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Autore: Luna_R    14/05/2013    2 recensioni
“Posso invitare la mia futura sposa per un ballo?!”
Quelle furono le prime parole che gli sentii pronunciare.
Acconsentii a farmi trascinare al centro della pista sotto i gridolini eccitati delle giovani presenti; eccoci quà, la fiaba vivente del vissero per sempre felici e contenti. O perlomeno questo era quello che gli altri vedevano in noi. Soprattutto mia madre che nel momento esatto in cui le nostre mani si sfiorarono si sciolse in un brodo di giuggiole.
DAL CAPITOLO 12:
“Io ti credo. Se fossimo di facile comprensione non esisterebbe la scienza. L’uomo non si porrebbe domande e ci costringeremo a vivere una vita piatta, blanda, senza trasporto. Siamo fatti di emozioni incalcolabili e imprevedibili. Credi nel destino, Deesire?!”
Annuii; non ero forse la miglior rappresentazione di foglio bianco sul quale si era sfogato?!
“Le cose accadono perché siamo noi che vogliamo succedano. Dio mi liberi da questa società retrograda e puritana, siamo donne e possiamo decidere della nostra vita! Perciò ti dico: il destino è una bufala amica mia, ascolta il tuo cuore e segui ciò che dice, senti la tua pancia, le vibrazioni del tuo corpo, ascolta la mente ma filtra i divieti.. e non sbaglierai. Decidi. Tu.”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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ZENZERO E CANNELLA

Capitolo 10.

 

La cucina era il solo posto in cui potevo sfogare le mie frustrazioni di moglie pseudo-fedifraga e per giunta le mie mani fremevano di appiccicarsi alle guance di Fabien Moreau e dargli tanti, tantissimi sonori schiaffi. Avrei fatto qualsiasi cosa per non pensare più agli uomini che avevano reso la mia vita da dolce e spensierata quale era, una pozza di melma dal quale non riuscivo ad emergere.

Peggio delle sabbie mobili a questo punto c’era solo la mia vita sentimentale. E più cercavo di farmi spazio a forza di bracciate, più venivo sopraffatta dagli eventi. Non mi sarebbe costata molta fatica passare una notte in bianco in più, con le mani in pasta. C’era di peggio là fuori e non avevo nessuna intenzione di aprire le mie porte. Fabien Moreau a quanto pare non era dello stesso avviso e trovò, nel coraggio e nella sua adorabile testardaggine, la combinazione giusta per spalancarle tutte.

 

Mi accorsi di lui l’attimo in cui richiuse violentemente la porta della cucina alle sue spalle, mandando la serratura avanti di un giro; mi girai confusa e accaldata dalla sua presenza così brusca, pronta ad attaccare con tutte le mie forze. Non ebbi il tempo di fare o dire nulla, si buttò contro di me, con foga, portando le sue stupide mani ruvide da artista sulle mie spalle, attirandole a se.

Fabien..” sussurai con voce greve e dannatamente sexy.

Fabien un corno!” Rispose risoluto e bramoso.

Mi infilò la lingua in bocca che sembrò volesse mangiarmi; il sapore dolceamaro del Cointreau –che a quanto pare si era scolato per farsi coraggio- mi inebriò, pizzicandomi il palato e.. non riuscii a fermarlo. Tutto di me, cervello, arti, muscoli, fibre voleva fermarlo, ma c’era un organo al centro esatto del mio petto che non voleva saperne. E non seppi fermarlo quando con quelle stesse mani mi alzò la tunica fino alla vita, scoprendomi nuda e vulnerabile, facendolo sussultare per la sorpresa e lo stupore. Non seppi fermarlo quando mi alzò per i fianchi e mi adagiò su quel bancone sporco di farina e burro -che tante ne aveva viste fino ad allora, ma posso giurare quasi ad occhi chiusi mai nulla del genere- ne.. quando lo vidi armeggiare fra le brache e con una mano farsi spazio fra le mie cosce tese, per entrare.

Urlai, ma non per lo spavento.. urlai di gioia, di stupore e mi aggrappai ai suoi dannatissimi e profumatissimi capelli biondi ansimando nel suo orecchio, aderendo con le natiche ai suoi fianchi ossuti, stringendo sempre più forte le mie gambe alla sua schiena. Fabien era dentro di me. Il tavolo tremò sotto le sue spinte, una, due, tre, quattro volte; ero certa che il muro alle mie spalle si stava sgretolando, le boccette di spezie di maitre Gerald si agitavano le une contro le altre tintinnando al ritmo della nostra passione.. e rotolarono in terra, quelle meno fortunate, andando ad infrangersi ai suoi piedi nudi.

“Madame!” Nella nebbia astratta della lussuria vidi il gesto fulminio della maniglia alzarsi e abbassarsi, senza esiti positivi. Rose colpì la porta con le nocche. “Madame Chedjou, tutto bene?” La voce innocente e preoccupata della giovane mi fece sorridere.

“Sto- sto bene..” Risposi miagolando. “Sto- sto impastando!”

Sentii i passi incerti della ragazza, contro il pavimento ruvido e tornai alle spalle di Fabien, al suo torace, alle mie mani furtive su quella meraviglia acerba. Esplosi il mio piacere contro il suo viso sudato, senza alcun ritegno, occhi negli occhi, fronte contro fronte, lui posò velocemente le sue labbra alle mie, lasciandosi andare a sua volta; molto lentamente, sempre più piano, si fermò respirando affannosamente contro il mio collo. Il battito del suo respiro tornato regolare mi calmò, ma straziai di dolore quando dai suoi occhi calde lacrime scesero contro il mio petto, dove il suo capo riposava.

Piansi insieme a lui ed aspettai inerme la caduta nell’inferno.

 

Mi rivestii nella fretta e nella vergogna, al buio, nel salone ora freddo; Fabien mi posò un leggero bacio fra i capelli prima di scappare verso la propria vergogna, in un’altra casa vuota e ugualmente fredda.

Non so quanto tempo restai seduta su un angolo del letto, a fissare quella stanza difronte; non c’erano luci neanche per lui quella notte e il mio cuore e la mia testa combattevano fra il desiderio di corrergli incontro -prenderlo fra le mie braccia e continuare ad amarci- e la razionalità di fermarsi in tempo, che non eravamo sporchi ancora del tutto, che forse potevamo dimenticare.

Le sue mani, i suoi baci, la sua pelle candida contro la mia. Avrei dovuto dimenticare il modo selvaggio in cui il mio corpo si era dato a lui e viceversa dimenticare l’onta di passione con cui mi aveva posseduta; nulla di particolarmente memorabile o romantico, ma assolutamente rovente, lascivo, le mie labbra scottavano al solo ricordare. Come avrei potuto, quindi, dimenticare?!

 

Come una manna dal cielo il sonno ebbe la meglio, ricordai solo le palpebre pesanti e lo sprofondo in un sonno lungo e senza sogni. Ed è la che la sua vibrante voce mi raggiunse, perché dalle coltri dei miei incubi, il suo richiamo mi riportò alla vita.

Deesire..” non era un sogno. Era lì, vicino al mio viso e stava soffiando il mio nome in modo dolce. “Alzati, voglio farti vedere una cosa.” Aprii mio malgrado gli occhi, puntandoli sulla sua immagine mattutina; era vestito esattamente come lo avevo lasciato, ed aveva il viso sporco da quella che aveva tutta l’aria d’essere farina. Accennai ad una protesta, quindi mi afferrò sotto le braccia e mi tirò verso se.

“Devi assolutamente vedere.” Mi issò in braccio, uscendo dalla stanza; per un attimo passarono sotto al mio naso l’odore di burro fuso e spezie.

“Cosa è questo odore?!” Scivolai dalle sue braccia, curiosa.

“Sono stato in piedi tutta la notte. E’ successo un miracolo.” Lo guardai di traverso, spostando poi l’attenzione su voci da basso; impallidii, pregandolo di darmi tempo.

Quando scesi giù, Rose mi aspettava in cucina tutta contenta e insieme a lei maitre Gerald; mi guardarono perplessi –non ero riuscita a domare i capelli post-inferno- e poi accigliati, quando Fabien fece il suo ingresso con uno scarso tentativo di sorpresa.

“Complimenti madame! Li abbiamo assaggiati e sono buonissimi!”

Guardai Fabien in cerca di aiuto. “Dalla tua ricetta Deesire. Burro, farina..” poi indicò il tavolo dove qualche ora prima eravamo avvinghiati e arrossii violentemente, chiudendomi la vestaglia con reticenza. “Zenzero e cannella!” Arricciai il naso; che diavolo di schifezza aveva preparato a mia insaputa?

“E come sono venuti?!”

“Visto che eri indisposta..” sottolineò la frase come il compito di uno scolaro; e in quel caso lo scolaro ero io.. “li ho messi in cottura per te. Assaggia.” Mi passò un biscotto; per prima fui assalita dalla dolcezza del burro e della cannella e quasi a seguire, per ridare equilibrio, la nota pepata dello zenzero. Era un mix perfetto, un contrasto di sapori che si sposavano alla perfezione.

“Sono buoni..” diedi un altro morso per constatare la fragranza della frolla e annuii soddisfatta alla volta del ragazzo che mi guardava speranzoso. “Ottima frolla. Ottimo abbinamento. Venti minuti di cottura e colore biondo, un terzo ingrediente a scelta e possono dirsi perfetti.”

“Non lo sono già così?!” Mi guardò tristemente. “C’è la cannella, scura e forte. Esotica. E lo zenzero a seguire, chiaro, freddo. All’apparenza lontani, ma complementari. Guarda il colore Deesire.. omogeneo, nessuno prevale sull’altro. Si completano.”

Mi persi sul suo discorso dal piglio deciso e non fui più sicura che stessimo parlando dei biscotti; arrossii incapace di ribattere, mi salvò il maitre tirandomi fuori dall’empasse con il suo solito estro da artista.

“Madame, voglio le due versioni per domani. Questa è la sua ricetta di fine corso.” Afferrò un altro biscotto e portò Rose fuori dalla nostra portata. “Monsieur Moreau, se pensa di aver trovato una vocazione per la frolla me lo faccia sapere.” E se ne andarono così come li avevo trovati, allegri e festanti.

Ero a dir poco esterrefatta e Fabien dal suo canto sorrideva come un ebete.

“Cosa è successo qui? Perché non sono sicura d’aver capito..”

Maitre Gerald mi ha appena offerto un lavoro..” Lo guardai torva, tornò serio all’istante. “Quando ieri notte sono tornato e tu dormivi.. sono passato in cucina e ho trovato questo.” Cercai di ignorare i battiti accelerati del cuore al pensiero di averlo avuto in casa tutta la notte, “beh non che i biscotti fossero lì ad aspettarmi. Sul tavolo.. lì.. dove abbiamo..” arrossì e farfugliò in questo ordine esatto, “insomma, c’era la farina e il burro e le boccette con lo zenzero e la cannella riverse dentro. Ho pensato a te, alla tua filosofia che impastare concilia il buonumore e.. ho impastato, impastato fino a quando non avevo fra le mani qualcosa di soddisfacente.” Tornò a guardarmi, gli occhi verde-azzurri liquidi. “Mi sono ricordato di quella volta che il maitre mi fece bere quella cosa assurda alla festa..” Già, la festa del mio fidanzamento. “..accennando a quella cosa sullo zenzero e la cannella..”

“Sembrano così distanti come sapori, ma una volta uniti sono complementari.. come certe persone.”

Come avrei potuto dimenticare?

“Non ho pensato ad altro, Deesire.” Il suo tono di voce smise di essere incerto e flebile, “non può essere solo una coincidenza e posso asserire con convinzione che noi ci completiamo.”

Rabbrividii e confusi il piacere con la paura. Fabien sospirò, toccandomi la mano. “Sono. Innamorato. Di. Te.” Scandì ogni parola con un lento sussurro. “Lo sono sempre stato mio malgrado. E per quanti sforzi abbia compiuto per non esserlo, il destino mi ha giocato contro.”

Provai l’assurda sensazione che si prova per un addio, ma lui era lì, con la mano sulla mia, eppure vedevo annebbiato, sfocato, il panico nello stomaco e nei polmoni; anche io sono innamorata di te.. lo pensavo, ma la lingua frenava contro i denti e così cominciai a gorgogliare ed ansimare come un neonato che si sveglia nel cuore della notte e vuole il calore della mamma. Mi trascinai nel suo abbraccio; odorava d’amore, di fatica e di sudore.. e piansi mille lacrime oppresse.

 

Se ne andò lasciandomi sola con il “miracolo” –come lo aveva chiamato lui- e senza il calore del suo corpo, che andava affievolendosi piano piano. Mi bastò sfiorare il pianale, entrare a contatto con la farina e guardare quei meravigliosi biscotti per capire che ne volevo ancora e che non avevo nessuna intenzione di dimenticare.

Corsi fuori, dal mio viale al suo, spinsi il portone d’entrata e fui in casa; era la prima volta che mettevo piede nella proprietà dei Moreau, ma sapevo benissimo dove andare. Avevo fantasticato su quella casa per giorni e notti intere, mi sembrava così familiare, così accogliente.. salii per la scalinata centrale con il cuore a mille, poche parole ma una gran voglia di stare con lui.

Fabien era steso sul letto, raggomitolato nelle lenzuola che gli avevo mandato la notte del nubifragio, un fagotto esile, amorevole, dolce; quando mi vide entrare si tirò su con il busto accogliendomi fra le sue braccia e portandomi giù con lui.

Lo baciai piangendo, le mie lacrime si confusero fra i suoi capelli e su quel corpo che bramava il mio con la stessa intensità con la quale tremava sul suo; alzai le braccia aiutandolo a sfilarmi la tunica, le mie mani lungo i pantaloni a cercare la via di fuga da tutte quelle costrizioni. Lo baciai sul collo, fra le scapole, sul petto glabro e pallido; le sue mani giocavano con i miei seni, mentre intrecciava gli occhi intensamente languidi nei miei e lo baciai, lo bacia centomila volte, quella bocca sensuale e carnosa, figlia di tutte le mie voglie e della mia rabbia, a volte. Fu dentro di me e mi sentii piena, viva, al centro di un universo che non mi sembrava più tanto astratto, lontano, assurdo; il mondo mio e di Fabien, la piccola bolla di meraviglia e stupore in cui abitavamo.

“Era così che doveva andare.” Mi prese al suo petto, dopo essere scivolato fuori dal mio corpo; sospirai e sorrisi nel vederlo addormentarsi contro i miei capelli, con un sorriso appagato e leggero sulle labbra.

 

Facemmo l’amore tutti i giorni e tutte le notti, ovunque; sul magnifico tavolo di cocci, nel capanno degli attrezzi, nei campi e fra i papaveri, alla scuola, ancora nel suo letto e poi nel mio. Il tempo si era come magicamente fermato; eravamo consapevoli di quale strada stavamo percorrendo, ma tutto si dimenticava in fretta quando le nostre carni si incrociavano. Cominciammo a dipendere dalla smania di trovarci nudi e assenti, occhi negli occhi, labbra contro labbra.

Fabien..” protestai, puntellando le mie dita contro il suo fianco, “devo andare, ho ancora da migliorare una certa ricetta, sai?!” Mi guardò divertito, spostando il suo peso da me.

“Ti posso aiutare se vuoi.”

“Solo se mi sveli l’esatta quantità di cannella e zenzero.” Infilai la testa nella scamiciata e lasciai che scivolasse per conto proprio sul mio corpo. “Sto impazzendo, maitre Gerald è diventato pressante.”

“Non lo so Deesire.. te l’ho detto, le boccette erano riversate già lì quando sono arrivato io.” Mi accarezzò i capelli amorevolmente, “ma possiamo lavorarci. Non è la prima cosa che ci verrebbe bene..” rise, buttandosi nuovamente su di me. “Ti prego..” lo implorai mentre la sua chioma vagava sui bottoni della scamiciata un po’ troppo a sud del mio baricentro. “Oh!” Sussultai, ero fritta.

 

“Assaggia!” Diversi rotolamenti dopo avevo una teglia di biscotti tiepidi e in trepida attesa di un esito; Fabien se ne portò uno alla bocca annuendo di meraviglia. “C-cosa.. sembrano così diversi.” Ne presi uno e non appena lo sentii sciogliere al palato saltellai di gioia. “Sono perfetti!”

“Parti uguali di spezie più..” mi lanciai contro la dispensa e ne tirai fuori una bottiglia con del liquido aranciato. “Estratto di lavanda!” Lo stappai annusandolo; sorrisi beata, ma la gioia smorzò subito perché Fabien si rabbuiò. “Cosa c’è?!”

“Lui è quì. Nella nostra ricetta.”

Mi morsi il labbro. “E’ tutto ciò che avevo prima di te.” Posai la bottiglia e gli andai vicino, “come puoi essere geloso di lui?!” Mi guardò torvo, la desolazione nelle pupille.

“Devo andare.”

“No, non andartene.” Gli sfiorai la mano, ma si divincolò. “Te ne vai, sparisci e io sto male. Tu stai male. Fabien abbiamo bisogno di stare insieme adesso, tutti i giorni, fino alla fine. Non andare.. ti prego.”

Si girò e vidi i suoi occhi verde-azzurro spegnersi per sempre; non eravamo più ragazzini alla prima cotta, ma non potevamo essere nemmeno degli innamorati, le mie parole gli schiaffeggiarono addosso la verità. Il futuro era incerto, il presente molto più consistente.. ed era a quello che dovevamo aggrapparci con le unghie e con i denti. Quello.. e il nostro amore clandestino.

Charmeur..” gemetti nel suo orecchio mentre con una mano mi teneva in braccio, contro il suo ventre; il vetro della dispensa protestò sotto alle sue spinte, piatti, bicchieri, forchette.. una sinfonia acuta. “Charmeur..” esplosi il mio piacere gridando sulla sua bocca famelica dei miei baci, rallentò, mi tenne premuta alle spalle, il vetro freddo contro la mia pelle e la musica a tacere.. ed esplose dentro in una pioggia di fuochi d’artificio variopinti.

 

Nove giorni dopo la deliziosa scoperta, ero alla scuola con la mia ricetta finale incartata –pacchetti di velo chiaro chiusi in nastro di raso blu- ed il cuore che batteva a mille. I miei compagni mi avevano letteralmente preceduta, guardavo i pochi che si erano fatti attendere come me e trasalii alla vista dei loro porta-torte voluminosi. Lo stomaco grugnì.

“Sono perfetti.” Il pollice di Fabien risaliva cauto lungo la mia spina dorsale, tremavo di paura, paura ed eccitazione, non distinguevo più la differenza ne chi la provocasse. “E tu, una cuoca eccezionale.” Mi salutò con un bacio soffiato dietro le colonne del portico che lo portavano ai suoi lavori e ai suoi doveri per me insulsi, da quando avevo scoperto la sua arte sotto le lenzuola. Scacciai il pensiero alla svelta ordinandomi di respirare e non pensare a nulla che non fossero i biscotti, maitre Gerald e l’attestato che dovevo assolutamente impugnare.. tutto ma non Fabien Moreau nudo, fra le mie mani.

Impossibile.

Deesire hai un delizioso colorito stamattina..” Elle una corpulenta ragazzona di campagna con cui condividevo il banco, non mancò di farmi ripiombare nell’imbarazzo dei miei torbidi pensieri. “Ti fa proprio bene la nostra aria. Non ti ho mai vista così raggiante!”

“Ho colto le rose in giardino ieri pomeriggio, sarà stato il sole.” Guardai in basso verso le mie mani incerte e tremule, Elle mi guardò poco convinta. “Hai la ricetta?!” Cambiai discorso alla svelta, riacquistando un po’ di sicurezza.

“Non ancora. E mancano solo sei giorni alla fine del corso.”

Altri sei giorni di Fabien nudo e.. basta Deesire! Mi intimai di non pensare e di guardare avanti, se avessi voluto sopravvivere alla mia vita, al mio cuore accelerato, ad Aurelien, mia madre, la sua..

“Madame Chedjou?!” Maitre Gerald stava schioccando le dita dinnanzi ai miei occhi e ci misi un po’ per capirlo, dato il trambusto di pensieri. Via di qua.. tutti, pensai. Respirai a fondo.

Maitre.” Sfilai da sotto il banco i miei sacchetti con i biscotti, slegai il nastro e glielo porsi. “La mia ricetta di fine corso.” Guardò compito la presentazione, semplice ma efficace, annusò il biscotto prima di morderlo e sorrise enigmatico nella mia direzione.

“Oserei dire che sono profumati.” Annuii, la sicurezza pian-piano padrona dei miei gesti.

“Il mio terzo ingrediente segreto.” Non vedevo l’ora di pronunciare quella frase e lui sorrise complice.

“Certo.” Addentò e masticò molto lentamente; una variante di emozioni passò sul suo viso. Incredulità, stupore, compiacimento, approvazione.. nulla che mi facesse temere il peggio, seppur preoccupata per l’attardarsi di risposte concrete. Gli piacevano o no? Ero promossa?

“Peccato per quell’ingrediente segreto..” mi sentii morire; avevo deciso di sperimentare la lavanda in un precedente attacco di follia culinaria, quando avevo creduto di poter ricavare dalla pianta e dello zucchero un liquore personale, convinta che fosse stata una mossa geniale quella di mischiare poi qualche goccia di quell’estratto in un dolce. Il mio personale dolce. La chiave di svolta del mio rapporto con Fabien, tormentato e incerto e la sicurezza della lavanda, di Aurelien e del nostro rapporto. Doveva andare bene.. era tutto perfetto almeno per lo stupido dolce, cosa era successo?! “Avrei voluto scoprire cosa rende questi biscotti la meraviglia profumata e fragrante che sono.” Recepii solo la parola meraviglia e provai ad applicarla ad un esito negativo pur certa che non mi era parso di udire “meravigliosa schifezza”, perciò mi limitai a sorridere come un ebete.

“Madame Chedjou è su questo pianeta?!” Gerald mi riportò in terra trascinandomi per i piedi.

“Non sono sicura di averla capita bene maitre..”

“Le sto dicendo che lei è una cuisinière. E che apporrò il timbro del ministero dell’ecole francese sul suo attestato.”

Questo lo recepii eccome; mi guardai intorno emozionata, tutti stavano applaudendomi. Anche Elle che afferrò un biscotto e se lo infilò in bocca per intero. “Buonissimi!” Sentenziò, sbriciolandosi sulla veste.

“E’ sicura di stare bene? Non mi sembra si sia ripresa..”

“Sto benissimo maitre.” Gli strinsi la mano, “tutto ciò che ho imparato lo devo a lei.”

Alle quattro volai dritta nella casa del guardiano, poco più in là della scuola, passando come di consueto per l’orto che il maitre aveva voluto fortemente, per prodotti il più possibile genuini e reperibili; bussai alla porta, Fabien stava riparando un mobile vecchio ed antiquato.

“Hai le mani d’oro.” Gli allacciai le braccia al collo, lui si piegò a baciarmi la punta del naso.

“Come è andata?!” Mi chiese impaziente.

“Hai davanti a te una cuisinière, monsieur Moreau!” I suoi occhi si allargarono di gioia, mi sollevò da terra facendomi volteggiare in aria. “Oh charmeur mettimi giù, mettimi giù!”

“Lo sapevo.” Obbedì, tornando ai suoi attrezzi.

Lo guardai accigliata. “Tutto qua?!” Quando voleva sapeva essere sintetico da fare male.

Lo sentii ridere, spostarsi verso il grammofono sul tavolo e trafficare con le mani nelle tasche, mentre tornava nella mia direzione; non vi era più alcuna ironia nel suo sguardo, solo sincera commozione credo.. e pathos. Tremai.. conoscevo bene il silenzio prima di una dichiarazione. La voce sensuale di Rina Ketty che usciva graffiata dal corno, sparse nell’aria le note di j’attendrai. Aspetterò. Sorrisi enigmatica. Fabien mi prese le mani, baciò una e poi l’altra, girandole con i palmi rivolti verso il suo viso.

“Aspetterò. Il giorno e la notte. Per sempre aspetterò il tuo ritorno.” Non lo avevo mai udito cantare, la sua voce era flebile e soffiata.. un brivido ghiacciato per la pelle. Sfilò dalle tasche qualcosa di minuscolo e impercettibile persino nel palmo della sua mano affusolata, facendolo scivolare dolcemente nella mia mano. “Sei una bisbetica viziata Deesire, insopportabile e assolutamente incostante.” Tornò il Fabien ironico e petulante. “Però ti amo e non posso farci niente.” Ti amo anche io! Il mio cuore era un tamburo impazzito nella minuscola cassa toracica; indicò la mia mano, la guardai scoprendo un delizioso anello di vecchia filigrana d’oro. “Era di nonna Moreau. Voglio che lo tenga tu.”

Oh mio Dio. Annaspai, impaurita ed emozionata. “Fabien.. non posso accettare. E’.. troppo importante.”

“Non c’è stata e sono sicura che non ci sarà un'altra come te.” Ribatte’ sicuro, “voglio che lo tenga tu. Voglio che resti con me. Che non te vada mai via. Voglio guardare avanti e smetterla di pensare al passato. Eri mia Deesire, nei miei sogni di ragazzino e di uomo lo sei sempre stata.” La voce sicura si increspò, soffocando in singhiozzi, “non andare, resta con me.” Piegò tragicamente il capo contro il mio petto e scivolò sul pavimento aggrappandosi alle mie gambe; mi sentivo orrendamente responsabile di tutto quel dolore, incapace di colmare le sue voglie, le sue aspirazioni e il suo amore come volevo.

Che colpa potevamo avere nell’esserci innamorati?

“Ti prego Fabien.. alzati..” mi piegai contro le sue spalle, avvolgendole e stringendole forte, “charmeur je t’aime, je te prie.. je t’aime.” Mi persi fra i suoi capelli e i singhiozzi e piansi insieme a lui.

 

Qualcuno bussò violentemente alla porta; stropicciai gli occhi incrostati dal pianto, controvoglia scostai il capo di Fabien dal mio petto andando ad aprire. Nessuno ci aveva mai visti o sorpresi insieme. Tremai. Scostai la tendina e vidi Rose, le guance rosse come dopo una corsa e il respiro affannato.

“E’ Rose.” Parlai al vento, Fabien non rispose e rimase immobile sul pavimento.

“Madame!” Quando aprii, la ragazza mi abbracciò; rimasi inerme e stupita, fra lo stipite e la porta aperta quel tanto che bastava a far spazio al mio corpo. “Deve tornare a casa, madame, deve tornare a casa!” La scostai guardandola negli occhi visibilmente scossi. Sapeva, aveva capito tutto. Ebbi un fremito di paura. Guardai alle mie spalle, il cuore straziato. “Ti prego, resta con lui.”

Salii in sella alla bicicletta e pedalai fino a farmi scoppiare il cuore. Aurelien. Lo sentivo, percepivo nell’aria il profumo della sua pelle, i miei ormoni da moglie segugio, il campanello nella mia testa che suonava all’impazzata come una sirena di guai.

Abbandonai la bicicletta sul viale esterno, correndo in giardino; quando lo vidi scemai fra le sue braccia, le gambe come gelatina.. quasi certa di avere un infarto. “Sei qui..”

Mi sollevò dolcemente, conducendomi sotto la veranda. “Sapevo di farti felice ma non credevo a tal punto.” Passò una mano sul mio viso accaldato, sorridendo. “Ho.. chiesto a Rose di preparare i bagagli ed è schizzata via come un fulmine. E’ strana quella ragazza, ma sono felice che tu sia arrivata subito.” Avevo la testa sopraffatta da mille sensazioni e da informazioni da ponderare, la piegai contro la stoffa della sua giacca inalando forte; l’odore di lavanda mi evitò di avere un conato di vomito da vergogna post tradimento. “Amore sei sicura di stare bene?!” Annuii dovendo sforzarmi nel tenere le labbra sigillate.

“Dove stiamo andando?!” Sibilai dopo essermi calmata. Era una domanda retorica e non se ne accorse.

“Ho pensato al tempo trascorso durante la tua assenza. Non mentivo quando ti ho detto che ti rivoglio nella mia vita, Deesire. Maitre Gerald mi ha tenuto al corrente dei tuoi progressi, quando ho saputo che ti avrebbe promossa ho gioito come un bambino! Sono stato un pazzo a privarmi di te e credere di stare bene con tanta leggerezza. Perciò..” mi baciò i capelli inspirando forte. “Ho lasciato che la mia segretaria organizzasse la traversata per l’Africa. Il nostro viaggio di nozze, ad un anno esatto. Perdonami se è passato tanto tempo.”

Lui che mi stava chiedendo scusa.. scusa per aver adempiuto ai suoi doveri di uomo e di marito; no, non mi sentivo bene per niente. Vedevo annebbiato, tutto era confuso e infondo all’oscurità le lacrime di Fabien, le mie e gli occhi verde bottiglia speranzosi di mio marito. “Grazie.” Riuscii a biascicare, appigliandomi saldamente al briciolo di dignità che m’era rimasto.

“Grazie a te.” Mi baciò le labbra, ridendo sui conti da dover saldare che gli avevo rimasto in giro per Auvers; si scusò, che ci avrebbe messo il tempo necessario e sparì a bordo della bicicletta di sua nonna che avevo riesumato dalle ceneri. E pregai che fossero le sole ad esistere.

 

Il fantasma bianco pallido di Fabien si palesò sulla soglia del cancello; rimanemmo a fissarci, consapevoli.

“E’. Tornato.” Non era un domanda quanto un rassegnato, flebile, alito di respiro prima della morte; alzai le spalle, guardai lontano evitando di incrociare i suoi occhi vitrei. “Parlami. Ti prego.” Si avvicinò cautamente, era evidente che per quanto sofferente non avrebbe ceduto facilmente.

“Stiamo andando via. Non a Parigi, partiamo per l’Africa.” Cercai di articolare qualcosa, la testa pesante e il cuore in debito di emozioni. “Non so cosa dire.” Ammisi, prima di cercare nel cervello in panne altre parole che potessero giustificare il mio silenzio e i miei occhi sfuggenti.

“Non andare.” Protestò, alzandomi il mento. “Je te prei.”

Sentivo pungermi gli occhi, mi morsi il labbro; non dovevo piangere, non dovevo farlo perché se avessi ceduto non sarei più stata in grado di ammettere che me ne sarei andata, che era tutto finito, che non avevamo speranze e che i suoi sogni da ragazzino e da uomo sarebbero rimasti tali. E anche i miei.

Mi concentrai sulla paura, sulla tristezza e sul male che gli avevo visto passare negli occhi. Sul dolore che avrei causato ad Aurelien, a mia madre e mio padre; io potevo stare male, era un mio sacrosanto dovere soffrire dopotutto, ma non sopportavo le sue lacrime ne quelle di nessun’altro che amavo. Lo avrei dimenticato, lo avevo già perso una volta, sarei sopravvissuta.

“Sapevamo sarebbe successo. Prima o poi.” Mi alzai, lui si spostò disarmato da tanta freddezza; oh no, non guardarmi così.

“Dove stai andando?!”

“Il momento è arrivato.”

Balbettò ma dalle sue labbra non uscì un gemito, vidi solo la sua mano che si stringeva contro il mio polso e il suo corpo che mi intimava di camminare davanti al suo, in processione, sul retro della casa; mi lasciò solo dopo essere certo che non sarei scappata.

“Devi smetterla di comportarti così.” Protestai fra i denti. “Sono una donna sposata, Fabien!” La mia voce si fece stridula e insicura, “sono. La. Moglie. Di. Tuo. Cugino.”

Sorrise sarcastico, l’ombra del fantasma volatizzato e al suo posto la solita faccia da bronzo. “Lo eri anche i novi giorni che hai passato insieme a me. Non credo sia stato un problema.”

Lo schiaffeggiai, lo schiaffeggiai con quanta più forza avessi in corpo. “Tu non sai niente Moreau!” Urlai, “vattene! Non voglio vedere la tua stupida faccia un solo minuto di più!”

Vidi il terrore nelle sue pupille scure. “Ti prego, scusami.” Provò ad accarezzarmi la guancia, ma la scostai con un gesto secco della mano. “Scusami. E’ evidente che sono sconvolto.. abbiamo fatto l’amore, hai detto che mi ami. Perché questa freddezza, non capisco?”

“Davvero non capisci? Guardati attorno.. noi non abbiamo futuro.” Inspirai profondamente, “vuoi che ti dica che sto male? Che sento la terra franare ai miei piede se solo penso dovrò lasciarti? E’ così, ma non posso cambiare il destino. Sono. La. Moglie. Di. Aurelien.” Sentii mio malgrado gli occhi inondarsi di lacrime. “Forse in un'altra vita saremo stati perfetti, non lo so. O forse il tuo caratteraccio e il mio ci avrebbero divisi per sempre. Non so nemmeno questo. So che ho detto sì ad un uomo, ho accettato il suo anello ed ho promesso difronte a Dio che sarei stata sua moglie e che mi sarei presa cura di lui.” A questo punto le lacrime scesero senza che io me ne accorgessi, la voce era inflessibile, solo i miei occhi tradivano la disperazione del mio animo. “Questa è la mia vita Fabien, non posso e non voglio farti altro del male. Non lo sopporto.”

“E’ così che mi uccidi.” Asciugò con i polpastrelli le lacrime che rigavano il mio volto, guardandomi angosciato ed esasperato. “Non voglio che piangi per me.”

“Impossibile..” soffiai, ma quando mi accorsi della luce infondo ai suoi occhi mi pentii di averlo fatto. Rinvigorito dalle mie parole si parò con il viso pericolosamente vicino al mio. “Resta allora! Resta con me, affronteremo la cosa insieme!”

“Non.. posso.”

“Hai detto di amarmi.. penso tu possa invece. Mi hai preso a schiaffi e sono sicuro abbatteresti un uragano se ti si parasse davanti. ” Cercai di non ridere, il momento tragico stava assumendo delle pieghe comiche che non mi facevano credere che io Fabien fossimo del tutto normali, perciò fermai il flusso delle sue parole appoggiando una mano sulle sue labbra rosse.

“Ma non lo farai.” Asserì deluso, espirando fra le mie dita e con la stessa delusione, lasciò il mio viso e serrò le labbra in una smorfia dura. “Siamo nuovamente allo stesso punto. Io che ti faccio gli auguri e tu che scegli lui. Con la sola differenza che ti amo più che mai e vorrei tu restassi con me.” Calò la maschera sofferente e indossò nuovamente i panni del ragazzo strafottente e insopportabile, indietreggiando di qualche passo. “Pazienza.. sono abituato ad arrivare secondo. E’ il mio marchio di fabbrica.” Sorrise indulgente ed io provai una morsa di dolore ancora più forte. “Credevo mi amassi Deesire e che fossi la ragazza forte e determinata che ho visto quì. Ma sei solo un sogno, una fantasia. Non esisti.”

Era troppo per me. A quel punto ero la versione annegata di me stessa e le sue parole dure non fecero che spararmi il colpo di grazia; mi aggrappai ad una forza superiore che mi trascinasse fuori dal bozzolo Deesire-la-spaventata, ma soffocai sulle mie stesse intenzioni.

“Chiedimelo ancora.”

“Che cosa?!”

“Chiedimelo ancora.”

“Tu. Mi. Ami?!”

 

“Che sta succedendo qui?!” La voce di Aurelien arrivò ai miei orecchi come un avvertimento di panico e terrore; asciugai di fretta gli occhi come se fosse possibile cancellare il mio totale stato di decadimento. “Sta piangendo.” Guardò al cugino con occhi furenti, Fabien alzò le spalle.

“Non gradisce il mio umorismo.”

“Moreau togliti di torno.”

Inspirai profondamente appellandomi alla mia -fuggita di casa- intraprendenza e lamentandomi mi coprii un occhio con la mano. “Ho qualcosa nell’occhio, stava controllando.. e sai le sue battute facili..”

Mi si avvicinò premuroso, spostandomi con delicatezza la mano. “Fa vedere.”

Da dietro le sue spalle, Fabien stava tornando il fantasma che era. “Non c’è nulla.” Aurelien soffiò delicato sulle mie ciglia, sorridendomi amorevolmente; si girò e con lo sguardo poi duro si rivolse a Fabien, “odio vederla piangere. E odio il tuo umorismo. Cugino non fa per te.”

“Lo so.” Rassegnato, si incurvò nelle spalle; il sottile confine del significato della sua conoscenza era in realtà un mare agitato fra noi e lui.

“Vattene.” La voce imponente di Aurelien mi fece tremare.

Fabien annuì compito ma ci lanciò un ultima occhiata, soffermandosi a lungo nei miei occhi; era di nuovo angosciato. Angosciato e disperato. Sparì dietro l’angolo, lo immaginai attraversare il vialetto, poi la strada, aprire il cancello della sua villa, attraversare un altro viale, salire al piano superiore e chiudersi fra quelle lenzuola dove poche ore e giorni prima, noi ci stavamo amando.

 

Mi ritrovai sulla statale per Parigi troppo esausta per elaborare ciò che stava accadendo; avevo salutato in fretta e furia appena un quarto delle persone conosciute, ritrovandomi la macchina piena di bagagli e Rose e Maitre Gerald con le sue sporte piene di cibo sull’uscio del cancello, a salutarmi vigorosamente con la mano. Auvers si era trasformata improvvisamente in una prigione tanto stretta da farmi soffocare, intimamente pregai di essere lontano da lì il prima possibile; sfogai tutte le mie lacrime contro le mie mani e quel finestrino che mano-mano scolorava i bei paesaggi che avevo adorato, incurante degli sguardi carichi di apprensione di Aurelien, spaesato dalla mia reazione così potente. Quando aprii gli occhi, gonfi e pesanti, lo trovai a guardarmi, carico di amore e pena. Mi sentii inadatta e fuori posto.

“Siamo arrivati.” Accarezzò il groviglio informe sulla mia testa -un tempo i miei capelli- e sospirò ansioso; provai un moto di compassione, di vergogna e di stupore per il suo tatto, la sua paura, la mia, di riscoprirci diversi, innaturali, in quella grande casa con il portone alto, bianca come il mio viso stravolto. “M-madame Chedjou.” Ingoiò le sue stesse parole, facendomi strada per l’atrio e il ripostiglio dove aveva appeso la mia fusciacca e la sua giacca di lino; lo abbracciai da dietro, infondendogli sicurezza e amore. I miei sentimenti non erano cambiati; ero sopraffatta dall’uragano Fabien, dai suoi baci, dalla sua pelle e dai suoi maledetti occhi tristi.. ma avrei dimenticato, dovevo dimenticare! Il mio ruolo nel gioco delle nostre vite mi vedeva vicino e soprattutto moglie dell’uomo, che fra le mie braccia e in un ripostiglio angusto e buio, stava tremando al tocco leggero del mio abbraccio protettivo, ed io ero felice –nel senso non ancora pieno e vivo del termine, ma reattiva perlomeno- di essere tornata a casa.

 

*

NDA:

Giuro che ho pianto leggendo questo capitolo. Nel senso che leggevo e mi commuovevo.. e mi domandavo, ma come caxx fai a scrivere certe cose?! No, non mi sto auto-complimentando, mi sto dando della patetica, emo, sporcacciona scrittrice. :D

Mi auguro vi piaccia quello che scrivo anche se sono così.

Scherzi a parte, ho messo amore in questo capitolo, perché alla fine di tutto, mi sembrava giusto; nella mia mente e spero di essere riuscita a farlo capire anche scrivendolo, Fabien e Deesire si amano, di un amore carnale e a tempo residuo, ma pur sempre amore. Vi è piaciuto il capitolo? Spero di sì! Restate connesse!

Vorrei ringraziare chi mi segue, abituale e non; Ultimo Puffo, The Rocker, _Nihil_ . Grazie di cuore!

Grazie a chi aggiunge la storia in preferiti/seguiti/ricordare. Vi aspetto fra i commenti.

E anche se non centra nulla qui, grazie a chi visita le mie storie in generale, vecchie e nuove; mi emoziona sempre constatare l’afflusso di lettori nelle mie fanfic, a volte resto secca quando si tratta di numeri a quattro cifre. Vi adoro.

Un abbraccio,

Lunadreamy.

  
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