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Autore: Waterproof    10/05/2013    12 recensioni
Dal XII capitolo:
"Harry, vaffanculo." Borbottai, voltandomi per andarmene.
"Ci andrei, ma ci vai spesso tu. Mi toccherebbe condividere con te anche quel posto."
Ora gli spacco la faccia.
*
"
Mi stai toccando il sedere, Styles? " Domandai, scostando violentemente la sua mano.
" Io posso. "
" Ah, sì? E chi lo dice? " Incrociai le braccia al petto, aspettandomi una risposta esauriente.
" Questo. " Sussurrò, indicando il segno rosso sul collo.
Genere: Commedia, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9.










C’erano momenti in cui la paura prendeva il sopravvento, anche in chi credeva che nulla avrebbe mai potuto turbare il proprio animo. Inutile negarlo, in situazioni eccessive per il nostro corpo e per il nostro inconscio, tendevamo a temere.
Un cattivo voto a scuola poteva far scattare il terrore del rimprovero da parte dei genitori. Io non avevo di questi problemi, perché non sarei mai stata sgridata, non avendo chi potesse farlo. O meglio, se ne importavano ben poco.
Un amore giunto al limite: non ero pratica neanche in quel campo.
Per la morte di qualcuno. Ecco, forse in quel momento mi ci stavo avvicinando.
Mentre quell’uomo di cui non ero neanche riuscita ad identificare il viso mi teneva su, lungo la parete di pietra, trattenendomi per la gola, c’era una cosa sola a cui pensavo: ho troppa gente da detestare per il resto dei miei giorni, non uccidermi.
Il pensiero andò a mia madre, a mio padre, a chiunque mi avesse fatto del male psichico in quegli anni. Harry fu l’ultimo a cui ripensai, mentre la mano dell’assalitore scendeva lungo il mio corpo, in un modo decisamente poco delicato. Poi ad Elena, perché lei non avrebbe mai potuto immaginare che arrivando a Londra avrebbe trovato solo il mio cadavere.

Non voglio morire, non ora.

Non riuscivo a gridare, non riuscivo a piangere. Era come se tutto quello che mi fosse proprio – la voce, le lacrime – volessero rimanere con me nel momento clou della mia esistenza.
Ma avevo una fottuta paura. Se lui non mi avesse retta, sarei caduta a terra vista la mollezza delle mie gambe.
<< Ci divertiamo un po’, eh? >>
Cercai di scuotere il capo, ma la sua presa era troppo ferrea e sentivo  che il respiro iniziava a scarseggiare. Con le mani cercai di allontanare il suo corpo, facendo leva sulla poca forza che mi rimaneva data la mancanza di ossigeno, ma tutto ciò che ottenni fu un suo moto di rabbia che mi costrinse a versare una lacrima di dolore. Mi aveva appena colpita allo stomaco, ma non potevo piegarmi.
<< Oh, no, non piangere. Anche se sei ancora più eccitante. >> Lasciò andare il mio collo e con forza mi tirò indietro i capelli, costringendomi a mostrargli la gola arrossata dalla stretta della sua mano.
Le sue labbra la sostituirono subito, e un senso di nausea e orrore si fece spazio nel mio corpo, tanto che riuscii a spostarlo qualche istante. Prima che potesse avventarsi di nuovo su di me, lo vidi sfilare una pistola dalla fondina che teneva legata alla cintura dei jeans: una revolver.
La riconoscevo, mio nonno ne aveva una simile a casa sua.
Sentii ogni forza abbandonarmi, mentre un senso di panico mi pervadeva e mi implorava di stare zitta. Avrei preferito morire piuttosto che farmi toccare da lui.
Ero stata di quest’avviso fino a quando il metallo freddo non aveva sfiorato la mia mascella, facendomi digrignare i denti e costringendomi a deglutire rumorosamente. Evidentemente lui si accorse della mia resa e tornò ad esplorare il mio corpo, abbassando la spallina della canottiera che forse non avrei dovuto mettere, e lasciando una scia di luridi baci lungo l’incavo. Rabbrividii, disgustata, ma non riuscii a muovermi. Quel freddo pungente della canna della pistola avrebbe potuto improvvisamente scaldarsi troppo. E non mi andava di vedere il mio cervello spappolato sulla parete.
La mano libera, certa che non mi sarei ribellata, arrivò all’orlo dei miei jeans, fino alla cerniera che tirò giù con maestria indicibile. Chissà quante altre volte lo aveva fatto, quante altre donne aveva… Violentato.

Josh…

Chiamai nei miei pensieri il nome del mio amico, che si era visto chiudere improvvisamente la comunicazione quando quello mi aveva aggredita. Sperai non si mettesse sulle mie tracce, non mi sarei mai perdonata che gli facessero del male a causa mia.
Le dita dell’uomo giocarono a lungo con l’orlo delle mie mutandine, prima di farvi scivolare dentro un dito.
Non riuscii a reprimere un: << No! >> che mi sfuggì senza che potessi controllarlo, ma servì in qualche modo a ritardare il tutto.
<< Non vuoi? >>

No, no, no! Lasciami andare!

Tutte quelle parole rimasero nella mia testa. Si impossessò prepotentemente della mia bocca, cercando di infilarvi la lingua dentro, ma non glielo avrei permesso, non quello. Ricordavo una citazione di Bukowski che avevo sempre condiviso, riguardo ai baci: erano più intimi del sesso. Non avrei condiviso quel mio aspetto con lui.
<< Lasciala. Ora. >> 
Gli occhi di entrambi saettarono in direzione della voce, che, mio malgrado, ero felicissima di sentire. L’aggressore distolse la canna della pistola dalla mia gola e la puntò contro l’ombra che si era fatta largo nel buio del vicoletto in cui ero stata trascinata sotto gli occhi di vari ragazzini che avevano finto di non vedere nulla, evidentemente intimoriti dalla stazza e dalla reputazione di quell’uomo.
 Harry, che non mostrò neanche un segno di paura, fece un ulteriore passo in avanti e si mostrò, facendo sorridere malignamente il tipo. Seppure fosse stato spaventato, non lo mostrava affatto.
I suoi occhi verdi incontrarono i miei, e notai subito i suoi muscoli tendersi ancora di più.
<< Pivello, cerca di sparire. >> Disse solo l’uomo, lasciandomi cadere a terra, stanca.
Sentii la ruvida roccia contro la pelle nuda della schiena, ma non badai ai graffi che mi ero appena provocata, dato che quel momento di pace dopo una prima fase di tempesta era stato rigenerante. Tirai su la zip dei jeans, fu quello il mio primo pensiero prima di accovacciarmi intimidita, come se quella posizione potesse in qualche modo darmi conforto.
<< Se te ne vai ora, non ti denuncio >>, sibilò Styles, cercando di avvicinarsi.
<< Balle. E poi perché dovrei perdermi un bocconcino del genere? >> Detto questo, picchiettò la mia gamba con un piede, ghignando.
<< Perché non lascerò che la tocchi ancora. >> Rispose l’altro, come fosse la cosa più ovvia del mondo, avvicinandosi. Mossa azzardata, perché l’assalitore portò all’altezza della testa di Harry la pistola, minacciando di sparare.
Mi alzai di scatto, ritrovando le forze, e cercai di distrarlo, sfiorandogli il braccio.
Non doveva fargli male per colpa mia, non lo avrei permesso. Neanche a chi, del male morale, lo aveva fatto a me.
<< Harry, vattene >> mormorai, tenendo lo sguardo fisso sull’uomo. << Ti prego.. >>
Dopo tutto quello che mi aveva fatto, dopo ogni cosa che mi aveva detto, non riuscivo a pensare a lui ferito a causa mia, non mi capacitavo al solo pensiero, eppure... Avevo paura, sì. Paura che Harry potesse ferirsi e non volevo.
Avevo visto scorrere già troppo del suo sangue, sebbene fosse stato per un “incidente”.
<< Abbey, non dire idiozie e vieni qui. >> Borbottò, tenendo lo sguardo fisso sull’uomo che mi aveva stretto un braccio contro i fianchi.

Ero in suo possesso, volente o nolente.

<< Harry, ti prego. Dammi retta. >> Lo implorai fino allo stremo, ma il tono furente che utilizzò dopo non lo avrei mai dimenticato.
<< Ti ho detto di venire qui! >>
Era un ordine, una pretesa, e la stava avanzando il mio peggior nemico. Avrei solo voluto gridargli contro, dirgli di andare via, di mettersi al sicuro e di dimenticare quella storia: doveva farlo per me, perché io non ci sarei riuscita, e invece… Il mio corpo rispose al suo richiamo.
Riuscii a spostarmi di un solo millimetro, dato che l’aggressore mi attirò violentemente a sé, stringendo la presa per reclamare l’autorità sul mio corpo, che di certo non se la stava passando bene. Con uno scatto veloce avvolse un braccio intorno alle mie spalle, stringendo in prossimità della gola e puntando la pistola alla tempia.
Sentii il cuore battere all’impazzata mentre il panico mi pervadeva completamente, e non solo me. Harry, da canto suo, non era messo meglio. Sgranò gli occhi, mostrando tutto il verde in tempesta, tormentato sul cosa fare.
<< Dalle retta, ragazzino, e nessuno si farà male. D’accordo? >> Disse, a denti stretti. Rinsaldò la stretta, costringendomi a boccheggiare alla ricerca di ossigeno.
<< Ha… Harry… >>
<< Ma perché non ti trovi una puttanella e la lasci in pace, eh? >> Le risposte di Styles non aiutavano affatto, la situazione stava degenerando.

Aiuto.

<< Questa ragazza grida purezza da tutti i pori >> rispose l’altro, annusando i miei capelli. << E’ così dannatamente eccitante senza saperlo… >>
Un attimo dopo i suoi denti mi mordicchiarono un lembo di pelle all’altezza dell’orecchio, provocandomi brividi di terrore per tutto il corpo.
<< Non toccarla! >> Ad un passo avanti di Harry rispose l’assalitore con un gesto rapido che portò di nuovo la pistola all’altezza del volto del ragazzo.
Cercai di divincolarmi dalla presa, senza molto successo, se non con la risultante di farlo innervosire ancora di più.
<< In tutto questo, ha versato una sola lacrima, e per un colpo che le ho rifilato. Tosta, eh? >>
<< Cos’hai fatto? >>
Ma perché Harry si ostinava a rispondergli con quel tono, perché?! Lui doveva semplicemente andare via, quell’uomo non mi avrebbe uccisa. O forse sì, dato che la luce del lampione aveva ormai svelato il volto che prima il buio pesto aveva contribuito a celare. Doveva essere sulla cinquantina, robusto, capelli neri gelatinati e vestiti lerci. L’odore, d’altronde, non era dei migliori.
<< Non voleva saperne di stare ferma, piccola Abbey. E’ così che ti chiami, vero? >> Chiese, puntando gli occhi su di me. Li sentivo, li sentivo perforarmi la nuca, le tempie, erano lì e mi inchiodavano, quasi non fossero bastate le mani per tenermi ferma.
<< Vero?! >> Urlò, costringendomi ad annuire, spaventata. << Sto aspettando che tu te ne vada, pivello. O vuoi che ti faccia qualche buchetto su quel bel corpo? >>
<< Provaci. Da qui me ne andrò, ma solo se lei verrà con me. >> Ribadì Styles, facendomi venir voglia di urlare.

Vattene, dannazione! Io e te ci detestiamo, quindi ora odiami, odiami con tutto te stesso e va’ via!

Una vocina mi suggerì, tuttavia, altro.

Mi sei indifferente, sarebbe un privilegio troppo grande per te se ti odiassi.

Deglutii, ricordando quelle parole. Se gli fossi stata indifferente, perché era corso qui senza chiamare la polizia? Perché lui?
Troppe domande e poco tempo.
<< Come vuoi >> fece spallucce l’aggressore, tendendo il grilletto. Un senso di panico e terrore mi spinse ad agire e mordergli l’avambraccio, che fece cadere lungo un fianco, dolorante.
Feci appena in tempo a scappare verso Harry, che mimò qualcosa, atterrito, mentre udivo indistintamente partire un colpo alle mie spalle.
 



<< Ciao Anne! >> Vidi una me piccola salutare la madre di Harry, che ci aveva appena portato la merenda. Sperava, sperava davvero io e lui potessimo andare d’accordo, ma non immaginava quanto potesse essere anche solo minimamente lontana nelle pretese. Non appena ci lasciò, con un sorriso, Harry tornò a punzecchiarmi il braccio, segnando tanti puntini con l’inchiostro del pennarello che gli avevo prestato.
<< Perché tua madre ti lascia sempre sola? >> Chiese tutt’a un tratto, interrompendo il silenzio.
Osservai il mio braccio pieno di colore e lo guardai negli occhi, incontrandone il verde che di innocente non aveva proprio niente.
<< Non lo so. >>
Feci spallucce, continuando a disegnare. Forse in quel periodo io ed Harry ci tolleravamo, eravamo ancora in una fase di sopportazione tanto che l’uno cercava l’altra per giocare insieme. Poi, ad un tratto, lui aveva iniziato a detestarmi.
 

*

 
<< Luke. Luke! Scollati, dannazione! >>
Ero io due anni prima, al mio primo “appuntamento”. Festa di Jamie Stride, io e lui eravamo su un balcone. Come ci fossimo arrivati in camera del ragazzo, ancora non lo avevo scoperto. Fosse ero un po’ brilla. Ma se non erravo era il giorno prima di una verifica per la quale non avevo studiato.
Detestavo la matematica.
Mal sopportavo la vicinanza di quell’essere, che non ne voleva sapere di staccarsi dal mio braccio e dalle mie labbra.
<< Ma dai, vuoi rimanere vergine a vita? Te gusta la banana? >>
L’espressione contrariata sul mio volto la diceva lunga.
<< FACCIAMO SESSO! >>
Ricordai di non aver mai visto un ragazzo così diretto, ma solo nella parole, ma la mia riflessione era stata interrotta dall’ingresso in camera di Elena, che notò il mio sguardo quasi divertito.
Mi liberai di Luke e mi avvicinai a lei, chiedendole come mai mi fosse venuta a cercare e ringraziandola subito dopo per averlo fatto.
<< Harry sta male, dovresti riportarlo a casa. >>
<< Ma i suoi quattro amichetti, scusa? Liam. Chiama Liam! >> Borbottai, voltandomi di scatto dopo aver visto Luke cadere faccia a terra, senza smettere di ridere.
<< Okay, dov’è? >> Scappai da quella stanza, seguita dalle risate della mia migliore amica.
In cucina, Harry si teneva lo stomaco, e sul volto colore verde, viola e rosso si alternavano. Era messo davvero maluccio.
<< Cos’ha? >> Chiesi, avvicinandomi. Liam mi guardò profondamente, tenendo l’amico per le spalle.
<< Bisogno di te. >>
 

*

 
<< Vaffanculo! >>
Era un paio di mesi prima, prima di partire per Londra. Mi vedo prendere tra le mani un piatto prima di scaraventarlo a terra, ferendomi ai piedi, nudi.
<< Non ti permettere, eh! Sei un’egoista! Vattene in camera tua e pensa al fatto che io maledica ogni giorno per averti concepita! >>
Ora ricordavo. Stavo litigando con mia madre per avermi impedito di prendere parte ad una visita d’istruzione, per costringermi a badare alla nonna, quando era il suo turno. Le sue sorelle l’avevano preceduta, amabilmente, io avevo dovuto rinunciare ad una visita guidata al museo d’arte moderna per sopperire alle sue mancanze.
Era stata una questione di principio, mia madre negli ultimi diciotto anni mi aveva negato la vita. Il viaggio non era importante in sé, ma quello che significava. Quello che mia madre non era capace di essere: importante per me.
Ero entrata in camera mia e avevo raccolto dei vestiti in uno zainetto, prima di spalancare la finestra ed uscirvi. Sarei andata a passare qualche giorno da Elena, visto e considerato che i suoi non c’erano per un viaggio d’affari.
<< Da quando in qua scappi furtivamente? >>
<< ‘Fanculo anche a te, Styles. Lasciami in pace. >>
Mi ero avvolta nella felpa bianca ed ero arrivata a casa di Elena, che aveva già capito tutto.









Salve, ragazze!
Scusate la lunga attesa, ma è l'ultimo mese di scuola e non credo riuscirò a pubblicare a distanza di pochi giorni. Purtroppo se riuscirò
a farlo una volta a settimana, sarà perché so cosa vuol dire aspettare un'eternità! Grazie a tutte coloro che hanno inserito la storia nelle preferite
e nelle seguite, siete grandiose :3
Questo capitolo l'ho scritto in tre giorni. Ci ho messo un po' per rivederlo e per decidere come farlo finire, perché ho grandi idee per dopo e ci sto
già lavorando.
Lo spoiler è sempre lì, e, a proposito! Scusate per il casino che si è creato, ma non c'ho capito più niente ahahah
Peace <3
A.




  
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