#4
My
first ghost,
are you
ready for
the hell?
Cara Mallory,
credo, anzi, sono sicura, che
tutto ciò che abbia
desiderato di più al
mondo era un “ti voglio bene, figlia mia”, da parte
dei miei genitori. Tre
parole. Solo quelle parole, fino all’età di
diciassette anni in cui tutto
cambiò. Solo quelle parole fino ad un anno fa. Una parte di
me, piccola ma
alquanto rumorosa, sperava si sarebbero opposti al mio soggiorno a
Londra. Una
parte di me, sperava di
mancargli. Ovviamente,
desideri inutili.
Mi
avevano risposto in questo modo:
“Certo tesoro! Vai, così sono
certa che le tue migliori amiche saranno verdi
d’invidia!” disse Renée.
Quali migliori amiche? Io non ne
ho mai avute. Eppure continuava ad insistere su quel punto, Mallory.
“Quale scuola frequenterai
comunque? Una prestigiosa spero.”
“No padre, frequenterò una
scuola
pubblica.”
Non si curavano del fatto che
sarei andata a vivere in un altro Stato.
Non si curavano del fatto che non
mi avrebbero rivisto per anni, forse.
Non si curavano di nulla, se non
della scuola che avrei frequentato; o meglio, su quanto fosse rinomata.
“Oh, va bene ugualmente, almeno
farà vedere di sapersi distinguere in ogni
frangente.”
In quel momento, Mallory, guardai
in volto coloro che mi avevano dato la vita e provai il desiderio di
scuoterli
per le spalle violentemente e chiedergli: mi vedete? , mi avete mai
visto? , mi
conoscete?
Ma nessuno dei due saprebbe
rispondere.
Nessuna sa rispondere. Nemmeno
io, Mallory.
E poi, cosa mi aspetterà a
Londra? Sento una sensazione strana, sai? All’altezza dello
stomaco, come se il
tutto stia in lavatrice che sta compiendo la centrifuga. Credo che
comunemente
si chiami ansia. Ma di cosa? Per cosa dovrei essere ansiosa? Mi manca
la nonna.
Eppure quando l’altro giorno l’ho sentita per
telefono per accordarci
sull’orario dell’aereo che meglio era per lei,
l’ho sentita strana.
Irrequieta.
Mi mentiva.
Non so riguardo cosa, non so
perché e forse, tesoro, è soltanto una delle mie
mille paranoie.
Anche Renée e Charlie si
lanciavano occhiate… spaventate, timorose.
Altra paranoia? Forse dovrei
farmi una scopata, Mallory.
O forse no.
Bah,
non lo so.
Comunque ora devo partire e
quindi niente.
Ci risentiamo nella mia mente,
Mallory.
Un
bacione,
Isabella.
Chiusi
la busta con cura, per inserirla nel cassetto dove altre lettere si
alternavano
ordinate e diedi un giro di chiave alla toppa, in modo tale che nessuno
potesse
accedere alle lettere destinate all’altra parte di me.
Pazza?
Forse.
Ma
senz’altro sono convinta che ognuno di noi abbia più persone
dentro di sé.
C’è
chi all’apparenza è tranquilla, un po’
paranoica; e dentro è un vulcano di
emozioni, dolori, sentimenti.
C’è
chi all’apparenza è parte pazza, svitata; altra
dannatamente piatta di
emozioni.
C’è
chi si autoflagella
e chi si crede Miss Universo.
Quindi,
in definitiva, ci sono più parti dentro di noi.
Io
ne ho due.
Isabella;
perfetta, ciò che tutti i genitori desiderano, seria,
posata, borghese, non ha
mai avuto sofferenze.
Mallory;
imperfetta, maschiaccio, pazza, che si diverte, odia le borghesi,
soffre.
«Pronta?
L’aereo parte tra due ore, Isabella!» disse
Renèe bussando delicatamente alla
porta.
No, non sono
pronta.
Non voglio lasciare
questa finta patina di felicità.
Non voglio uscir
fuori ed aver paura.
Voglio restare qui
e illudermi che tutto andrà bene.
«Certo!
Arrivo subito»
«Forza
Isabella, abbi coraggio! Dai!» mormorai guardando il mio
riflesso nello
specchio.
«Isabella?»
urlò Renèe dal piano terra.
Quando
scesi trovai Stefan ad attendermi e, con un’occhiata
comprensiva, mi strinse la
mano.
«Starò
con te, sorella.»
Sospirai
ed arrischiai un sorriso verso di lui e ai miei genitori.
Sei pronta ad
abbandonare il tuo luogo sicuro per gettarti nell’ignoto,
Isabella?
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«Nonna!»
mi sbracciai nel tentativo di farmi vedere da lei.
«Amore!»
mormorò Marie stringendomi a sé.
Mi
era mancato il suo calore, il suo odore dolciastro che ti faceva
sentire a
casa.
Semplicemente
l’adoravo.
Sin
da quando ero piccola mi aggrappavo alla sua maglia e ovunque andasse
la
seguivo, sia quando dava l’acqua alle piante con cui parlava
di tanto in tanto,
sia quando doveva cucinare.
In
ogni occasione, stavo assieme a lei.
Aveva
la straordinaria capacità di non far domande e saper
ascoltare i miei silenzi.
Non
parlavamo quasi mai io e la nonna, forse perché con il
nostro mutismo riuscivamo
ad esprimerci meglio, senza l’utilizzo delle parole.
Le
parole, così superflue, inutili e incomprensibili.
«Che
notizie mi porti dall’America, amore?» chiese
lanciando un’occhiata allo
specchietto retrovisore.
«E
tu Stefan?» continuò.
Non
prestai attenzione alla risposta del mio migliore amico e men che meno
risposi
alla domanda posta da lei in precedenza. Infilai le cuffie alle
orecchie,
lasciandomi abbagliare dalle bellezze di questa città senza
tempo.
Mi
lasciai incantare dai giochi di luce e ombra che le nuvole creavano
assieme al
sole, prossimo a lasciare il suo posto nel cielo alla sua amante luna.
Mi
lasciai incantare dai musicisti di strada, e dalla vita frenetica che
gli
abitanti vivevano.
Chissà
se anche loro avevano degli scheletri nell’armadio.
Chissà
se anche loro fingevano ogni giorno una felicità che non
provavano.
«Oh,
prima che me ne dimentichi! Ecco a te un regalo amore! Spero ti
piaccia.»
Spense
l’auto dato che eravamo appena arrivati di fronte al
palazzo,-dove alloggiava
al terzo piano e, una volta scesi, mi consegnò un libro.
Lessi
il titolo e sorrisi affettuosamente, davanti a quel gesto di amore raro
nella
mia vita.
«Grazie»
mormorai stringendola a me.
«Lo hai già letto,
vero?»
«Ehm,
in realtà sì. Però mi fa piacere
averne un’altra copia di “Noi i ragazzi dello
zoo di Berlino”, tanto l’altra è andata
perduta nella libreria di Stefan».
«Ma
non ti preoccupare, ti porto dal ragazzo che mi ha venduto il
libro!» ammiccò
maliziosa.
Scoppiamo
tutti e tre a ridere, accogliendo con gioia quel momento di
felicità.
Quanto
sarebbe durato?
Non
lo so e, al momento, volevo soltanto godermi a pieno quella sensazione
senza
pormi domande; inconsapevole delle bugie rifilate anche in
quest’attimo sereno.
Edward.
Avevo
appena chiuso la libreria quando sentii una voce conosciuta chiamarmi.
«Edward!
Ragazzo!» mi voltai verso Marie, sorridendo con affetto.
«Buona
sera Marie! Non è piaciuto il libro a sua nipote?»
«Lo
ha già letto purtroppo e infatti volevo venirlo a cambiare
assieme a Isabella.»
Tremai
sentendo il nome della ragazza.
Non è lei Edward,
non lo è.
«Purtroppo
ho appena chiuso, ma se vuoi posso fare
un’eccezione» mormorai incerto,
voltandomi nuovamente verso la porta del negozio.
«Tranquillo,
ho tutto il tempo del mondo da passare qui a Londra, potrò
ripassare un altro
giorno.»
Improvvisamente
udii quella voce.
«Isabella»
mormorai stupito.
«Edward»
sussurrò lei con le lacrime agli occhi.
«Amore,
vi conoscevate già?»
Non
mi preoccupai di rispondere a Marie, non ora che avevo il mio incubo
personale
di fronte agli occhi.
Era
cambiata.
Non
aveva più quel sorriso dolce che accentuava la bellezza
delle sue labbra; in
compenso aveva il mio stesso sorriso dannato.
«Sì
più o meno.» mormorò lei.
«Oh,
George mi ha mandato un messaggio, mi aspetta al ristorante.»
disse Marie
guardando il telefono,
«non
vi dispiace quindi se vi lascio soli?».
Vidi
Isabella aprir bocca più volte, non riuscendo ad articolare
nessuna parola.
Le
parole, le parole che tanto odiava.
«No,
non ci dispiace Marie.»
La
nonna di Isabella
se ne andò,
lasciandoci in piedi soli su quel marciapiede.
Il
tempo si era fermato.
Il
tempo non esisteva più.
«Sei
cambiata.»
«Anche
tu. Sembri ancora più stronzo.»
«E
tu sei la stessa stronza sincera di sempre.»
«Certe
cose non cambiano, Edward»
Vagò
con lo sguardo ovunque, -tranne sulla mia figura; mentre cercava
all’interno
della sua borsa una sigaretta che immediatamente accese.
«Ne
vuoi una?»
Una
boccata di fumo sul volto.
«C’è
da chiedere?»
Le
sue labbra si tesero verso l’alto; un lampo di quel sorriso
che tanto aveva
amato.
No, non amato.
Il sorriso a cui ti
eri affezionato, tu non ami e mai amerai, Edward.
Fottuta
coscienza.
«Andiamo
a cena?»
«Casa
tua?»
«Casa
mia.»
Ci
guardammo negli occhi.
Quegli
stessi occhi con cui facevo l’amore soltanto guardandoli e,
in quel dato
istante, capii che ora avevo una compagna con cui dirigermi verso
l’autodistruzione.
Perché
Isabella? Perché sei cambiata? Cosa ti è successo?
Ma
lasciai quelle domande da una parte quando tentò di
intrecciare la sua mano alla
mia.
Sì,
decisamente avrei lasciato quelle domande da parte.
Per
ora, volevo soltanto godermi la serenità che mi invadeva;
senza l’uso di
sostanze stupefacenti.
My first ghost, are
you ready for the hell?