ZENZERO E CANNELLA
Capitolo 10.
La cucina era il solo
posto in cui potevo sfogare le mie frustrazioni di moglie pseudo-fedifraga e
per giunta le mie mani fremevano di appiccicarsi alle guance di Fabien Moreau e dargli tanti, tantissimi sonori schiaffi.
Avrei fatto qualsiasi cosa per non pensare più agli uomini che avevano reso la
mia vita da dolce e spensierata quale era, una pozza di melma dal quale non
riuscivo ad emergere.
Peggio delle sabbie
mobili a questo punto c’era solo la mia vita sentimentale. E più cercavo di
farmi spazio a forza di bracciate, più venivo sopraffatta dagli eventi. Non mi
sarebbe costata molta fatica passare una notte in bianco in più, con le mani in
pasta. C’era di peggio là fuori e non avevo nessuna intenzione di aprire le mie
porte. Fabien Moreau a quanto pare non era dello
stesso avviso e trovò, nel coraggio e nella sua adorabile testardaggine, la
combinazione giusta per spalancarle tutte.
Mi accorsi di lui
l’attimo in cui richiuse violentemente la porta della cucina alle sue spalle,
mandando la serratura avanti di un giro; mi girai confusa e accaldata dalla sua
presenza così brusca, pronta ad attaccare con tutte le mie forze. Non ebbi il
tempo di fare o dire nulla, si buttò contro di me, con foga, portando le sue
stupide mani ruvide da artista sulle mie spalle, attirandole a se.
“Fabien..”
sussurai con voce greve e dannatamente sexy.
“Fabien
un corno!” Rispose risoluto e bramoso.
Mi infilò la lingua in
bocca che sembrò volesse mangiarmi; il sapore dolceamaro del Cointreau –che a quanto pare si era scolato per farsi
coraggio- mi inebriò, pizzicandomi il palato e.. non riuscii a fermarlo. Tutto
di me, cervello, arti, muscoli, fibre voleva fermarlo, ma c’era un organo al
centro esatto del mio petto che non voleva saperne. E non seppi fermarlo quando
con quelle stesse mani mi alzò la tunica fino alla vita, scoprendomi nuda e
vulnerabile, facendolo sussultare per la sorpresa e lo stupore. Non seppi
fermarlo quando mi alzò per i fianchi e mi adagiò su quel bancone sporco di
farina e burro -che tante ne aveva viste fino ad allora, ma posso giurare quasi
ad occhi chiusi mai nulla del genere- ne.. quando lo vidi armeggiare fra le
brache e con una mano farsi spazio fra le mie cosce tese, per entrare.
Urlai, ma non per lo
spavento.. urlai di gioia, di stupore e mi aggrappai ai suoi dannatissimi e
profumatissimi capelli biondi ansimando nel suo orecchio, aderendo con le
natiche ai suoi fianchi ossuti, stringendo sempre più forte le mie gambe alla sua
schiena. Fabien era dentro di me. Il tavolo tremò
sotto le sue spinte, una, due, tre, quattro volte; ero certa che il muro alle
mie spalle si stava sgretolando, le boccette di spezie di maitre
Gerald si agitavano le une contro le altre tintinnando al ritmo della nostra
passione.. e rotolarono in terra, quelle meno fortunate, andando ad infrangersi
ai suoi piedi nudi.
“Madame!” Nella nebbia
astratta della lussuria vidi il gesto fulminio della maniglia alzarsi e
abbassarsi, senza esiti positivi. Rose colpì la porta con le nocche. “Madame Chedjou, tutto bene?” La voce innocente e preoccupata della
giovane mi fece sorridere.
“Sto- sto bene..”
Risposi miagolando. “Sto- sto impastando!”
Sentii i passi incerti
della ragazza, contro il pavimento ruvido e tornai alle spalle di Fabien, al suo torace, alle mie mani furtive su quella
meraviglia acerba. Esplosi il mio piacere contro il suo viso sudato, senza
alcun ritegno, occhi negli occhi, fronte contro fronte, lui posò velocemente le
sue labbra alle mie, lasciandosi andare a sua volta; molto lentamente, sempre
più piano, si fermò respirando affannosamente contro il mio collo. Il battito
del suo respiro tornato regolare mi calmò, ma straziai di dolore quando dai
suoi occhi calde lacrime scesero contro il mio petto, dove il suo capo
riposava.
Piansi insieme a lui
ed aspettai inerme la caduta nell’inferno.
Mi rivestii nella
fretta e nella vergogna, al buio, nel salone ora freddo; Fabien
mi posò un leggero bacio fra i capelli prima di scappare verso la propria
vergogna, in un’altra casa vuota e ugualmente fredda.
Non so quanto tempo
restai seduta su un angolo del letto, a fissare quella stanza difronte; non
c’erano luci neanche per lui quella notte e il mio cuore e la mia testa
combattevano fra il desiderio di corrergli incontro -prenderlo fra le mie
braccia e continuare ad amarci- e la razionalità di fermarsi in tempo, che non
eravamo sporchi ancora del tutto, che forse potevamo dimenticare.
Le sue mani, i suoi
baci, la sua pelle candida contro la mia. Avrei dovuto dimenticare il modo
selvaggio in cui il mio corpo si era dato a lui e viceversa dimenticare l’onta
di passione con cui mi aveva posseduta; nulla di particolarmente memorabile o
romantico, ma assolutamente rovente, lascivo, le mie labbra scottavano al solo
ricordare. Come avrei potuto, quindi, dimenticare?!
Come una manna dal
cielo il sonno ebbe la meglio, ricordai solo le palpebre pesanti e lo sprofondo
in un sonno lungo e senza sogni. Ed è la che la sua vibrante voce mi raggiunse,
perché dalle coltri dei miei incubi, il suo richiamo mi riportò alla vita.
“Deesire..”
non era un sogno. Era lì, vicino al mio viso e stava soffiando il mio nome in
modo dolce. “Alzati, voglio farti vedere una cosa.” Aprii mio malgrado gli
occhi, puntandoli sulla sua immagine mattutina; era vestito esattamente come lo
avevo lasciato, ed aveva il viso sporco da quella che aveva tutta l’aria
d’essere farina. Accennai ad una protesta, quindi mi afferrò sotto le braccia e
mi tirò verso se.
“Devi assolutamente
vedere.” Mi issò in braccio, uscendo dalla stanza; per un attimo passarono
sotto al mio naso l’odore di burro fuso e spezie.
“Cosa è questo
odore?!” Scivolai dalle sue braccia, curiosa.
“Sono stato in piedi
tutta la notte. E’ successo un miracolo.” Lo guardai di traverso, spostando poi
l’attenzione su voci da basso; impallidii, pregandolo di darmi tempo.
Quando scesi giù, Rose
mi aspettava in cucina tutta contenta e insieme a lei maitre
Gerald; mi guardarono perplessi –non ero riuscita a domare i capelli
post-inferno- e poi accigliati, quando Fabien fece il
suo ingresso con uno scarso tentativo di sorpresa.
“Complimenti madame!
Li abbiamo assaggiati e sono buonissimi!”
Guardai Fabien in cerca di aiuto. “Dalla tua ricetta Deesire. Burro, farina..” poi indicò il tavolo dove qualche
ora prima eravamo avvinghiati e arrossii violentemente, chiudendomi la
vestaglia con reticenza. “Zenzero e cannella!” Arricciai il naso; che diavolo
di schifezza aveva preparato a mia insaputa?
“E come sono venuti?!”
“Visto che eri
indisposta..” sottolineò la frase come il compito di uno scolaro; e in quel
caso lo scolaro ero io.. “li ho messi in cottura per te. Assaggia.” Mi passò un
biscotto; per prima fui assalita dalla dolcezza del burro e della cannella e quasi
a seguire, per ridare equilibrio, la nota pepata dello zenzero. Era un mix
perfetto, un contrasto di sapori che si sposavano alla perfezione.
“Sono buoni..” diedi
un altro morso per constatare la fragranza della frolla e annuii soddisfatta
alla volta del ragazzo che mi guardava speranzoso. “Ottima frolla. Ottimo
abbinamento. Venti minuti di cottura e colore biondo, un terzo ingrediente a
scelta e possono dirsi perfetti.”
“Non lo sono già
così?!” Mi guardò tristemente. “C’è la cannella, scura e forte. Esotica. E lo
zenzero a seguire, chiaro, freddo. All’apparenza lontani, ma complementari.
Guarda il colore Deesire.. omogeneo, nessuno prevale
sull’altro. Si completano.”
Mi persi sul suo
discorso dal piglio deciso e non fui più sicura che stessimo parlando dei
biscotti; arrossii incapace di ribattere, mi salvò il maitre
tirandomi fuori dall’empasse con il suo solito estro
da artista.
“Madame, voglio le due
versioni per domani. Questa è la sua ricetta di fine corso.” Afferrò un altro
biscotto e portò Rose fuori dalla nostra portata. “Monsieur Moreau, se pensa di
aver trovato una vocazione per la frolla me lo faccia sapere.” E se ne andarono
così come li avevo trovati, allegri e festanti.
Ero a dir poco
esterrefatta e Fabien dal suo canto sorrideva come un
ebete.
“Cosa è successo qui?
Perché non sono sicura d’aver capito..”
“Maitre
Gerald mi ha appena offerto un lavoro..” Lo guardai torva, tornò serio
all’istante. “Quando ieri notte sono tornato e tu dormivi.. sono passato in
cucina e ho trovato questo.” Cercai di ignorare i battiti accelerati del cuore
al pensiero di averlo avuto in casa tutta la notte, “beh non che i biscotti
fossero lì ad aspettarmi. Sul tavolo.. lì.. dove abbiamo..” arrossì e farfugliò
in questo ordine esatto, “insomma, c’era la farina e il burro e le boccette con
lo zenzero e la cannella riverse dentro. Ho pensato a te, alla tua filosofia
che impastare concilia il buonumore e.. ho impastato, impastato fino a quando
non avevo fra le mani qualcosa di soddisfacente.” Tornò a guardarmi, gli occhi
verde-azzurri liquidi. “Mi sono ricordato di quella volta che il maitre mi fece bere quella cosa assurda alla festa..” Già,
la festa del mio fidanzamento. “..accennando a quella cosa sullo zenzero e la
cannella..”
“Sembrano così
distanti come sapori, ma una volta uniti sono complementari.. come certe
persone.”
Come avrei potuto
dimenticare?
“Non ho pensato ad
altro, Deesire.” Il suo tono di voce smise di essere
incerto e flebile, “non può essere solo una coincidenza e posso asserire con
convinzione che noi ci completiamo.”
Rabbrividii e confusi
il piacere con la paura. Fabien sospirò, toccandomi
la mano. “Sono. Innamorato. Di. Te.” Scandì ogni parola con un lento sussurro.
“Lo sono sempre stato mio malgrado. E per quanti sforzi abbia compiuto per non
esserlo, il destino mi ha giocato contro.”
Provai l’assurda
sensazione che si prova per un addio, ma lui era lì, con la mano sulla mia,
eppure vedevo annebbiato, sfocato, il panico nello stomaco e nei polmoni; anche
io sono innamorata di te.. lo pensavo, ma la lingua frenava contro i denti e
così cominciai a gorgogliare ed ansimare come un neonato che si sveglia nel
cuore della notte e vuole il calore della mamma. Mi trascinai nel suo abbraccio;
odorava d’amore, di fatica e di sudore.. e piansi mille lacrime oppresse.
Se ne andò lasciandomi
sola con il “miracolo” –come lo aveva chiamato lui- e senza il calore del suo
corpo, che andava affievolendosi piano piano. Mi bastò sfiorare il pianale,
entrare a contatto con la farina e guardare quei meravigliosi biscotti per
capire che ne volevo ancora e che non avevo nessuna intenzione di dimenticare.
Corsi fuori, dal mio
viale al suo, spinsi il portone d’entrata e fui in casa; era la prima volta che
mettevo piede nella proprietà dei Moreau, ma sapevo benissimo dove andare.
Avevo fantasticato su quella casa per giorni e notti intere, mi sembrava così
familiare, così accogliente.. salii per la scalinata centrale con il cuore a
mille, poche parole ma una gran voglia di stare con lui.
Fabien era steso sul letto, raggomitolato nelle lenzuola
che gli avevo mandato la notte del nubifragio, un fagotto esile, amorevole,
dolce; quando mi vide entrare si tirò su con il busto accogliendomi fra le sue
braccia e portandomi giù con lui.
Lo baciai piangendo,
le mie lacrime si confusero fra i suoi capelli e su quel corpo che bramava il
mio con la stessa intensità con la quale tremava sul suo; alzai le braccia
aiutandolo a sfilarmi la tunica, le mie mani lungo i pantaloni a cercare la via
di fuga da tutte quelle costrizioni. Lo baciai sul collo, fra le scapole, sul
petto glabro e pallido; le sue mani giocavano con i miei seni, mentre
intrecciava gli occhi intensamente languidi nei miei e lo baciai, lo bacia centomila
volte, quella bocca sensuale e carnosa, figlia di tutte le mie voglie e della
mia rabbia, a volte. Fu dentro di me e mi sentii piena, viva, al centro di un
universo che non mi sembrava più tanto astratto, lontano, assurdo; il mondo mio
e di Fabien, la piccola bolla di meraviglia e stupore
in cui abitavamo.
“Era così che doveva
andare.” Mi prese al suo petto, dopo essere scivolato fuori dal mio corpo;
sospirai e sorrisi nel vederlo addormentarsi contro i miei capelli, con un
sorriso appagato e leggero sulle labbra.
Facemmo l’amore tutti
i giorni e tutte le notti, ovunque; sul magnifico tavolo di cocci, nel capanno
degli attrezzi, nei campi e fra i papaveri, alla scuola, ancora nel suo letto e
poi nel mio. Il tempo si era come magicamente fermato; eravamo consapevoli di
quale strada stavamo percorrendo, ma tutto si dimenticava in fretta quando le
nostre carni si incrociavano. Cominciammo a dipendere dalla smania di trovarci
nudi e assenti, occhi negli occhi,
labbra contro labbra.
“Fabien..”
protestai, puntellando le mie dita contro il suo fianco, “devo andare, ho
ancora da migliorare una certa ricetta, sai?!” Mi guardò divertito, spostando
il suo peso da me.
“Ti posso aiutare se
vuoi.”
“Solo se mi sveli
l’esatta quantità di cannella e zenzero.” Infilai la testa nella scamiciata e
lasciai che scivolasse per conto proprio sul mio corpo. “Sto impazzendo, maitre Gerald è diventato pressante.”
“Non lo so Deesire.. te l’ho detto, le boccette erano riversate già lì
quando sono arrivato io.” Mi accarezzò i capelli amorevolmente, “ma possiamo
lavorarci. Non è la prima cosa che ci verrebbe bene..” rise, buttandosi
nuovamente su di me. “Ti prego..” lo implorai mentre la sua chioma vagava sui
bottoni della scamiciata un po’ troppo a sud del mio baricentro. “Oh!”
Sussultai, ero fritta.
“Assaggia!” Diversi
rotolamenti dopo avevo una teglia di biscotti tiepidi e in trepida attesa di un
esito; Fabien se ne portò uno alla bocca annuendo di
meraviglia. “C-cosa.. sembrano così diversi.” Ne presi uno e non appena lo
sentii sciogliere al palato saltellai di gioia. “Sono perfetti!”
“Parti uguali di
spezie più..” mi lanciai contro la dispensa e ne tirai fuori una bottiglia con
del liquido aranciato. “Estratto di lavanda!” Lo stappai annusandolo; sorrisi
beata, ma la gioia smorzò subito perché Fabien si
rabbuiò. “Cosa c’è?!”
“Lui è quì. Nella nostra ricetta.”
Mi morsi il labbro.
“E’ tutto ciò che avevo prima di te.” Posai la bottiglia e gli andai vicino,
“come puoi essere geloso di lui?!” Mi guardò torvo, la desolazione nelle
pupille.
“Devo andare.”
“No, non andartene.”
Gli sfiorai la mano, ma si divincolò. “Te ne vai, sparisci e io sto male. Tu
stai male. Fabien abbiamo bisogno di stare insieme
adesso, tutti i giorni, fino alla fine. Non andare.. ti prego.”
Si girò e vidi i suoi
occhi verde-azzurro spegnersi per sempre; non eravamo più ragazzini alla prima
cotta, ma non potevamo essere nemmeno degli innamorati, le mie parole gli
schiaffeggiarono addosso la verità. Il futuro era incerto, il presente molto
più consistente.. ed era a quello che dovevamo aggrapparci con le unghie e con
i denti. Quello.. e il nostro amore clandestino.
“Charmeur..” gemetti nel suo orecchio mentre con una mano mi teneva
in braccio, contro il suo ventre; il vetro della dispensa protestò sotto alle
sue spinte, piatti, bicchieri, forchette.. una sinfonia acuta. “Charmeur..” esplosi il mio piacere
gridando sulla sua bocca famelica dei miei baci, rallentò, mi tenne premuta
alle spalle, il vetro freddo contro la mia pelle e la musica a tacere.. ed
esplose dentro in una pioggia di fuochi d’artificio variopinti.
Nove giorni dopo la
deliziosa scoperta, ero alla scuola con la mia ricetta finale incartata
–pacchetti di velo chiaro chiusi in nastro di raso blu- ed il cuore che batteva
a mille. I miei compagni mi avevano letteralmente preceduta, guardavo i pochi
che si erano fatti attendere come me e trasalii alla vista dei loro porta-torte
voluminosi. Lo stomaco grugnì.
“Sono perfetti.” Il
pollice di Fabien risaliva cauto lungo la mia spina
dorsale, tremavo di paura, paura ed eccitazione, non distinguevo più la
differenza ne chi la provocasse. “E tu, una cuoca eccezionale.” Mi salutò con
un bacio soffiato dietro le colonne del portico che lo portavano ai suoi lavori
e ai suoi doveri per me insulsi, da quando avevo scoperto la sua arte sotto le
lenzuola. Scacciai il pensiero alla svelta ordinandomi di respirare e non
pensare a nulla che non fossero i biscotti, maitre
Gerald e l’attestato che dovevo assolutamente impugnare.. tutto ma non Fabien Moreau nudo, fra le mie mani.
Impossibile.
“Deesire
hai un delizioso colorito stamattina..” Elle una corpulenta ragazzona di
campagna con cui condividevo il banco, non mancò di farmi ripiombare
nell’imbarazzo dei miei torbidi pensieri. “Ti fa proprio bene la nostra aria.
Non ti ho mai vista così raggiante!”
“Ho colto le rose in
giardino ieri pomeriggio, sarà stato il sole.” Guardai in basso verso le mie
mani incerte e tremule, Elle mi guardò poco convinta. “Hai la ricetta?!”
Cambiai discorso alla svelta, riacquistando un po’ di sicurezza.
“Non ancora. E mancano
solo sei giorni alla fine del corso.”
Altri sei giorni di Fabien nudo e.. basta Deesire! Mi
intimai di non pensare e di guardare avanti, se avessi voluto sopravvivere alla
mia vita, al mio cuore accelerato, ad Aurelien, mia madre, la sua..
“Madame Chedjou?!” Maitre Gerald stava
schioccando le dita dinnanzi ai miei occhi e ci misi un po’ per capirlo, dato
il trambusto di pensieri. Via di qua.. tutti, pensai. Respirai a fondo.
“Maitre.”
Sfilai da sotto il banco i miei sacchetti con i biscotti, slegai il nastro e
glielo porsi. “La mia ricetta di fine corso.” Guardò compito la presentazione,
semplice ma efficace, annusò il biscotto prima di morderlo e sorrise enigmatico
nella mia direzione.
“Oserei dire che sono
profumati.” Annuii, la sicurezza pian-piano padrona dei miei gesti.
“Il mio terzo
ingrediente segreto.” Non vedevo l’ora di pronunciare quella frase e lui
sorrise complice.
“Certo.” Addentò e
masticò molto lentamente; una variante di emozioni passò sul suo viso.
Incredulità, stupore, compiacimento, approvazione.. nulla che mi facesse temere
il peggio, seppur preoccupata per l’attardarsi di risposte concrete. Gli piacevano
o no? Ero promossa?
“Peccato per
quell’ingrediente segreto..” mi sentii morire; avevo deciso di sperimentare la
lavanda in un precedente attacco di follia culinaria, quando avevo creduto di
poter ricavare dalla pianta e dello zucchero un liquore personale, convinta che
fosse stata una mossa geniale quella di mischiare poi qualche goccia di
quell’estratto in un dolce. Il mio personale dolce. La chiave di svolta del mio
rapporto con Fabien, tormentato e incerto e la
sicurezza della lavanda, di Aurelien e del nostro rapporto. Doveva andare
bene.. era tutto perfetto almeno per lo stupido dolce, cosa era successo?!
“Avrei voluto scoprire cosa rende questi biscotti la meraviglia profumata e
fragrante che sono.” Recepii solo la parola meraviglia e provai ad applicarla
ad un esito negativo pur certa che non mi era parso di udire “meravigliosa
schifezza”, perciò mi limitai a sorridere come un ebete.
“Madame Chedjou è su questo pianeta?!” Gerald mi riportò in terra
trascinandomi per i piedi.
“Non sono sicura di averla
capita bene maitre..”
“Le sto dicendo che
lei è una cuisinière. E che apporrò il timbro del ministero
dell’ecole francese sul suo attestato.”
Questo lo recepii
eccome; mi guardai intorno emozionata, tutti stavano applaudendomi. Anche Elle
che afferrò un biscotto e se lo infilò in bocca per intero. “Buonissimi!”
Sentenziò, sbriciolandosi sulla veste.
“E’ sicura di stare
bene? Non mi sembra si sia ripresa..”
“Sto benissimo maitre.” Gli strinsi la mano, “tutto ciò che ho imparato lo
devo a lei.”
Alle quattro volai
dritta nella casa del guardiano, poco più in là della scuola, passando come di
consueto per l’orto che il maitre aveva voluto
fortemente, per prodotti il più possibile genuini e reperibili; bussai alla
porta, Fabien stava riparando un mobile vecchio ed antiquato.
“Hai le mani d’oro.”
Gli allacciai le braccia al collo, lui si piegò a baciarmi la punta del naso.
“Come è andata?!” Mi
chiese impaziente.
“Hai davanti a te una cuisinière, monsieur Moreau!” I suoi occhi si
allargarono di gioia, mi sollevò da terra facendomi volteggiare in aria. “Oh charmeur mettimi giù, mettimi giù!”
“Lo sapevo.” Obbedì,
tornando ai suoi attrezzi.
Lo guardai accigliata.
“Tutto qua?!” Quando voleva sapeva essere sintetico da fare male.
Lo sentii ridere,
spostarsi verso il grammofono sul tavolo e trafficare con le mani nelle tasche,
mentre tornava nella mia direzione; non vi era più alcuna ironia nel suo
sguardo, solo sincera commozione credo.. e pathos. Tremai.. conoscevo bene il
silenzio prima di una dichiarazione. La voce sensuale di Rina Ketty che usciva graffiata dal corno, sparse nell’aria le note
di j’attendrai.
Aspetterò. Sorrisi enigmatica. Fabien mi prese le
mani, baciò una e poi l’altra, girandole con i palmi rivolti verso il suo viso.
“Aspetterò. Il giorno
e la notte. Per sempre aspetterò il tuo ritorno.” Non lo avevo mai udito
cantare, la sua voce era flebile e soffiata.. un brivido ghiacciato per la
pelle. Sfilò dalle tasche qualcosa di minuscolo e impercettibile persino nel
palmo della sua mano affusolata, facendolo scivolare dolcemente nella mia mano.
“Sei una bisbetica viziata Deesire, insopportabile e
assolutamente incostante.” Tornò il Fabien ironico e
petulante. “Però ti amo e non posso farci niente.” Ti amo anche io! Il mio
cuore era un tamburo impazzito nella minuscola cassa toracica; indicò la mia
mano, la guardai scoprendo un delizioso anello di vecchia filigrana d’oro. “Era
di nonna Moreau. Voglio che lo tenga tu.”
Oh mio Dio. Annaspai,
impaurita ed emozionata. “Fabien.. non posso
accettare. E’.. troppo importante.”
“Non c’è stata e sono
sicura che non ci sarà un'altra come te.” Ribatte’ sicuro, “voglio che lo tenga
tu. Voglio che resti con me. Che non te vada mai via. Voglio guardare avanti e
smetterla di pensare al passato. Eri mia Deesire, nei
miei sogni di ragazzino e di uomo lo sei sempre stata.” La voce sicura si
increspò, soffocando in singhiozzi, “non andare, resta con me.” Piegò
tragicamente il capo contro il mio petto e scivolò sul pavimento aggrappandosi
alle mie gambe; mi sentivo orrendamente responsabile di tutto quel dolore,
incapace di colmare le sue voglie, le sue aspirazioni e il suo amore come
volevo.
Che colpa potevamo
avere nell’esserci innamorati?
“Ti prego Fabien.. alzati..” mi piegai contro le sue spalle,
avvolgendole e stringendole forte, “charmeur
je t’aime, je
te prie.. je t’aime.”
Mi persi fra i suoi capelli e i singhiozzi e piansi insieme a lui.
Qualcuno bussò
violentemente alla porta; stropicciai gli occhi incrostati dal pianto,
controvoglia scostai il capo di Fabien dal mio petto
andando ad aprire. Nessuno ci aveva mai visti o sorpresi insieme. Tremai.
Scostai la tendina e vidi Rose, le guance rosse come dopo una corsa e il
respiro affannato.
“E’ Rose.” Parlai al
vento, Fabien non rispose e rimase immobile sul
pavimento.
“Madame!” Quando aprii,
la ragazza mi abbracciò; rimasi inerme e stupita, fra lo stipite e la porta
aperta quel tanto che bastava a far spazio al mio corpo. “Deve tornare a casa,
madame, deve tornare a casa!” La scostai guardandola negli occhi visibilmente
scossi. Sapeva, aveva capito tutto. Ebbi un fremito di paura. Guardai alle mie
spalle, il cuore straziato. “Ti prego, resta con lui.”
Salii in sella alla
bicicletta e pedalai fino a farmi scoppiare il cuore. Aurelien. Lo sentivo,
percepivo nell’aria il profumo della sua pelle, i miei ormoni da moglie segugio,
il campanello nella mia testa che suonava all’impazzata come una sirena di
guai.
Abbandonai la
bicicletta sul viale esterno, correndo in giardino; quando lo vidi scemai fra
le sue braccia, le gambe come gelatina.. quasi certa di avere un infarto. “Sei
qui..”
Mi sollevò dolcemente,
conducendomi sotto la veranda. “Sapevo di farti felice ma non credevo a tal
punto.” Passò una mano sul mio viso accaldato, sorridendo. “Ho.. chiesto a Rose
di preparare i bagagli ed è schizzata via come un fulmine. E’ strana quella
ragazza, ma sono felice che tu sia arrivata subito.” Avevo la testa sopraffatta
da mille sensazioni e da informazioni da ponderare, la piegai contro la stoffa
della sua giacca inalando forte; l’odore di lavanda mi evitò di avere un conato
di vomito da vergogna post tradimento. “Amore sei sicura di stare bene?!”
Annuii dovendo sforzarmi nel tenere le labbra sigillate.
“Dove stiamo
andando?!” Sibilai dopo essermi calmata. Era una domanda retorica e non se ne
accorse.
“Ho pensato al tempo
trascorso durante la tua assenza. Non mentivo quando ti ho detto che ti
rivoglio nella mia vita, Deesire. Maitre
Gerald mi ha tenuto al corrente dei tuoi progressi, quando ho saputo che ti
avrebbe promossa ho gioito come un bambino! Sono stato un pazzo a privarmi di
te e credere di stare bene con tanta leggerezza. Perciò..” mi baciò i capelli
inspirando forte. “Ho lasciato che la mia segretaria organizzasse la traversata
per l’Africa. Il nostro viaggio di nozze, ad un anno esatto. Perdonami se è
passato tanto tempo.”
Lui che mi stava
chiedendo scusa.. scusa per aver adempiuto ai suoi doveri di uomo e di marito;
no, non mi sentivo bene per niente. Vedevo annebbiato, tutto era confuso e
infondo all’oscurità le lacrime di Fabien, le mie e
gli occhi verde bottiglia speranzosi di mio marito. “Grazie.” Riuscii a
biascicare, appigliandomi saldamente al briciolo di dignità che m’era rimasto.
“Grazie a te.” Mi
baciò le labbra, ridendo sui conti da dover saldare che gli avevo rimasto in
giro per Auvers; si scusò, che ci avrebbe messo il
tempo necessario e sparì a bordo della bicicletta di sua nonna che avevo
riesumato dalle ceneri. E pregai che fossero le sole ad esistere.
Il fantasma bianco
pallido di Fabien si palesò sulla soglia del
cancello; rimanemmo a fissarci, consapevoli.
“E’. Tornato.” Non era
un domanda quanto un rassegnato, flebile, alito di respiro prima della morte;
alzai le spalle, guardai lontano evitando di incrociare i suoi occhi vitrei.
“Parlami. Ti prego.” Si avvicinò cautamente, era evidente che per quanto
sofferente non avrebbe ceduto facilmente.
“Stiamo andando via.
Non a Parigi, partiamo per l’Africa.” Cercai di articolare qualcosa, la testa
pesante e il cuore in debito di emozioni. “Non so cosa dire.” Ammisi, prima di
cercare nel cervello in panne altre parole che potessero giustificare il mio
silenzio e i miei occhi sfuggenti.
“Non andare.”
Protestò, alzandomi il mento. “Je te prei.”
Sentivo pungermi gli
occhi, mi morsi il labbro; non dovevo piangere, non dovevo farlo perché se
avessi ceduto non sarei più stata in grado di ammettere che me ne sarei andata,
che era tutto finito, che non avevamo speranze e che i suoi sogni da ragazzino
e da uomo sarebbero rimasti tali. E anche i miei.
Mi concentrai sulla paura,
sulla tristezza e sul male che gli avevo visto passare negli occhi. Sul dolore
che avrei causato ad Aurelien, a mia madre e mio padre; io potevo stare male,
era un mio sacrosanto dovere soffrire dopotutto, ma non sopportavo le sue
lacrime ne quelle di nessun’altro che amavo. Lo avrei dimenticato, lo avevo già
perso una volta, sarei sopravvissuta.
“Sapevamo sarebbe
successo. Prima o poi.” Mi alzai, lui si spostò disarmato da tanta freddezza;
oh no, non guardarmi così.
“Dove stai andando?!”
“Il momento è
arrivato.”
Balbettò ma dalle sue
labbra non uscì un gemito, vidi solo la sua mano che si stringeva contro il mio
polso e il suo corpo che mi intimava di camminare davanti al suo, in
processione, sul retro della casa; mi lasciò solo dopo essere certo che non
sarei scappata.
“Devi smetterla di
comportarti così.” Protestai fra i denti. “Sono una donna sposata, Fabien!” La mia voce si fece stridula e insicura, “sono. La.
Moglie. Di. Tuo. Cugino.”
Sorrise sarcastico,
l’ombra del fantasma volatizzato e al suo posto la solita faccia da bronzo. “Lo
eri anche i novi giorni che hai passato insieme a me. Non credo sia stato un
problema.”
Lo schiaffeggiai, lo
schiaffeggiai con quanta più forza avessi in corpo. “Tu non sai niente Moreau!”
Urlai, “vattene! Non voglio vedere la tua stupida faccia un solo minuto di più!”
Vidi il terrore nelle
sue pupille scure. “Ti prego, scusami.” Provò ad accarezzarmi la guancia, ma la
scostai con un gesto secco della mano. “Scusami. E’ evidente che sono
sconvolto.. abbiamo fatto l’amore, hai detto che mi ami. Perché questa
freddezza, non capisco?”
“Davvero non capisci?
Guardati attorno.. noi non abbiamo futuro.” Inspirai profondamente, “vuoi che
ti dica che sto male? Che sento la terra franare ai miei piede se solo penso dovrò
lasciarti? E’ così, ma non posso cambiare il destino. Sono. La. Moglie. Di.
Aurelien.” Sentii mio malgrado gli occhi inondarsi di lacrime. “Forse in
un'altra vita saremo stati perfetti, non lo so. O forse il tuo caratteraccio e
il mio ci avrebbero divisi per sempre. Non so nemmeno questo. So che ho detto
sì ad un uomo, ho accettato il suo anello ed ho promesso difronte a Dio che
sarei stata sua moglie e che mi sarei presa cura di lui.” A questo punto le
lacrime scesero senza che io me ne accorgessi, la voce era inflessibile, solo i
miei occhi tradivano la disperazione del mio animo. “Questa è la mia vita Fabien, non posso e non voglio farti altro del male. Non lo
sopporto.”
“E’ così che mi
uccidi.” Asciugò con i polpastrelli le lacrime che rigavano il mio volto,
guardandomi angosciato ed esasperato. “Non voglio che piangi per me.”
“Impossibile..”
soffiai, ma quando mi accorsi della luce infondo ai suoi occhi mi pentii di
averlo fatto. Rinvigorito dalle mie parole si parò con il viso pericolosamente
vicino al mio. “Resta allora! Resta con me, affronteremo la cosa insieme!”
“Non.. posso.”
“Hai detto di amarmi..
penso tu possa invece. Mi hai preso a schiaffi e sono sicuro abbatteresti un
uragano se ti si parasse davanti. ” Cercai di non ridere, il momento tragico stava
assumendo delle pieghe comiche che non mi facevano credere che io Fabien fossimo del tutto normali, perciò fermai il flusso
delle sue parole appoggiando una mano sulle sue labbra rosse.
“Ma non lo farai.”
Asserì deluso, espirando fra le mie dita e con la stessa delusione, lasciò il
mio viso e serrò le labbra in una smorfia dura. “Siamo nuovamente allo stesso
punto. Io che ti faccio gli auguri e tu che scegli lui. Con la sola differenza
che ti amo più che mai e vorrei tu restassi con me.” Calò la maschera
sofferente e indossò nuovamente i panni del ragazzo strafottente e insopportabile,
indietreggiando di qualche passo. “Pazienza.. sono abituato ad arrivare
secondo. E’ il mio marchio di fabbrica.” Sorrise indulgente ed io provai una
morsa di dolore ancora più forte. “Credevo mi amassi Deesire
e che fossi la ragazza forte e determinata che ho visto quì.
Ma sei solo un sogno, una fantasia. Non esisti.”
Era troppo per me. A
quel punto ero la versione annegata di me stessa e le sue parole dure non
fecero che spararmi il colpo di grazia; mi aggrappai ad una forza superiore che
mi trascinasse fuori dal bozzolo Deesire-la-spaventata,
ma soffocai sulle mie stesse intenzioni.
“Chiedimelo ancora.”
“Che cosa?!”
“Chiedimelo ancora.”
“Tu. Mi. Ami?!”
“Che sta succedendo
qui?!” La voce di Aurelien arrivò ai miei orecchi come un avvertimento di
panico e terrore; asciugai di fretta gli occhi come se fosse possibile
cancellare il mio totale stato di decadimento. “Sta piangendo.” Guardò al
cugino con occhi furenti, Fabien alzò le spalle.
“Non gradisce il mio
umorismo.”
“Moreau togliti di
torno.”
Inspirai profondamente
appellandomi alla mia -fuggita di casa- intraprendenza e lamentandomi mi coprii
un occhio con la mano. “Ho qualcosa nell’occhio, stava controllando.. e sai le
sue battute facili..”
Mi si avvicinò
premuroso, spostandomi con delicatezza la mano. “Fa vedere.”
Da dietro le sue
spalle, Fabien stava tornando il fantasma che era.
“Non c’è nulla.” Aurelien soffiò delicato sulle mie ciglia, sorridendomi
amorevolmente; si girò e con lo sguardo poi duro si rivolse a Fabien, “odio vederla piangere. E odio il tuo umorismo.
Cugino non fa per te.”
“Lo so.” Rassegnato, si incurvò nelle spalle; il
sottile confine del significato della sua conoscenza era in realtà un mare
agitato fra noi e lui.
“Vattene.” La voce
imponente di Aurelien mi fece tremare.
Fabien annuì compito ma ci lanciò un ultima occhiata,
soffermandosi a lungo nei miei occhi; era di nuovo angosciato. Angosciato e
disperato. Sparì dietro l’angolo, lo immaginai attraversare il vialetto, poi la
strada, aprire il cancello della sua villa, attraversare un altro viale, salire
al piano superiore e chiudersi fra quelle lenzuola dove poche ore e giorni
prima, noi ci stavamo amando.
Mi ritrovai sulla
statale per Parigi troppo esausta per elaborare ciò che stava accadendo; avevo
salutato in fretta e furia appena un quarto delle persone conosciute,
ritrovandomi la macchina piena di bagagli e Rose e Maitre
Gerald con le sue sporte piene di cibo sull’uscio del cancello, a salutarmi
vigorosamente con la mano. Auvers si era trasformata
improvvisamente in una prigione tanto stretta da farmi soffocare, intimamente
pregai di essere lontano da lì il prima possibile; sfogai tutte le mie lacrime
contro le mie mani e quel finestrino che mano-mano scolorava i bei paesaggi che
avevo adorato, incurante degli sguardi carichi di apprensione di Aurelien,
spaesato dalla mia reazione così potente. Quando aprii gli occhi, gonfi e
pesanti, lo trovai a guardarmi, carico di amore e pena. Mi sentii inadatta e
fuori posto.
“Siamo arrivati.”
Accarezzò il groviglio informe sulla mia testa -un tempo i miei capelli- e
sospirò ansioso; provai un moto di compassione, di vergogna e di stupore per il
suo tatto, la sua paura, la mia, di riscoprirci diversi, innaturali, in quella
grande casa con il portone alto, bianca come il mio viso stravolto. “M-madame Chedjou.” Ingoiò le sue stesse parole, facendomi strada per
l’atrio e il ripostiglio dove aveva appeso la mia fusciacca e la sua giacca di
lino; lo abbracciai da dietro, infondendogli sicurezza e amore. I miei
sentimenti non erano cambiati; ero sopraffatta dall’uragano Fabien,
dai suoi baci, dalla sua pelle e dai suoi maledetti occhi tristi.. ma avrei
dimenticato, dovevo dimenticare! Il mio ruolo nel gioco delle nostre vite mi
vedeva vicino e soprattutto moglie dell’uomo, che fra le mie braccia e in un
ripostiglio angusto e buio, stava tremando al tocco leggero del mio abbraccio
protettivo, ed io ero felice –nel senso non ancora pieno e vivo del termine, ma
reattiva perlomeno- di essere tornata a casa.
*
NDA:
Giuro che ho pianto
leggendo questo capitolo. Nel senso che leggevo e mi commuovevo.. e mi
domandavo, ma come caxx fai a scrivere certe cose?!
No, non mi sto auto-complimentando, mi sto dando della patetica, emo, sporcacciona scrittrice. :D
Mi auguro vi piaccia
quello che scrivo anche se sono così.
Scherzi a parte, ho
messo amore in questo capitolo, perché alla fine di tutto, mi sembrava giusto;
nella mia mente e spero di essere riuscita a farlo capire anche scrivendolo, Fabien e Deesire si amano, di un
amore carnale e a tempo residuo, ma pur sempre amore. Vi è piaciuto il
capitolo? Spero di sì! Restate connesse!
Vorrei ringraziare chi
mi segue, abituale e non; Ultimo Puffo, The Rocker, _Nihil_
. Grazie di cuore!
Grazie a chi aggiunge la storia in
preferiti/seguiti/ricordare. Vi
aspetto fra i commenti.
E anche se non centra
nulla qui, grazie a chi visita le mie storie in generale, vecchie e nuove; mi
emoziona sempre constatare l’afflusso di lettori nelle mie fanfic,
a volte resto secca quando si tratta di numeri a quattro cifre. Vi adoro.
Un abbraccio,
Lunadreamy.