti e tre. Il sole mi accecò. Mi guardai intorno disorientata, vedendo attorno a me solo decine di persone sorridenti che ci salutavano. Tutti gli uomini si tolsero il cappello, mentre le donne chinavano la testa in segno di rispetto. Tutti quei sorrisi stonavano col contesto della situazione. Ogni attenzione era velocemente catapultata su di noi, lasciando che la disgrazia della povera ragazza morta venisse ignorata. Mia madre mi prese sottobraccio ed insieme salimmo la gradinata della chiesa, fino al portone d’ingresso.
Il parroco del paese parlottava sottovoce con Padre Filiberto proprio al fianco della piccola colonna sulla quale era sistemato il fonte battesimale. Io e mia madre, seguite da mio padre, ci avvicinammo per bagnarci le dita e fare il gesto della croce. Sbuffai silenziosamente, già annoiata da tutti quegli inutili convenevoli, ma comunque attirai l’attenzione dei due preti che mi incenerirono con lo sguardo. “Doña Dulcinea, benvenuta” pronunciarono in coro i due, teatralmente. Uno dopo l’altro baciarono la mano di mia madre che li fissava soddisfatta. “Nella stanza al lato della sagrestia si stanno svolgendo gli ultimi preparativi per la celebrazione. Accomodatevi pure nelle panche preparate appositamente per vossignoria. Sono in fondo, proprio al lato del cero pasquale” il parroco ci indicò il luogo dove dovevamo accomodarci e, senza proferire parola, seguimmo le sue direzioni e raggiungemmo le nostre postazioni.
Dopo qualche minuto d’attesa, che trascorsi guardando la gente che lentamente occupava i propri posti e sperando nell’arrivo di Don Juan, la campanella suonò e tutti si alzarono in piedi. Malvolentieri fui costretta ad abbandonare le mie ricerche fra la folla e a dedicare tutta la mia attenzione sui due preti che, vestiti appositamente per la celebrazione, avanzavano lentamente cospargendo le navate di incenso. Dietro di loro quattro uomini corpulenti con un lungo cappuccio che copriva loro il volto, probabilmente dei contadini, trasportavano sulle proprie spalle una cassa di legno di faggio, aperta. Alle loro spalle un ragazzetto trascinava faticosamente il coperchio della cassa. A concludere la misera processione un uomo e una donna in lacrime. Capii immediatamente che quelli fossero i genitori della ragazza. L’uomo si sistemò nella panca in prima fila, mentre la donna, urlando in modo straziante dal dolore, seguiva passo passo i quattro contadini che trasportavano il corpo della figlia. Si gettò letteralmente su di esso non appena la cassa fu poggiata a terra.
Involontariamente il mio sguardo cadde sulla ragazza. Il pallore e gli evidenti segni della morte non avevano intaccato la bellezza semplice della poverina. Gli occhi leggermente gonfi e le labbra violacee erano gli unici aspetti che rovinavano il suo volto. I boccoli castani raggiungevano eleganti le mani incrociate, appoggiate delicatamente sul ventre leggermente rigonfio. Indossava un abito bianco di stoffa pregiata, adornato con del pizzo. Era una creatura così pura, così innocente. Al solo pensiero del suo tragico ed insensato gesto mi si riempirono gli occhi di lacrime. Perché mai una fanciulla così bella, così giovane, avrebbe mai dovuto compiere un’azione simile? Il suo onore perduto e la sua presunta gravidanza non avrebbero mai compensato la perdita di una vita.
“Celeste, contieniti” mi rimproverò mia madre notando i miei occhi lucidi. Cercai di chiedere scusa ma nessun suono uscì dalla mia bocca. In ogni caso obbedii, cercando di non provocare la sua ira.
Passato qualche minuto in cui tutti si apprestarono a fissare, compatire e parlar male alle spalle della povera madre, i due sacerdoti diedero il via alla celebrazione del funerale.
Distolsi lo sguardo dalla ragazza, dalla cassa di legno chiaro e dalla donna che, ancora piangendo, venne trascinata dal marito verso il loro posto a sedere. Cercai di pensare ad altro, di pensare a qualcosa di bello. Non fu affatto facile trattenere tutte le emozioni negative che affioravano dai miei pensieri, ma mi costrinsi a fare ciò che fosse più giusto per la mia immagine. La mia mente si soffermò sulla figura di Don Juan e finalmente riuscii a raggiungere equilibrio, seppur precario. Non ascoltai nemmeno una parola di tutta la messa, occupata com’ero nel cercare di mantenere quello stato mentale così ambito.
Tornai alla realtà solo quando la campana suonò nuovamente. La donna, che in quell’ora appena trascorsa era riuscire a fermare i fiumi di lacrime, si gettò nuovamente sulla cassa contenente sua figlia. Si fece il segno della croce e con un’espressione addolorata accarezzò dolcemente il volto pallido della figlia. L’uomo la seguì, diede un bacio sulla fronte della ragazza e fece un cenno veloce al ragazzetto del coperchio. Questi si avvicinò lentamente e lasciò cadere con molta poca grazia il pezzo di legno sull’apertura della cassa. Padre Filiberto si avvicinò e cosparse di fumo profumato la bara, mentre i quattro contadini la richiudevano velocemente con dei chiodi. Appena la benedizione finale fu conclusa, i quattro trasportarono sulle spalle il corpo della ragazza, sparendo aldilà del portone.
Lentamente tutti lasciarono i loro posti per seguire il corteo funebre. Io e i miei genitori fummo gli ultimi a lasciare la chiesa. Raggiungemmo a passo lento il chiostro della chiesa. Al centro era posiziona la cassa, mentre tutt’attorno, nelle zone d’ombra dello spiazzo, erano sistemati numerosi tavoli colmi di cibo e di bevande. Era chiaro che la famiglia della morta non aveva badato a spese pur di frenare le malelingue della gente del paese, sperando che tutti iniziassero a parlare positivamente dell’accaduto.
Mio padre e mia madre iniziarono il loro giro di socializzazione, mentre io rimasi vicino all’entrata per poter guardare la gente presente. M’infastidiva notare come tutti avessero già dimenticato il motivo per cui si trovassero lì, impegnandosi unicamente sulla vita di società e sul cibo presente. Probabilmente molti dei presenti non avevano mai visto tutto quel ben di Dio in una sola volta.
Il mio cuore sobbalzò non appena vidi il mio amato Don Juan, e le mie labbra si piegarono in un sorriso felice. Sorriso che svanì non appena notai che fosse occupato a parlare e a ridere con una giovane dama dai lunghi capelli corvini. Non troppo alta, con la pelle colorita dal sole e piccoli occhi maliziosi, sembrava fosse seriamente intenzionata a divorarlo con lo sguardo, mentre lui sembrava compiacersi di tali attenzioni. Scacciai i brutti pensieri scuotendo la testa, ipotizzando che si trattasse di qualche sua parente o una vecchia conoscenza. Li seguii con lo sguardo e li vidi avvicinarsi al tavolo dove erano disposti i bicchieri di vino. Presi fiato e decisi di raggiungerli. Di raggiungerlo, a dire il vero, e di cacciare quella strana ragazza.
“Doña Celeste, finalmente ci incontriamo” mi bloccò al centro della piazza un cavaliere. Sospirai, dovendo rinunciare momentaneamente alla mia missione. Il ragazzo che mi bloccava il passaggio aveva presumibilmente qualche manciata di anni più di me, ma era abbastanza chiaro dai suoi lineamenti giovani che non superasse i ventisei anni. I suoi occhi scuri mi fissavano luminosi, e per un istante pensai mi stessero sorridendo. Nonostante fosse di una bellezza ordinaria, aveva un non so cosa che m’incuriosiva e mi attirava al tempo stesso. “Sarebbe molto cortese da parte vostra dirmi il vostro nome, non credete?” dissi lanciandogli una frecciatina, mentre con lo sguardo controllavo che Don Juan si trovasse ancora dove lo avevo visto poco fa. Sebbene il ragazzo di fronte a me non fosse particolarmente altro, le sue spalle mi impedivano di vedere oltre e, sbuffando, tornai a dedicargli tutta la mia attenzione. Probabilmente non si accorse delle mie occhiate furtive verso i tavoli e, con un inchino, prese la mia mano e la baciò. “Perdonatemi, mia cara. Il mio eccessivo entusiasmo mi ha reso un completo maleducato” tornò ritto e mi guardò dritto negli occhi. Sorrise lievemente. “Sono Don Diego Hortega” si annunciò infine.
Strabuzzai gli occhi, incredula di tale rivelazione. Dal modo in cui i miei genitori erano entusiasti di lui e da come me ne avevano parlato nei giorni precedenti, la mia mente aveva creato un’immagine di lui completamente errata. Lo pensavo vecchio, burbero, pieno di rughe ma anche di soldi e di medaglie all’onore. Su queste non avevo affatto sbagliato: la divisa dell’esercito spagnolo che indossava era zeppa di spille e medaglie che mostravano la sua forza e valorosità in battaglia.
Improvvisamente mi sentii in colpa nei suoi confronti. Per un attimo misi da parte la mia felicità e il mio entusiasmo nello sposare l’uomo che amavo e iniziai a pensare a quanto fosse costretto a soffrire questo cavaliere, anche per colpa mia. La sua promessa sposa era morta pochi giorni prima del loro matrimonio ed io mi ero rifiutata di sposarlo, sostituendolo con un altro.
“Mi dispiace davvero tanto” dissi, portandomi le mani alla bocca. I sensi di colpa erano completamente padroni del mio corpo e della mia mente. “Oh, non vi preoccupate, mia cara. Passerà” disse tranquillo, carezzandomi lievemente un braccio. Sorrideva, ma capii che quello non fosse altro che un gesto di circostanza. “Avrete sofferto davvero molto. Il destino è davvero crudele” continuai, con sincerità. Scosse la testa e strinse entrambi le mie mani fra le sue. “Sono sicuro che da adesso in poi tutto andrà per il meglio” pronunciò profetico.
“Ve lo meritate davvero, troverete…” il mio discorso venne interrotto da un’improvvisa folata di vento che fece svolazzare il velo che portavo davanti al volto. La rosa bianca che indossavo a mo’ di decorazione per la  mia acconciatura volò via. La seguii con lo sguardo, mentre volava fra la folla. Cadde improvvisamente ai piedi di un uomo che la raccolse prontamente. Rimasi piacevolmente sorpresa nel notare che quell’uomo fosse Don Juan Tenorio. Non avevo notato il suo spostamento, occupata com’ero a dispiacermi per Don Diego. Lo guardai mentre portava il fiore vicino al volto, per sentirne l’odore. Alzò gli occhi e finalmente i nostri sguardi si incrociarono per la prima volta da quando era arrivato. Sorrise maliziosamente e si avvicinò a grandi passi verso di me, lasciando lì la ragazza con cui ancora si stava intrattenendo. Con uno scatto lasciai la presa del povero Don Diego che non ne capì il motivo finché il mio amato non ci raggiunse. “Doña Celeste, questa dev’essere vostra” disse porgendomi quella rosa che entrambi conoscevamo così bene. “Vi ringrazio di cuore” gli dissi, sorridendo. Venni percorsa da un’infinità di brividi appena sfiorai le sue mani e cercai disperatamente il suo sguardo che, però, non si posò mai su di me.
“Don Diego” pronunciò con un inchino “è sempre un piacere per me incontrarvi”. La sua espressione ricca di scherno tornò a riempirmi di sensi di colpa. Non aveva nessun motivo per infastidire il povero Don Diego, non dopo avergli già rubato la possibile futura moglie. L’espressione di Hortega si era infatti irrigidita. Il suo sorriso dolce era scomparso, lasciando spazio ad una smorfia di disgusto. Nessuno dei tre parlò per qualche istante, lasciando calare un silenzio decisamente imbarazzante. “Vi lascio nuovamente soli” disse infine Don Juan, seccato dalla mancata risposta del suo rivale, dileguandosi fra la folla.
Rimasi delusa dalla sua reazione. Mi aspettavo che, una volta incontrati, mi avrebbe presa con sé per dichiarare finalmente a tutti il nostro matrimonio. Ma nulla di tutto ciò accadde. Se ne tornò, anzi, dalla ragazza dai capelli neri. Sembravano davvero in confidenza e il solo vederli insieme m’infastidiva a morte. Chi era quella, e cosa voleva dal mio futuro marito?
Improvvisamente Don Diego strinse nuovamente le mie mani, distogliendomi dai miei pensieri. “E’ arrivato il momento, non credete?” mi domandò. Era arrivato il momento dei saluti. Mi aveva fatto davvero molto piacere incontrare quell’uomo, conoscerlo e scambiarci quattro parole. Sembrava un tipo sincero, buono, sentimentale. Speravo davvero con tutto il cuore che trovasse una donna degna del suo amore, capace di amarlo e di onorarlo per tutto il resto della sua vita, evitandogli ulteriori sofferenze. Annuii, stringendogli le mani.
“Attenzione prego!” urlò, acquistando l’attenzione di tutti i presenti. Mi si gelò il sangue: cosa aveva intenzione di fare? Cercai con lo sguardo Don Juan che, ad un angolo del chiostro, sembrava davvero molto divertito da tutta quella improvvisa situazione e,soprattutto, dal mio grande stupore. “Sono orgoglioso di annunciarvi che presto la qui presente Doña Celeste Vuentas de Huelma diventerà mia moglie. I preparativi sono già iniziati ed ovviamente siete tutti invitati”.
“COSA?” urlai. Nessuno mi sentii, a causa del boato delle grida di gioia provenienti da tutti. Nemmeno Don Diego mi sentì, ma anzi si voltò nuovamente verso di me con un sorriso raggiante. “Da adesso in poi tutto andrà meglio” ripeté. “Grazie a te” sussurrò, e chinandosi di poco mi schioccò un bacio sulla guancia che causò un ulteriore boato di entusiasmo. Lo fissavo con gli occhi strabuzzati, incapace di parlare o di chiedere spiegazioni di ogni sorta. Altalenavo lo sguardo fra di lui e Don Juan che, all’ombra di tutti, se la rideva di gusto.
Ognuno dimenticò la cassa con la morta al centro del chiostro ed iniziò ad accalcarsi per avvicinarsi e farci le congratulazioni ed i migliori auguri. I miei genitori ci avevano raggiunto e si erano posizionati alle nostre spalle, a voler supervisionare che tutti venissero anche solo a stringerci la mano. I loro sorrisi soddisfatti erano la prova lampante che quello fosse davvero tutto ciò che avevano sognato.
Ricevetti ogni persona con un sorriso stirato, ancora scioccata per la notizia, mentre Don Diego, invece, sembrava davvero felice dell’accaduto.
“Le migliori congratulazioni, miei signori” disse divertito Don Juan non appena venne il suo turno. Lo incenerii con lo sguardo, sperando che cogliesse tutta la mia rabbia. Hortega lo ringraziò come se niente fosse, senza lasciare che l’espressione di disgusto apparisse nuovamente sul suo volto. Dopo Tenorio fu la giovane donna dai capelli corvini a congratularsi con noi. Era davvero molto bella. Dopo l’inchino che ci porse corse dritta fra le braccia di quello che, fino a poco prima, credevo il mio futuro marito.
E invece ora ogni mia certezza era crollata. Ciò che fino a poco tempo prima immaginavo fosse il mio futuro, si era improvvisamente sgretolato davanti ai miei occhi. Credevo di sognare, ma ogni persona che si presentava di fronte a noi era un gradino in più lungo la scala della dura realtà. Non avrei sposato un uomo che amavo, ma piuttosto uno per cui provavo una forte compassione e null’altro. Un uomo che avevo detestato fin dal primo momento, ma che in quell’istante non faceva altro che trattarmi in una maniera che non meritavo. Mi teneva stretta per mano, si voltava di tanto in tanto per sorridermi. Non avrei mai pensato alla mia festa di fidanzamento in questo modo. Era tutto completamente diverso da come me l’ero immaginato.
Quando finalmente la penosa processione di ipocriti che ci auguravano il migliore delle cose si concluse, mi allontanai dal mio ‘nuovo’ futuro marito. Mi faceva strano anche considerarlo tale. Finsi di essere improvvisamente assetata e mi diressi a gran passi verso la fonte dell’acqua. Proprio a pochi passi da lì, Don Juan e la dama erano occupati a chiacchierare.
“Cosa significa tutto questo?” gli domandai, furente, a denti stretti. Con una scusa insulsa fece allontanare la ragazza e cominciò a fissarmi. In quegli occhi meravigliosi non vedevo più quella luce di cui mi ero innamorata. “Cosa intendi, mia cara?” chiese, quasi ridendo. La situazione non era divertente eppure non poteva fare a meno di sorridere sotto ai baffi. “Eravate voi l’uomo che dovevo sposare. Voi. Non Hortega” cercai di controllare il tono di voce, ma era evidente che fossi furiosa. Alzò le spalle, indifferente. “Non dovresti mai fidarti delle parole di uno sconosciuto, sai?”. Lo guardai sconvolta. “Tutto ciò che mi avete detto era una bugia?” urlai, con la voce smorzata da un singhiozzo. Non volevo, ma probabilmente molto presto sarei scoppiata a piangere. Sentivo gli occhi gonfiarsi e la vista appannarsi. “Esattamente. Ogni singola parola. È stato molto difficile fare in modo che ti fidassi di me, sei stata davvero un osso duro, Celeste” quello sguardo cattivo, simile a quello del demonio, tornò ad incupirgli il volto. Rimasi senza parole. Non riuscivo a replicare, non riuscivo a muovermi. L’unica cosa che in quel momento avrei voluto fare era morire. L’amore che provavo per lui era basato sulla menzogna. Quello, e nient’altro.
“Bè, mia cara, ancora tanti auguri per il matrimonio” disse infine, prendendomi il mento e costringendomi a guardarlo negli occhi. Mi fece avvicinare a sé, tanto che i nostri volti per poco non si sfiorarono.
“E ricordati che tu sei cosa mia, chiunque sia l’uomo che sposerai”. Mi lasciò e si allontanò a grandi passi, lasciandomi inerme vicino alla fonte dell’acqua.
Ricordarlo? E come avrei potuto dimenticare una cosa simile?
La mia anima e il mio corpo appartenevano a lui e a nessun altro.
Sarebbe per sempre stato così, chiunque fosse mio marito.
Il mio vero marito era lui. Io ero cosa sua.

 



Angolo autrice:
Ecco qui, di nuovo, puntuale come la morte, il nuovo capitolo :)
Finalmente ha fatto la propria comparsa il fantomatico Don Diego Hortega... e Don Juan Tenorio ha mostrato il suo vero aspetto.
Cosa ne pensate? Fatemi sapere :)
J.

   
 
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