Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: E m m e _    11/05/2013    3 recensioni
Per secoli è stata tramandata l’esistenza di un’entità buona e di una malvagia.
Ed una volta era così:
Lucifero e Dio, l’eterna lotta tra il Bene ed il Male.
Ma ora non più.
Eravamo abituati a parlare di Dio come una presenza buona, genuina.
I nostri genitori, i nostri amici, preti e suore
ce lo hanno presentato come la Salvezza.
Ma si sbagliavano, si sbagliavano tutti.
Perché è a causa sua che la più grande di tutte le guerre si è abbattuta sulle nostre terre, sulla nostra gente.
E sta cercando i suoi Angeli, tra noi, quelli che lo hanno tradito, che lo hanno oltraggiato nel nostro mondo…
E se anche tu pensavi che Dio ti avrebbe risparmiato, ti sbagliavi.
Ora né Dio né nessun altro potrà salvarci.
STORIA SCRITTA A DUE MANI DA MIRIANA (ME) E ANGELICA (ENGI)
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Gabriel
 
-          Damabiah…
Quel nome mi uscì dalle labbra quando l’ombra scivolava dall’oscurità per raggiungerci alla poca luce del lampione. L’alta figura dell’Angelo ci guardò, imponente ed elegante, anche se il suo travestimento da barbone era tutto fuorché di classe.
Hariel si strinse a me, guardando la figura che riaffiorava dalle tenebre, tremando con forza tra le mie braccia.
L’uomo avanzò verso di noi, uno strano sorriso sul volto.
Appena arrivò ad una manciata di passi di distanza da noi, una strana forza esterna mi spinse a trascinarmi a terra, in ginocchio, il capo chino.
Sentii Hariel sussultare guardandomi con occhi sbarrati e da cerbiatta.
-          Gabriel!
Gemetti piano sentendo i muscoli contorcersi sotto pelle, rendendomi impotente e paralizzato al suo potere. Hariel si inginocchiò di fianco a me, prendendomi il viso tra le mani come se volesse aiutarmi a rialzarmi e reagire.
E poi un dito le sfiorò sotto il mento, alzandoglielo lievemente per permettere a Hariel di guardare Damabiah dritto negli occhi.
-          Non posso crederci…
L’Angelo la guardò con i grandi occhi grigio argentei.
-          Sei identica a lei…
Mi si gelò il sangue nelle vene. Strinsi forte i denti, le mani chiuse in pugno contro le gambe.
-          Sta zitto…
Il mio risultò un ringhio, ma nelle mie condizioni sarei potuto sembrare solo un gatto spaventato.
Damabiah guardò ancora mia sorella, attentamente, come se stesse studiando un quadro antico.
Le porse la mano, per aiutarla a rialzarsi, e lei acconsentì, senza staccare gli occhi da lui.
Hariel lo guardava, silenziosa, studiava ogni suo sguardo, ogni sua azione.
Una mente criminale nel corpo di una ragazzina; un calcolo poco evidente per qualcuno che non la conosceva da sempre come me.
E finalmente trovai la forza…
-          Non toccarla!
Scattai in avanti ma, con un solo gesto della mano, l’Angelo mi spinse contro la parete del vicolo, bloccandomi nuovamente a terra.
-          Hariel…
Ma mia sorella non mi degnò di uno sguardo, rimase lì, ferma, a guardare l’uomo dagl’occhi d’argento.  Se stava calcolando qualcosa, quell’operazione era troppo complicata persino per lei.
-          Sei identica a tua madre…
La sua mano scivolò sulla guancia di lei, che iniziò a seguire con gli occhi i movimenti delle dita.
E poi un suono, dapprima lontano, poi sempre più veloce.
Hariel si voltò di scatto, un movimento così veloce che mi sorprese; a stento mi voltai verso la città. E poi tutto crollò.  Uno degli edifici più grandi della nostra cittadina iniziò a cadere, piano; i vetri si infransero, le mura iniziarono a disintegrarsi tra di loro, lanciando intorno a sé uno scudo di polvere grigia e fitta, come una nebbia a Settembre.
-          Angeli…
Damabiah guardò prima me, poi mia sorella. I suoi occhi d’argento vennero invasi da infiniti fasci d’ombra, il suo corpo tremò, come indeciso sul da farsi, poi afferrò Hariel per un braccio, trascinandola indietro, quasi fino a me.
-          DOBBIAMO ANDARE!
Gridò a gran voce mentre mi liberava dal suo potere.  Mi alzai, riprendendo Hariel tra le mie braccia.
-          Noi non verremo con te!
L’allontanai da lui, pronto a morire, a far qualsiasi cosa pur di proteggere mia sorella da lui.
Damabiah gesticolò guardandomi negli occhi, furioso e confuso su cosa dire per farmi cambiare idea.
-          Tu… Non capisci! Voi DOVETE venire con me!
Battei un piede a terra, facendo mettere Hariel dietro la mia schiena.
-          No! Io capisco, capisco fin tutto bene! Voi siete degli assassini, è questo che siete!
L’Angelo fece un passo avanti, ringhiando.
-          Razza di… Ok… Ma pensa ad una cosa: lì ce ne sono altri, proprio come me, se sono loro i distruttori di tutto, se io facessi parte di loro, perché dovrei aiutarvi? Perché vorrei che lei si salvasse?
I suoi occhi si posarono su Hariel, scossa dal tremore e dalla paura.
-          Lei è diversa dagli altri… Quindi permettimi di salvarla, Gabriel. Non farle del male più di quanto loro non vogliano farne a te.
Damabiah allungò la mano, ed io lasciai che Hariel prendesse la sua decisione.  Mi voltai verso di lei, sfiorandole le spalle con le mani.
-          Gabriel… Io…
Aveva le lacrime agli occhi. Le due pupille nere erano dilatate, rendendo l’iride azzurra sottile e quasi del tutto invisibile: il tipico sguardo che adottava quando era confusa.
-          Va con lui…
La guardai serio, il respiro mozzato per l’ansia.  E se fosse stata la scelta sbagliata? E se le avessero fatto del male ovunque l’avessero portata?
-          Ma…
Hariel si morse il labbro, tremando leggermente sotto la mia presa.
-          Tornerò a prenderti, ma prima ho bisogno di sapere che tu sei al sicuro.
Mi voltai verso Damabiah, e sperai che fosse davvero così.
 
 
Hariel
 
-          Dove siamo?
Damabiah mi tolse la benda dagli occhi, ed improvvisamente un mondo nuovo si aprì davanti ai miei occhi. Le pareti di mattoni si estendevano in ampie stanze invase dalla luce del sole che stava sorgendo, le grande colonne erano piazzate con estrema precisione ogni sette passi.
Continuai a camminare, ammirando le meraviglie di quel posto, senza però togliermi dal viso quell’aria seria di una persona che era stata portata via dalla sua realtà per essere catapultata in una del tutto nuova.
-          Quando tornerà Gabriel?
Ancora una volta nessuno rispose. E poi accadde…
La porta che avevamo oltrepassato qualche attimo prima sbatté di colpo, ma subito dopo venne riaperta e lei, una ragazza dai lunghi capelli scuri e la pelle pallida e al tempo stesso luminosa, presa per ambedue le braccia, veniva ritrascinata all’interno. Lei iniziò a gridare, furiosa, gli occhi pieni di lacrime, e le labbra tinte di rabbia e parole incomprensibili.
Mi si strinse lo stomaco fino a farlo divenire simile a un chicco minuscolo di riso.
I due uomini la lasciarono cadere a terra, confusi sul da farsi.
-          È spagnolo.
Dissi senza smettere di guardare la giovane che, a sua volta, ricambiava il mio sguardo, i suoi occhi dritti nei miei.
-          Qualcuno parla spagnolo?
Il mio cuore batteva a mille, confuso e spaventato. Volevo aiutarla, volevo che andasse via da quel luogo, come sembrava che anche lei volesse fare, ma non potevo far nulla per darle una mano.
Mi voltai verso gli uomini di Damabiah, ma tutti scossero il capo.  Per la seconda volta la porta si aprì di colpo, facendoci voltare tutti verso di essa.  Quest’ultima mostrò l’immagine familiare  di Gabriel.  Sussurrai il suo nome e, l’attimo che seguì questa mia azione fu accompagnato dalla sua corsa verso di me. Mi prese in un tenero abbraccio, facendomi roteare.
-          Sei venuto a prendermi… Grazie.
Il sorriso che mio fratello aveva avuto stampato sulle labbra fino a qualche attimo prima scomparve, improvvisamente, lasciando sul viso solo un’espressione carica di tensione e terrore.
-          Noi non andremo via…
Mi stupii di quanto potesse tremare la mia voce. Gabriel abbassò lo sguardo, annuendo piano.
Un altro rumore, questa volta molto più lontano, fece voltare tutti, persino Gabriel che mi lasciò libera dal suo abbraccio. 
-          Che cos’era?
La sua voce era seria, ma mai quanto il suo sguardo rivolto verso Damabiah, gli occhi dorati che si oscuravano di un nero oblio.
-          Stessi angeli… Palazzo più vicino…
Gli occhi grigi di Damabiah, che fino a qualche tempo prima avrei etichettato come quelli di un barbone qualunque, si spostarono su di me.
-          Nuovo obiettivo.
Un brivido mi attraversò la colonna vertebrale, il mondo crollò tutt’un tratto.
-          Io?
Il mio fu un gemito strozzato. Gabriel afferrò Damabiah per il braccio, trascinandolo indietro, il più lontano possibile da me.
-          Che cosa centra lei?
Damabiah tentò di liberarsi, ma oramai mio fratello lo teneva in pugno…
-          CHE COSA CENTRA LEI? DAMABIAH RISPONDIMI!
Mentre i due litigavano una voce bassa, sottile, mi invase la mente, senza che potessi fare niente per evitarlo. Fu una frase detta rapidamente, le parole si distorsero nel loro viaggio per raggiungermi, ma io sapevo benissimo da che parte dirigere il mio sguardo. Mi avvicinai alla ragazza mora, ancora tremante, la schiena poggiata alla gamba di un tavolino. Mi sedetti davanti a lei, in ginocchio. Le voci di Gabriel e Damabiah divennero solo un ricordo lontano nella mia mente…
-          Che cos’è successo? Perché sei qui?
La ragazza scosse il capo, poi le afferrai le mani, per calmarla, e lei mi guardò con i profondi occhi scuri. Respirò piano, poi abbassò il capo.
-          Era de noche… Hacía frío. Ya era tarde cuando estábamos durmiendo y entonces… Un sonido en la oscuridad.
E anche se le sue parole erano in una lingua che non avevo mai studiato, la traduzione che ne venne fuori fu molto più che facile da percepire. Fu come se i ricordi di quella povera ragazza si fossero fusi con i miei, mandandomi flash di quei ricordi. La notte. Il freddo. La ragazza che dormiva e poi un rumore…
-          Mi mamá entró en la sala, diciéndome que no fuera.
Non la vidi in viso, ma la donna entrò davvero nella stanza, dicendole parole di conforto, per poi concludere con l’ordine di non scendere. Il silenzio e poi un grido.
-          E poi ho sentito le grida e…
Sussultai quando la sentii parlare nella nostra lingua, mantenendo leggermente il suo accento spagnolo. Lei mi guardò negli occhi, il sussurro silenzioso di una persona che voleva solo essere lasciata in pace.
-          Non erano Angeli, ma Demoni…
Afferrò la piccola croce che portava appesa ad una catenella d’argento, e la baciò più volte, dondolandosi piano avanti ed indietro. I suoi occhi si riempirono di lacrime mentre tornava a stringere le mie mani. Voleva raccontare la sua storia, e al tempo stesso non voleva ripeterla a sé stessa.
-          Mi hanno picchiata…
Davanti ai miei occhi si stese la figura di tre uomini, tutti muniti di splendenti ali bianche, mentre gridando minacce in una lingua antica picchiavano prima la madre della giovane, e poi la stessa ragazza. E poi puntò la pistola contro la donna… Gemetti e solo quando mi resi conto di star piangendo le lasciai le mani, facendo tornare tutto alla normalità.
-          Él mató mamá! ¿Por qué? ¿Por qué no me mataste, también? ¿Por qué?
Perché non aveva ucciso anche lei? Non lo sapevo, non sapevo più niente ormai. La ragazza si afflosciò contro il mio petto, piangendo forte. Mi voltai, il petto vuoto di battiti e di qualsiasi altra cosa… Gabriel mi guardò sconvolto, Damabiah, invece, soddisfatto. Ero morta, e non lo sapevo…
   
 
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