Durante il tragitto verso l'ospedale una lieve pioggia picchietta sui finestrini dell'auto e, con le cuffiette alle orecchie, piango in silenzio. Come è potuto succedere? Cerco di ricordarmi il suo viso l'ultima volta che l'ho vista: era raggiante, felice. E prima di andarsene mi ha dato un bacio. Le sue labbra si sono poggiate sulle mie delicatamente; e poi se ne è andata così, lasciandomi da sola, immobile. Forse è per quel motivo che non l'ho più cercata, non sapevo come reagire. Mi ha lasciato di stucco, come solo lei sapeva fare, per l'ennesima volta. Era un sogno o cosa? Mi stava forse mettendo alla prova?
L'ospedale è un posto grigio e malinconico. La sala d'aspetto gronda di persone. C'è chi piange, c'è chi ha lo sguardo fisso nel vuoto. E poi ci sono io, impassibile.
Rachel mi si butta tra le braccia e urla: 'Le hanno rasato i capelli, le hanno rasato i capelli! Perché proprio a lei, perché?' La scena mi sembra a rallentatore. I genitori che si avvicinano, mi dicono che è stato colpa di uno shock anafilattico, e che è rimasta senza ossigeno per trenta minuti. Giro lo sguardo lentamente: per terra c'è seduto un ragazzo, Puck. Non sapevo fossero amici.
La porta della sala di rianimazione li vicino di apre, spingo tutti e entro.
Il bacio. Il suo sorriso. Il suo profumo. Le risate. I pianti. Le prime esperienze.
I ricordi mi tornano in mente uno dietro l'altro di fronte a uno spettacolo agghiacciante: lei, intubata, senza i suoi lunghi capelli, con il viso gonfio, pieno di ematomi.
Cosa ne è stato di lei?
Sento il dolore che mi trafigge l'anima. Svengo.