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Autore: Mary P_Stark    13/05/2013    4 recensioni
I vizi e le virtù di Nickolas Van Berger, magnate di prim'ordine di Los Angeles, sono noti a tutti, specialmente tra le signore più altolocate della California. Suo malgrado, però, verrà a scontrarsi con l'unica donna che non subisce il suo fascino, scelta appositamente perché non lo porti in tentazione anche sul luogo di lavoro. Questa scomoda novità porterà Nickolas a porsi più di una domanda e a scoprire quanto, in realtà, le ritrosie di Hannah Fielding, sua scrupolosa segretaria, siano affascinanti. 1^ PARTE DELLA SERIE DI "HONEY'S WORLD".
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Honey's World'
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¤Capitolo 2¤

 
 
 
 
“E tu chi sei?”
La domanda, giunta da una voce maschile familiare e, al tempo stesso, estranea, la fece riemergere dal profondo stato di trance in cui era caduta durante il lungo ed estenuante lavoro di archiviazione/sistemazione dei documenti che aveva trovato sull'ingombra, ed enorme, scrivania dell'ex segretaria di Nickolas.
Levando i grigi occhi su un viso sbarbato e incorniciato da chiari capelli biondo castani lisci e impeccabilmente pettinati, Hannah notò immediatamente una buona somiglianza con Nickolas e dedusse che il giovane innanzi alla scrivania fosse suo fratello, o un suo parente stretto.
Forse, il Brandon di cui sua madre le aveva parlato quella stessa mattina.
“La nuova segretaria di Mr Van Berger.” Detto ciò, si levò in piedi per allungare la mano nella sua direzione e, come sempre, vide anche nello sguardo del giovane lo sconcerto di fronte alla sua proverbiale altezza. “Sono Hannah Fielding, tanto piacere.”
“Beh, Miss Fielding, mi sorprendi davvero. Ti ha scelta mia madre, vero?” ridacchiò il giovane, stringendole brevemente la mano prima di squadrarla come, in precedenza, aveva fatto il fratello. Senza fretta, con sfacciataggine.
E' una caratteristica di famiglia, forse, pensò con acida ironia Hannah.
“Il colloquio è avvenuto con Mrs Van Berger, sì. Quindi, ipotizzo lei sia Brandon, vero?”
“In carne e ossa.” Poi, indicando la porta dell’ufficio, mormorò: “Mio fratello è occupato?”
In quel mentre, la porta si aprì e Nickolas, notando la presenza del fratello accanto alla scrivania e Hannah ancora alla sua postazione, guardò dubbioso l'orologio prima di esalare: “Ma... non sei andata a casa un'ora fa?”
“Volevo terminare di sistemare le carte, così che lunedì non dovessi ammattire per mezza giornata” scrollò le spalle la giovane, serafica.
“Le hai... già sistemate?” gracchiò il magnate, ricordando benissimo il caos che regnava su quella scrivania.
“Sì, e la tua agenda elettronica è già stata aggiornata. Te l'ho inviata via e-mail circa dieci minuti fa” gli spiegò lei, scrollando noncurante le spalle.
Brandon scoppiò a ridere di gusto e, guardando il viso il fratello - palesemente sorpreso - commentò sarcastico: “Questa, se non altro, sa fare il lavoro per cui è pagata. Anche se non è il tuo tipo.”
Nickolas fissò malamente il fratello minore per quell'uscita infelice, ma un'occhiata veloce a Hannah gli fece capire che la battuta di pessimo gusto non l'aveva minimamente sfiorata.
Anche Brandon se ne rese conto e, nel fissarla in cerca di qualche cenno, seppur minimo, di una possibile rabbia repressa, esalò sorpreso: “Ehi, stoica fino al midollo.”
“Ah, no... Los Angeles Dodgers fino al midollo, per essere precisi” celiò Hannah, afferrando la sua borsetta dalla scrivania. “E ora, come mi hai fatto giustamente notare tu, Nickolas, penso andrò a casa. Tua madre mi ha mandato il contratto giusto un'ora fa e l'ho già debitamente firmato. Lo lascerò all'amministrazione mentre scendo. Buon fine settimana a entrambi.”
Ciò detto, la donna se ne andò con la sua andatura sicura di sé ed elegante al tempo stesso e, quando fu svanita oltre la posta a doppio battente dell’entrata, Brandon fischiò ammirato e commentò: “Caspita! Una donna tifosa di una squadra di baseball, e alta quanto una pertica. La mamma si è davvero superata! Sei fregato, fratello. Con lei non hai speranze. Dovrai tenere a bada il tuo amichetto.”
Nickolas si limitò a fissare il fratello con aperto disprezzo. “Solo per il fatto che è riuscita a catalogare il caos che c'era sulla scrivania, e aggiornarmi la rubrica, dimostra che è una persona in gamba. Perciò, gradirei non la offendessi ulteriormente con le tue battute idiote.”
“Perché, non hai notato che è veramente alta?” replicò ironico Brandon. “Andiamo, Nicky, scherzerai, spero!”
“Affatto. E poi, le donne posso anche trovarmele fuori dall'ufficio, non ho bisogno di averle dietro la porta. E, quando trovo un collaboratore con le palle, mi va di tenermelo stretto.”
“Ecco, hai detto bene. Con le palle. Siamo certi che non sia un trans?” ghignò ancora Brandon.
Nickolas fissò il fratello con il chiaro intento di fargliela pagare, ma si trattenne dal dire o fare cose che avrebbero potuto far cacciare nei guai entrambi. Non voleva finire sotto le grinfie affilate della madre per aver fatto a botte con Bran.
Con un tono che non ammetteva repliche, però, dichiarò: “Te lo dico ora, e non lo ripeterò. Non offendere la mia segretaria. Non è qui per scaldarmi il letto, ma per facilitarmi il lavoro. Nient'altro.”
“Uh-uh, già così protettivo dopo neppure un giorno passato sì e no assieme? Sicuro di non averla già testata?” ridacchiò irrefrenabile Brandon, allontanandosi cautamente dal fratello non appena lo vide stringere a pugno le mani. “D'accordo, d'accordo, basta scherzi. Lo so che tieni a coloro che lavorano bene. Dici che Miss Stangona, allora, è in gamba?”
Sapendo che non avrebbe ottenuto nulla di meglio da lui, Nickolas lasciò perdere e gli indicò la scrivania perfettamente in ordine. “Penso parli da sé. Ti ricordi com'era, no?”
Brandon, finalmente, dedicò la propria attenzione alla postazione dove, fino a un minuto prima, si era trovata Hannah e, sgranando lentamente gli occhi di fronte al lavoro che, chiaramente, la donna aveva fatto in meno di una giornata, gracchiò: “Per. La. Miseria.”
“Appunto. Capisci bene che, di fronte a uno spettacolo simile, non mi importa un accidente se, come donna, non mi attrae. Anzi, è decisamente meglio. Così posso concentrarmi meglio” chiosò Nickolas, sapendo di mentire, almeno in parte.
Non era del tutto vero che Hannah non gli interessava. Doveva solo capire che tipo di interesse fosse, il suo.
Ora del tutto serio, Brandon controllò i casellari ordinati, i fogli diligentemente impilati e i post-it appesi al lato dello schermo del PC e, annuendo più volte, ammise: “Hai ragione, ci sa fare.”
“Quindi, vedi di non rompere le palle con le tue battute del cavolo” lo pregò neanche tanto gentilmente Nickolas.
“Per le volte che passo di qui, non correrai pericoli che io la insulti, tranquillo” scrollò le spalle Brandon, prima di guardare l'orario. Erano le sette e dieci di sera. “Andiamo da qualche parte a mangiare, o hai già appuntamento con qualcuno?”
“Mi vedo con Sabine, Jay e Becca, … ti vuoi unire a noi?”
“E reggere il moccolo? No, mio caro. Spassatela pure con i tuoi amici e la tua coniglietta di Playboy. Io andrò a fare un giro a Monterey. Ci si vede lunedì” ironizzò Bran, salutandolo con un cenno della mano prima di scomparire a sua volta dietro la porta.
Il magnate sospirò e scosse il capo, appoggiandosi fiaccamente contro la scrivania di Hannah. Sapeva fin troppo bene cosa, il fratello, andasse a fare a Monterey, e la cosa lo intristiva più di quanto avrebbe mai ammesso, specialmente con lui.
In parte, il clamore delle sue conquiste e dei suoi flirt, servivano anche a coprire Brandon, ma non aveva idea di quanto sarebbe durata. O di quanto Brandon sarebbe durato.

§§§

Spaparanzata sul divano in compagnia di Stark e di una coppa di macedonia, Hannah si stava gustando la visione del Blue-Ray di Iron Man 2 e, nel sorridere quando l'immagine si spostò su Tony Stark appollaiato dentro un'enorme ciambella con l'armatura illuminata dal sole, ridacchiò.
Lo aveva visto almeno un migliaio di volte, ma era sempre un divertimento lasciarsi andare a un'ora e mezzo di puro intrattenimento senza pensare, senza autocommiserarsi, senza lasciarsi andare alla pena.
Solo quattro risate con il suo cane, in un bel venerdì sera di inizio primavera.
Certo, avrebbe potuto uscire come molte sue coetanee – a trentatré anni, i divertimenti erano infiniti – ma, per quella sera, desiderava soltanto godersi la pace della sua villetta che si affacciava sul mare, lo sciabordio delle onde e la quieta compagnia del suo retriever.
Era stato un colpo di fortuna, quella villetta sulla West Paseo del Mar, nei pressi di Point Fermin Lighthouse.
Il suo lavoro presso lo studio legale Harmor & James le era valso la conoscenza di un noto imprenditore edile di Los Angeles che, grato per ciò che lei aveva fatto per la figlia, le aveva segnalato quel grazioso villino in vendita ad un prezzo più che abbordabile.
Venduto il piccolo appartamento a Venice Beach, si era trasferita più che volentieri su quella bella scogliera a picco sull'oceano, dove i vicini di casa non erano fastidiosi né rumorosi.
Da quella posizione privilegiata, e grazie alla serie di sentieri presenti lungo la costa, poteva fare bellissime passeggiate con Stark fino a Point Fermin Park, dove si trovava anche un santuario dedicato alle balene.
Tramite una stretta scalinata di roccia che aveva ricavato nella scogliera, poi,  poteva scendere sulla spiaggia per lunghe, solitarie camminate al chiaro di luna.
Grazie al faraonico stipendio offertole dalla V.B. 3000, avrebbe finito di pagare il mutuo in brevissimo tempo e, forse, si sarebbe anche presa un'auto nuova.
Non che la sua Ford Taurus del novantotto non andasse bene, ma ormai i chilometri erano tanti e il motore iniziava a chiedere aiuto.
“Ci penserò” mugugnò tra sé Hannah, terminando la sua macedonia prima di slanciare giù dal divano le lunghe gambe, abbracciate unicamente da cortissimi shorts di jeans.
A piedi scalzi, trotterellò fino alla cucina per ripulire la ciotola di vetro e, già sul punto di prendersi una birra per gustarsi l'assalto finale dei droni della Hammer contro Iron Man, sobbalzò per la sorpresa quando udì il campanello suonare.
“Ma chi è?” esalò confusa. Non aspettava visite.
Mentre Stark si metteva sull'attenti, ringhiando debolmente, Hannah uscì frettolosamente dalla cucina esclamando: “Arrivo!”
Un attimo dopo, scrutato oltre lo spioncino, storse la bocca e richiamò all'ordine Stark, mugugnando disgustata: “E' mamma.”
Il cane pensò bene di sgattaiolare in giardino oltre la porta finestra lasciata aperta nel salone e Hannah, dandogli mentalmente del codardo, si armò di santa pazienza e aprì. “Mamma, ciao. Come mai qui?”
“Non mi hai fatto sapere nulla del colloquio perciò sono venuta alla fonte, visto che il tuo telefono è morto” brontolò la donna - fresca di manicure e parrucchiera - entrando in casa a passo di carica.
Con estrema ironia, Hannah mimò un invito con tanto di inchino prima di bofonchiare a mezza voce: “Prego, entra pure.”
Del tutto padrona di sé e per nulla interessata alle lagnanze della figlia, Glenn si sedette sul divano dove, solo fino a pochi minuti prima, Hannah si stava godendo il film e, storcendo il bel naso a punta nel vedere le immagini sullo schermo piatto, pigiò il pulsante dello stop e borbottò: “E' mai possibile che...”
Interrompendola sul nascere, Hannah si riprese il telecomando, fece ripartire il film e ringhiò: “Casa mia, televisione mia, regole mie. Non venirmi a dire cosa devo o non devo guardare, mamma. Sono maggiorenne da un bel po'.”
“Ma come fanno a piacerti quelle... sparatorie?” si lagnò Glenn, accigliandosi quando iniziarono le prime esplosioni.
“Mamma, primo è un film, secondo è tutto finto, terzo mi piace Robert Downey Jr. Ti serve sapere altro?” celiò Hannah, buttandosi a gambe intrecciate su una poltrona. “Comunque, per la cronaca, mi hanno assunta.”
“E ti ci voleva tanto, per dirlo?” esalò un sospiro affranto la madre. “Hai intenzione di far morire di crepacuore la tua povera mamma?”
Hannah la fissò con sufficienza per diversi secondi, ma Glenn non diede adito di aver capito perché la figlia la stesse scrutando con aria così accigliata. Alla fine, Hannah dovette dirle: “Mamma, ci seppellirai tutti, credimi. Non c'è pericolo per il tuo cuore.”
“Che sciocchina!” ridacchiò allora lei.
Vanità, il tuo nome è Glenn. Bastava davvero poco, per adularla, ormai lo sapeva bene. E sapeva quando dire le cose e quando ometterle, con lei.
“Allora, qual è il tuo ruolo?” si informò la donna, più che mai curiosa.
Ecco, ora arrivano i guai, mugugnò tra sé, preoccupata per le possibili reazioni della madre.
“Sono la segretaria personale di Nickolas Van Berger.” Lo disse di getto, quasi strizzando gli occhi per non dover essere costretta a guardarla.
“Oh, ma è... bellissimo!” esclamò al settimo cielo Glenn, neanche le avesse detto che aveva scoperto la cura contro il cancro. “Non vedo l'ora di dirlo a tutte le mie amiche, in negozio. Oooh, diventeranno verdi d'invidia! Gli puoi chiedere un autografo?”
Hannah strabuzzò gli occhi di fronte alla richiesta assurda della madre e, scuotendo recisamente il capo, esclamò: “Non ci penso nemmeno! Scordatelo!”
“Sei la solita egoista. Non pensi che potrei metterlo in bella mostra nel negozio, e attirare tante più clienti?” brontolò acida Glenn, fissandola con i suoi gelidi occhi azzurro pallido.
“Mamma, no. Smettila di insistere” dichiarò lapidaria Hannah.
“E' mai possibile...”
Hannah spense il cervello non appena le sentì dire quelle tre, maledette parole.
Fin da quando era piccola, quelle mostruose paroline l'avevano ossessionata, fatta sentire inadatta, inadeguata, inutile e mille altre parole che iniziavano per 'in'.
Con la madre era sempre la solita storia. Se non la accontentavi, attaccava col motivetto del 'perché non sei generosa con tua madre?' e, tutte le volte, Hannah sprofondava in un mare di cupo risentimento e, sì, di solitudine.
Perché avrebbe tanto voluto che sua madre si felicitasse con lei per un successo ottenuto, senza chiedere nulla in cambio.
Invece, aveva sempre cercato favori ogni qual volta il suo lavoro l'aveva portata in un ambiente nuovo e potenzialmente utile per Glenn.
Con Glenn, c'era solo 'io, io, io', mai un 'noi'.
E questo cominciava a stancarla. D’accordo che l’essere stata abbandonata dal marito l’aveva sconvolta. D’accordo che suo padre era stato uno stronzo di prima categoria con entrambe, e che si era rivolto a loro per ogni minimo traglietto. D’accordo che era stata dallo psicologo per anni, a causa della depressione… ma esisteva anche lei!
Approfittando di una temporanea pausa della sfuriata della madre, Hannah si levò dalla poltrona con un movimento elegante delle gambe toniche e, rivolto uno sguardo freddo alla madre, le disse: “Senti, ora devo vestirmi per uscire. Hai intenzione di lagnarti ancora per molto?”
“Non ti ho insegnato a essere maleducata con tua madre” protestò Glenn, fissandola malamente mentre Hannah si infilava nel corridoio per raggiungere la camera da letto.
La giovane preferì non dirle tutto ciò che non le aveva insegnato, quando lei aveva avuto un tremendo bisogno della presenza materna, e si limitò a sbattere la porta della camera per farle capire che non era più desiderata.
Con rabbia, scelse delle Manolo Blanick di pitone e un tubino nero che le arrivava a metà coscia dopodiché, con mano esperta e veloce, si mise un velo di trucco sugli occhi e un leggero rossetto rosa sulle labbra carnose e a cuore, prima di mettere dei larghi cerchi d'oro alle orecchie e ai polsi.
Fatto ciò, prese il cellulare e chiamò l'unica persona che, in quel momento, avrebbe potuto salvarla da un attacco isterico.
“Sylvia, ciao! Sei libera, stasera? Sento un bisogno impellente di uscire e bere qualcosa.”
All'altro capo del telefono, Sylvia, la sua pluri-decennale amica, celiò: “Cos'ha combinato, stavolta,  Glenn?”
“Meglio non parlarne” brontolò Hannah, ascoltando con attenzione per capire cosa stesse combinando la madre, nel salone.
Una porta sbattuta con violenza le fece intendere che se n'era andata.
“Mi trovi al Viper Room, stasera. I miei ragazzi suonano lì, perciò puoi dire all'armadio all'entrata che sei con me” le spiegò l’amica con tono eccitato.
“Prendo l'auto e arrivo” ridacchiò Hannah, pensando alla sua sobria amica delle medie, ora diventata una manager per gruppi rock emergenti. Un vero cambio di ritmo, in tutti i sensi.
E anche a lei, quella sera, serviva un cambio di ritmo.

§§§

La musica le avrebbe sicuramente ridotto i timpani a briciole nel giro di un'ora al massimo, ma doveva ammettere che i Black Eyes – il perché del nome del gruppo le risultò oscuro fin dall'inizio, visto che erano tutti biondi con gli occhi azzurri – suonavano bene.
Come sempre, Sylvia aveva avuto orecchio nell'appoggiarli.
Il fatto che suo padre fosse a capo di una casa discografica tra le più importanti della West Coast, poco importava. Se la figlia gli propinava dei complessi non adatti, lui avrebbe sempre e solo detto no.
In questo, Paul Barrett sapeva il fatto suo. Non si faceva fuorviare dall'amore per la figlia e, nella sua ditta, lavoravano solo persone valide.
Nel dare di gomito all'amica, in piedi accanto a lei poco dietro i tendoni del dietro le quinte del palco, le urlò all'orecchio: “Non c'è che dire, sono bravi. Tengono il ritmo che è un piacere!”
“Sono contenta che ti piacciano! Pensavo che potrei provare a chiedere al manager di Will.I.Am se può essere interessato a una collaborazione per i pre-concerti. Che dici?!” le rispose di rimando, urlando quasi a squarciagola mentre le treccioline  brune danzavano attorno al viso sottile ed elegante. Era splendida, quella sera, una bellissima mescolanza tra la pelle scura e gli abiti attillati e chiarissimi.
“Dico che, se ce la fai, sei una grande!” esclamò Hannah, annuendo con favore.
Un attimo dopo, due labbra carnose e morbide le sfiorarono la spalla nuda e la donna, volgendosi a mezzo debitamente sorpresa, si aprì in un sorriso spontaneo quando intravide nella semioscurità il viso gioviale e color cioccolato di Phillip.
Di poco più giovane di lei, Phillip era uno stupendo esemplare di maschio afroamericano e, tra le altre cose, ex giocatore di football.
Si erano conosciuti in clinica riabilitativa, lei con il ginocchio ridotto a brandelli, lui con una spalla che aveva visto tempi migliori.
Erano diventati subito amici e, tra una sessione di pesi e un allenamento col tapis-roulant, avevano anche compreso che, tra loro, non vi sarebbe mai stato niente più di questo.
Hannah lo considerava come il fratello che non aveva mai avuto e, per Phillip, Hannah era la sua sorellona maggiore, alla stregua delle altre sue tre sorelle di sangue, Jenna, Louise e Veronique.
“Ehi, campione, ciao! Sei in ritardo! Dove sei stato fino ad ora?” gli domandò Hannah, facendogli spazio perché potesse curiosare con lo sguardo sul palco.
Avvolta la vita sottile di Hannah con un braccio, l’uomo le ammiccò bonariamente prima di dire: “Che vuoi... di qua, di là... un po' dappertutto.”
“Okay, ho capito... non ce lo vuoi dire!” rise allegramente Sylvia, strizzandogli l'occhio.
“Non vi parlerò mai dei miei amori segreti, ragazze. Siete troppo chiacchierone per i miei gusti” si limitò a dire Phillip, alzando il naso con aria altezzosa.
Sylvia e Hannah scoppiarono a ridere di gusto e lui, nel sorridere alla bionda al suo fianco, le domandò: “Piuttosto, il lavoro?”
“Mi hanno presa, ma non ti dirò mai dove. Sai qual è la promessa, no?” gli strizzò l'occhio Hannah, ironica.
“Non si parla mai di lavoro quando siamo assieme, me lo ricordo. Comunque, sono contento per te, honey.” Nel dirlo, le diede un bacetto sulla guancia.
Phillip l'aveva sempre chiamata così, honey. Dolcezza.
Hannah non si trovava molto dolce, ma se lui pensava che lo fosse, chi era lei per dissuaderlo dal chiamarla così?
“Grazie. So che andrà bene e, con questo, chiudo e sigillo l'argomento” rispose lei prima di scrutare con attenzione l'amico in viso e accigliarsi leggermente: “Cosa non ci stai dicendo, Phill?”
Sylvia, a quell'accenno, distolse lo sguardo dal suo gruppo per fissarsi su Phillip che, sostenendo il suo sguardo con una barriera di pura ossidiana lucente, replicò serafico: “Ve l'ho detto, sarò una tomba, con voi. Non ci si può fidare di due donne chiacchierone come voi.”
“Questa è crudeltà pura. Sai che viviamo per questo!” protestò amabilmente Sylvia, scrollando una mano con negligenza.
Phillip scoppiò a ridere, ma Hannah non si fece ingannare da quell'allegria del tutto fasulla e impostata e, dopo essersi scusata con Sylvia, trascinò con sé l'uomo fino a raggiungere un angolo un po' meno caotico e lì, seria, gli domandò: “Ancora lui?”
“Cosa ti fa pensare che sia un lui?” ritorse Phillip, facendosi di ghiaccio in viso.
“Perché solo una persona riesce a spegnerti lo sguardo, anche se non so affatto chi sia, visto che ti ostini a non parlarcene” brontolò la donna, seriamente preoccupata per l'amico.
Phillip sbuffò, si passò nervosamente una mano sul cranio rasato e, alla fine, ammise: “E va bene. C'entra un lui, ma non ne voglio parlare, okay?”
“Approvato, ma non mi va che ti faccia intristire, è chiaro? Che è successo, stavolta?”
“Avevi detto...”
Interrompendolo sul nascere, Hannah precisò: “Non ti chiederò di lui, ma questo non mi esime dal chiederti cosa ha scatenato il tuo umor nero.”
“Sei decisa ad andare fino in fondo, eh?” bofonchiò Phillip.
“Per te, sì. Voglio vederti sorridere davvero, non solo per fare un favore a me e Sy, è chiaro?”
Levando le mani in segno di resa assoluta, Phillip ammise: “Si stava ubriacando insieme a tre ragazze di dubbia moralità, ecco tutto.”
“E la cosa non ti va giù” suppose Hannah, con una scrollatina di spalle.
“Mi fa soltanto incazzare il suo negare l'evidenza dei fatti, tutto qui. Non mi interessa se non ricambierà mai i miei sentimenti, neppure li conosce. Ma sono stanco di vederlo consumarsi nell'alcool e con le puttane solo perché non vuole ammettere la verità.”
Phillip scrollò le braccia per il nervosismo, le ampie spalle tese al pari del viso, che era solcato da rughe di ansietà.
Sinceramente spiacente, Hannah gli sfiorò un braccio con la mano e l'uomo, avvolgendola di slancio in un abbraccio feroce, le sussurrò contro la spalla: “Perché non ho potuto innamorarmi di te, cazzo?! Sarebbe stato tutto più semplice.”
“Sono della metà del cielo sbagliata, lo sai” sorrise malinconicamente lei, battendogli affettuosamente le mani sulla schiena.
Phillip strinse ancora di più, quasi avesse paura di abbandonare la presa, come se si sentisse su un baratro senza fondo e Hannah fosse la sua unica àncora di salvezza.
“Non puoi parlargli? Fargli capire che si sta ingannando?” si informò gentilmente Hannah.
Scostandosi da lei con un sospiro, l'amico scosse mestamente il capo e ammise: “L'unica volta che siamo più o meno entrati in argomento, ha dato di matto. Si è ubriacato fino a star male e ha cominciato a blaterare qualcosa sulla famiglia, sull'onore... non ho capito molto bene, ma temo che la madre, o entrambi i genitori, inorridirebbero al pensiero di avere un figlio omosessuale. E lui ne è terrorizzato.”
“Per questo si rifiuta di credere di esserlo e cerca sfogo con delle prostitute?” esalò Hannah, sinceramente scioccata.
“Non so come aiutarlo” dichiarò Phillip, passandosi una mano sul viso.
“Phill, dimmi che ha anche qualche lato positivo, o comincerò a pensare che questo tizio ti piace solo perché ha una bella faccia” mormorò ansiosa l'amica, aggrappandosi alle braccia nerborute dell'uomo.
Lui scoppiò a ridere, ma la sua risata graffiò l'animo di Hannah tale era il disgusto e il dispiacere che Phillip provava in quel momento.
“Fosse solo per quello, mi darei dell'idiota da solo. No, lui sa essere davvero un buon amico, e spesso e volentieri si dedica alla filantropia in prima persona. Più di una volta l'ho accompagnato negli ostelli per servire da mangiare ai senza tetto o ai bisognosi e, ogni volta che lo osservavo, era sereno... felice.” Con un sospiro, aggiunse: “Ma crollava subito dopo,... non so cosa succeda a casa sua, perché non ho mai avuto il ‘piacere’ di conoscere i suoi genitori, ma temo che il problema risieda lì.”
“E' un bel casino. Rischia di ammazzarsi da solo, di questo passo” mormorò spiacente Hannah.
“Per questo stasera me ne sono andato. Non voglio vederlo auto flagellarsi a questo modo. Non resisto” asserì con convinzione l’uomo.
Sorridendogli comprensiva, Hannah allora lo prese per mano e, usciti che furono da dietro le quinte, lo invitò a ballare sulla pista dicendogli: “Stasera cancelliamo le amarezze. Facciamo vedere a questi ragazzini come si balla.”
Abbozzando un sorrisino, Phillip le avvolse la vita per attirarsela vicina e, occhi negli occhi, iniziarono a ballare a ritmo con la musica convulsa di quella sera.


___________________________
N.d.A.: Ed ecco che fanno la loro comparsa altri due personaggi cruciali. Brandon e Phillip. Sylvia la conoscete già e, a fasi alterne, tornerà a bazzicare assieme all'amica Berenike. Spero che la storia, fino a qui, vi abbia incuriosito. Grazie davvero a chi ha letto e/o commentato! A presto! :)

  
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