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Autore: dilpa93    11/05/2013    5 recensioni
Solo allora, sentendo il suo nome, la donna alzò la testa incrociando lo sguardo del nuovo arrivato.
Lui la scrutò a fondo. Nei suoi occhi verdi aveva trovato più di quanto potesse immaginare, aveva trovato la pace.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prima del suo arrivo a New York, era di istanza a Boston. Una carriera brillante, un buon detective. Sapeva come guidare la squadra, era meticoloso, e anche le poche volte in cui agiva d’impeto riusciva sempre a mantenere un certo controllo della situazione.
Uno degli ultimi casi di cui si era occupato riguardava una serie di omicidi che avevano iniziato a minare la tranquillità della città e avevano seminato il panico tra gli abitanti.
La tipologia di vittime era sempre la stessa, donne tra i trenta e i trentacinque anni, rigorosamente bionde. Il modus operandi rimaneva invariato. Un taglio netto lungo la gola, praticato dopo l’attuazione di torture di vario genere; percosse, arti spezzati, tagli superficiali.
Le donne erano generalmente casalinghe, colte di sorpresa la mattina, quando restavano sole dopo che il marito era uscito per andare al lavoro e i figli per andare a scuola.
Tutto portava a pensare che l’SI le osservasse per giorni, per capirne le abitudine, studiarne gli orari, e solo in seguito agiva. Avevano trovato nei giardini, vicino alle alte siepi che separavano le villette, leggere tracce che avvaloravano questa ipotesi.
A trovare le vittime senza vita erano quasi sempre i vicini; legate ad una sedia al centro del salotto, il nastro isolante sulla bocca, escoriazioni su braccia e viso, il sangue ancora fresco lungo il collo.
Quando arrivava con la squadra per fare il sopralluogo il risultato dell’analisi preliminare era sempre uguale. Morte per dissanguamento dovuto alla recisione della carotide. Nessun tipo di impronta differente da quelle di famigliari e amici. Tracce di sangue sul pavimento, sui tappeti o sui rivestimenti in moquette erano inutilizzabili, o addirittura assenti. Venivano riscontrate tracce di candeggina e agenti chimici usate probabilmente per ripulire. Sui vestiti delle vittime alcun tipo di fibra non appartenente a ciò che indossavano, nessun capello.
Un’analisi più approfondita dei corpi confermava solo le supposizioni iniziali, ed escludeva ogni tipo di ferite di difese e di violenza sessuale.
Alla quinta vittima il caso venne passato all’unità comportamentale dell’FBI, ma lui non si diede per vinto.
“Non lascerò la presa Tobias, sono l’unico che potrebbe riuscire a risolvere questo caso, lo so io e lo sai anche tu. Non mi fermerò, non lascerò tutto in mano all’FBI!”
“Non è una decisione mia Richard. Viene dall’alto.” Disse calmo il capo del dipartimento seduto sulla poltrona in pelle. I capelli sale e pepe scompigliati provocavano giochi di ombre sul suo viso segnato dal tempo.
“Beh, io me ne sbatto!” Uscì sbuffante come un toro nell’arena e tornato alla scrivania riprese a guardare le immagini di quelle ragazze seviziate, nel tentativo di trovare anche il più piccolo particolare che potesse essergli sfuggito.
 
Un’altra vittima, un’altra ancora e poi un’altra. Lo ‘Sgozzatore di Boston’, così come lo avevano definito i telegiornali, non accingeva ad arrestarsi e vagava ancora a piede libero.
La nona vittima si chiamava Laurel Jhonson, 29 anni.
Il capitano, ricevuta la notizia, si avvicinò alla sua scrivania e guardandolo negli occhi sospirò “e va bene... C’è stata un’altra vittima, al 12 di Trafalgar Square. Vai, di che sei un agente di collegamento, se abbiamo fortuna non verificheranno nulla. Non sarebbe nei loro interessi opporsi ad un simile ordine, si penserebbe che abbiano qualcosa da nascondere visti anche i recenti scandali.
Scopri quello che puoi, investiga. Hai ragione, sappiamo entrambi che sei l’unico in grado di mettere quel bastardo dietro le sbarre.”
Senza dire una parola corse all’auto catapultandosi sul posto.
Una decina di agenti erano già lì, il nastro giallo intorno alla casa risaltava illuminato dai raggi del sole mattutino sempre più caldo.
Mostrò il distintivo ed entrò. I flash delle fotocamere degli uomini della scientifica si confondevano con quelli dei giornalisti all’esterno della casa. Le voci si mescolavano in un lento e perforante brusio di commenti mescolati “scempio, mostruoso, atroce...” Erano le parole più ricorrenti e le uniche che riuscisse a distinguere chiaramente, ma mai, tra quelle, si sarebbe aspettato di sentire un singulto.
Si avvicinò verso la fonte; ne sentì un altro più forte. Qualcuno piangeva, tirava su con il naso, e poi riprendeva a singhiozzare piano.
“Fate silenzio!” Intimò in un urlo strozzato. D’improvviso quei suoni divennero più chiari, e udì i presenti domandarsi come avessero fatto a non accorgersene prima.
Con passo felpato arrivò davanti al ripostiglio, la luce filtrava all’interno tra le sottili persiane in legno che ricoprivano le ante. Mise mano alla pistola e afferrò cauto il pomello. Aprì l’anta con forza, tanto da farla sbattere contro il muro ricoperto da una carta da parati anaglifta.
Rimase sorpreso da ciò che si trovò davanti.
Due grandi occhi grigi lo fissavano spaventati e pieni di lacrime, il labbro inferiore tremava sotto il peso della paura.
 
Era solo un bambino.
 
Era il figlio minore della coppia.
Aveva solo sei anni.
Quella mattina la madre, quando abbracciandolo si era resa conto che scottava, aveva deciso di tenerlo a casa da scuola.
Dal soggiorno aveva sentito la porta sul retro aprirsi, la madre urlare e poi la parola cattivo uscire dalla sua bocca prima che l’uomo vi posasse sopra la sua mano.
Una parola inusuale da usare, alla quale l’assassino non aveva prestato la dovuta attenzione. Una parola ‘magica’, e il piccolo Kai sapeva bene che quando la sentiva doveva nascondersi più in fretta che poteva. E così aveva fatto.
 
Lasciò la presa sul calcio dell’arma e si accovacciò davanti a lui.
“Ehi campione. Stai bene?” Con un movimento del capo annuì semplicemente, fissando quel viso buffo e simpatico che si era trovato davanti. “Io sono Rick, sono un poliziotto. Ma non come quelli là”, bisbigliò indicando gli agenti dell’FBI che confabulavano tra loro, “io sono più simpatico.” Il bambino gli donò un sorriso. Un po’ tirato, ma era sempre qualcosa.
“Senti, che ne dici di venire con me? Ti faccio fare un giro sulla macchina e accendo anche la sirena.”
Un flebile ok uscì dalle labbra sottili. Lo prese in braccio e, coprendogli gli occhi, lo portò fuori da quell’inferno che avrebbe segnato per sempre la sua vita.
 
Arrivò in centrale tenendolo per mano. Ripose la pistola nel cassetto chiudendolo a chiave e poi lo fece sedere sulla sua sedia.
“Dov’è la mamma?” La sua voce innocente gli graffiò l’animo.
Si appellò al suo istinto di padre, nella speranza di riuscire a trovare le parole giuste. Ma per certe notizie le parole adatte non esistono, tanto meno quando si devono trovare per un bambino, e lui lo sapeva fin troppo bene.
“Kai, ascoltami... Tu eri nascosto nel ripostiglio, giusto?”
“Si...” Rispose distratto, giocherellando con una macchinina trovata sulla scrivania, il modellino di una    Thunderbird del ’64.
“Ti sei nascosto lì perché c’era qualcuno in casa?”
“Si, qualcuno di cattivo. Ha fatto male alla mamma?”
Un’altra domanda, un altro graffio sull’anima.
“Si, Kai, le ha fatto male.”
“E adesso sta bene?”
“No. Vedi, la mamma... non ce l’ha fatta.”
Il bambino alzò la testa, e lui poté notare un cambiamento repentino nel suo sguardo. Il grigio degli occhi si era scurito come granito bagnato dalla pioggia, erano assenti, vuoti.
“Kai, hai capito cosa ho detto, sai cosa significa?”
“Si. La mamma è morta.” Rabbrividì per il tono freddo usato. E nel frattempo cominciò ad odiarsi per quello che di lì a poco gli avrebbe chiesto.
“Ora ho bisogno del tuo aiuto. Ti va di darmi una mano?”
Aspettò invano una qualsiasi risposta, e poi proseguì “ti andrebbe di raccontarmi cosa hai visto?”
Fece rullare le ruote della piccola auto facendo il verso del motore, i piedini dondolavano non arrivando neanche a sfiorare il pavimento, “è entrato un uomo. Ha portato la mamma nel soggiorno.”
“L’hai visto in faccia?”
“Si...”
“Me lo descriveresti?”
“È magro, tanto magro e alto.”
“Ti ricordi come sono i capelli?”
“Corti, corti. Come... I suoi” disse indicando un poliziotto poco distante, i cui capelli radi evidenziavano gli zigomi pronunciati.
“E gli occhi, li hai visti?”
“Scuri. Si era avvicinato perché avevo fatto rumore.”
“Ti ricordi qualcos’altro?”
“La pelle sulla faccia era tutta rovinata, e anche la mano. Anche la nonna ha dei segni simili sul polso, si è scottata quando era piccola. E poi aveva un serpente.”
“Un serpente?”
“Si, proprio qui.” Si toccò l’avambraccio lasciato scoperto dalla polo verde a mezze maniche. “Girava intorno al braccio e si mangiava la coda. Mi faceva paura.”
“Sai”, disse nel tentativo di rincuorarlo, “anche a me fanno paura i serpenti… Era giovane, come me? O magari più vecchio?” Aveva continuato.
“Più giovane di te.”
“D’accordo, sei stato bravissimo Kai. Che ne dici se vado a prenderti qualcosa da mangiare mentre aspettiamo che arrivi il tuo papà?” Si era già voltato quando sentì i suoi polpastrelli afferrargli la mano. “Posso venire anche io?”
Gli sorrise e nuovamente le sue ditina si incastrarono perfettamente tra le sue.
 
Thomas Johnson arrivò a prendere il figlio un’ora più tardi; lo strinse tra le braccia inginocchiandosi davanti a lui. Mimò un grazie con le labbra rivolto a Castle mentre le lacrime gli offuscarono la vista scivolando sulla leggera barba incolta. Poi, con a seguito anche il figlio maggiore, uscì dopo aver lasciato al detective l’indirizzo della sorella a Providence Hill, dove sarebbe andato a stare per un po’.
 
Aveva poche informazioni, quello fornitogli da Kai non era abbastanza per un identikit, e purtroppo il bambino non aveva riconosciuto l’uomo in nessuna delle foto che gli aveva mostrato. Ma era pur sempre qualcosa.
Scese al secondo piano, una giovane ragazza stava comodamente seduta alla sua postazione. I capelli corvini erano fermati sulla nuca con una comunissima matita; la camicia a quadri verdi dava risalto alla sua carnagione chiara e faceva notare maggiormente i riflessi dorati negli occhi marroni. Concentrata  nel battere sui tasti, non si accorse della presenza dell’uomo fino a che questi non si schiarì la voce.
Alzò lo sguardo e subito lo riabbassò.
“Patricia, Patricia, Patricia, ma lo sai che oggi sei un vero splendore.” Nessuna reazione, “devi aver fatto qualcosa hai capelli sono così lucenti, e poi la pelle... è molto luminosa. Hai cambiato crema? E il profumo... è così-”
“Rick, parli sul serio? Dimmi, non insegnerai a tua figlia a ottenere le cose in questo modo, perché temo sarebbe un totale fallimento.”
“Oh andiamo, lo sai che come adulatore sono fantastico.”
“Affatto, sei un vero disastro. Otterresti di più stando in silenzio. Sei un uomo affascinante, ti basterebbe un sorriso.”
“Con te non ha mai funzionato.”
“Io sono diversa!” ammiccò, “andiamo, cosa ti serve?”
“Dovresti cercarmi tra le vittime di incendi, o incidenti domestici aventi a che fare con il fuoco.”
“In che hanno?”
“Chi mi interessa è un maschio bianco che ora dovrebbe avere tra i 25 e i 30 anni.”
“Bene”, sbuffò consapevole che non sarebbe stato semplice, “in che zona?”
“Ehm... Non saprei. Circoscrivila a Boston per il momento e dammi tutti i risultati il prima possibile.”
“È per gli omicidi dello Sgoz-”
“Non chiamarlo così!”, disse duro per poi ammorbidirsi sulla fine,”ti prego.”
“Scusami.”
“No, scusami tu. Si, ha a che fare con lui. Mi trovi di sopra.”
“Farò prima che posso.”
“Grazie, sei un angelo. Ah! Dovrebbe avere un tatuaggio sul braccio, un serpente che si mangia la coda.”
Lei piegò gli angoli della bocca all’in su e lui, esattamente come un’ombra, sparì.
 
 
“L’ho trovato!” A distanza di un paio d’ore dalla loro chiacchierata, entrò nel dipartimento sventolando in aria un foglio fresco di stampa come fosse un trofeo. Lo sbatté sulla scrivania picchiettandoci sopra l’indice soddisfatta, incrociando poi le braccia al petto.
“Peter Tisdale, 24 anni. Otto anni fa la madre lo ha ricoperto di benzina e gli ha dato fuoco sostenendo che il diavolo avesse preso l’anima di suo figlio. Il ragazzo venne portato di urgenza al Saint Joseph. Aveva ustioni di terzo grado sul 5% del corpo, e ustioni profonde di secondo grado sul 30% compreso il viso. Dopo il ricovero è stato affidato alle cure del nonno materno. Circa sei mesi dopo, Peter ha tentato di ucciderlo con un coltello da caccia. Il Signor Harrison se l’è cavata con un taglio superficiale lungo il petto, mentre il ragazzo è stato processato. A seguito della sentenza di infermità mentale e azione compiuta con incapacità di intendere e di volere, è stato rinchiuso nel reparto di psichiatria minorile fino al compimento dei diciotto anni e poi è stato spostato nella clinica sulla Waston. È uscito circa, ehm... Un anno fa.”
“L’hanno fatto uscire?”
“A quanto pare dall’ultima perizia risultava completamente riabilitato.”
“Completamente riab- Ho visto com’è riabilitato!” Urlò incredulo.
 
La giustizia in cui credeva, per cui combatteva ogni giorno era appena crollata davanti ai suoi occhi.
 
“Richard, corrisponde alla descrizione, è vero, ma non è detto che sia lui. Ho cercato a Boston, ma niente ci dice che chi cerchi tu non venga da Los Angeles, oppure dal North Carolina.”
“Hai per caso una foto della madre all’epoca dell’abuso sul figlio?” Chiese ignorando le sua parole.
“Si ma-”
“Fammela vedere.”
Prese la foto dalla cartellina trasparente che teneva sotto il braccio e la fece strisciare davanti a lui sul legno plasticato della scrivania accompagnandola con i polpastrelli. Le unghie laccate di rosso riflettevano la luce della lampada accanto al monitor.
“Bionda, circa trent’anni... Era casalinga?”
“Non esattamente. Era stata licenziata quasi un anno prima, e viveva con il sussidio datole dallo stadio. A quanto pare arrotondava con ‘servizietti’ veloci, se sai cosa intendo.”
“Lui la uccide ogni volta” mormorò a se stesso.
“Cosa?”
“Niente... Hai verificato il tatuaggio?”
“Ho faticato per trovarlo. Alla fine sono risalita al suo indirizzo e ho usato le telecamere di sorveglianza del quartiere. Questo è il fotogramma... Il tatuaggio simboleggia l’infinito. La cosa strana è che ha scelto un Black mamba, un serpente altamente velenoso e letale, per rappresentarlo, un po’ contraddittorio non trovi? Comunque, prima che tu possa domandarmelo, ho già cercato tra le bande della città... Non ha a che fare con nessuna, almeno nessuna conosciuta.”
“No, agisce da solo, lo so che agisce da solo.” Sospirò grattandosi la nuca.
“In ogni caso, quello evidenziato è l’attuale indirizzo. Ora torno di sotto, ho già abbastanza lavoro arretrato.”
“Sei fantastica!” Urlò prima che le porte dell’ascensore la nascondessero alla sua vista.
“Lo so. Sei in debito con me!” Ironizzò facendogli l’occhiolino.
 
Raccolse le carte, le foto appena stampate e, riposte nella tracolla nera, infilò la testa nell’ufficio del capitano.
“Mi prendo mezza giornata libera.”
“Aspetta, hai scoperto qualcosa?” troppo tardi, era andato via.
Tobias si alzò di corsa cercando di raggiungerlo “Richard!” Esclamò affannato, “Castle!”, ma lui era già sparito.
 
Seduto sul sedile della sua auto accese la radio. Ascoltava le canzoni trasmesse distrattamente, ciò nonostante tamburellava a ritmo sul volante.
Il viaggio fino a Providence, visto il traffico, sarebbe durato un’ora e un quarto volendo essere ottimisti, sarebbe arrivato per le diciannove. C’era abbastanza tempo per svuotarsi un po’ la mente prima di riprendere il lavoro.
Il cellulare cominciò a squillare; era tentato di ignorarlo per non infrangere la quiete che era riuscito a creare, ma, quando con la coda dell’occhio vide il viso sorridente di sua figlia, si infilò l’auricolare e rispose.
“Ciao tesoro.”
“Ciao papà. Prima ho chiamato al distretto, credevo ti avrei trovato lì.”
“Sto andando a Providence, ho un’indagine importante da portare a termine.”
“Non fare nulla che io non farei. Stai attento.”
“Stai tranquilla.” ma sapeva bene quanto fosse dura per lei. “Cosa hai fatto in questa bella domenica? Sei già a casa?” Adorava quando gli raccontava la sua giornata. Era un momento dedicato solo a loro. Dove parlavano, ridevano e tornavano insieme ai tempi in cui tutto era meraviglioso.
“Mi sono svegliata presto e sono andata a New York a trovare mamma. Le ho portato dei fiori nuovi, le margherite ormai erano appassite. Credevo che qualche giorno fa mi avessi detto che ci saresti andato.”
 
Meredith era morta cinque anni prima.
Aneurisma.
Non avevano fatto nemmeno in tempo a leggerne i sintomi, a sapere che ci fosse, a sperare di riuscire a curarla.
Da giorni si lamentava del mal di testa che la perseguitava giorno e notte, la luce, anche quella tenue del lampadario sopra la cucina, la infastidiva.
Un mercoledì, era primo pomeriggio, aveva fatto ritorno a casa. Nella fretta quella mattina si era dimenticato dei documenti importanti su di una mensola in soggiorno.
Entrando l’aveva chiamata e, non ricevendo risposta, si era allarmato. L’aveva trovata stesa in bagno, accanto a lei la sua spazzola.
Inutile tentare di fare qualcosa.
Svenendo aveva picchiato la testa contro il lavabo; il sangue aveva macchiato la ceramica bianca.
Si era inginocchiato accanto a lei, l’aveva presa tra le sue braccia e, stretta al suo petto, l’aveva cullata piangente.
Alexis aveva solo 10 anni.
Lui era rimasto per così tanto arrabbiato con se stesso. Era un poliziotto, sapeva difendersi dai criminali, credeva di saper proteggere la sua famiglia, ma non era riuscito a proteggerla da quello. Così avevano cambiato città, lì non c’era più niente per lui. Boston gli era sempre piaciuta, era l’occasione giusta.
 
“Si, no, sono stato molto occupato con il caso, lo sai.”
“Ma non mi avevi detto che lo avevano passato all’FBI...?”
“È complicato tesoro.”
“D’accordo, come vuoi.” bisbigliò rassegnata, “C’è il segnale di chiamata, deve essere la nonna che vuole sapere se sono arrivata.”
“Va bene, salutamela e mangia. Io cerco di tornare il prima possibile.”
“A stasera papà.”
“Ciao pumpkin.”





Diletta's coroner:

E da qui ci rirtroviamo nel passato di Castle, fino a che non ritorneremo esattamente alla fine del primo capitolo!
Che altro dire... grazie per aver letto e buona serata :)
  
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