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Autore: Chuck    11/05/2013    2 recensioni
Quel giorno avevi la bocca secca di chi ha sorriso per tutta una vita per finta, e gli occhi di chi ha trattenuto troppe lacrime.
Ti abbracciai, di un abbraccio che entra sotto la pelle, come quelle schegge di legno che si infilano lì sotto e tu, nonostante sai dove si trovano, non riesci a toglierlo.
Mi sei entrato dentro le ossa, dentro il cuore, mi sei entrato come una scheggia di legno sotto al cuore, amore.

Isabella Swan, figlia del magnate dell'economia Charlie Swan e della stilista di fama mondiale Renée Dwyer; indossa una maschera di perfezione per nascondere le sue ferite.
Edward Cullen, figlio di famiglia che non accetta, lavora in una libreria; si reputa senza speranza.
Entrambi, a un passo dall'autodistruzione si incontrarono.
Riusciranno a salvarsi? Riusciranno ad essere Edward e Bella?
Genere: Drammatico, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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#4

My first ghost, are you ready for the hell?

 

Cara Mallory,

credo, anzi, sono sicura, che tutto ciò che  abbia desiderato di più al mondo era un “ti voglio bene, figlia mia”, da parte dei miei genitori. Tre parole. Solo quelle parole, fino all’età di diciassette anni in cui tutto cambiò. Solo quelle parole fino ad un anno fa. Una parte di me, piccola ma alquanto rumorosa, sperava si sarebbero opposti al mio soggiorno a Londra. Una parte di me, sperava  di mancargli. Ovviamente, desideri inutili.

 Mi avevano risposto in questo modo:

“Certo tesoro! Vai, così sono certa che le tue migliori amiche saranno verdi d’invidia!” disse Renée.

Quali migliori amiche? Io non ne ho mai avute. Eppure continuava ad insistere su quel punto, Mallory.

“Quale scuola frequenterai comunque? Una prestigiosa spero.”

“No padre, frequenterò una scuola pubblica.”

Non si curavano del fatto che sarei andata a vivere in un altro Stato.

Non si curavano del fatto che non mi avrebbero rivisto per anni, forse.

Non si curavano di nulla, se non della scuola che avrei frequentato; o meglio, su quanto fosse rinomata.

“Oh, va bene ugualmente, almeno farà vedere di sapersi distinguere in ogni frangente.”

In quel momento, Mallory, guardai in volto coloro che mi avevano dato la vita e provai il desiderio di scuoterli per le spalle violentemente e chiedergli: mi vedete? , mi avete mai visto? , mi conoscete?

Ma nessuno dei due saprebbe rispondere.

Nessuna sa rispondere. Nemmeno io, Mallory.

E poi, cosa mi aspetterà a Londra? Sento una sensazione strana, sai? All’altezza dello stomaco, come se il tutto stia in lavatrice che sta compiendo la centrifuga. Credo che comunemente si chiami ansia. Ma di cosa? Per cosa dovrei essere ansiosa? Mi manca la nonna. Eppure quando l’altro giorno l’ho sentita per telefono per accordarci sull’orario dell’aereo che meglio era per lei, l’ho sentita strana.

Irrequieta.

Mi mentiva.

Non so riguardo cosa, non so perché e forse, tesoro, è soltanto una delle mie mille paranoie.

Anche Renée e Charlie si lanciavano occhiate… spaventate, timorose.

Altra paranoia? Forse dovrei farmi una scopata, Mallory.

O forse no.

 Bah, non lo so.

Comunque ora devo partire e quindi niente.

Ci risentiamo nella mia mente, Mallory.

Un bacione,

Isabella.

 

Chiusi la busta con cura, per inserirla nel cassetto dove altre lettere si alternavano ordinate e diedi un giro di chiave alla toppa, in modo tale che nessuno potesse accedere alle lettere destinate all’altra parte di me.

Pazza? Forse.

Ma senz’altro sono convinta che ognuno di noi abbia  più persone dentro di sé.

C’è chi all’apparenza è tranquilla, un po’ paranoica; e dentro è un vulcano di emozioni, dolori, sentimenti.

C’è chi all’apparenza è parte pazza, svitata; altra dannatamente piatta di emozioni.

C’è  chi si autoflagella e chi si crede Miss Universo.

Quindi, in definitiva, ci sono più parti dentro di noi.

Io ne  ho due.

Isabella; perfetta, ciò che tutti i genitori desiderano, seria, posata, borghese, non ha mai avuto sofferenze.

Mallory; imperfetta, maschiaccio, pazza, che si diverte, odia le borghesi, soffre.

«Pronta? L’aereo parte tra due ore, Isabella!» disse Renèe bussando delicatamente alla porta.

No, non sono pronta.

Non voglio lasciare questa finta patina di felicità.

Non voglio uscir fuori ed aver paura.

Voglio restare qui e illudermi che tutto andrà bene.

«Certo! Arrivo subito»

«Forza Isabella, abbi coraggio! Dai!» mormorai guardando il mio riflesso nello specchio.

«Isabella?» urlò Renèe dal piano terra.

Quando scesi trovai Stefan ad attendermi e, con un’occhiata comprensiva, mi strinse la mano.

«Starò con te, sorella.»

Sospirai ed arrischiai un sorriso verso di lui e ai miei genitori.

Sei pronta ad abbandonare il tuo luogo sicuro per gettarti nell’ignoto, Isabella?

 

--------------------

 

«Nonna!» mi sbracciai nel tentativo di farmi vedere da lei.

«Amore!» mormorò Marie stringendomi a sé.

Mi era mancato il suo calore, il suo odore dolciastro che ti faceva sentire a casa.

Semplicemente l’adoravo.

Sin da quando ero piccola mi aggrappavo alla sua maglia e ovunque andasse la seguivo, sia quando dava l’acqua alle piante con cui parlava di tanto in tanto, sia quando doveva cucinare.

In ogni occasione, stavo assieme a lei.

Aveva la straordinaria capacità di non far domande e saper ascoltare i miei silenzi.

Non parlavamo quasi mai io e la nonna, forse perché con il nostro mutismo riuscivamo ad esprimerci meglio, senza l’utilizzo delle parole.

Le parole, così superflue, inutili e incomprensibili.

«Che notizie mi porti dall’America, amore?» chiese lanciando un’occhiata allo specchietto retrovisore.

«E tu Stefan?» continuò.

Non prestai attenzione alla risposta del mio migliore amico e men che meno risposi alla domanda posta da lei in precedenza. Infilai le cuffie alle orecchie, lasciandomi abbagliare dalle bellezze di questa città senza tempo.

Mi lasciai incantare dai giochi di luce e ombra che le nuvole creavano assieme al sole, prossimo a lasciare il suo posto nel cielo alla sua amante luna.

Mi lasciai incantare dai musicisti di strada, e dalla vita frenetica che gli abitanti vivevano.

Chissà se anche loro avevano degli scheletri nell’armadio.

Chissà se anche loro fingevano ogni giorno una felicità che non provavano.

«Oh, prima che me ne dimentichi! Ecco a te un regalo amore! Spero ti piaccia.»

Spense l’auto dato che eravamo appena arrivati di fronte al palazzo,-dove alloggiava al terzo piano e, una volta scesi, mi consegnò un libro.

Lessi il titolo e sorrisi affettuosamente, davanti a quel gesto di amore raro nella mia vita.

«Grazie» mormorai stringendola a me.

«Lo  hai già letto, vero?»

«Ehm, in realtà sì. Però mi fa piacere averne un’altra copia di “Noi i ragazzi dello zoo di Berlino”, tanto l’altra è andata perduta nella libreria di Stefan».

«Ma non ti preoccupare, ti porto dal ragazzo che mi ha venduto il libro!» ammiccò maliziosa.

Scoppiamo tutti e tre a ridere, accogliendo con gioia quel momento di felicità.

Quanto sarebbe durato?

Non lo so e, al momento, volevo soltanto godermi a pieno quella sensazione senza pormi domande; inconsapevole delle bugie rifilate anche in quest’attimo sereno.

 

Edward.

Avevo appena chiuso la libreria quando sentii una voce conosciuta chiamarmi.

«Edward! Ragazzo!» mi voltai verso Marie, sorridendo con affetto.

«Buona sera Marie! Non è piaciuto il libro a sua nipote?»

«Lo ha già letto purtroppo e infatti volevo venirlo a cambiare assieme a Isabella.»

Tremai sentendo il nome della ragazza.

Non è lei Edward, non lo è.

«Purtroppo ho appena chiuso, ma se vuoi posso fare un’eccezione» mormorai incerto, voltandomi nuovamente verso la porta del negozio.

«Tranquillo, ho tutto il tempo del mondo da passare qui a Londra, potrò ripassare un altro giorno.»

Improvvisamente udii quella voce.

«Isabella» mormorai stupito.

«Edward» sussurrò lei con le lacrime agli occhi.

«Amore, vi conoscevate già?»

Non mi preoccupai di rispondere a Marie, non ora che avevo il mio incubo personale di fronte agli occhi.

Era cambiata.

Non aveva più quel sorriso dolce che accentuava la bellezza delle sue labbra; in compenso aveva il mio stesso sorriso dannato.

«Sì più o meno.» mormorò lei.

«Oh, George mi ha mandato un messaggio, mi aspetta al ristorante.» disse Marie guardando il telefono,

«non vi dispiace quindi se vi lascio soli?».

Vidi Isabella aprir bocca più volte, non riuscendo ad articolare nessuna parola.

Le parole, le parole che tanto odiava.

«No, non ci dispiace Marie.»

La nonna di  Isabella se ne andò, lasciandoci in piedi soli su quel marciapiede.

Il tempo si era fermato.

Il tempo non esisteva più.

«Sei cambiata.»

«Anche tu. Sembri ancora più stronzo.»

«E tu sei la stessa stronza sincera di sempre.»

«Certe cose non cambiano, Edward»

Vagò con lo sguardo ovunque, -tranne sulla mia figura; mentre cercava all’interno della sua borsa una sigaretta che immediatamente accese.

«Ne vuoi una?»

Una boccata di fumo sul volto.

«C’è da chiedere?»

Le sue labbra si tesero verso l’alto; un lampo di quel sorriso che tanto aveva amato.

No, non amato.

Il sorriso a cui ti eri affezionato, tu non ami e mai amerai, Edward.

Fottuta coscienza.

«Andiamo a cena?»

«Casa tua?»

«Casa mia.»

Ci guardammo negli occhi.

Quegli stessi occhi con cui facevo l’amore soltanto guardandoli e, in quel dato istante, capii che ora avevo una compagna con cui dirigermi verso l’autodistruzione.

Perché Isabella? Perché sei cambiata? Cosa ti è successo?

Ma lasciai quelle domande da una parte quando tentò di intrecciare la sua mano alla mia.

Sì, decisamente avrei lasciato quelle domande da parte.

Per ora, volevo soltanto godermi la serenità che mi invadeva; senza l’uso di sostanze stupefacenti.

 

My first ghost, are you ready for the hell?

   
 
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