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Autore: ChildrenOfTheBarricade    12/05/2013    4 recensioni
Parigi, Modern AU
Tra chi non sa chi è, chi non sa cosa vuole e chi non sa come ottenerlo. Tra non riesce a far pace col passato, chi fatica a fermarsi a vivere il presente e chi non riesce a prospettarsi un futuro. Tra i Les Amis, l'Università, e le domande senza risposta.
- E/R- Eponine/Combeferre -Courfeyrac/Jehan -Joly/Musichetta/Bossuet -Marius/Cosette
(Per la serie "le storie non finiscono mai com'erano iniziate" : iniziata come raccolta di shot)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Enjolras, Eponine, Grantaire, Marius Pontmercy
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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1. Enjolras/Grantaire

Come poteva quel tipo sconvolgerlo così tanto con così poco sforzo?


Enjolras non ritornava nelle aule della facoltà di Belle Arti da settimane ormai.
"Sono qui per Bossuet. Sono qui solo e unicamente per riprendere la borsa che Bossuet ha dimenticato, perché Bossuet è mio amico e allora gli faccio un favore. A Bossuet. Nessun'altro. Davvero."
La sua mente trovava conforto in queste parole, ma il suo stomaco continuava a dargli la sgradevole sensazione di volersi attorcigliare su se stesso in eterno, e, quando infine giunse davanti all'aula in cui avrebbe sicuramente  trovato la borsa di Bossuet e forse un certo ragazzo, quella sensazione si amplificò tremendamente. 
Per un attimo provò l'impulso di tornare indietro: con l'amico si sarebbe giustificato dicendo di non aver trovato la borsa, o l'aula, o il coraggio di entrare. Strinse i pugni e si diede dello stupido. "Torna in te, per l'amor di Dio" pensò, mentre apriva lentamente la porta "Ci sono pochissime possibilità che Grantaire sia ancora qui, la lezione è finita, tutti se ne sono andati e Grantaire... è ancora qui."
Ed infatti, tra cavalletti e tele, sbucavano i ricci scomposti di un ragazzo intento a riporre i propri pennelli nella borsa, e Enjolras li avrebbe riconosciuti anche a chilometri di distanza. Come poteva essere altrimenti, dopo averli potuti stringere tra le dita, e averli accarezzati e...
"Le serve qualcosa?" Enjolras sobbalzò e si girò verso chi gli aveva posto la domanda: un ometto magrissimo e vestito di nero, con un cappello a bombetta anch'esso nero e ai piedi quelle che sembravano delle All-Star vecchie e consumate. E nere. Doveva essere il professore di disegno.
"Ehm, sì... cioè, no, sono venuto solo a riprendere una borsa. E' di un mio amico, l'ha dimenticata." Quello annuì. 
"Dev'essere quella là in fondo. Meglio così, mi hai risparmiato di doverla portare al... coso, ufficio... il posto delle cose che si perdono... com'è che si chiama, Grantaire?"
"Bidelleria." Rispose il moro, la voce che tradiva il suo evidente divertimento per la situazione.
"Sì, ecco, lì. Beh, io vado a casa, mia moglie ha fatto il polpettone e devo tornare presto. Buona giornata ragazzi"
Enjolras riuscì a emettere un debole saluto, prima che lo strambo professore si chiudesse la porta alle spalle e gli occhi di Grantaire, finora concentrati su pennelli e matite varie, si posassero su di lui, bloccandolo dov'era.
"Sai, non è che tu non mi piaccia quando fai tutti quei bei discorsi su come anche noi poveracci abbiamo diritto ad un'istruzione, le robe patriottiche, quelle altre robe sull'uguaglianza e bla bla bla... ma quando sei così imbarazzato mi piaci di più."
Enjolras sgranò gli occhi, incredulo. "Io... io non... ma che stai dicendo?"
Era sull'orlo di una crisi di nervi: da una parte avrebbe voluto zittirlo prendendo a pugni quella sua faccia da schiaffi e cancellando il suo eterno sorrisetto strafottente, mentre dall'altra... non era il caso di pensarci.
Grantaire rise di gusto, chiudendo la zip dello zaino liso e macchiato di colore e mettendoselo malamente su una spalla. "Beh, la roba di Bossuet è laggiù, è per questo che sei qui, no?"
"Sì." Però non si mosse. 
"Sì?" Lo schernì Grantaire, avvicinandoglisi fino quasi a sfiorarlo. Il biondo sussultò e si irrigidì ulteriormente. Odiava che invadessero i suoi spazi, ma dopotutto, a giudicare dalla frequenza con cui i suoi pensieri si rivolgevano incontrollati all'artista (e ai suoi occhi, e ai suoi capelli, e alle sue labbra, e alle sue spalle, e alle sue mani, e... accidenti Enjolras, smettila!), doveva rendere conto del fatto che quel ragazzo, col suo atteggiamento cinico e strafottente, si fosse appropriato di lui molto più di quanto avrebbe voluto. 
"Non mi sembri convinto" insistette, guardandolo negli occhi con un'intensità tale da farlo tremare . Lo stava sfidando, lo sapeva, ma non riusciva a reagire come sarebbe stato nella sua natura fare.
Quando si parlava di diritti e ideali, nessuno poteva tenergli testa, ma questo era un ambito in cui lui non aveva difese. Davanti al sorriso di Grantaire, Enjolras era inerme, e lo sapevano entrambi.
"Sei... sei sporco di tempera." disse senza riflettere, maledicendosi un quarto di secondo dopo.
Il moro lo guardò interrogativo.
"Ah, sì, mi succede sempre, dove...?" Fece per portarsi le mani al viso, ma Enjolras fu più veloce, e gli passò due dita tra lo zigomo e l'orecchio, ritrovandosele rosse di tempera.
"Sei un cretino, Enjolras, che accidenti hai fatto?" pensò, mentre cresceva in lui la voglia di prendere a testate qualche muro. Persino Grantaire parve leggermente sorpreso da quel gesto: dopotutto, il binomio "Enjolras" più "contatto umano" era assai raro da vedere. Ma il suo stupore non durò che un attimo, e sul viso gli ricomparve il sorriso che il biondo tanto amava e odiava. 
"Sei un genio, bello, ora sei sporco tu." E quello sospirò, irritato sia dal soprannome, sia dal fatto che l'altro aveva oggettivamente ragione.
Deciso a sottrarsi a quella situazione così imbarazzante, si diresse verso il lavandino in fondo all'aula e aprì il rubinetto. Il contatto con l'acqua gelida e la momentanea lontananza di Grantaire, gli permisero di riacquistare un briciolo di lucidità.
Era stanco, e gli sembrava di essere rimasto in apnea per tutta la durata della conversazione: come poteva quel tipo sconvolgerlo così tanto con così poco sforzo? Enjolras non avrebbe mai trovato una risposta, ma, anche se avesse potuto, non ne avrebbe avuto il tempo, dal momento che due braccia gli avevano cinto la vita con decisione, e una bocca era scesa a baciargli la porzione di collo lasciata scoperta dalla camicia.
Quella minuscola parte del suo cervello che ancora distingueva ciò che è giusto da ciò che è sbagliato gli urlò di andarsene, e in fretta. Ma ogni altra fibra del suo corpo gli stava dicendo che, accidenti, non aveva aspettato altro da quando aveva aperto la porta dell'aula, e forse anche da prima. Enjolras era fermamente democratico: la maggioranza doveva vincere. Così mandò a quel paese la prima vocina e si rigirò nell'abbraccio, fregandosene dell'acqua che continuava a scorrere , e facendo scontrare con decisione le proprie labbra con quelle di Grantaire.
 
Quest'ultimo sorrise dell'intraprendenza del biondo, mentre gli sollevava le gambe per farlo sedere sul bordo del lavandino. Del resto, se avesse voluto una verginella ritrosa sarebbe andato con la moretta che gli faceva sempre gli occhi dolci a Storia dell'Arte. Ma dove altro avrebbe potuto trovare il senso di euforia che lo pervadeva ogni volta che Enjolras si arrendeva a lui? La soddisfazione di vedere occhi così fieri vagare ovunque per non dover incontrare i suoi? Il piacere nel sentire quella voce, solita a rimbombare risoluta e sicura mentre parlava di libertà e uguaglianza, tremare e affievolirsi, o, come in quel momento, gemere, quando si rivolgeva a lui?
No,non esisteva. Grantaire aveva bisogno di lui, nessun altro sarebbe mai stato all'altezza. Nessun brontolio irritato sarebbe stato altrettanto eccitante, come quello emesso da Enjolras quando l'artista aveva accidentalmente fatto saltare uno dei bottoni della sua camicia. 
 
Un po' per vendetta, un po' perché voleva farlo, il biondo gli strattonò violentemente la maglia verso l'alto, in modo da avere libero accesso ai muscoli del suo torace e della sua schiena. "Maledizione," si ritrovava a pensare, in momenti di improvvisa lucidità "questa è una grandissima stronzata. Stai facendo una stronzata, Enjolras."
Dopo tutto il tempo passato a ripetersi che non avrebbe ceduto una seconda volta, che il bacio che si erano scambiati quella sera era stato solo un errore dettato dalla stanchezza e dall'alcool ( come se una birra e mezza potessero essere considerate alcool), ora era punto e a capo.
Ed era così felice di esserlo, che avrebbe potuto continuare in eterno, se solo un rumore di passi e voci di ragazzi non lo avesse distratto . Si staccò dalle labbra di Grantaire, che a sua volta si allontanò di scatto dal lavandino mentre entrambi cercavano di risistemarsi i vestiti alla meno peggio. 
 
Erano quasi presentabili, quando una quindicina di studenti del primo anno varcò la soglia dell'aula di disegno per iniziare a prendere posto, senza prestare loro particolare attenzione. Grantaire, senza dire una parola, raccattò il proprio zaino dal pavimento dove l'aveva lasciato e uscì in fretta dalla stanza, seguito da un imbarazzatissimo Enjolras incredibilmente interessato alla sfumatura grigio-topo-malato-terminale del pavimento.
Ma prima che potessero allontanarsi, una voce femminile li fermò.
"Scusa" esclamò una studentessa con uno strano fiocco a pois tra i capelli, rivolta ad Enjolras "credo che tu abbia lasciato questa... è tua, no?"
Tra le braccia reggeva la borsa nera di Bossuet.
"Ehm... sì, sì grazie mille." le rispose, vagamente stordito, mentre al suo fianco Grantaire scoppiava a ridere.


 

E con chi altro avrei mai potuto inziare?
Questa raccolta è il risultato di una domenica che avrei dovuto passare a studiare,
e temo che mi occuperà  molte, moltissime altre domeniche.
Enjoy <3
  
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