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Autore: tedsweeran13    11/05/2013    2 recensioni
Finalmente arrivai in prossimità della scala che portava al palco grande. Lì vicino, accanto a me, una ragazza fissava lo schermo su cui stava Taylor, tenendo in mano un cartellone con su scritto 'i love you'. Mi venne un'idea ancora più pazza; tirai giù il cappuccio, mi avvicinai alla ragazza e le chiesi se me lo potesse prestare. [...] Salii con decisione le scalette, proprio mentre la bionda finiva la canzone e la postazione rotante su cui si trovava si bloccava, rivolta verso il palco. Mi guardai un attimo alle spalle, per controllare se tutto stesse andando secondo i piani, e quasi mi spaventai vedendo la mia immagine gigantesca. Ma non potevo tirarmi indietro. Tutta la folla si era voltata verso di me, in piedi in mezzo al palco come un imbecille, e mi guardava incuriosita. Taylor stava a testa china, tentando di riprendersi. Non sentendo altro che il silenzio assoluto, alzò la testa, mi vide, sgranò gli occhi. E in quel momento, alzai il cartellone.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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DUE.




Consiglio: vi consigliamo di ascoltare QUESTA canzone durante la lettura, di metterla anche a ripetizione, se necessario; ha molto ispirato questo capitolo e ne segue un po' la "struttura" se così si può dire :)


Non so perché ma, quella sera, quando mi misi a letto, invece di addormentarmi, cominciai a pensare. Non tanto a quello che era successo quel pomeriggio – anzi tutt’altro, cercavo di evitarlo il più possibile - quanto agli eventi di qualche mese prima. Se dovessi spiegare come mai il mio povero cervello si fosse messo a rielaborare un flashback così lungo e assurdo probabilmente non sarebbe bastata una vita per capirlo neanche per me; fatto sta che, senza un vero motivo valido - o, perlomeno, un motivo che riuscissi a comprendere - mi tornavano in mente a spezzoni, come scene di un film, eventi di qualche mese fa.

Erano giorni che non sentivo né Taylor, né Harry; e la cosa era piuttosto strana perché, almeno con lei, eravamo soliti fare lunghe chiacchierate, la sera. Più che “chiaccherate” li chiamerei “deliri”. Ci dicevamo frasi del tipo “Hey Ed, ieri ho incontrato un pegicorno: mi ha detto di chiamarsi Christopher, come te” oppure “Hey Taylor, la tua gatta mi ha parlato in sogno stanotte: ha detto che devi smetterla di strimpellare la chitarra come un’ossessa tutta la notte perché lei vuole dormire”. E poi alla fine ci ritrovavamo a parlare del senso della vita. O di quale fosse la parola più lunga del mondo. Era piacevole, chiacchierare con Taylor; non servivano tanti freni perché rideva più o meno di tutto, parlava più o meno di tutto, e ascoltava più o meno tutte le scemenze che dicevo. E ci rideva anche. Ma era un bel po’ che non la sentivo, e stavo cominciando a preoccuparmi. Non mi aveva mandato nemmeno un messaggio, l'ultimo risaliva ad una settimana prima. Era una cosa strana e, sicuramente, non era da Taylor. Avevo provato anche a fare un giro di telefonate fra le sue amiche più strette.
- Non so che dirti, Ed - aveva detto Selena, preoccupata quanto me. - Anche io non la sento da un po'. Posso solo dirti che c'è qualcosa che bolle in pentola con la storia di Harry, già da qualche settimana. Ma per il resto non so niente.
Avevo aspettato un altro giorno, poi mi ero deciso a chiamarla. Ma non aveva risposto, né al cellulare, né a casa. C'era qualcosa che non andava, ormai era certo. Il mio primo pensiero fu di partire di corsa verso casa sua. Con cosa poi, rimaneva un mistero, considerato che non avevo idea di come fare per arrivare fino a lei, visto che ero in tour. Decisi però di chiamare Harry, per chiedergli se ne sapesse qualcosa. Sulle prime, nemmeno lui rispose, tanto che pensai che forse quei due si erano concessi una vacanza fuori dal mondo, da soli; ma, alla terza volta che provavo, il ragazzo aveva alzato la cornetta.
- Ed? Ma si può sapere che ti prende? - sbottò, in tono seccato. - Uno non può rilassarsi cinque minuti senza ricevere un numero indefinito di telefonate?
- Sì, scusa - dissi, poco convinto. - È soltanto che sono giorni che non sento Taylor, non risponde al cellulare, né a casa, e mi chiedevo se magari tu sapessi qualcosa.
Dall'altra parte, mi giunse solo il silenzio, tanto che pensai che Harry avesse riattaccato.
- Harry? Ci sei?
- Sì, sì, ci sono - brontolò, ancora più irritato. - Comunque, non so niente di Taylor. Sono giorni che non la sento nemmeno io. Più o meno da quando abbiamo litigato.
- Avete litigato? - gli chiesi, sempre più sospettoso e preoccupato.
- Già. È finita.- rispose, con nonchalance. - Ci siamo lasciati.
- Cosa? E perché? - esclamai, sorpreso. Lasciati? Quando? Perché Taylor non me lo aveva detto?
- Qualcuno le ha inviato una foto di me con un'altra ragazza, una mia... amica - esitò. Leggermente più rammaricato. - E niente, Taylor non ha retto, e nemmeno io. Così le ho detto che era meglio se la finivamo qua.
Rimasi in silenzio. Dio Santo. Certo che Harry era sempre il solito. Al primo problema - che solitamente era lui a creare - si tirava indietro. Sospirai e mi massaggiai le tempie. Le risposte di Harry, così fredde e scostanti, mi aveva dato un fastidio tremendo.
- Certo che hai un tatto straordinario, amico - gli dissi, con tono acido, per poi riagganciare.
Sostanzialmente mi ritrovai più in confuso di prima. E dovevo trovare un modo per andare da lei: era evidente che l’aveva presa molto male. Anche se la cosa tra i due era nata più per gioco che per altro, e dall’esterno poteva apparire più come una trovata pubblicitaria, alla fine si vedeva che un po’ si erano legati. Poco, certo, ma comunque lo erano; non so cosa li legasse veramente, ma sapevo che per Taylor era stato un duro colpo, visto com'era sparita dalla circolazione, all'improvviso. E Taylor non è il tipo che sparisce, quindi vuol dire che quel genio del mio migliore amico aveva combinato qualcosa in più di ciò che voleva far intendere.

Cominciai a fare due calcoli mentali per capire quanto tempo avrei impiegato ad andare e tornare, se fosse un’idea stupida - sì, era stupida, ma non importava -, se avrei mandato in fumo un intero concerto e se la mia geniale trovata avrebbe risollevato il suo morale che ero sicuro essere a terra, se non ancora più sotto. Il cervello elaborò che era fattibile, anche se probabilmente avrei fatto infuriare un bel po' di persone, e non parlavo solo dei fans. Sarei voluto partire all'istante; non avevo capito quando era avvenuta la rottura, ma era davvero troppo tempo che non sentivo Taylor, ed avevo paura che le fosse successo qualcosa. Presi il portatile posto sul comodino dell’albergo e cominciai a fare qualche ricerca su internet, nel tentativo di trovare un aereo che portasse da qui a Los Angeles. O almeno, credevo fosse a Los Angeles. E se fosse tornata a casa, per prendersi una pausa? Forse era per quello che non rispondeva. O forse le era successo qualcosa. Panico.
“Calmati, Ed!” urlò una voce nella mia testa. La mia coscienza. Sì, ho una coscienza che mi parla. Ormai l'avete capito che sono strano. “Se ti fai prendere dal panico non riuscirai ad aiutare Taylor. Calma. Pensa”.
Mi appoggiai allo schienale della sedia, per niente calmo, ma più riflessivo; avrei potuto chiamare Selena, raccontarle quello che mi aveva detto Harry e chiederle se poteva andare lei stessa a controllare. Ma sapevo che avere notizie per terze persone non mi avrebbe tranquillizzato; volevo vederla di persona. Non sapevo bene perché, ma avevo la sensazione che solo vederla con i miei stessi occhi, di fronte a me, sana e salva, avrebbe potuto calmare la mia ansia. Per questo mi riavvicinai al computer, cercai il primo aereo per Los Angeles e prenotai un biglietto. Di sola andata.

Il volo era fissato per le undici e mezza di sera; erano appena le otto, ma buttai qualcosa in valigia e mi fiondai fuori dalla stanza e dall'hotel il più velocemente possibile. L'ansia era sempre lì, come una fedele amica, aggrappata al mio stomaco con un gatto al suo giocattolo a forma di topolino. Fu così che riuscii ad essere all'aeroporto prima delle nove e mezza.
L'attesa mi stava uccidendo. Nel mentre attendevo al gate, con il mio povero bagaglio e la custodia con dentro la chitarra - non chiedetemi perché me la fossi portata dietro. Ricordate? Sono strano - provai nuovamente a chiamare Taylor. Non rispose nemmeno questa volta. Avevo la tentazione di lanciare il cellulare sulla pista. Non sapevo il numero di casa sua a Nashville, quindi mi era impossibile accertarmi se era lì. Aspettai pazientemente - per quanto mi fosse possibile.
Finalmente salii sull'aereo, e la mia ansia si allentò un po'. Non sapevo quante ore di volo mi aspettassero, ma non m'importava. Il desiderio di accertarmi che la mia migliore amica stesse bene cresceva di minuto in minuto, quindi sperai fossero poche.
Cercai di rimanere il più tranquillo possibile, ma fu molto difficile. Mi infossai nella poltroncina di prima classe, ad occhi chiusi, tentando di non pensare al peggio. Ero terrorizzato, a quel punto. Non sapevo da dove venisse quella reazione esagerata, fatto sta che il tempo che passai su quell'aereo fu il più terribile della mia vita. Quando riuscii a rimettere piede a terra, ero quasi tentato di fare un balletto. Guardai l'orologio. Erano quasi le due. Che orario improponibile per presentarsi a casa di qualcuno.
“Bravo Ed” esclamò Coscienza, con un tono da maestrina. “Probabilmente Taylor ti butterà fuori a calci nel sedere. Anche perchè credo che, in questo momento, l'ultima cosa che vorrebbe vedere è un uomo”.
Ah, certo. Non avevo pensato a questo particolare; se Taylor era così distrutta come sembrava, forse vedermi non le avrebbe fatto tanto piacere. Probabilmente in questo istante detestava tutto il genere maschile.
Scrollai le spalle. Ormai ero lì, e dovevo vederla.

Mi ricordavo benissimo dove si trovasse casa sua; c'ero stato molte volte, mentre lavoravamo ad “Everything Has Changed”, appena qualche mese prima. Perciò, non ci misi molto tempo a raggiungerla.
In questo momento, il cancello di casa Swift, nero e lucente - non avevo dubbi - mi sovrastava. Era qualcosa di così gigantesco. Non sapevo se suonare il campanello o cosa. Forse avrei potuto sedermi lì davanti stile barbone e cominciare a cantare qualcosa, nel tentativo di svegliarla.
Sfiorai il metallo freddo. Sicuramente non sarei riuscito a passare tra una sbarra e l'altra, erano troppo strette ed io non ero certo uno scheletro.
Mentre cercavo uno stratagemma per entrare senza dover suonare il campanello - che avrebbe certamente ignorato, a quell'ora di notte - vidi una luce, oltre le piante dell'immenso giardino. Spostandomi un po' verso destra, riuscii a capire da dove provenisse. Era una finestra aperta; sul bordo di questa, stava qualcosa, una figura alta e slanciata, che proiettava un'ombra scura sul terreno sottostante.
Ammetto che mi ci volle un po' per riconoscervi una figura umana. E ci misi ancora di più a riconoscere il profilo di Taylor, le spalle infossate e la testa bassa. Ogni tanto sussultava. Stava piangendo. Era seduta sullo stipite della finestra, con le gambe penzolanti fuori e qualcosa appoggiato sulle ginocchia. D'un tratto, una luce bianca le illuminò il volto, e capii che era un computer.
Fu un sollievo vedere che stava bene, almeno fisicamente; ma non mi piaceva lì, da sola, in equilibrio su quella finestra, al secondo piano. Sarebbe potuta cadere da un momento all'altro, senza tralasciare che mi sembrava abbastanza sconvolta. Dovevo raggiungerla, quindi feci la prima cosa che mi venne in mente: mollai bagaglio e chitarra dietro una siepe lì vicino - pregando tutti i santi che conoscevo che nessuno li scoprisse - e cominciai ad arrampicarmi, con la mia goffaggine caratteristica, lungo il cancello di ferro. Il metallo era freddo e scivoloso e avrei potuto cadere da un momento all'altro. Con questo pensiero fisso in mente e il panico che mi saliva su per la gola, riuscii abbastanza velocemente a raggiungere la cima. Il problema adesso era scavalcare. Mi sentivo un criminale. Speravo che nessuno mi vedesse e chiamasse la polizia; sarebbe stato abbastanza difficile ed umiliante spiegare il motivo della mia incursione.
Stranamente, scavalcare fu più facile che arrampicarsi; mi ritrovai aggrappato all'altra parte, mentre guardavo il giardino di casa Swift sempre più nel panico. Mentre pensavo se sarebbe stato meglio saltare o scendere con cautela, un passo alla volta, il destino scelse per me: persi la presa con un piede e, con un urlo istintivo, che avrebbe svegliato anche una famigliola intera che dormiva a Nashville, atterrai sul suolo freddo e duro.
“Ahi, questo fa male” disse Coscienza, nella mia testa, mentre io me ne stavo sdraiato per terra, a pancia in giù, sentendo dolore ovunque. Ma che idea malsana era stata quella? Ero un cretino. Tanto più che, dopo il mio fantastico acuto, era sicuro che qualcuno avrebbe chiamato la polizia. Magari la stessa Taylor. Oh, bene. Un'altra delle mie maginifiche figure di merda.
Non riuscivo a muovermi. Forse mi ero rotto qualcosa. La spina dorsale. O l'osso del collo. Magari ero morto. Già, ero morto e quello solo un terribile incubo. Ecco la verità.
Perciò, quando sentii dei passi svelti avvicinarsi, pensai fosse un angelo. O forse un demone. Già, era più probabile che finissi all'Inferno piuttosto che in Paradiso. Chiusi gli occhi, ormai convintissimo di essere trapassato.
Ma poi una voce femminile, una voce che conoscevo benissimo, mormorò: - Ed?!
D'un tratto, recuperai tutte le forze che mi sembrava di aver perduto e il dolore scomparve all'improvviso, mentre mi alzavo a sedere di scatto per ritrovarmi ad un palmo del naso di Taylor. Per poco non strillai un'altra volta.
- Che diavolo ci fai qua?! Mi hai fatto prendere un colpo, pensavo fosse entrato qualcuno! - sbottò, evitando il mio sguardo. - E quando ti ho visto sdraiato per terra, pensavo fossi morto.
- Ti consola sapere che ho pensato di esserlo anche io? - scherzai, arrossendo per l'imbarazzo. Un'altra meravigliosa figura da aggiungere alla mia lista interminabile di gaffes.
Lei mi sorrise appena, preoccupata per la mia sanità mentale, probabilmente; ma il sorriso sparì in fretta come era apparso. Ora che i miei occhi si stavano abituando al buio, potevo guardarla in faccia: aveva gli occhi rossi, gonfi, ed era struccata. Il viso era chiazzato, stanco e distrutto; sembrava dimagrita di decine di chili. Stava accucciata di fronte a me e sembrava faticasse a reggersi sulle gambe. Non l'avevo mai vista così; sentii il cuore sprofondare per la pena e per la preoccupazione.
Mi alzai per primo, sotto il suo sguardo triste ed interrogativo. Le porsi la mano e lei ci mise un po', ma poi l'afferrò.
Appena l'ebbi tirata su, la tirai verso di me, facendola quasi sbilanciare in avanti, e la strinsi con tutta la forza che avevo.
Non credo se lo aspettasse. Si irrigidì sotto la mia presa e, in un primo momento, quasi d'istinto, cercò di staccarsi; ma non la lasciai, non avevo nessuna intenzione di farlo. Ed evidentemente lo capì, perchè smise di divincolarsi, mi abbracciò a sua volta e scoppiò a piangere disperatamente.
Sentirla urlare contro di me per il dolore, battere i pugni sul mio petto, sfogarsi, mi distrusse e mi spezzò il cuore riducendolo ad un mucchietto di pezzettini abbandonati in un angolo. Sembrava che il mio cuore avesse seguito la stessa strada del suo; riuscivo a provare quello che provava lei. Appoggiai la testa sulla sua spalla; profumava di pesche. Lei affondò il viso nella mia, continuando a piangere come una bambina. Esatto, la sentivo come una neonata, tra le mie braccia. Inerme, privata di qualsiasi volontà o sentimento che non fosse la disperazione.
Era la prima rottura della mia migliore amica che vivevo, ma avevo già capito che odiavo vedere il suo cuore, così buono e gentile, spezzarsi; odiavo vedere i suoi occhi scurirsi, come era successo prima. Non credo mi ci sarei mai abituato.
In questa storia, molti sono i ricordi che, alla sua conclusione, mi sono tornati in mente. Uno di questi fu quella scena. Ricordo benissimo ogni singolo istante, ogni singolo singhiozzo di Tay ed ogni singolo pensiero. E ce ne fu uno in particolare, tra tutti quelli che mi affollavano la mente, mi travolse, facendomi scostare da Taylor in modo quasi rude.
Ricordo di aver pensato che era troppo buona per subire tutto questo. Che non lo meritava. Che mi sarebbe piaciuto renderla felice, come avrebbe dovuto essere. Che avrei voluto guarire il suo cuore.
Afferrai Taylor per le spalle e la allontanai in fretta, sentendo il mio cuore accelerare. Lei smise di piangere e mi guardò stupita. Io mi sentii di nuovo avvampare, imbarazzato dai miei stessi pensieri; perciò smisi di guardarla, mentre lei si scrollava le mie mani di dosso e si abbracciava con le mani.
- Non mi hai ancora detto - disse, per rompere quel silenzio carico di tensione. - Cosa ci fai qui. E come ti è venuto in mente di scavalcare il mio cancello.
Non risposi subito. Le diedi le spalle e mi misi a fissare casa sua. Almeno non dovevo guardarla negli occhi. Temevo che potesse leggerci cosa mi passasse per la testa. - Era un po' che non ti sentivo - esitai. - Mi stavo preoccupando. Poi ho chiamato Harry e mi ha detto tutto.
Mi voltai nuovamente verso di lei, sentendomi abbastanza sicuro di me stesso, e la guardai negli occhi. - Mi dispiace, Taylor. Mi dispiace così tanto. Odio vederti così.
Lei, in tutta risposta, tirò su con il naso. - Dio, Ed. Domani non hai un concerto da qualche parte?
- Beh, dovrei.
- E allora cosa ci fai qui?
- Ero preoccupato per te, te l'ho detto. Volevo venire a vedere come stavi e... magari consolarti, con qualche battuta delle mie o qualcuna delle mie gaffe.
Mi fissò intensamente, con quegli occhioni blu da cerbiatta, tanto che cominciai a sentirmi quasi esposto. Di nuovo, arrossii. Uhm. Da quando stare con Tay mi provocava tutto questo afflusso di sangue alle guance?
Finalmente sorrise; non era un sorriso dei suoi, ma era ciò che più gli s'avvicinava. - Dio, Ed, sei un tale idiota. Nessun altro avrebbe mai fatto una cosa del genere per la sua migliore amica.
- Ma io non sono “nessun altro” - sbottai. Era squallida, okay, ma riuscii a strapparle un risolino, quindi la considerai una vittoria. - Come stai?
- Sono stata meglio, certo - obiettò, calciando la ghiaia del vialetto con il piede. Notai che indossava delle pantofole a forma di gatto. Classico. - Ma in un certo senso, non sono mai stata peggio.
Non capii cosa volesse dire. Mi avvicinai di nuovo a lei, temendo che stesse di nuovo per scoppiare a piangere e quindi pronto ad offrirle una spalla per farlo, ma lei tirò fuori il suo IPhone, ci aggeggiò un attimo e poi lo voltò verso di me. In quei pochi secondi in cui la luce illuminò il suo volto, vidi che aveva nuovamente gli occhi colmi di lacrime.
Quella che mi stava facendo vedere era la sua pagina twitter. Aveva un sacco di menzioni, ma non capii quale fosse il problema; ne aveva sempre tantissime, i suoi fan la adoravano. Ma poi, stringendo gli occhi, riuscii a leggere meglio. E capii che non erano tweet festosi da parte delle sue fan.

@taylorswift13 muori.
@taylorswift13 stai lontana da Harry!!!!! sei una lurida puttana. Tornatene da dove sei venuta!
@taylorswift13 spero che Harry ti mandi a quel paese in grande stile, brutta troia.
@taylorswift13 sei una stronza, gira al largo da Harry.
@taylorswift13 non provare a scrivere una canzone su di lui!!!

E non era finita qui. I tweet che la insultavano continuavano, ancora, ed ancora. Sembravano non finire mai, e sovrastavano quelli - sempre numerosi - del suo fandom che la difendeva a spada tratta.
Rimasi schifato da quei messaggi. Come osavano trattarla così, solo perchè era uscita con il loro stupido Harry? Ci credevo che Taylor era distrutta. Era così buona, e vedere tutti quegli insulti rivolti a lei, che non aveva mai fatto niente di male, a parte innamorarsi del ragazzo sbagliato...
Mi sentii montare la rabbia. Ma come osavano? Come osavano comportarsi così con lei, la persona più gentile esistente su questa terra? Avrei voluto picchiarli uno per uno con le mie stesse mani, finché non sarebbero tornate strisciando a chiederle perdono.
- Mi odiano - sussurrò lei, mettendo via il cellulare e tuffando il viso nelle mani. - Mi odiano tutti, Ed. Sono la persona più orribile di questa terra.
- Ma cosa dici Tay? - sbottai, afferrandola per le spalle e scuotendola. Non doveva azzardarsi a pensarle nemmeno quelle cose. - Tu, tu sei una persona orribile? Cosa avresti fatto di sbagliato? Innamorarti? Non è mai uno sbaglio innamorarsi. Loro stanno sbagliando, Taylor. Non ti conoscono, non sanno chi sei, non hanno nessun diritto di giudicarti. Sono delle bambine. Non sanno nemmeno di cosa stanno parlando.
Lei non sembrava avermi ascoltato. Aveva ricominciato a piangere, quasi più forte di prima. Non riuscivo a vederla così, veniva da piangere anche a me. Era terribile, e non sapevo più cosa fare per consolarla. Così, la strinsi a me, di nuovo, e lei sembrava così piccola - quando, in realtà, sappiamo tutti benissimo quanto sia alta. È un colosso - che ci si perse, tra le mie braccia; la abbracciai così stretta da temere di poterla rompere, affondando la testa nel suo collo e tentando di calmarla, accarezzandole la schiena ed i capelli, biondi e mossi. E di nuovo, pensai che odiavo vederla così. Che era ingiusto che lei non riuscisse a trovare l'amore, mentre persone cento volte più meschine e terribili sì. E che avrei voluto vederla felice, a qualunque costo.

Il flashback si concluse all'improvviso, riportandomi alla realtà con uno strattone. Stavo fissando il soffitto con aria assente, intento a pensare a tante, troppe cose. Forse, avrei dovuto pensare meno; mi avrebbe fatto molto bene. Ma non ci riuscivo, avevo la testa così piena, di confusione e ricordi e parole che sapevo che c'era un unico modo per fare un po' di ordine.
Scalciai via le coperte come avrebbe fatto un bambino e mi alzai, dirigendomi verso lo scrittoio che stava in fondo alla stanza. Prima, però, presi la mia adorata chitarra, poggiata alla parete lì affianco. Mi sedetti e la imbracciai. Poi, strappai un foglio dal block notes dell'albergo e presi la penna, cominciando a buttare giù qualche nota.

Ancora non sapevo di stare scrivendo una canzone per Taylor.


Angolo Autrici
Buonasera! Eccoci di nuovo qua (CAUSE THERE WE ARE AGAAAAAAAAAAAAAIN!, per dirlo con una delle nostre Swift song preferite!) con un altro bel capitolo per la nostra FF :)
Vi comunichiamo che non ci aspettavamo così tante recensioni già al primo capitolo! Siamo veramente contente, è bellissimo vedere così tanti commenti positivi. Ci dispiace di non poter rispondere personalmente ad ognuno di voi, ma gli impegni ci obbligano a dedicarci poco anche alla scrittura. Comunque, vi ringraziamo vivamente!
Siamo già a buon punto con in terzo capitolo, quindi lo pubblicheremo in tempi più brevi :) non vediamo l'ora di mostrarvelo!
Per ora speriamo che questo vi sia piaciuto! :3
A la prossima volta!
P.S. No, ovviamente, quella nella foto all'inizio non è la casa di Taylor. LOL
  
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